MOPSUHESTIA
Città della Cilicia, non lontana da Tarso, che sorgeva al punto in cui il Pyramos (Ceyhan), scavatasi la strada con una stretta gola fra le montagne, usciva in pianura. La località si trova oggi nel vilayet di Adana e l'attuale sistema viario, in vista della collina di rovine della città antica (hüyük), coperta di orti e di oliveti, ne ricorda ancora l'importanza come nodo stradale e punto di attraversamento del fiume.
Il nome della città, evidentemente legato al culto e al mito di Mopsos (v. mopsos, 2°), è attestato dalle fonti, soprattutto manoscritte, con una incredibile quantità di varianti, molto significative della perdita progressiva del suo significato originario: la forma più antica è l'etnico Μοψεᾶται (monete del II sec. a. C.). Strabone (xiv, 676) riporta Μόψου ἑστία, nome che via via si corrompe sino all'arabo al-Massisa e al turco Missis o Misis, che è il nome ufficiale attuale (per le deformazioni del nome originario della città si veda l'elenco del Ruge, in Pauly-Wissowa, s. v., c. 244 s.). In epoca ellenistica è anche attestato il nome di Seleucia sul Pyramos, che indica la nuova fondazione della città ad opera dei Seleucidi sul precedente agglomerato urbano.
La connessione di M. con il leggendario eroe Mopsos è apparsa fondata su elementi storici col recente trovamento a Karatepe (v.) di un'iscrizione, databile alla fine dell'VIII sec. a. C., nella quale, in un elenco di città, viene indicata anche la "casa di Mopsos" (il nome appare nella forma Muksas), certamente da identificarsi con Mopsuhestia. Da ciò assume anche valore storico la leggendaria notizia della fondazione greca della città: il viaggio di Mopsos in Oriente avvenne, secondo il mito, immediatamente dopo la caduta di Troia, e quindi poco dopo la caduta dell'impero hittita: sarebbe attestata, perciò, una colonizzazione predorica, immigrata dalla Grecia prima del 1000; fatto questo che potrà essere confermato solo da trovamenti, in M., di ceramica del tipo Tardo-Minoico III C (= T M III c). Ammesso un fondamento reale al mito di Mopsos, questo ci fornirebbe anche la notizia di una associazione dei Greci al seguito dell'eroe con Cretesi, simbolizzata nel matrimonio di Mopsos con la figlia di Kabderos (forma grecizzante di Kaftar, nome biblico di Creta, o di Kaptara, come l'isola di Creta è chiamata in Babilonia). Da singoli saggi di scavo (Gjerstad, 1934) e dagli scavi sistematici iniziati nel 1955 da parte dell'Università di Münster in W. sotto la direzione di H. Th. Bossert e L. Budde, appare documentata l'Età del Ferro (fase iniziale) con ceramica locale (rinvenuta anche a Tarso e a Karatepe), decorata con cerchi concentrici in nero su rosso o in bruno sul color naturale del fondo, simile a tipi samî.
Del periodo classico e della Seleucia ellenistica (sappiamo che dal 68 a. C. inizia l'èra di M.), non è ancora noto né l'aspetto urbanistico della città, né alcun avanzo monumentale. Si hanno invece resti di epoca romana, o rinvenuti reimpiegati in costruzioni più tarde, o rimasti in vista sin dall'antichità: si tratta di fregi marmorei, altari, capitelli, metope in calcare, ora trasportati per la maggior parte nel museo di Adana. Di epoca romana sono anche un colonnato in granito di Egitto e un superbo ponte in pietra sul Pyramos, in seguito restaurato da Giustiniano. Resti di una banchina segnano ancora l'antica riva del fiume. Altri resti sparsi nella pianura consentono una ricostruzione approssimativa della pianta della città antica (Davis, Life in Asiatic Turkey, pianta schematica e non esattamente orientata), con mura da N a O in parte conservate e una porta a O. Sono riconoscibili il teatro, di cui sono state scavate alcune gradinate, lo stadio, l'anfiteatro; a N della città si trovano l'acquedotto e alcune tombe a camera; sulla strada di Adana sorgono i resti del tempio del Sole. Langlois ricorda resti di terme romane accanto a un palazzo sulla riva sinistra del fiume, a E della città. Tante rovine romane suscitano l'impressione di una vita agiata, sostenuta dai traffici commerciali e da altre fonti di prosperità.
Fu però in età cristiana che M. si sollevò per un certo tempo dal rango di più o meno prospera città di provincia per partecipare al dialogo teologico impostato dalle maggiori sedi metropolitane. Ciò fu per merito del suo grande vescovo Teodoro (392-428), nativo di Antiochia, amico di Giovanni Crisostomo e uno dei più interessanti esponenti della scuola antiochena. La disgrazia che seguì Teodoro alla sua morte, con la condanna di alcune sue proposizioni, si ripercosse sulla fama stessa di M., nelle fonti. Il concilio di Costantinopoli del 553 svalutava la sede di M. per svalutare Teodoro (in angulo et ignobili loco terrarum latitans, in Mopsuesteno... vili oppido), ma solo tre anni prima il sinodo del 550 (Mansi, Concilia, ix, 240, 275) dimostrava come M. contasse ancora a quella data personalità assai notevoli.
La campagna di scavi del 1956-58, condotta da H. Th. Bossert e L. Budde ha dimostrato come le accuse contro M. fossero immeritate. Al di fuori della cinta cittadina sul colle artificiale è stata infatti scoperta una grande basilica a tre navate, con abside a E esternamente poligonale, di cui sussiste il magnifico pavimento musivo. Non esistono iscrizioni che permettano di datare con sicurezza il monumento, benché gli autori ritengano di poterlo riferire al lungo episcopato di Teodoro. Gli stessi autori ritengono che un certo tempo sia intercorso fra l'inizio e il compimento dei mosaici; l'osservazione che il pavimento della navata N, dove si trova il ciclo più straordinario, sia rialzato di un gradino rispetto alla chiesa - per seguire l'andamento del suolo, secondo gli autori - fa sospettare un rifacimento, e quindi una data più tarda. Ma tali perplessità saranno definitivamente chiarite dagli attesi rapporti di scavo.
Il pavimento della navata S è rivestito di motivi geometrici, che hanno riscontro, sembra, in alcune parti della navata opposta. La navata centrale è occupata da un grande campo quadrato ai cui lati si impostano quattro campi rettangolari minori con decorazioni geometriche; intorno corre una consistente fascia d'acanto, cui sono inframezzati vasi, uccelli in gabbia, cervi, cicogne e altri animali, e che si dirama in varie direzioni circoscrivendo campi rettangolari minori in cui sono effigiati oggetti liturgici.
Il campo centrale è occupato da una insolita rappresentazione dell'arca di Noè vuota: ΚΙΒWΤΟC ΝΟΕΡ (la Ρ῾ finale è integrata dagli scopritori in ῥύσιος, sottolineando il significato dell'arca come allegoria della chiesa). Intorno all'arca diverse figure di animali.
Quasi tutto il mosaico della navata N è una rappresentazione, con figure grandi al vero, della storia di Sansone, in una successione ininterrotta di scene: la lotta con il leone; l'attacco con le volpi al campo dei Filistei; l'uccisione dei Filistei e delle loro donne come riparazione all'affronto subìto; lo scardinamento della porta di Gaza; il taglio dei capelli dell'eroe; il misero Sansone accompagnato da un fanciullo; crollo del tempio. Ogni scena è accompagnata da una iscrizione che coincide, salvo qualche variante, con la versione B dei Septuaginta (v. bibbia). Lo stile dei mosaici di sansone è monumentale e francamente impressionistico: la loro completa pubblicazione si rivelerà importante per lo studio di cicli, come quello del grande Palazzo di Costantinopoli (v.) cui è spontaneo, sulle prime, avvicinarlo, malgrado precisi riferimenti stilistici antiocheni. Il mosaico della navata centrale fu riparato in antico con alcune figure estremamente schematiche che ricordano mosaici di Palestina. È stato proposto che l'occasione del restauro fosse uno dei terremoti che a metà del VI sec. si erano ripercossi sulla non troppo lontana Antiochia. All'arrivo degli Arabi, che vi insediarono un cimitero, la chiesa doveva essere già abbandonata. L'edificio dei mosaici è stato tentativamente identificato con uno dei martyria di M. noti dalle fonti: quello di Tarachos, Protos e Andronikos o quello del goto Niceta (morto nel 370).
Altri sondaggi sul colle hanno rivelato una notevole quantità di frammenti ceramici bizantini.
Bibl.: R. Normand, La création du Musée d'Adana, in Syria, II, 1921, p. 197 ss.; R. Weill, Sur la dissémination géographique du nom des peuples dans le monde égéo-asianique, in Syria, III, 1922, p. 26 ss.; W. Ruge, in Pauly-Wissowa, XVI, 1933, c. 243 ss., s. v. Mopsu(h)estia; E. Gierstad, Cilician Studies, in Revue Arch., III, 1934, p. 197 ss.; D. Magie, Roman Rule in Asia Minor, Princeton 1950, I, p. 273; II, p. 1148, nota 29; R. D. Barnett, Mopsos, in Journ. Hell. Studies, LXXIII, 1953, p. 140 ss.; M. V. Seton Williams, Cilician Survey, in Anatolian Studies, IV, 1954, p. 146 s.; M. J. Mellink, Archaeology in Asia Minor, in Amer. Journ. Arch., LX, 1956, p. 376 s.; LXII, 1958, p. 91 ss.; LXIII, 1959, p. 79; LXIV, 1960, p. 65; LXV, 1961, p. 45.
(L. Guerrini - C. Bertelli)