MUNICIPIO (municipium)
Fin dalla più antica età repubblicana, è termine usuale per designare certe comunità cittadine dipendenti da Roma: il linguaggio tecnico dei giuristi preferisce però il nome collettivo di municipes, più conforme al concetto corporativo della persona giuridica. In senso proprio, municipium (che deriva da munus capere, esprime cioè l'idea d'una sottoposizione ad oneri) è soltanto la comunità cittadina che ha perduto la sua sovranità per essere annessa a Roma senza partecipazione ai diritti politici (sine suffragio). Così inteso, il municipio si contrappone: 1. alle comunità annesse in condizioni di parità con gli originarî di Roma (cives optimo iure); 2. alle città alleate (foederatae), che conservano formalmente la loro sovranità, salvo in generale il divieto d'ogni relazione con stati diversi da Roma; 3. alle coloniae dedotte da Roma stessa con statuti che garantiscono talvolta ai componenti la piena cittadinanza (coloniae civium Romanorum), più spesso una situazione di alleanza privilegiata analoga a quella riconosciuta alle città dell'antico Lazio (coloniae latinae, nell'insieme nomen latinum); 4. ai fora, vici, conciliabula, frazioni dipendenti dai municipî stessi o dalle prefetture.
La terminologia presenta peraltro, specie presso gli scrittori d'età avanzata, certe oscillazioni: non solo, sparito il ricordo della situazione d'inferiorità che nel nome si esprimeva, sono annoverate fra i municipia le comunità aventi la piena cittadinanza, ma talora le città latine alleate, in epoca imperiale anche le colonie, sono abusivamente chiamate allo stesso modo; e per quanto la situazione delle civitates foederatae, con i loro organi repubblicani al completo e col loro proprio diritto privato, non sia confondibile con quella delle comunità annesse, il fatto che anche l'annessione ha sovente la sua base in un foedus, e più ancora il passaggio volontario di molte città alleate nella situazione di municipî, turbano alquanto le idee.
D'altronde, anche fra i municipî propriamente detti passano differenze notevoli. I più conservano i loro magistrati elettivi (generalmente duumviri iuri dicundo e duumviri aedilicia potestate, oppure, ad imitazione della città egemonica, dictatores, praetores, aediles), e hanno conseguentemente una larga autonomia giurisdizionale e amministrativa; altri sono governati da funzionarî (praefecti) romani, in guisa che uno o più municipî, talvolta con annessi fora e conciliabula, costituiscono una praefectura, ma hanno peraltro con i Romani una certa comunanza di diritto privato, che si usa designare col nome della città etrusca di Caere, che per prima ebbe uno statuto cosiffatto (municipes Caerites); infine i municipes aerarii, il cui assoggettamento è l'effetto d'una punizione (come per Capua dopo la defezione ad Annibale), si trovano in situazione non dissimile da quella dei sudditi d'oltremare. Assai discusso è il nome di municipium fundanum, usato nella cosiddetta lex Iulia municipalis (v. eraclea: Le tavole di Eraclea), l. 159 segg.: mentre l'opinione più diffusa (e più probabile) riconnette l'espressione al fundum fieri di Cicerone (Pro Balbo), cioè al volontario assoggettamento al regime municipale, ha oggi ripreso voga l'interpretazione che riconnette l'aggettivo al municipio di Fondi, o come unico oggetto della disposizione legislativa o come designazione di un tipo di statuto.
L'ammissione dei soci italici alla cittadinanza romana, avvenuta intorno al 90 a. C., rese applicabile il regime municipale anche alle città che erano state per lo innanzi in condizione di alleate. Si attua per i nuovi municipî un'organizzazione uniforme, il quattuorvirato, dove però a due membri del collegio sono riservate le funzioni giurisdizionali (IVviri iuri dicundo) e agli altri due le amministrative (IVviri aedilicia potestate). Invece i municipî più antichi, nonché le colonie, continuarono a dare ai loro magistrati i nomi che avevano portato in precedenza; il che permette di trarre anche dalle epigrafi d'età imperiale qualche lume circa la situazione originaria di ciascuna comunità.
Quantunque gli abitanti dei municipia siano tutti cittadini di quella immensa città-stato che Roma è divenuta, tuttavia ogni municipio ha una larga autonomia, che è il residuo della sua originaria situazione di stato sovrano. Non solo la giurisdizione civile, ma anche la penale (salvi i reati che hanno di mira lo stato romano direttamente) appartiene ai municipî; e autonomi essi sono soprattutto, pur sotto un certo controllo del senato, nell'amministrazione finanziaria, fondata in buona parte sulle rendite dei beni pubblici (vectigalia: notevoli in specie gli agri vectigales, oggetto d'una locazione perpetua o a lungo termine che crea nei singoli un diritto analogo alla proprietà). Dotati d'un potere di supremazia sui loro membri, i municipî sono per altro verso, come lo stato romano non è mai, in situazione di parità nei confronti dei privati (privatorum loco habentur: Gaio, Dig., L, 16, de verb. signif., 16), sicché possono compiere con loro tutti i negozî giuridici patrimoniali, nonché essere parti, come attori e come convenuti, in processi privati di competenza del pretore urbano.
Nell'epoca imperiale, mentre i municipî propriamente detti, o civitates, si fondono con le colonie sotto il nome complessivo di universitates, due fenomeni si svolgono: da un canto, la decadenza dell'autonomia municipale di fronte alla crescente ingerenza del governo centrale; dall'altro, l'estensione dell'organizzazione municipale così vincolata alle città provinciali.
In Italia, la prima a essere intaccata fu l'autonomia giurisdizionale. Nel campo criminale, è questo uno degli aspetti del generale abbandono delle competenze e delle procedure fissate dalle leggi repubblicane per far prevalere la cognizione diretta e largamente discrezionale del principe e dei suoi massimi funzionarî, i prefetti della città e del pretorio. Per la giurisdizione civile, invece, prevalse il principio della divisione dell'Italia in quattro grandi distretti, a capo dei quali Adriano mise dei consulares e Marco Aurelio, rinnovando la riforma dopo una temporanea abolizione, degli iuridici: fine immediato fu quello di sgravare i magistrati romani dei processi che uscivano, per lo stato giuridico delle parti o per la peculiarità della procedura, dalla competenza dei magistrati municipali, ma il risultato finale fu di lasciare a questi ultimi le sole cause d'infimo valore. Quanto all'autonomia finanziaria, gl'imperatori si mostrarono dapprima assai tolleranti, benché spesse volte costretti a colmare con danaro dello stato i deficit di un'amministrazione piuttosto allegra; ma a partire dal sec. II d. C. un funzionario imperiale, il curator, è imposto a ogni città; e nel III il controllo si accentua con l'istituzione del correttore (corrector totius Italiae), che diventa un amministratore generale di tutte le finanze comunali.
Nelle provincie, la costituzione municipale è del tutto ignota sino alla fine della repubblica: l'alternativa è fra le antiche città sovrane, che conservano normalmente una larga autonomia ma restano in ogni caso straniere, e la massa dei sudditi, i dediticii, privi d'ogni organizzazione cittadina anche dove si addensano in vasti agglomerati urbani. Ma la costituzione caracalliana del 212, concedendo a tutti gli abitanti dell'impero la cittadinanza romana, avvicinava le une e le altre città peregrine alle civitates italiche, e questo movimento prosegue inesorabilmente durante tutto il secolo III, conformemente alla generale tendenza politica di livellare l'Italia e le provincie sotto il potere dispotico dell'imperatore. Ormai ogni città dell'impero si organizza secondo lo schema municipale, con un senato (curia) che nomina i magistrati, normalmente duumviri, secondo le proposte dei predecessori. Ma questa parvenza di libertà comunale non è che un modo di sfruttamento delle risorse ancora esistenti nell'impero impoverito: funzione principale della curia è quella di designare i cittadini capaci di assumersi il rischio della percezione delle imposte e gli altri gravosi oneri, noti sotto il nome di liturgie (v.). La magistratura locale dei duoviri, priva di giurisdizione contenziosa, ha ormai per funzione principale, accanto alla nomina dei tutori, la registrazione degli atti giuridici più importanti: la posizione prevalente è tenuta, accanto al curator civitatis che ha sempre la sorveglianza dell'amministrazione finanziaria, dal defensor plebis o civitatis, nominato prima dal prefetto del pretorio, poi eletto, a suffragio più o meno largo secondo i tempi, dalla città stessa: sue funzioni sono la giurisdizione civile e criminale nelle cause di minore importanza, l'esazione dei tributi dei minori possessori, infine la protezione delle classi umili della popolazione contro le pretese dei potentiores.
Bibl.: Opere generali: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III, i, Lipsia 1887, p. 716 egg.; E. Täubler, Imperium Romanum: Studien zur Entwicklungsgeschichte des römischen Reichs, I, Lipsia-Berlino 1913; P. Bonfante, Storia del dir. rom., 3ª ed., Milano 1923, I, p. 345 segg.; II, p. 16 segg.; K.J. Beloch, Romische Geschichte bis zum Beginn der punischen Kriege, Berlino 1926, p. 488 segg.; P. De Francisci, Storia del dir. rom., I, Roma 1926, p. 290 segg.; II, ivi 1929, p. 11 segg.; V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di dir. rom., 2ª ed., Napoli 1927, p. 64 segg.; M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'Impero romano, trad. G. Sanna, Firenze 1933; A. Heuss, Die völkerrechtlichen Grundlagen der römischen Aussenpolitik in der republikanischen Zeit, Lipsia 1933.
Opere particolari: W. Liebenam, Städte verwaltung in römischen Kaiserreiche, Lipsia 1900; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Die Städte, Berlino 1902; P. Jouquet, La vie municipale dans l'Égypte romaine, Parigi 1911; J.S. Reid, The Municipalities of the Roman Empire, Cambridge 1913; L. Homo, Les institutions politiques romaines (de la Cité à l'État), Parigi 1927.
Medioevo ed età moderna.
Per ciò che riguarda il comune nel diritto pubblico moderno, la sua natura di corporazione territoriale e di ente autarchico, v. le voci autarchia; comune; corporazione; per ciò che concerne i suoi organi nella legislazione precedente la riforma del 1926, v. le voci giunta: Giunta municipale; consiglio: Consiglio comunale; sindaco; nella legislazione vigente le voci consulta; podestà; nell'una e nell'altra legislazione la voce Segretario comunale, per ciò che attiene, in fine, alla storia del comune medievale, v. la voce comune. Si svolgerà qui di seguito solo la trattazione relativa al palazzo comunale.
Questo è l'edificio, o il complesso di edifici, in cui trovano sede gli organi amministrativi di ciascun comune; podesteria, consulta, segreteria e relativi uffici tecnici, sanitarî, legali, ecc. Ma poiché la sede dell'autorità comunale (come la sua istituzione stessa) trae origine in organismi architettonici lontani ben definiti, forme d'arte giunte a espressioni alte e nobilissime, conviene prendere le mosse proprio dai medievali palazzi comunali. Specialmente nell'Italia settentrionale, e più precisamente nelle provincie "lombarde", edifici come l'Arengario o il Broletto, s'identificano con il generico Palazzo del comune, anche prendendo, in luoghi diversi, nomi diversi. Ciò si deve alla tipica destinazione riservata a consimili fabbriche, dove le attività del reggimento comunale sono esercitate attraverso varî organi e nelle modalità che ciascun comune ha saputo organizzare. Per tutto il Medioevo non vi fu città o cittadina, d'Italia e di fuori, che non avesse almeno un proprio palazzo (e talvolta si trattò di veri e proprî raggruppamenti di edifici occupanti un intero quartiere o coronanti la piazza maggiore) sede del comando e dei suoi rappresentanti.
Nelle ricordate provincie lombarde, sulle due sponde padane, tali palazzi ebbero aspetti esteriori e organismi intrinseci non troppo dissimili dall'Arengario monzese, tanto che il tipo di questa essenziale edilizia pubblica finì col divenire canonico; e ciò, malgrado che i nomi mutassero da città a città. Arengario, Broletto, Palazzo del comune, Palazzo Vecchio: è, in sostanza, la solita aula porticata che occupa tutto il pian terreno; è il salone superiore, di pari grandezza e capienza, cui si accede per una scaletta in legno esterna o per un cavalcavia; quasi sempre vi troviamo la "parlera" (il poggiolo per le concioni); spesso, spicca una torre o almeno una torricella per la campana, simbolo del comune; e una dovizia di merlature difensive e di ornati decorativi mostra evidente la funzione civica e militare di codesti edifici. Architettonicamente sono affini, e talvolta si confondono come funzione al Palazzo del podestà e al Palazzo della ragione, il quale ultimo serviva per amministrare la giustizia. Costruiti sopra un pressoché unico stampo, e tutti nel sec. XIII, i palazzi comunali della Valle Padana sono da classificarsi tra i più cospicui monumenti nell'ultimo periodo romanico.
Citeremo qui i principalissimi: il Palazzo di Milano, eretto intorno al 1230 dal podestà Oldrado da Tresseno, nel mezzo della piazza dei Mercanti, cuore della città; il Broletto di Como (1215) e il Broletto di Brescia (iniziato nel 1222), ambedue così chiamati per la vicinanza di un brolo o verziere, ambedue affiancati dalla torre comunale; sempre a Brescia, e di qualche secolo posteriore (proseguendo in maggiori e più complessi sviluppi l'ordinamento amministrativo e politico della città), ecco altro Palazzo Nuovo del comune, la Loggia famosa, superba creazione del Rinascimento che tanto ricorda i simili palazzi veneti (architetto Formentone, vicentino); i due di Cremona, Palazzo del popolo o dei guelfi (1256) e Palazzo dei nobili o dei ghibellini (1206-1245), costruiti dalle opposte fazioni negli opposti quartieri, il secondo dei quali, affiancato da una Loggia dei Confalonieri, ha la fronte sulla piazza maggiore, e con cortili e fabbriche secondarie e torri occupa un intero quartiere; il Palazzo Vecchio di Bergamo (1200) sorgente nel cuore di Città Alta, rimaneggiato nel Rinascimento, affiancato dal Palazzo del podestà e dalla Torre del comune, fronteggiato dallo scamozziano Palazzo Nuovo. Anche l'Emilia n'è ricchissima, dal Palazzo di Piacenza (1280) splendido per le superbe finestre in terracotta, al complicato raggruppamento bolognese - Palazzo del podestà, Torre dell'Arengo -, al Palazzo di Ferrara (1243), al Palazzo del podestà di Faenza, a quello di Forlì, ai complessi palazzi dell'Arengo e del podestà di Rimini. Poi, altri minori a Novara, Pavia, Arona. Infine, arieggianti i lombardi, ecco i palazzi liguri, delle repubbliche marinare; tra cui meritano di essere menzionati, a Genova, il Palazzo del comune, poi completamente trasformato, e il Palazzo del capitano o di San Giorgio (1200), e quello di Noli.
Nel Veneto mutano i gusti e le particolari forme dell'architettura; ma le necessità e i programmi sono suppergiù costanti. Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Udine, Venezia stessa, infine, vantano cospicui palazzi a sedi del reggimento municipale.
Dura sempre il porticato terreno; dura il salone unico superiore, cui si aggiungono i ricetti minori; il palazzo vuole essere preferibilmente fabbrica isolata. Padova eleva per tempo (1165) il proprio Palazzo della ragione, vastissimo, al quale un architetto trecentesco, Giovanni degli Eremitani, porterà radicali riforme aggiungendo i loggiati esterni e la caratteristica copertura a carena di nave. Vicenza pone, a più riprese nei secoli, le strutture che il Palladio trasformerà nella immortale basilica; e completa, attorno alla piazza dei Signori, il quadro stupendo con la torre comunale (1226-1311) e con la palladiana Loggia del capitanio. Verona ha il massiccio severissimo Palazzo del comune (1193-1195) con la svelta torre, prospettante anche sulla piazza dei Signori dove fra Giocondo eleverà la Loggia del consiglio (1476). Così Udine, così Treviso, per limitare le citazioni.
A Venezia, il Palazzo del comune dei primi tempi della repubbliea diventa il Palazzo ducale del periodo aureo: logge, cortili, scalee, gallerie, e poi saloni e salette e l'appartamento per il doge: tutto un mondo sontuoso e decisamente rappresentativo che va più in là dei bisogni stretti, e trasforma la sede del governo comunale, già aristocratico, nella eccelsa reggia del principe. Così ci si allontana sempre maggiormente dal tipico originario palazzo medievale.
Il tema del palazzo municipale dà alle città di Toscana e d'Umbria ragione e mezzi per magnifiche creazioni. Per quei regimi politici più complessi, occorre maggiore spazio, occorre scindere e moltiplicare le sedi: se altrove s'è badato essenzialmente alla vastità di pochi ambienti, qui bisogna creare gran numero di locali, organismi distinti. Oltre alle sale per le riunioni e per i consigli, conviene ospitare in degni appartamenti il capitano del popolo o il podestà, perché il supremo magistrato ha diritto a un vero e proprio appartamento di rappresentanza. Spesso, i palazzi son più d'uno, raggruppati attorno alla piazza maggiore, in cospetto magari della cattedrale. Infine, la torre è proprio d'obbligo e deve svettare altissima dalla costruzione principale, a più piani e merlature; manca invece quasi sempre il porticato al piano terreno.
Tra i complessi esempî, merita di essere posta in primo piano Pistoia, dove, sulla piazza del duomo sorgono il Battistero, il Palazzo del capitano del popolo, il Palazzo del podestȧ o Pretorio (sotto il cui portico terreno, adorno delle targhe dei podestà e degli alti magistrati, i giudici tenevano le accuse), il Palazzo del comune. Sorti in diversi tempi (tra il sec. XIII ed il XIV), dovuti alle diverse fazioni, tali edifici religiosi e civili riassumono tutta la vita della città medievale. Il Palazzo dei priori di Volterra (1208), di pretto carattere fiorentino, e quasi prototipo del celeberrimo Palazzo Vecchio, è ornato anch'esso da una bella torre. Il Palazzo del capitano del popolo di Orvieto, iniziato nel 1157, dapprima isolato, in seguito ingrandito e arricchito dal giuoco magnifico di scalee esterne; scalee che si ritrovano, e perfino più solenni, nel grandioso Palazzo dei priori di Perugia, iniziato, sospeso e ripreso per lungo spazio di secoli. È questo tra i più superbi d'Italia e racchiude una sala vastissima d'incomparabile bellezza. Sempre in Umbria, il Palazzo dei consoli a Gubbio e i palazzi della mirabile piazza di Todi; poi, eeco il Palazzo degli anziani a Pisa, del podestà a San Gimignano, con alte torri; ecco i palazzi di Montepulciano, di Prato, di Città di Castello, di Viterbo, di molte altre cittadine.
Il palazzo comunale s'identifica sempre più con l'effettiva residenza dei magistrati. A Firenze, troviamo il Palazzo del capitano del popolo, poi del podestà, più tardi detto del Bargello: è una chiusa mole, assai alta e munita di torre e merlature, che rinserra il famoso cortile a doppî loggiati cui si accede per la scala aperta. Costruito in tempi diversi, n'é uscito uno tra i più caratteristici e famosi edifici del Medioevo. Non lontano, sorge il Palagio dei priori, Palazzo Vecchio, che Arnolfo di Cambio eresse tra il 1298 e il 1314.
A quattro piani, tutto di pietra lavorata a grezze bugne, con difese formidabili e con la torre superba, la più bella tra le consimili. All'esterno, il palazzo ebbe già una ringhiera o balconata, dove i magistrati si presentavano al popolo; dentro, le stanze si svilupparono attorno a un cortile ed ebbero, sin dall'inizio, dovizia di opere d'arte. Allorché il palazzo divenne residenza medicea, nuove modificazioni e vaste aggiunte vennero apportate, così da raddoppiarne quasi la capacità. Nel 1376 la ringhiera esterna veniva tolta, e in sua vece, perché i magistrati potessero più degnamente sedere in pubblico, fu elevata la famosissima Loggia dei Lanzi (in origine detta della Signoria) a tre superbe arcate, sul lato destro della piazza. Ecco un nuovo elemento dell'edilizia medievale, che non tarderà ad essere largamente imitato da pubblici enti nelle varie città italiane.
Accanto al fiorentino, occorre ricordare il Palazzo comunale di Siena che non cede a quello in magnificenza, vasto e complicato, costruito in più tempi.
Dalla sua fronte, che tiene tutto un lato della grande Piazza del Campo, una delle più vaste e armoniche della città medievale, spicca altissima la Torre del Mangia, cosiddetta dal nome del suo costruttore, tanto simile a quella d'Arnolfo; ai suoi piedi, in un'edicola sporgente, sta la Cappella di piazza. Il palazzo, con una corte detta del podestà, ha superbe sale affrescate. Basti ricordare la sala del Mappamondo, con le figurazioni di Simone Martini, la sala della Pace, con le allegorie di Ambrogio Lorenzetti.
Nel Rinascimento, il decadere dei liberi regimi comunali toglie spesso carattere e importanza agli edifici comunali, palazzi e logge, quando invece in talune nazioni estere (ad esempio le Fiandre) n'è ancora vivace lo sviluppo. Sorgono in Italia le signorie e si affacciano i dominî stranieri. Ove si escludano le repubbliche sopravvissute di Genova e di Venezia, il palazzo del comune diviene spesso il palazzo del governo o degli uffici; contiene allora, oltre agli ambienti di rappresentanza e di riunione, le numerose e complesse suddivisioni dovute alla nuova burocrazia che s'impianta. Esempî di vario tempo e di vario tipo possono citarsi nei palazzi di due piccole città, una toscana e una veneta, Pienza e Venzone, nei palazzi di Bologna, il palazzo d'Accursio, eretto da Fioravante Fioravanti, e quello del podestà, nel Palazzo comunale di Narni, e assai più tardi, nel palazzo di Lucca dell'Ammannati e negli Uffizî di Firenze, di Giorgio Vasari.
Ma sopra tutti emerge l'esempio del complesso michelangiolesco del Campidoglio in Roma (v. campidoglio) che il municipio romano, quasi ad affermazione dei suoi diritti di fronte al papato, volle erigere nel 1536 in occasione della venuta di Carlo V a Roma, sostituendolo al turrito castello e alla loggia dei Banderesi prima esistenti. L'opera fu allora appena iniziata e continuata poi per oltre un secolo, secondo lo schema unitario tracciato da Michelangelo con un nuovo concetto di euritmia urbanistica.
Dopo la costituzione del regno, molte municipalità hanno ripreso possesso degli antichi palazzi comunali, allogandovisi almeno con gli uffici di rappresentanza. Per taluni, monumenti insigni, fu un vero e proprio riscatto: così a Firenze, Siena, Perugia, Bologna, Piacenza, per citare quelli più noti.
Altre città, invece, non potendosi riadattare, per le mutate esigenze o per rispetto dovuto al monumento, nelle storiche sedi, hanno provveduto altrimenti, pure curando di collocare il loro municipio al centro dell'abitato. Così Milano, che nel cinquecentesco palazzo di Tomaso Marino rinnovò la tradizione del suo comune e si ripromette tuttora di riscattare, con funzione anche soltanto rappresentativa, il glorioso Palazzo della ragione; così Venezia, che preferì lasciare la reggia ducale intatta per allogarsi in palazzo Loredan, sul Canal Grande; così Genova che allogò il proprio municipio nello stupendo palazzo Doria Tursi.
Di preferenza - e soprattutto dopo il riordinamento delle amministrazioni civiche - in codeste principali sedi si sono allogati gli uffici delle autorità podestarili e le segreterie, cui si sono aggiunti gli ambienti di ricevimento e di rappresentanza. Per la pleiade degli uffici, divenuti sempre più numerosi e complessi con l'aumentare della popolazione, si è preferito provvedere con la costruzione di edifici appositi, utilitarî; dove sono collocati gli uffici e i servizî.
Moltissime sono, inoltre, specialmente le borgate che recentemente si sono costruite il proprio municipio. E poiché il nuovo ordinamento amministrativo, abolendo i consigli comunali e istituendo il podestà, ha dettato temi nuovi, queste nuove piccole fabbriche hanno assunto aspetti ben diversi dall'anteguerra. Cosicché un unico edificio ospita talvolta anche le scuole, molto spesso anche la sede del Fascio locale, sempre le istituzioni assistenziali e dopolavoristiche.
Il rinnovato spirito italiano ha poi rimesso in vita, dalle sue tradizioni più radicate, i temi e i simboli che rappresentano la comunità. Si è voluto riudire il rintocco della campana dalla torre civica. E se molte città avevano conservato il cimelio (Roma la storica campana del Campidoglio, Firenze e Siena e Bergamo Alta e Como e tant'altre custodivano intatte sulle torri le gloriose campane), altre, invece, non avrebbero più potuto ritornare all'antico. In tal modo, forme architettoniche moderne riprendono nobilmente l'antico tema suggestivo. Si veda anche il municipio turrito di Littoria, che tra i minori riassume in modo esemplare servizî e bisogni d'una piccola metropoli.
Conviene qui illustrare, anche sommariamente, il piano edilizio tipico quale potrebbe essere raggiunto da un grande moderno organismo municipale, venuto in conseguenza al mutato clima politico-amministrativo; tenendosi in particolare riguardo i servizî civici (demografici, tecnici, assistenziali) che la rinnovata attività nazionale ha saputo e voluto organizzare con lo scopo preciso di fare delle maggiori città italiane altrettante macchine perfette in ogni congegno.
L'istituzione delle podesterie ha in primo luogo, con l'abolizione del Consiglio comunale e delle sue dipendenze, alleggerito notevolmente la complessa struttura municipale; ma, da un altro canto, ha concentrato nel primo cittadino anche maggiori poteri, dignità e prestigio: per cui i bisogni sono notevolmente mutati. Le stesse norme riguardanti le celebrazioni matrimoniali, introdotte dopo il concordato con la Santa Sede, hanno condotto a radicali trasformazioni negli schemi planimetrici dei più moderni municipî, nei quali la sala delle celebrazioni matrimoniali ha perduto la sua tradizionale importanza. Procedendo con ordine, osserveremo come la sede titolare del governo cittadino sia, per solito, collocata in luogo per quanto possibile centrale, di preferenza in palazzi monumentali, storici, artistici, palazzi di vera e propria rappresentanza, ove si vogliono anche raccolte le memorie civiche e le collezioni artistiche municipali. Ivi risiedono il podestà e il vicepodestà (nella maggior parte dei casi, questa seconda carica è affidata a più di una persona), con i rispettivi uffici particolari e la segreteria generale del comune, poiché il segretario capo adempie alle più delicate mansioni, ed egli stesso è il responsabile di tutto il personale. In locali contigui vengono generalmente situati l'economato, servizio sensibile e importante, l'ufficio stampa, e, se necessario, l'ufficio del cerimoniale i quali dipendono tutti in linea diretta dalla podesteria. Sovente esiste un ufficio turistico per la valorizzazione delle bellezze cittadine.
Tutte queste istituzioni occupano buona parte del palazzo podestarile con anticamere, sale d'attesa, gabinetti particolari, e si trovano in facile comunicazione con altre sale per le adunanze e le sedute di eventuali commissioni. Dopo l'avvento del nuovo ordinamento municipale, la grande aula del consiglio comunale ha cessato d'esistere nelle sue caratteristiche: per le riunioni dei consultori basta un ambiente anche limitato. Cosicché la prima ha cambiato destinazione: è divenuta la sala di rappmsentanza per eccellenza, concorrendo a costituire, con altri ambienti vicini, il vero e proprio "appartamento d'onore" del podestà. Nello stesso palazzo civico può trovare posto un ambiente, decoroso ma senza sfarzo superfluo, per i pochi matrimonî civili.
I complicati congegni cui fanno capo i servizî urbani d'ogni genere vengono invece collocati altrove, in uno o più "palazzi degli uffici", dislocati in punti diversi della città, tuttavia non eccentrici. Per tali edifici, infatti, importa curare la dislocazione, soprattutto nei riguardi del traffico, poiché essi rappresentano un notevolissimo e preoccupante concentramento di pubblico d'ogni condizione. Di particolare importanza, gli uffici di stato civile, l'anagrafe, l'ufficio mortuario, l'ufficio elettorale l'ufficio certificati, l'ufficio passaporti, l'ufficio leva, l'ufficio imposte e tributi, l'ufficio affissioni, l'ufficio statistico, ecc., uffici tutti continuamente frequentati dai cittadini. Nell'apposito fabbricato, questi organi occupano di preferenza il piano terreno e possiedono più d'un ingresso e più d'una uscita per il facile ricambio del pubblico. Ai piani superiori invece troveranno posto i restanti servizî, che sono suddivisi in ripartizioni, divisioni, sezioni: anche essi facilmente accessibili dal loro pubblico, di professionisti soprattutto.
Primo, per imponenza e importanza, s'allinea il servizio costituente l'ufficio tecnico comunale. Esso deve provvedere al funzionamento vero e proprio della vita cittadina, e si può suddividere nelle seguenti sezioni: piano regolatore, fognature ed acque, edilizia comunale, edilizia privata, strade, acqua potabile, illuminazione, impianti industriali (ascensori, gas, ecc.), trasporti funebri; se necessaria, una sezione stadî e impianti sportivi. Sta alla direzione del complesso organo un ingegnere capo, coadiuvato da un sufficiente numero d'ingegneri capidivisione d'ingegneri, di periti, assistenti, sorveglianti, ecc. In questo campo tecnico, non vanno dimenticati altri uffici che cooperano al benessere della città: sono gli uffici di nettezza urbana e quelli adibiti ai giardini e alle piantagioni. Nei centri più popolosi non mancano, inoltre, le aziende civiche tecniche autonome dei trasporti, e cioè tramvie e linee automobilistiche, quando non esista addirittura la metropolitana, e l'azienda elettrica municipale. Ma codeste ultime direzioni possiedono per lo più una propria sede al di fuori del palazzo degli uffici.
Nel quale trovano invece ospitalità alcuni organi consultivi (di cui il comune si vale soprattutto a lato dell'ufficio tecnico), e quindi tali da essere posti in primo piano. Sono: la commissione igienico-edilizia chiamata a giudicare i progetti di nuove costruzioni nel territorio comunale (composta di professionisti delegati dai rispettivi sindacati, di costruttori, d'igienisti, di funzionarî); la commissione artistica per i cimiteri, per l'esame dei progetti di monumenti funebri (composta di architetti e scultori); la commissione per la viabilità urbana; la commissione per la toponomastica urbana; e altre commissioni a carattere speciale che il podestà ritiene eventualmente di nominare tra gli esperti per la risoluzione di problemi cittadini.
All'ufficio tecnico segue, secondo per importanza, l'ufficio sanitario, cui è demandata l'assistenza e la prevenzione sanitaria della città, attraverso le visite e le cure soprattutto medico-scolastiche, i servizî farmaceutici, i bagni e i lavatoi, le visite agli stabili vecchi e nuovi, la sorveglianza nei macelli e nei mercati. Sovrintende a questi uffici un medico capo, ufficiale sanitario, cui seguono numerosi medici di reparto, capi e aiuti di laboratorî chimici e batteriologici, veterinarî, direttori di macello e di mercato, levatrici, vigilatrici scolastiche, ecc. Per tale suo imponente complesso l'ufficio sanitario può richiedere un edificio apposito distinto dal palazzo degli uffici.
Dell'organismo municipale fanno parte anche l'ufficio legale, delicatissimo nelle sue funzioni e regolatore dei rapporti tra il comune e i terzi, l'ufficio del personale, l'ufficio dei giudici conciliatori e l'ufficio di ragioneria, tanto più complesso quanto più grande è la comunità. Seguono gli uffici del protocollo, generale e speciale, l'ufficio di polizia urbana e annona, l'ufficio necrofori e gli uffici scolastici, affidati a personale che si occupa delle scuole d'avviamento professionale, delle scuole serali, di musica e di canto. Uffici particolari sono rappresentati dagli ispettorati dei cimiteri, residenti per lo più accanto alle necropoli.
Un gruppo a parte può comprendere gli uffici di vigilanza urbana e gli accalappiatori. Non sono allogati nel palazzo degli uffici, perché presumibilmente fanno parte dei rispettivi istituti, ma appartengono sempre all'organizzazione municipale, gli organi dirigenti le raccolte artistiche, storiche, scientifiche comunali; gli archivî d'ogni natura.
Infine, i pompieri occupano apposite caserme o corpi di guardia dislocati in opportuni punti dell'aggregato urbano.
La cassa civica rientra nel quadro organico municipale, ma, di preferenza, trova altra dislocazione, poiché le sue competenze sono assunte da organismi bancarî estranei all'amministrazione comunale.
Da ultimo, vanno ricordati i reparti assistenziali, provvidenze alla maternità, dispensarî medici rionali, beneficenza, dopolavoro degl'impiegati.
Bibl.: U. Ojetti e L. Dami, Atlante di storia dell'arte italiana, I; Mongeri, L'arte in Milano, Milano 1872; A. Lensi, Palazzo Vecchio, Firenze 1911; Il Palazzo Pubblico di Siena (nella collezione Il piccolo Cicerone moderno), Milano 1913; G. Rohault de Fleury, La Toscane au moyen âge, Parigi 1873; Relazioni dell'Ufficio per la conservazione dei monumenti in Lombardia, Milano 1910; G. Mengozzi, La città italiana nel Medioevo, Firenze 1929; O. Grosso e G. Pessagno, Il palazzo del comune di Genova, Genova 1933; E. Rodocanachi, Le Capitole Romain, Parigi 1912; C. Cecchelli, Il Campidoglio, Milano-Roma 1925; La nuova città di Littoria nell'Agro Pontino, in Architettura, settembre 1933.