Monumenti di guerra e guerra di monumenti: riflessioni sulle celebrazioni belliche
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel periodo Uruk tardo raffigurazioni di prigionieri con le braccia e le mani legate dietro la schiena su sigilli cilindrici documentano il tentativo di registrare in immagini le vicende belliche del sovrano della città. Nel periodo protodinastico, nel III millennio a.C., si diffondono, su diversi supporti, immagini di scontri militari con scene di battaglie e di cattura dei prigionieri: questi documenti visuali condividono un medesimo linguaggio visivo, che viene espresso tramite l’uso di codici figurativi ripetuti, e il preciso intento di mostrare e celebrare le azioni militari delle città della Mesopotamia e della Siria.
Il fenomeno della guerra accompagna le civiltà del Vicino Oriente antico fin dalle primissime fondazioni di grandi centri urbani: esso è uno degli elementi fondanti della città, del controllo del territorio e della supremazia su altre città. La memoria delle azioni belliche compiute dai sovrani – vale a dire la creazione di monumenti come oggetti che simboleggiano l’operato umano del sovrano in accordo con il mondo divino – ha il compito di fondare il potere politico di una città e del suo signore. Ogni sovrano non solo promuove un’azione bellica, ma ne celebra poi il successo con un monumento che ne perpetui il valore ed il significato nel tempo. La creazione di monumenti di guerra può essere intesa non solo come la raffigurazione di una reale vittoria ma, più in generale, come l’espressione di un concetto astratto e virtuale, quale appunto la capacità di organizzare eserciti e di muovere guerra contro un centro rivale: in questo caso, i monumenti di guerra diventano veri e propri manifesti politici, atti a indicare visivamente il potenziale bellico che la città sarebbe in grado di mettere in campo in caso di scontro diretto. Prescindendo dalle differenze stilistiche, è tuttavia evidente come i monumenti di guerra delle città della Mesopotamia e della Siria del III millennio a.C. si esprimano attraverso un comune linguaggio figurativo, basato su formule iconografiche altamente codificate, che è immediatamente recepibile e non può essere frainteso. Nel periodo storico che vede il disgregarsi del sistema Uruk e, conseguentemente, la nascita di indipendenti città-stato, si assiste ad un incremento degli scontri bellici, così come documentato dalle fonti epigrafiche. La Lista reale sumerica distingue significativamente la storia in due grandi fasi: prima e dopo il diluvio. Se prima del diluvio il destino di ogni città è stabilito dalle divinità che di volta in volta cambiano la sede della regalità, questo cambiamento è invece provocato e indotto con l’uso delle armi dopo l’evento del diluvio.
Per questo motivo i monumenti a soggetto bellico delle città protodinastiche della Mesopotamia meridionale assumono il valore di un manifesto che tende a proclamare perché una città possa a buon diritto vantare il controllo politico e militare di una regione, a scapito di altri centri urbani.
Impronte di sigillo del periodo Uruk mostrano scene di guerra, con combattimenti e teorie di prigionieri con le braccia e le mani legate dietro la schiena. Sono questi i motivi iconografici che si ritrovano in seguito nelle stele e negli intarsi del periodo protodinastico.
L’esempio più antico di intarsi a soggetto militare proviene dal palazzo della città di Kish. Essi raffigurano teorie di prigionieri nudi con le mani e le braccia legate dietro la schiena mentre vengono scortati e sospinti dai soldati. Dal punto di vista iconografico, gli intarsi di Kish rientrano in una tradizione ampiamente affermata nei periodi storici precedenti. Tuttavia, rispetto al periodo Uruk, dove le scene di guerra sono incise su sigilli cilindrici, gli intarsi di Kish mostrano un primo tentativo di creare un monumento narrativo composto di differenti parti e segmenti che creano un mosaico di figure e scene. Rispetto ai monumenti di poco posteriori di altre città del periodo protodinastico e alle stele della dinastia accadica, posti nei maggiori santuari delle città della Mesopotamia, il contesto palatino degli intarsi di Kish costituisce l’antecedente più significativo della pratica dei sovrani neo-assiri, che, nel I millennio a.C., fanno decorare le pareti delle proprie residenze nelle capitali dell’impero (Nimrud, Khorsabad e Ninive) con le proprie imprese militari e venatorie. Anche ad Ebla, in Siria, frammenti di intarsi a soggetto bellico e venatorio sono stati rinvenuti nel Palazzo Reale G del Bronzo Antico IVA (2450-2350 a.C.). Già nel III millennio a.C., almeno a Kish e a Ebla, la celebrazione della guerra non è solamente un atto dovuto di riconoscenza nei confronti delle divinità (con la dedica dei monumenti nei templi), ma diviene un atto fondante del potere regale e trova quindi una giusta collocazione nel palazzo.
Le tarsie figurative rinvenute ad Ebla rappresentano veri e propri duelli con scene di soldati di Ebla che infliggono la morte al nemico con la lancia o il pugnale e lo privano delle vesti che poi portano appese all’asta delle lance. Altre immagini ritraggono soldati dell’esercito di Ebla mentre raccolgono e poi portano in zaini sulle spalle le teste mozzate ai nemici. Tale pratica, non solo eblaita ma diffusa anche in Mesopotamia, trova in un riscontro nella documentazione epigrafica di Ebla, dove un testo registra la consegna di due teste di nemici al re di Ebla.
Altre opere ad intarsio documentano episodi bellici. Da Mari provengono frammenti di tarsie che compongono una sorta di stendardo raffigurante soprattutto teorie di prigionieri, che, nudi e con braccia e mani legate, vengono condotti di fronte al sovrano. Queste tarsie sono state rinvenute sia ambito palatino, come elemento di ricordo ed esaltazione delle imprese del sovrano contro i suoi nemici, che all’interno del tempio della dea Ishtar, offerti come dono votivo alla divinità che ha garantito la vittoria. I frammenti di intarsio rinvenuti nel palazzo reale di Mari mostrano una più completa serie di immagini belliche, compresa una scena di carri lanciati all’attacco. È possibile che tali scene si riferiscano ad azioni di guerra del sovrano Iblul-Il. Questi promuove nei primi decenni del XXIV secolo a.C. una serie di spedizioni militari per sottomettere a Mari le città della valle dell’Eufrate, come è ricordato nella lettera del successore Enna-Dagan spedita ad un ignoto sovrano di Ebla e ritrovata nell’archivio del palazzo eblaita. Proprio per evitare di cadere sotto il dominio di Mari, Ebla stessa è costretta a versare un pesante tributo in argento ed oro.
Dalla tomba PG 779 del Cimitero Reale di Ur proviene uno stendardo con la raffigurazione, su un lato, di scene belliche. Si tratta di una narrazione suddivisa in tre registri con un percorso di lettura anagogico: lo scontro in campo aperto con l’inseguimento dei nemici da parte dei carri dell’esercito di Ur nel registro inferiore, la processione dei fanti armati di lancia e dell’esecuzione di alcuni prigionieri nel registro centrale e la presentazione dei prigionieri e del bottino al sovrano nel registro superiore. L’altro lato dello stendardo reca invece la raffigurazione di un banchetto, comunemente interpretato come successivo alla vittoria, ma che potrebbe tuttavia anche precederla: in tal caso si tratterebbe del banchetto con cui i capifamiglia di Ur avevano suggellato l’accordo a mettere insieme le proprie forze per affrontare il nemico in battaglia. Lo stendardo di Ur introduce un nuovo uso delle scene di guerra: non si tratta di un’esaltazione della vittoria nel palazzo, sede del sovrano, né nel tempio come omaggio alla divinità. L’oggetto che reca la narrazione di una battaglia e di una vittoria diventa parte del corredo funerario di colui che in quella tomba è inumato.
Accanto alla vasta produzione di intarsi a tema militare, nel III millennio a.C. sono documentate anche stele commemorative di vittorie e spedizioni militari. La Stele degli avvoltoi del sovrano Eannatum di Lagash è il monumento meglio noto. Questa stele reca il racconto visivo dello scontro tra il re di Lagash e il sovrano di Umma per il controllo del canale d’acqua presso il confine Gu-edena tra i due centri urbani. Tale disputa, così come tramandano i sovrani di Lagash nelle proprie iscrizioni, ha antecedenti più antichi: è Mesalim, re di Kish, a definire per primo il limite tra i due centri, ponendo sul confine una propria stele. Eannatum segue questa tradizione collocando sul confine una nuova stele e celebrando la propria vittoria tramite la dedica della Stele degli avvoltoi nel tempio del dio Ningirsu. La stele è scolpita su due facce: l’una raffigura il dio Ninigirsu nell’atto di stringere in una mano una rete contenente i nemici catturati; l’altra racconta, in quattro registri, lo sviluppo dello scontro militare. In realtà la battaglia è narrata nei primi due registri, con la formazione schierata dei fanti dell’esercito di Lagash in assetto da combattimento. Come per le tarsie del palazzo di Mari dell’età Iblul-Il, anche per la Stele degli avvoltoi si può parlare di una effettiva corrispondenza tra il racconto per immagini e le vicende storiche che coinvolgono il re Eannatum e il suo omologo di Umma: la raffigurazione e la vicenda riportata nelle iscrizioni cuneiformi sembrano far riferimento ad uno scontro in campo aperto, forse proprio lungo il confine tra le due città, tanto che Eannatum stesso dichiara di aver lasciato sul campo di battaglia cumuli di cadaveri.
Anche alla fine del III millennio a.C., con la dinastia di Akkad, continua la pratica di erigere stele a commemorazione di vittorie militari. I sovrani accadici seguono la tradizione di Eannatum con il posizionamento delle stele nei templi: tuttavia, dal momento che ancora non è stata riportata alla luce la capitale dell’impero di Akkad, non si può escludere che, come nel caso di Kish, Ebla e Mari, la commemorazione di eventi e successi militari avvenga anche in contesti non templari.
Sargon, il fondatore della dinastia accadica, fa erigere una stele nella quale egli stesso è ritratto di fronte alla dea Ishtar, ripetendo, ma allo stesso tempo modificando, un modulo figurativo della Stele degli avvoltoi di Eannatum: sulla stele di Sargon è il sovrano in persona a reggere la rete contenente i nemici sconfitti che egli porge come omaggio alla dea Ishtar.
Un ulteriore cambiamento iconografico e ideologico avviene con Naram-Sin: sulla sua Stele della vittoria, originariamente posta nel tempio del dio Shamash a Sippar, egli campeggia da solo, nella parte alta e centrale della stele, nell’atto di calpestare due nemici trafitti. Qui non è la divinità a reggere la rete dei nemici catturati, come sulla Stele degli avvoltoi; né è il sovrano a portare la rete in omaggio alla divinità, come sulla stele di Sargon; è Naram-Sin, raffigurato come un dio con la tiara a corna sul capo, il protagonista assoluto dell’evento, seguito nella parte inferiore della stele da alcuni suoi soldati che scalano la montagna.
Nonostante le differenze dovute al contesto storico di produzione di monumenti di guerra, quindi alla destinazione di tali manufatti, è possibile riconoscere fin dalle prime raffigurazioni un codice figurativo che viene poi ripreso su scala più monumentale nelle epoche successive. La raffigurazione di vinti in catene sulle impronte di sigillo da Uruk diviene un topos figurativo tipico degli intarsi di Kish, Mari ed Ebla con formulazioni che documentano anche un’originalità nell’adattare tali scene a supporti visivi diversi e, certamente, di differente funzione e fruizione. La nudità contraddistingue l’inferiorità del vinti, mentre i vincitori sono provvisti di abiti (tuniche) e paramenti (mantelli ed elmi). Questo tratto iconografico dei monumenti di guerra ricorre per tutta la storia della Mesopotamia, e in particolare nei rilievi parietali neoassiri nel I millennio a.C., dove il nemico, oltre a subire pesanti torture e crudeltà (taglio della testa, strappo della lingua, impalamento), è spesso ritratto nudo, privato di ciò che può distinguerlo dagli animali, come i soldati di Umma che vengono lasciati in balia degli avvoltoi o accatastati a formare cumuli di cadaveri.
Esiste una precisa corrispondenza tra le immagini di guerra e quanto viene raccontato nelle iscrizioni reali ed in altri documenti. Eannatum ricorda nelle sue iscrizioni e raffigura nel terzo registro della sua stele la pratica di erigere cumuli di cadaveri, lasciati sul campo di battaglia come una sorta di macabro monumento temporaneo. La diffusione di tale consuetudine in Mesopotamia sembra trovare le prime attestazioni proprio nelle iscrizioni reali e nei monumenti pre-sargonici della seconda metà del III millennio a.C. per giungere poi fino ai periodi più tardi della storia della Mesopotamia con l’impero assiro nel I millennio a.C.
La creazione di un linguaggio figurativo e verbale della guerra è effettiva dimostrazione della precisa volontà di lasciare un messaggio inequivocabile: ogni città, fin dalle epoche più antiche, si fa promotrice di un monumento di guerra, e tale azione scatena inevitabilmente una guerra di monumenti, una rincorsa a dotarsi di un’opera analoga, diversa per supporto e per destinazione, ma fedele a uno stesso codice figurativo.