multiculturalismo/interculturalismo
– Il m., inteso come garanzia di coabitazione di diverse culture in uno stesso territorio geografico, è un tratto connotativo delle società democratiche in cui si confrontano necessariamente e apertamente visioni diverse e a volte divergenti, in cui sono presenti sensibilità, convinzioni, gusti e idee spesso distanti e conflittuali che trovano però un vincolo e un denominatore comune nei diritti e nei doveri che definiscono la cittadinanza. Soprattutto nei paesi occidentali, le differenze culturali all’interno della società, anziché diminuire o scomparire, sono andate nel tempo aumentando. All’origine di questa tendenza vi sono due fenomeni principali: il primo è rappresentato dalle nuove politiche culturali affermatesi negli stessi paesi occidentali che, anche attraverso interventi legislativi, hanno voluto assicurare visibilità e protezione a identità intese come diritto a essere diversi senza subire discriminazioni. Di questo aspetto, in una certa misura in contrasto con quella contemporanea spinta all’omologazione che caratterizza i fenomeni della globalizzazione, sono espressione anche i movimenti che rivendicano e difendono un’identità specifica, da quello femminista a quello degli omosessuali. Il secondo fenomeno, per certi versi più rilevante per il suo portato di diversità, è costituito dalla crescente presenza di popolazioni immigrate, che ha assunto dimensioni notevoli anche in paesi, come l’Italia, a lungo trascurati dai flussi migratori. L’immigrazione aggiunge in un certo senso nuove differenze a quelle già esistenti nelle società introducendone di più evidenti e visibili. Alla presenza massiccia di cittadini stranieri e alla loro tendenza a strutturarsi in comunità, affermando e cercando di conservare legami di solidarietà ed elementi costitutivi della loro identità culturale, le società occidentali hanno risposto con una varietà di approcci che hanno spaziato tra due posizioni estreme: quella assimilazionista, che vorrebbe ottenere la rinuncia alla cultura d’origine in favore di un assorbimento nella cultura laica del Paese d’accoglienza, e quella separatista che favorisce una larga autonomia delle diverse comunità e consente un’ampia conservazione delle loro specificità. Al primo modello si è ispirata per esempio la Francia, al secondo il Canada e i paesi dell’Europa settentrionale (soprattutto la Gran Bretagna). Entrambe le visioni sono apparse nel tempo largamente inadeguate e non sono riuscite a evitare il periodico esplodere di crisi e a realizzare forme piene di integrazione, la prima a causa dell’impossibilità di negare ogni appartenenza culturale come condizione per una nuova cittadinanza, la seconda perché costruisce mondi giustapposti e largamente non comunicanti e definisce una realtà multietnica piuttosto che interetnica. Altri paesi, come per esempio l’Italia, hanno adottato, spesso sull’onda di scelte contingenti e con qualche improvvisazione, modalità più pragmatiche e meno teoricamente definite, che sono risultate però ugualmente problematiche, anche sulla scorta di un quadro normativo che nella sua evoluzione ha sempre più teso a considerare l’immigrazione più che un fenomeno sociale largamente irreversibile e di proporzioni crescenti, un problema di ordine pubblico e l’occasione per procurare al sistema produttivo quote aggiuntive di manodopera anche a costo di aumentare l’area dell’irregolarità. La scarsa efficacia dimostrata dalle esperienze di molti paesi sembra suggerire che rispetto all’ineludibile aumento delle diversità possa essere vantaggioso ricorrere a un approccio autenticamente e coerentemente interculturale a partire dalla constatazione che l’esperienza dell’immigrazione è un esperimento di costruzione di identità nuove, sia per il migrante sia per l’indigeno, e che il rapporto complesso tra le culture deve essere accompagnato e facilitato, ma non può essere rigidamente preordinato, né per le comunità né per i singoli. Gli immigrati non costituiscono un blocco compatto e omogeneo, una speciale categoria, ma sono dei soggetti, uno diverso dall’altro, con un proprio progetto di vita e che finiscono comunque per costruirsi un’identità originale, frutto di una combinazione sempre diversa e largamente personale tra la nuova realtà in cui sono inseriti e la loro cultura. Questa costruzione genera una ricchezza che deve essere valorizzata, ma che può produrre conflitti. Quando questi conflitti riguardano valori considerati fondamentali è necessario trovare una composizione che rispetti la dignità della persona umana e l’eguaglianza dei suoi diritti.