My Man Godfrey
(USA 1936, L'impareggiabile Godfrey, bianco e nero, 95m); regia: Gregory La Cava; produzione: Gregory La Cava, Charles S. Rogers per Universal; soggetto: Eric Hatch, dal suo omonimo romanzo; sceneggiatura: Morrie Ryskind, Eric Hatch, Gregory La Cava; fotografia: Ted Tetzlaff; montaggio: Ted Kent, Russell Schoengarth; scenografia: Charles D. Hall; costumi: Travis Banton, Ed Ware; musica: Charles Previn.
Scovato in uno slum durante una stravagante caccia al tesoro, Godfrey Parke, un giovane di buona famiglia rovinato dalla Depressione, accetta di lavorare come maggiordomo alle dipendenze di Alexander Bullock, un magnate a capo di una famiglia di eccentrici. Da subito, Godfrey suscita la simpatia della figlia minore dei Bullock, Irene, e l'odio e la gelosia della figlia maggiore, Angelica. Quest'ultima, infatti, non esita a nascondere una collana sotto il letto del giovane, per incolparlo del furto. Godfrey però impegna la collana, e con i soldi ricavati gioca in borsa al ribasso le azioni della famiglia. In breve tempo, Godfrey ritorna ricco, mentre i Bullock si trovano sull'orlo del fallimento. Godfrey ricompra allora le azioni, per restuirle, insieme alla collana, ai suoi datori di lavoro. Licenziatosi, decide di aprire un nightclub nel quale fare lavorare i suoi amici vagabondi. Il giorno dell'inaugurazione, Irene lo raggiunge per sposarlo, approfittando della presenza del sindaco.
Candidato a sei Oscar, grande successo di pubblico all'epoca, My Man Godfrey è uno degli esempi più noti e riusciti della commedia hollywoodiana degli anni Trenta e il capolavoro di uno dei registi americani più rappresentativi ma anche originali del decennio, maestro a suo agio sia nel registro drammatico che in quello comico. Adattamento di un romanzo pulp di Eric Hatch, apparso a puntate sulla rivista "Liberty", rappresenta una delle prime e rare incursioni della Universal nei territori della sophisticated comedy, scelta fortemente voluta dal produttore Charles Rogers ‒ che era da poco subentrato a Carl Laemmle Jr. alla guida della major ‒ per rilanciare lo stile e la fortuna dello studio, dopo l'insuccesso del musical Show Boat (La canzone di Magnolia), diretto da James Whale nel 1936. I moduli narrativi, le ambientazioni e i personaggi tipici della commedia allora prodotta da altre majors, citati quasi direttamente attraverso la presenza di William Powell (divo strappato alla MGM, con un contratto di 87.500 dollari), vengono però rivisitati da Gregory La Cava con uno stile più maturo che, in una certa misura, finisce per sospendere il patto di coesione sociale e il progetto di fuga nel sogno a cui la commedia hollywoodiana normalmente tendeva.
Attento tanto alle suggestioni della commedia sociale proposta da Frank Capra in quegli anni quanto agli echi della comicità più anarchica, che lo stesso regista aveva sperimentato nel periodo del muto e nella sua esperienza di cartoonist, My Man Godfrey manifesta da subito, a partire dalla splendida sequenza iniziale, la volontà di accostare universi incompatibili, l'irraggiungibile e splendente set del mondo dei ricchi descritto nella sophisticated comedy e quello popolato dai forgotten men, i 'dimenticati' della Depressione, in vista di un nuovo equilibrio non realizzabile nella sua pienezza, perché sempre accompagnato da una critica impietosa ai miti fondanti il capitalismo americano. L'irruzione di un elemento estraneo, il finto povero Godfrey, nelle architetture sofisticate di un mondo comunque minato dal disordine della follia, diventa infatti funzionale all'inarrestabile gioco dei doppi e al transito dei confini, attraverso il quale la confusione tra le maschere dei ricchi e quelle dei poveri si mostra come il corrispettivo dell'instabilità sociale e finanziaria degli Stati Uniti negli anni successivi al crollo di Wall Street.
Frutto maturo di un regista poco interessato a innescare il progetto riconciliatorio imposto dal romance, e maggiormente predisposto, come ha scritto Elizabeth Kendall, a mettere a nudo i meccanismi più puri e corrosivi della commedia, My Man Godfrey anticipa quindi l'evoluzione del genere verso i ritmi concitati e folli della screwball comedy protagonista della seconda metà del decennio (non a caso, il termine fu coniato per la prima volta proprio nella pubblicità che accompagnava l'uscita del film). La vitalità liberatoria tipica della commedia e un sorriso sempre sarcastico si fondono così nella precisione dei tempi comici dettati dalla perfetta sceneggiatura e nella maestria della direzione degli attori: dalla interpretazione di caratteristi indimenticabili come Eugene Pallette alla recitazione misurata di William Powell. Ma è soprattutto la presenza di Carole Lombard ‒ imposta per contratto da Powell, suo ex marito ‒ ad alimentare il tasso entropico del film, con una performance attoriale che, se da un lato attesta definitivamente la centralità dell'elemento femminile nella commedia hollywoodiana anni Trenta, dall'altro accresce ancor più l'originalità di un film che, nonostante il mediocre remake omonimo diretto da Henry Koster nel 1957 (con David Niven e June Allyson), rimane inimitabile, mantenendo intatta, a distanza di anni, tutta la sua freschezza e modernità.
Interpreti e personaggi: William Powell (Godfrey Parke), Carole Lombard (Irene Bullock), Alice Brady (Angelica Bullock), Eugene Pallette (Alexander Bullock), Gail Patrick (Cornelia Bullock), Alan Mowbray (Tommy Gray), Jean Dixon (Molly), Mischa Auer (Carlo), Robert Light (George), Pat Flaherty (Mike), Robert Perry (Bob), Franklin Pangborn (maestro di cerimonie), Selmer Jackson (Blake), Ernie Adams (vagabondo), Phyllis Crane (invitata al party), Grady Sutton (Charlie van Rumple), Jack Chefe (capocameriere), Eddie Fetherson (inserviente), Edward Gargan, James Flavin (detective), Art Singley (parrucchiere), Reginald Mason (sindaco Courtney), Jane Wyman (ragazza al party), Bess Flowers (Mrs. Merriwether).
Bige., My Man Godfrey, in "Variety", September 23, 1936.
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V. Razzini, Ti ricordi i Dimenticati? Gregory La Cava, a cura di E. Martini, Bergamo 1995.
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