MOLINO (fr. moulin; sp. molino; ted. Mühle; ingl. mill)
Chiamasi molino in generale quella macchina con la quale si compie un'operazione di macinazione, e cioè si spezzano dei corpi solidi riducendoli in particelle di piccole o piccolissime dimensioni. Nell'industria s'intende anche per molino il complesso degl'impianti di pulitura, macinazione, stacciatura, separazione, ecc., con cui da un cereale (grano, granturco, ecc.) si ottiene farina a uno stato di grande finezza (v. più oltre: Molini per cereali).
Un molino è costituito generalmente dall'organo macinante, dal suo supporto, dall'asse motore, da una tramoggia in cui è contenuto il materiale da macinare, da un involucro esterno che può essere o no munito di organi staccianti per il prodotto macinato. I solidi da macinare possono essere cristalloidi, amorfi o colloidi, di natura minerale, vegetale o animale. Si ha così una lunga serie di molini, ciascuno adatto per determinati lavori e basato su particolari principî tecnologici.
Alla voce macinazione è data una classificazione generale delle macchine per macinare, e sono descritte le macchine per frantumare. Qui si descrivono particolarmente le macchine per macinare o molini propriamente detti e le macchine per polverizzare.
Macchine per macinare o molini propriamente detti.
Nelle macchine per macinare o molini propriamente detti l'organo macinante può essere costituito: a) da mole affacciate fra le quali deve passare il materiale, e si hanno allora i molini a palmenti o a sfregamento; b) da pesi che cadono da una certa altezza e colpiscono il materiale, e si hanno i molini a pestelli e i molini a palle; c) da martelli, montati su un albero, i quali colpiscono il materiale violentemente e lo rompono e si hanno i molini a urto che si possono suddividere in molini a dischi (disintegratori) e molini a martelli.
Molini a Palmenti. - In questi molini la macinazione è compiuta da due mole A e B orizzontali affacciate, di cui una è fissa all'incastellatura della macchina e l'altra mobile (figura 1); la mola fissa è detta dormiente e si hanno così i molini a dormiente inferiore (fig. 1) e i molini a dormiente superiore, nei quali ruotano rispettivamente la mola superiore o quella inferiore, mosse da un albero verticale C. Il materiale introdotto dalla tramoggia D al centro della mola superiore è costretto a passare attraverso lo spazio lasciato fra le due mole, viene macinato per pressione e sfregamento e si scarica poi alla periferia. La distanza fra le due mole, e quindi il grado di fnezza, è regolata dal volantino E che fa spostare il perno di spinta F portante l'asse della mola mobile.
Per obbligare il materiale a compiere un lungo percorso fra i due palmenti prima di scaricarsi la supeificie di questi è munita di scanalature tracciate secondo considerazioni teoriche e pratiche, per esempio secondo spirali logaritmiche (fig. 2). Le mole possono essere di pietra (arenaria, quarzite, ecc.) o metalliche; poiché le scanalature si logorano facilmente, nel primo caso le mole vengono reincise, nel secondo è necessario che le superficie scanalate siano ricavate su piastre riportate e ricambiabili. Le mole devono essere accuratamente bilanciate per evitare usura di macinazione fra di loro durante il moto. Lavorando a umido si ha un minor consumo di energia e perciò si tiene generalmente bagnato il dormiente quando questo è inferiore; se poi si vogliono grandi finezze nel prodotto si lavora sott'acqua e il materiale è asportato dall'acqua stessa man mano che viene macinato (per esempio per colori, smalti, ecc.).
I molini a palmenti si costruiscono con mole di diametro da 500 a 1500 mm., funzionanti a 120-250 giri al minuto, produzione da 100 a 1250 kg./ora, con un consumo di energia da 2 a 25 HP, quindi molto notevole. Essi venivano molto usati nella macinazione del grano e del cemento; oggi hanno perso importanza in questo campo e sono usati soprattutto nelle fabbriche di prodotti chimici per colori, grafite, gesso, ecc. Si costruiscono anche molini con tre palmenti di cui quello centrale è mobile e gli altri due fissi, e molini coi palmenti verticali (per grano, ad es.) e cioè mobili intorno a un asse orizzontale (fig 3).
Molini a pestelli. - Questi molini sono costituiti essenzialmente (fig. 4) da pesi A applicati ad aste verticali B sollevate e lasciate ricadere alternativamente sopra un piano C (incudine), sul quale si trova il materiale da macinare. I pesi, o pestelli, disposti in batteria di 6 e più, sono mossi da un albero orizzontale a camme e da un eccentrico; l'asta di ogni pestello trascinata in alto dalla camma D è lasciata ricadere al disinnesto dell'eccentrico. Oltre a questo movimento principale i pestelli sono dotati di un movimento di rotazione attorno al proprio asse verficale, moto che ne regolarizza il consumo. Il materiale si carica nella tramoggia E, il macinato passa attraverso a una griglia posta sul fondo dell'incudine o lateralmente; in quest'ultimo tipo, che s'impiega soprattutto nelle miniere d'oro, il materiale viene trasportato via da potenti getti d'acqua e la poltiglia risultante è inviata ai classatori, per separare il minerale dalla ganga. Vi sono poi dei molini a pestelli più potenti di questi a sola gravità; in essi ciascun pestello è mosso per mezzo di eccentrici da una biella a sua volta comandata direttamente da uno stantuffo a vapore o ad aria compressa. La forza macinante è data dalla forza viva acquisita dal pestello che cade da una certa altezza.
I molini a pestelli trovano applicazioni soprattutto nelle miniere, dove possono essere installati in batterie comprendenti fino a 400 pestelli: richiedono fondazioni molto importanti. Si costruiscono con pestelli del peso da 300 a 750 kg., colpi al 1′ da 90 a 110, altezza di caduta da 160 a 260 mm., produzione da 3 a 5 tonn./ora, consumo di acqua da 7 a 15 mc. per tonnellata di prodotto macinato.
Molini a palle. - Sono costituiti schematicamente da un cilindro orizzontale rotante attorno al proprio asse e contenente sfere di materiale e dimensioni appropriate. L'effetto macinante è dato dall'urto delle sfere che, cadendo lungo una traiettoria (fig. 5), colpiscono il prodotto contenuto nel cilindro, e dal rotolamento delle sfere lungo le pareti del cilindro.
La velocità alla quale è necessario far rotare il molino è definita; deve essere tale cioè che la forza di gravità risulti maggiore della componente verticale della forza centrifuga agente sulle sfere e faccia ricadere queste nel cilindro. Se il cilindio ruota troppo velocemente le sfere rimangono aderenti alle pareti, se ruota troppo lentamente esse non vengono trascinate sufficientemente in alto e in tutt'e due i casi non si ha macinazione. Il numero teorico dei giri in funzione del diametro D del cilindro è
quello pratico
Infatti ogni sfera A (fig. 5) è sottoposta alla risultante delle tre forze agenti su essa, di gravità mg, centrifuga mv2/r, e tangenziale V dovuta all'attrito; se si considera un molino a palle rotante a bassa velocità si vede che le sfere a contatto delle pareti tendono a salire col cilindro per effetto della forza centrifuga e dell'attrito che si manifesta fra le superficie; al di là dell'angolo con l'orizzontale corrispondente al coefficiente di attrito della superficie del tamburo con le sfere, queste, sotto l'azione della gravità, rotolano in senso inverso al moto del molino, ma non cadono e la macinazione avviene per solo attrito. Aumentando la velocità del molino le sfere sono sottratte più lungamente all'azione della gravità e rotolano una dietro l'altra nel senso del moto lungo le pareti del cilindro, finché arrivate alla generatrice limite (che è generalmente a 45° con l'orizzontale) e cioè quando la gravità vince la forza tangenziale di attrito, cadono verso la parte inferiore del tamburo seguendo una traiettoria variabile (A1 A2; B1 B2) lasciando una zona centrale D vuota. Si ha così macinazione per rotolamento e per urto. Se si aumenta ulteriormente la velocità l'azione della forza centrifuga diventa prevalente, le sfere non si staccano dalla parete e non si ha macinazione.
Come norma generale, se il materiale da macinare è duro, è necessario prevalga l'azione di urto, se il materiale è plastico e la macinazione fine è bene prevalga l'effetto di sfregamento; nel primo caso il molino dovrà avere una velocità maggiore che nel secondo. La rottura per urto risulta maggiore con l'aumento del peso dei corpi macinanti a parità di superficie e quindi per questi è più vantaggiosa la forma sferica (che ha la minima superficie a parità di volume); per la polverizzazione invece giova avere, a pari peso, la maggiore superficie possibile e quindi si usano corpi macinanti di forma diversa dalla sferica. I corpi macinanti possono essere sfere di acciaio, ciottoli silicei, cilindretti, pieni o cavi, rulli e cubi a spigoli arrotondati; le loro dimensioni devono variare col variare delle dimensioni del materiale da macinare. In genere essi saranno tanto più piccoli e numerosi quanto più suddiviso deve essere il prodotto finale.
I molini a palle, o più genericamente i molini a corpi macinanti liberi, rappresentano la categoria più numerosa delle macchine per macinare; una classificazione, che ha anche valore cronologico e segna il progresso verificatosi in questo campo, è la seguente: a) molini a palle a tamburo a funzionamento intermittente, oggi di uso rarissimo; b) molini a palle a tamburo continui a stacciatura interna, di uso sempre minore, per il basso rendimento dovuto alla presenza degli stacci; c) molini a palle cilindrici o conici a circolazione ripetuta e classificazione esterna, molto usati per finezze medie, soprattutto se combinati con separatori di grande efficacia; d) tubi finitori nei quali il materiale esce con continuità alla finezza desiderata senza richiedere alcun lavoro di stacciatura; e) tubi combinati (compound) che riuniscono in una sola macchina uno sgrossatore tipo c, con un finitore tipo d: essi hanno avuto sviluppo notevole soprattutto nell'industria del cemento per l'automaticità e sicurezza di funzionamento. I molini delle categorie a), b) e c) appartengono alle macchine per macinare, quelli delle categorie d) ed e) alle macchine per polverizzare, ma per chiarezza vengono descritti in questo capoverso.
a) Molini a palle a tamburo a funzionamento intermittente. - Sono usati solamente in alcune industrie chimiche e in laboratorio.
b) Molini a palle a tamburo continui. - Constano di un tamburo A (fig. 6) di grande diametro rispetto alla lunghezza, che ruota intorno a un asse orizzontale B; dalla tramoggia C sono introdotte, al centro, le sfere e il materiale. La parte essenziale del molino è costituita dalle placche D (formate da una placca di base e da una placca riportata di materiale molto duro) disposte ad anello chiuso, ma spostate una dall'altra in modo da formare una superficie a gradini; in esse sono ricavati dei fori che permettono l'uscita del prodotto sufficientemente fino, che cade così sugli stacci esterni. Questi sono generalmente due: il primo di protezione E formato da una tela con fori oblunghi, il secondo F portante le tele della finezza finale desiderata; il prodotto rifiutato dagli staccí ritorna nel tamburo attraverso gli spazî lasciati fra due placche successive; il prodotto finale esce dalla tramoggia G, mentre dal camino H si sfoga l'aria. Durante il moto le sfere scorrono dapprima sulla superficie concava di una placca, poi cadono sulla placca seguente e i gradini esistenti aumentano notevolmente l'effetto macinante. A seconda della forma e delle dimensioni delle placche e del modo col quale il prodotto rifiutato dagli stacci ritorna nel molino si hanno diversi tipi (Kominor, Molitor, ecc.). Questi molini si adoperano soprattutto come sgrossatori, perché i prodotti molto fini ostruirebbero facilmente gli stacci. Per prodotti fini occorre disporre degli organi battitori oppure di stacci laterali o si può ricorrere anche alla classificazione esterna: in questo caso i molini sono privi di stacci interni e il materiale esce dagli spazî A lasciati fra le placche che sono piene (fig. 7); esso viene sollevato dall'elevatore B a un separatore centrifugo C, che restituisce il grosso al molino, mentre il fino viene insaccato. Si adoperano anche come granitori per i minerali, ma con funzionamento ad acqua; il materiale è innaffiato all'entrata e getti d'acqua si proiettano pure contro le pareti esterne degli stacci interni per impedire che questi si ostruiscano. La graniglia si raccoglie in un fondo conico ove viene ulteriormente lavata, mentre la fanghiglia è eliminata con l'acqua.
I molini a palle a tamburo continui si costruiscono con diametri del tamburo da 535 a 3300 mm. e larghezze da 300 a 2000 mm. per produzioni fino a 10 tonn./ora di macinato a seconda del materiale (fosfati, pirite, carbone, argille, clinker, ecc., dimensioni massime 150 mm.) e della finezza finale desiderata.
c) Molini a palle cilindrici o conici a circolazione ripetuta e separazione esterna. - Questi molini si differenziano dai precedenti per l'assenza completa di stacci; il materiale abbandona il molino prima della sua macinazione totale ed entra in un separatore che restituisce al molino stesso le particelle non sufficientemente fini. Inoltre dànno un prodotto finale più fino e appartengono già alla categoria dei molini cosiddetti "a tubo". Si sono sviluppati soprattutto in America e si distinguono in molini a tamburo cilindrico e molini a tamburo cilindro-conico.
I molini a tamburo cilindrico sono costituiti (fig. 8) da un cilindro A di non grande lunghezza (nei tipi americani essa è leggermente inferiore al diametro) mosso da una ruota dentata cilindrica B calettata su di esso. Il materiale (in dimensioni da 25 a 75 mm.) entra al centro di una parete frontale C con alimentatore a scosse D; lo scarico avviene alla parete opposta E sia alla periferia, se si desiderano prodotti granulati con poco fino, sia al centro se si desidera una maggiore proporzione di fino, perché il materiale rimane più lungamente sotto l'azione macinante delle palle. Il rivestimento interno è quasi sempre costituito da placche in acciaio duro longitudinali di forma svariatissima (fig. 9) accostate le une alle altre e fissate alle pareti del cilindro o con bullonî D o con bacchette metalliche C, che costituiscono altrettanti gradini vantaggiosi per una migliore macinazione. La carica macinante è formata da sfere d'acciaio (diametro da 20 a 75 mm.) in dimensioni assortite e, per le maggiori finezze, da ciottoli di silice; per compensare il consumo si aggiungono ogni tanto palle della maggiore dimensione. Questi molini possono funzionare a secco, e, soprattutto per il trattamento dei minerali, a umido.
I molini a tamburo cilindro-conico sono rappresentati dal molino Hardinge (fig. 10), il cui tamburo è formato da due tronchi di cono riuniti da una parte cilindrica centrale di lunghezza eguale a 1/3 ÷ 1/4 del diametro. Il cono situato dalla parte dell'alimentazione è molto aperto (120° alla sommità), quello situato dalla parte dello scarico molto allungato (60°); il materiale entra da un'estremità forata dell'albero portante ed esce da quella opposta senza stacciatura. Il rivestimento interno è del tipo 2 della fig. 9 con placche d'acciaio al cromo. La carica macinante è costituita da sfere di diverse dimensioni. Per effetto del moto e di una leggiera inclinazione dell'asse del molino verso lo scarico le sfere e il materiale si classificano in modo decrescente verso lo scarico stesso: le più grosse si localizzano nella parte cilindrica di grande diametro ove i pezzi da macinare sono di maggiori dimensioni; le più piccole nella parte conica più lunga verso lo scarico ove le particelle sono più fini. In questo modo si realizza il più basso consumo di energia e un principio razionale, perché lo sforzo di macinazione è in ogni punto proporzionato al lavoro richiesto e le particelle fini man mano che si formano vengono portate verso l'uscita.
Questi molini possono lavorare anche a umido, col massimo rendimento per umidità del 50%. Si costruiscono con diametri da 900 a 3000 mm., produzione da 1 a 45 tonn./ora e consumo da 5 a 300 HP a seconda del materiale e della finezza richiesta. Hanno trovato notevole impiego in America soprattutto nel trattamento meccanico e nell'arricchimento dei minerali, nel trattamento dei minerali d'oro per cianurazione, e nell'industria del cemento.
d) Tubi finitori. - Sono molini cilindrici a corpi macinanti liberi simili ai precedenti, ma di lunghezza tale che il materiale che li attraversa esce nella sua totalità già alla finezza voluta senza richiedere ulteriore classificazione. Vengono caricati con materiale da 20 a 50 mm. di lato per arrivare, in un solo passaggio, alla finezza dello staccio 200-250; lavorano quindi in genere in serie con molini a palle a tamburo continui e con molini a palle cilindrici o conici che preparano il materiale nelle dimensioni necessarie.
Sono costituiti (fig. 11) da un cilindro A di lamiera d'acciaio mosso da una ruota dentata calettata su di esso. Il rivestimento interno è quasi sempre in piastrelle di silice o quarzite (spessore 60-100 mm.) tenute assieme da mastici speciali; i corpi macinanti sono ciottoli di silice o altre pietre artificiali. Per la difficoltà della posa in opera delle piastrelle si fanno anche rivestimenti metallici, nonostante la loro più facile usura, oppure rivestimenti misti di silice e nervature trapezoidali di ghisa dura; in questi casi i corpi macinanti sono di acciaio a forma di sfere o di cilindretti pieni o cavi costituiti da sbarrette avvolte a spira (Holpebs; fig. 12). In genere un tubo finitore con rivestimento e carica di metallo occupa minore spazio e pesa meno, a parità di produzione, di uno con rivestimento e carica di silice. Il materiale introdotto a un'estremità con alimentatore a vite B si scarica all'estremità opposta attraverso griglie C per trattenere i corpi macinanti, disposte sul fondo o perifericamente. Se si lavora a umido (30-40% di acqua) si riesce a eliminare la polvere che si genera invece col funzionamento a secco e si ha una migliore macinazione con minor consumo di energia.
I tubi finitori si costruiscono con diametri da 1000 a 1800 mm., lunghezza da 4 a 8 m., potenza richiesta da 18 a 110 HP, produzione da 1,5 a 10 tonn./ora a seconda del materiale e della finezza desiderata.
e) Tubi combinati (compound). - Sono ottenuti dalla combinazione di un molino a palle cilindrico sgrossatore con un tubo finitore. Sono impiegati soprattutto nelle fabbriche di cemento Portland (v. cemento), dove, per la loro semplicità, sicurezza di funzionamento e minore spazio occupato, hanno sostituito complessi impianti di macinazione.
Sono costituiti da un tubo rotante (fig. 13) diviso in due scompartimenti da una chiusura stacciante C; il primo scomparto A, più corto, serve da sgrossatore ed è munito di rivestimento e corpi macinanti di acciaio; il secondo B, più lungo, è il finitore, e rivestimento e corpi sono di silice, più raramente d'acciaio. Il passaggio del materiale dal 1° al 2° scomparto può avvenire in varî modi; nel tipo in figura il prodotto misto del 1° scomparto si scarica dai fori C, viene stacciato in D, il grosso ritorna a metà dello scomparto attraverso E, il fino fatto avanzare dalle eliche F entra nel canale G e di qui al centro del 2° scomparto. Quindi il tubo presenta all'esterno un ingrossamento cilindrico in corrispondenza della parte centrale. Il prodotto finale esce dal 2° scomparto in H attraverso filtri rotanti che hanno lo scopo di arrestare i frammenti di ciottoli di silice che possono mescolarsi alla farina. Il comando può essere dato da una ruota dentata calettata sul cilindro e da due rulli I di sostegno, oppure assialmente mediante motore e riduttore a ingranaggi. In tipi recenti i compound sono costituiti da un tubo di diametro costante all'interno e all'esterno per tutta la lunghezza e il materiale passa dal 1° al 2° scomparto attraverso una griglia centrale conica.
I tubi combinati si costruiscono con diametri da 1100 a 1800 mm., lunghezze totali da 8,20 a 10 m., giri da 24 a 32, consumo di energia da 60 a 260 HP. Per esempio un tubo da 1,80 m. di diametro, lunghezza 8,20 m., produce 8 tonn./ora di clinker assorbendo 200 HP. Essi possono funzionare a secco e a umido: in quest'ultimo caso il 1° scomparto ha diametro maggiore del 2° e la classificazione intermedia avviene internamente.
Molini a urto. - Nei molini a urto la macinazione avviene per urto e cioè per proiezione violenta del materiale contro pareti fisse e per percussione degli organi macinanti mobili: la forza centrifuga poi agisce togliendo automaticamente il materiale macinato dalla traiettoria dei martelli. Questi molini hanno un alto rendimento, perché le forza viva degli organi macinanti viene integralmente utilizzata, non si ha lavoro di attrito e in genere si forma poca polvere. Cambiando tipi di martelli e di griglie uno stesso molino può lavorare come prerompitore, granulatore, e polverizzatore. Sono i soli tipi di molini adatti per sostanze a struttura lamellare e fibrosa di natura organica come ossa, cortecce, cuoio, ecc.
Usati in moltissime applicazioni, e soprattutto per macinazioni medie (fino a dimensioni di o,3 mm.) anche per piccolissime potenzialità, essi rappresentano, dopo i molini a palle, la categoria più numerosa. Si dividono in: a) molini a dischi o disintegratori; b) molini a martelli, a loro volta classificabili in molini a martelli fissi, molini a martelli mobili, molini multicellulari o turbomolini, molini polverizzatori a separazione pneumatica. Questi ultimi appartengono alle macchine per polverizzare, ma vengono qui descritti per omogeneità.
a) Molini a dischi o disintegratori. - Sono formati genericamente da due dischi verticali affacciati portanti dei denti fissi; i dischi sono o tutt'e due mobili l'uno in senso contrario all'altro, o uno fisso e l'altro mobile.
Alla 1ª categoria appartengono i molini tipo Carr (fig. 14) nei quali i denti sono costituiti da piuoli A di acciaio, fissati alle due estremità su anelli circolari; il numero dei piuoli su ogni anello cresce dal centro alla periferia (per es., sul 1° ve ne sono 35, sul 2°55, sul 3°80) in modo che lo spazio libero fra piuolo e piuolo diminuisce nello stesso senso. Gli anelli, in numero da 4 0 6, sono fissati ai due dischi B e C alternativamente in modo da formare due rotori a forma di gabbia rotanti uno dentro l'altro in senso opposto. Il movimento è dato dalle pulegge D ed E e, facendo scorrere il basamento F sul piano G per mezzo del volantino H, si può estrarre un rotore dall'altro. Il materiale dalla tramoggia I è alimentato al centro del 1° anello dove un braccio fisso K impedisce che i pezzi grossi vengano trascinati in rotazione; il materiale è lanciato dalla forza centrifuga contro i piuoli del 1° cerchio, frantumato, passa nel secondo che lo proietta in senso inverso e così di seguito fino all'ultimo; da questo si scarica nel tamburo esterno generalmente senza passare attraverso a griglie. La macinazione avviene quindi in parte anche per sfregamento delle particelle nel percorso a zig zag che esse compiono per uscire. Questi molini servono bene per non grandi finezze e per materiali semiduri (carbone, grano, calce, ecc.) e anche per mescolare e omogeneizzare, per es., terre da fonderia, o rimacinare materiali già fini ma agglomeratisi col tempo, come perfosfati, ecc. Si costruiscono con diametri del 1° anello interno da 650 a 1600 mm., funzionanti a 800-300 giri al 1′, con produzione da 1 a 19 tonn./ora e potenza da 5 a 27 HP.
I molini della 2ª categoria sono costituiti (fig. 15) da due dischi affacciati, uno fisso A e l'altro mobile B sui quali sono fissati denti corti e robusti C e D generalmente a sezione quadrata. I denti formano su ogni disco una o due corone concentriche; quelli D montati sul piatto fisso possono essere fatti ruotare sui loro assi in modo da variare l'intervallo lasciato fra due denti successivi e quindi il grado di finezza. Anche qui gl'intervalli devono decrescere dal centro alla periferia; il materiale introdotto al centro del piatto fisso, che è generalmente montato a cerniera per permettere una facile ispezione, si scarica da E. Questi molini servono alla macinazione di materiali secchi semiduri, come argille, coke, colori, solfati, ecc., e si possono con essi raggiungere finezze maggiori che non coi molini precedenti funzionando a grandi velocità, da 2000 a 3500 giri al 1′.
b) Molini a martelli. - In questi molini il peso degli organi macinanti è piccolo, mentre deve essere elevata la loro velocità periferica (fino a 50 m. al 1″) perché la forza di macinazione è data dalla forza viva mv2/z; si può arrivare coi più piccoli diametri fino a 5000 giri al 1′.
I molini a martelli fissi sono costituiti (fig. 16) da un disco massiccio A sul quale sono fissati solidamente da 4 a 6 martelli B di acciaio, ruotanti in una carcassa munita superiormente di corazza periferica con sporgenze C, inferiormente di griglia D e lateralmente di placche E opportunamente scanalate. Il materiale entra al centro del molino da F, viene lanciato contro la corazza e frantumato dai martelli; la distanza fra le teste di questi e la corazza è piccola e può essere regolata a seconda delle dimensioni dei pezzi da macinare. Questi molini si costruiscono con diametri da 400 a 1200 mm. e giri da 2400 a 1200 al 1′, energia richiesta da 3 a 18 HP, produzione varia a seconda del materiale e della finezza. Per esempio un molino di 1200 mm. di diametro, con griglia a fori di 5 mm., può produrre 2 tonn./ora di asfalto, 5,7 tonn. di solfato di rame, 1,5 tonn. di bisolfato sodico, ecc.
I molini a martelli mobili, di applicazione più vasta dei precedenti, sono costituiti (fig. 17) da uno, o, generalmente, più dischi A calettati a intervalli eguali su un albero orizzontale B; su ciascuno di essi sono imperniati a cerniera dei martelli mobili C in numero da 2 a 6. Il rotore, costituito così dall'albero, dai dischi e dai martelli, gira all'interno di una camera di macinazione formata da placche D e chiusa inferiormente da una griglia a barra o lamiera forata E dalla quale esce il prodotto nella finezza desiderata. I martelli in posizione di riposo sono disposti verticalmente o appoggiati ai dischi, ma durante il moto, per la forza centrifuga, si dispongono radialmente lasciando un piccolo spazio fra essi e la corazza (8-10 mm.). Questi molini si usano come granulatori e come polverizzatori; in genere si alimentano con pezzi non superiori ai 75 mm. e possono avere diametri da 600 a 1100 mm., larghezze da 300 a 1200 mm., giri da 1500 a 900 al 1′, energia da 15 a 110 HP. La produzione varia: per esempio, per carbone in polvere si può arrivare fino a 100 tonnellate/ora.
In tutti i molini a martelli ha notevole importanza la forma dei martelli e delle griglie. I martelli possono essere di forma svariatissima (fig. 18); il tipo diritto 1 è adatto per macinazione grossolana, i tipi 2 a 5 per sfibramento, i tipi 7 e 8 a testa rinforzata per frantumazione di grossi pezzi, il tipo 6 per macinazione fina. Essi devono essere di materiale molto duro (acciai speciali temperati) e facilmente ricambiabili; quelli a profilo costante possono essere adoperati fino a usura spinta spostandoli sui dischi. La griglia definisce la dimensione massima del prodotto che abbandona il molino; per le grandi finezze si adoperano lamiere di acciaio forate (fori da 1 a 12 mm.) montate su quadri rigidi; normalmente invece si hanno barre montate liberamente in modo da poter essere ricambiate facilmente. Le barre hanno forma triangolare, rettangolare, quadrata, a losanga, ecc. (fig. 19). Le griglie sono generalmente mobili e abbassabili in modo da poter scaricare completamente il molino. Gli stacci limitano la produzione oraria perché la loro superficie non può essere grande e, se il prodotto è fino, si ostruiscono facilmente; per ovviare a quest'inconveniente si sono costruiti anche molini a martelli a stacci rotanti.
I molini a martelli multicellulari, detti anche turbomolini, formati da più camere successive di macinazione, servono per macinare finemente, in un solo passaggio, materiali di dimensioni abbastanza grandi. Dei 4 0 più scomparti A di cui sono costituiti (fig. 20) il 1°, munito di martelli mobili B, serve per rompere, gli altri, muniti di dischi pieni C con alette inclinate D ruotanti a grande velocità, servono per polverizzare. Il materiale alimentato al centro del 1° scomparto vi è rotto e passa poi da uno scomparto al successivo ner la depressione creata dalla rotazione dei dischi; dall'ultima cellula il materiale si scarica tangenzialmente.
I molini polverizzatori a martelli dànno un prodotto irregolare che deve essere stacciato; col sistema di separazione e trasporto pneumatico può essere invece tolta dal molino solamente la polvere sufficientemente fina. Si sono costruiti polverizzatori a martelli che, per piccole produzioni, possono sostituire con vantaggio i molini a pendolo e a palle. Il tipo Raymond (fig. 21) è costituito da due o tre dischi verticali che portano delle palette A e ruotano in una carcassa di ghisa priva di griglia; il ventilatore a palette B, montato direttamente sull'asse del molino nei tipi più piccoli, esterno in quelli più grandi, aspira la polvere e la invia a un ciclone dove si separa dall'aria, che ritorna nel molino. Si ha così un ciclo chiuso, mentre l'aria in eccesso, all'uscita dal ciclone, passa in un filtro a manica ove abbandona ogni traccia di polvere prima di scaricarsi nell'atmosfera. La finezza del materiale prodotto dipende dalla depressione e dalla portata del ventilatore; il materiale caricato in C passa nell'interno del molino per mezzo del tamburo ad alveoli D, dispositivo che ha lo scopo di evitare entrate d'aria dall'esterno quando si funziona in circuito chiuso. Questi molini sono adoperati per materie secche come calce, prodotti chimici, colori per finezze fino a staccio n. 200, con consumo di energia da 5 a 40 HP.
Un altro polverizzatore a martelli usato soprattutto per la produzione di zolfo ventilato è rappresentato dalla fig. 22. È un molino a martelli orizzontali snodati A montati sul disco conico B che ruota a 1000-1500 giri al 1′. Il materiale cade da C e viene proiettato contro la corazza anulare dentata K; la polvere che si forma, investita dalla corrente d'aria generata dalle palette E fissate sul disco, è obbligata a passare nell'intercapedine fra i due coni F e G. Le particelle più pesanti ricadono, mentre quelle più fini escono superiormente da H per passare a un ciclone; da questo l'aria ritorna nel molino, a ciclo chiuso, in I. Quando si polverizza lo zolfo, per evitare accensioni ed esplosioni, si lavora con gas molto povero di ossigeno, anziché con aria, proveniente per esempio da un piccolo gassogeno che consuma 1 kg./ora di antracite. Il grado di finezza si regola sollevando o abbassando il cono esterno F; quanto più piccolo è lo spazio H, tanto maggiore è la finezza del prodotto. Le alette D comandate dalla puleggia L hanno lo scopo di mantenere libera l'apertura H; la pressione del vento nella camera B è di 200 mm. di colonna d'acqua, mentre in H è solamente di 20 mm. Questi molini si costruiscono con dischi di diametro fino a 2000 mm., con produzione di zolfo ventilato di 500 kg./ora, e un consumo di 25 HP.
Macchine per polverizzare.
Appartengono a questa categoria i molini centrifughi, oltre ai tubi finitori e tubi compound, già descritti fra i molini a palle, e ai polverizzatori a martelli con separazione pneumatica già descritti fra i molini a martelli.
Molini centrifughi. - I molini centrifughi formano, fra le macchine per polverizzare, una categoria a sé e comprendono tutte le macchine nelle quali la macinazione avviene interamente o in gran parte per effetto della forza centrifuga che può agire sul materiale o sugli organi macinanti. I molini compresi in questa categoria sono chiamati anche molini ad anello, perché la pista di macinazione è costituita da un anello di materiale durissimo, orizzontale nei molini a pendolo e a rollette, verticale nei molini a rulli. Vi sono molini sgrossatori, quali quelli a rulli, e cioè preparatori del materiale fino a dimensioni di decimi di mm., e molini finitori, che riducono il materiale alle maggiori finezze (residuo del 5% su staccio di 6400 maglie per cmq.), quali i molini a pendolo e i molini a rollette. La classificazione del macinato si può fare attraverso griglie disposte nel molino stesso, oppure pneumaticamente.
I tipi di molini centrifughi più usati sono: i molini a rulli, i molini a pendolo, i molini a rollette o palle centrifughe.
Molini a rulli (Kent, ecc.). - Sono costituiti schematicamente (fig. 23) da un anello concavo di acciaio A mobile in un piano verticale e da tre rulli B a profilo convesso, folli sui loro assi orizzontali e ruotanti all'interno dell'anello. I rulli sono tenuti contro la pista di macinazione da molle C a tensione regolabile.
Il materiale, in pezzi fino a 35 mm. di lato, è portato da una tramoggia D all'interno dell'anello e al disopra di uno dei rulli inferiori; per effettti della forza centrifuga il materiale è mantenuto in spessore uniforme attorno all'anello e sottoposto all'azione successiva dei tre rulli, e, dopo un giro completo, è scaricato macinato. In alcuni tipi (molino Kent originale, Maxecon, ecc.) i due rulli inferiori sono liberi, mentre quello superiore riceve il movimento e lo trasmette all'anello che a sua volta, per attrito, fa muovere i due rulli inferiori; in altri (fig. 23) l'anello A è comandato direttamente attraverso un pezzo a campana E, e i tre rulli B, folli su alberi fissi, sono trascinati in movimento dall'anello stesso. Si ottiene così un'equilibratura migliore e una rotazione veramente piana dell'anello; i rulli e le relative molle vengono montate su una facciata del molino, generalmente apribile a cerniera e quindi di facile ispezione e manutenzione.
I vantaggi che i molini a rulli presentano sugli altri molini ad anello sono: piccola usura delle parti rotanti per il fatto che rulli e anello, a differenza dei molini a pendolo e a rollette, non sono mai a contatto fra di loro; possibilità di funzionamento fino a quasi completa consumazione degli organi macinanti, potendo questi essere avvicinati mediante le molle; passaggio dei pezzi non macinabili senza inconvenienti mercé la sospensione equilibrata dei rulli; assenza di vibrazioni sensibili e quindi assenza di fondazioni. Infine l'angolo di attacco del materiale, cioè quello dei rulli tangenti internamente all'anello, si presenta favorevole al più alto rendimento.
Molini a pendolo. - Sono costituiti da una vasca avente all'interno un anello di acciaio duro contro il quale vengono a rotolare dei rulli di forma cilindrica, o tronco-conica, costituenti l'organo macinante. I rulli, in numero da 1 a 8, sono montati folli su assi a pendolo, a loro volta ruotanti attorno a un asse verticale passante per il centro della vasca. Quando esiste un solo pendolo (molino gigante Griffin, fig. 24) l'asse del pendolo è sospeso con giunto sferico a una puleggia motrice; quando i pendoli sono più di uno (fig. 25) gli assi sono sospesi con giunti snodati o cardanici a braccia A montate su un albero centrale. Per effetto della forza centrifuga i rulli vengono spinti contro l'anello; il materiale ivi disposto è macinato e cade poi sul fondo, ma delle palette raschiatrici lo riportano continuamente sulla superficie di macinazione. Attorno al bacino vi è uno staccio circolare B dal quale esce il prodotto polverizzato aiutato da una forte corrente d'aria prodotta da alette C montate sull'asse del molino.
Questi molini si costruiscono con vasche di diametro da 250 a 1200 mm., giri 450 a 150 al 1′, produzione da 125 a 7500 kg./ora a seconda della finezza che si vuole ottenere, energia da 1 a 50 HP. Sono impiegati sopra tutto per la polverizzazione delle fosforiti (un molino a 1 pendolo, diametro 450 mm., altezza 150 mm., diametro dell'anello 750 mm., produce 26 q./ora di fosforiti, finezza 1600 maglie al cmq., consumando 24 HP), meno per il cemento.
Molini a rollette o palle centrifughe. - Sono costituiti essenzialmente (fig. 26) da un anello cavo orizzontale A mobile attorno a un asse verticale B che porta delle divisioni radiali. Nello spazio compreso fra due divisioni successive sono disposte delle sfere d'acciaio D che, quando il disco ruota (130-300 giri al 1′), vengono lanciate, per forza centrifuga, contro le pareti dell'anello stesso. Il materiale, che arriva al centro del molino dalla tramoggia E, è così macinato e, trasportato dalla corrente d'aria generata dalle palette F solidali con l'albero B, passa attraverso alla griglia periferica G per scaricarsi da H.
Questi molini trovano svariate applicazioni: per esempio, per polverizzare carbone, calciocianamide, cemento, ecc.; le dimensioni massime dei pezzi devono essere di 20-30 mm., la finezza del macinato arriva a 6400 maglie per cmq. Il diametro dell'anello mobile varia da 600 a 1500 mm., il consumo di energia da 15 a 150 HP, la produzione a seconda della durezza del prodotto: da 0,5 a 12 tonn./ora per materiali teneri, come calce, caolino, asfalto, ecc.; da 2 a 9 tonn./ora per materiali semiduri, come barite, marmo, fosfati; da 2 a 4,5 tonn./ora per materiali duri, come i clinker delle cementerie. Per esempio, con sfere diametro 200 mm., piatto diametro 840 mm., si ottengono 2000 kg./ora di polverino di carbone, finezza 6400 maglie al cmq., con un consumo di 30 HP.
Bibl.: V. macinazione.
I molini per cereali.
I molini per cereali servono a trasformare in semoline e farine il frumento, il granturco, l'orzo, in taluni casi anche l'avena, la segala, il riso. Dotati di macchine tecnicamente complesse, oggetto di esercizio di una vasta e importante industria, essi rappresentano il perfezionamento e l'evoluzione di mezzi macinanti rudimentali in uso presso popoli primitivi o nelle antiche civiltà.
Etnografia. - Diversi sono i mezzi di macinazione dei cereali in uso presso i popoli primitivi. Alcuni popoli usano stritolare semplicemente i grani fra le mani e mangiarli dopo averli bruciacchiati fra due pietre arroventate; ma questo è un mezzo assolutamente primordiale, praticato nell'America Settentrionale. Altri popoli, come in Africa, stritolano le granaglie su una pietra più o meno incavata con un apposito ciottolo, genericamente manovrato con energico movimento di va e vieni (fig. 27). Finalmente, in altri si passa al tipo di macinazione con strumenti a percussione, a pressione, ecc., azionati direttamente dalla mano dell'uomo.
Quest'ultimo è il sistema più diffuso, ed è realizzato con varî metodi che possono in definitiva raggrupparsi in due, a volte ugualmente in uso presso uno stesso popolo: macinazione dei grani in mortai a mezzo di percussione con pestelli, oppure loro stritolamento fra due pietre, ma ampia più o meno incavata che serve da supporto, l'altra più piccola, manovrata secondo determinate regole. La macinazione dei grani nel mortaio è largamente diffusa fra gran numero di genti. Caratteristici sono i mortai di legno usati da molte popolazioni dell'Africa e dell'Oceania. Quelli africani, ad esempio, sono costituiti da un lungo cilindro di legno cavo, un tronco d'albero, nel quale i grani vengono pestati con un pestello pure di legno, manovrato generalmente dalle donne con movimenti rapidi e violenti (fig. 29). Questo tipo di mortaio è diffuso nell'Africa negra, e anche tra le popolazioni etiopiche. Interessanti sono certi mortai di grandi dimensioni usati nel Congo (Kalonda), veri molini pubblici, alla cui costruzione contribuiscono tutti gli abitanti del villaggio e dei quali tutti hanno diritto di servirsi a turno. Sono costituiti da un grande termitaio abbandonato la cui superficie emisferica è scavata alla sommità e rivestita di pezzi di legno; il grano viene ivi ammonticchiato e battuto da 5 0 6 donne con grossi legni. Anche il mortaio di pietra è molto diffuso. Ne costruivano, insieme a bei pestelli di basalto, anche i Tahitiani. Presso gl'Indiani dell'America Settentrionale esistono certe rocce crivellate di cavità artificiali, le quali fungono da veri e proprî mortai. Nell'Argentina pure, gl'indigeni in tempi antichi si servivano di mortai scavati artificialmente nella roccia, isolatamente o in gruppi, e anche ora i coloni del luogo ne approfittano per triturare le loro granaglie (De Apaico, La vivienda natural e la región serrana de Córdoba, Buenos Aires 1931). Mortai scavati nella roccia si trovano anche presso talune popolazioni dell'Africa meridionale.
Fra i primitivi strumenti per macinare che si sono descritti e quelli perfezionati dei popoli civili esistono numerose forme di passaggio. Una di queste è il cosidetto "molino a mano" di forma discoidale, costituito da una pietra bucata e attraversata da un bastone, per mezzo del quale è possibile farla girare su di un'altra pietra appositamente preparata (figg. 28, 30). Tipi simili di "macinelli a mano" sono diffusi soprattutto nell'Africa settentrionale e in gran parte dell'Europa centrale e meridionale.
Storia. - Mezzi rudimentali erano in uso nelle antiche civiltà per la macinazione dei cereali: così anfore in pietra entro cui il grano veniva pestato con un pestello di pietra o di legno duro (fig. 31), rulli fatti rotolare a mano, avanti e indietro, su pietra a supeificie concava, piccole macine di soli 30-50 cm. di diametro fatte strisciare l'una sull'altra.
Ma già intorno al 1000 a. C. si cominciò in Grecia a dare alle macine aspetti e forme più razionali, e con l'andare del tempo s'introdussero i cosiddetti palmenti. Erano questi, come ci attestano i rinvenimenti della Via Domizia a Pompei (fig. 32), due blocchi monolitici di pietra dura locale (travertino o puddinga), il superiore mobile, l'inferiore fisso: il palmento superiore aveva due cavità coniche coassiali unite o quasi per il vertice con uno o più fori di comunicazione: la cavità superiore faceva da rudimentale tramoggia per la carica del grano, l'inferiore era riempita quasi completamente da una protuberanza conica del palmento fisso. Il grano dalla cavità superiore per mezzo dei fori di comunicazione cadeva nella cavità inferiore, si distribuiva fra le due superficie coniche e veniva, più che macinato, schiacciato per il movimento di rotazione attorno all'asse verticale del palmento superiore. Questo movimento era ottenuto con forza umana (schiavi) o animale (cavalli).
In progresso di tempo, la macinazione con palmenti fu perfezionata. Alla macina piana (fig. 33) e alla forza umana o animale si andò sostituendo la forza idraulica (molini fluviali: fig. 34) o dell'aria (molini a vento: fig. 35). Il primo motore idraulico sembra sia stato la ritrecina, introdotta in Italia probabilmente dai Saraceni. Vennero poi in uso la ruota idraulica di fianco, o per disopra, o a pale o a cassette (fig. 34). Anche l'incastellatura e la lavorazione subirono progressivamente notevoli miglioramenti, così che si riuscì a pervenire a più perfette concezioni meccaniche e tecniche.
A partire dalla seconda metà del sec. XVIII, ulteriori progressi caratterizzarono questo tipo di macinazione. Con l'introduzione delle macchine a vapore e di più perfette ruote idrauliche, si cominciò ad adottare il principio di un motore unico comandante più palmenti. Si usarono macine fabbricate con pietre di Francia (specie delle cave di La Ferté), oppure con mole composte, di selce sulle facce lavoranti, di muratura o gesso sulla parte portante o cappello, curando altresì la disposizione e la forma delle scanalature sulle facce lavoranti. Ottime incastellature per palmenti vennero fabbricate in Germania. S'introdussero i primi mezzi di lavorazione automatica, come le coclee per i trasporti orizzontali e gli elevatori a tazze per quelli verticali. Si cominciò a praticare, specialmente in America, la pulitura del grano dai materiali eterogenei; si munirono gli stacci che separavano le farine di veli di seta (di provenienza olandese), e s'introdussero anche buratti cilindrici o prismatici per meglio stacciare le farine; si praticò la ventilazione dello sfarinato, facilitandone il movimento ed evitando il surriscaldamento del prodotto, introducendo macchine per il filtramento dell'aria.
Nonostante questi perfezionamenti, l'organo macinante rimaneva sempre lo stesso, con i due palmenti, l'uno fisso e l'altro mobile rotante su quello. Fu soltanto verso il 1850 che le abbondanti produzioni di qualità diverse di farine, il bisogno d'intensificare gli scambî internazionali e di costituire grandi scorte di materie prime e di prodotti finiti, portò alla graduale scomparsa del cosiddetto sistema della bassa (o piatta) macinazione con molini a palmenti e all'introduzione del sistema della graduale (o alta) macinazione con laminatoi a cilindri. La molitura a mezzo di palmenti presentava l'inconveniente di dare un prodotto non omogeneo e non sufficientemente pulito. E ciò per parlare solo delle macine degli ultimi tempi, nelle quali si cercò con la regolazione della distanza fra i palmenti e con l'aumento del numero di questi di arrivare alla farina attraverso alla rottura e non allo schiacciamento del grano. Anche in tal modo si aveva una farina inquinata, per la costituzione stessa del chicco di grano che, dal nucleo centrale farinoso al tegumento, presenta parti diverse per qualità e per resistenza al lavoro di macinazione. Col sistema di macinazione graduale o alta macinazione si poteva invece curare di molto la pulitura del grano prima di portarlo alla macinazione, cercando, nel modo migliore, di eliminare corpi e sostanze eterogenee frammiste al frumento e le impurità terrose attaccate al grano e annidate nel solco del chicco. Il grano inoltre non si schiacciava più in un solo passaggio, ma in successive riprese, col vantaggio di mantenere meglio distinti i prodotti, di liberare i granelli dalla corteccia e da quella polvere che una pulitura per quanto perfezionata non può del tutto eliminare, e tutto ciò prima della trasformazione completa delle parti glutinose e amidacee in farine, ossia prima della macinazione vera e propria.
Il primo laminatoio a cilindri per la macinazione del grano fu descritto da A. Ramelli nel 1588. Comunque, esso cominciò a essere costruito e usato ai primi del sec. XIX in Svizzera, Austria, Ungheria, ecc., e fece la prima comparsa in Lombardia verso il 1830. I laminatoi incontrarono da principio forti ostilità, ma verso il 1860 avevano già larga diffusione. Costruiti prima in ghisa, in porcellana, in acciaio (fig. 36) e ora in ghisa fusa in conchiglia, costituiscono attualmente il tipo più perfetto di macchinario industriale per la macinazione dei cereali, e si accompagnano con macchine sempre più perfezionate per classificare gli sfarinati, pulire i semolini, selezionare le farine, e per compiere automaticamente tutti i passaggi di lavorazione. Essi consentono la lavorazione giornaliera di migliaia di quintali di grano nelle 24 ore, con produzione di 10-12 qualità di farine e sottoprodotti, in confronto ai pochi chilogrammi al giorno di grano che potevano frantumare i vecchi molini a palmenti.
Macinazione del grano. Può ritenersi come la più importante e la più tipica delle industrie di molitura dei cereali. Ai fini della sua esecuzione, i grani sono distinti in teneri, semiduri e duri. I primi hanno seme tozzo, piuttosto fragile, a frattura bianca, farinosa, opaca; si coltivano di preferenza nelle regioni settentrionali e le loro farine, ricche di amido, sono specialmente adatte per la fabbricazione del pane. I grani duri hanno invece seme allungato, sono piuttosto lucenti all'aspetto, maggiormente resistenti alla rottura, con frattura cornea e compatta; si coltivano nei caldi paesi meridionali e forniscono farine ricche di glutine specialmente atte alla fabbricazione di paste alimentari. I grani semiduri hanno proprietà intermedie fra le precedenti; la frattura ha aspetto opaco e farinoso verso il centro, lucido e compatto alla periferia. Nella tabella sopra riportata sono indicate le composizioni medie dei tipi di grano tenero e duro.
Il peso specifico dei grani teneri è di kg. 72-78 per ettolitro, dei semiduri di 78-80. dei duri di 80-83. Esso però varia a seconda delle stagioni: in inverno oscilla fra 72 e 82 kg. per ettolitro, in primavera fra 72 e 78 kg.
Immagazzinamento del grano. - Modernamente il grano viene immagazzinato nei silo, dei quali i molini sono normalmente dotati. Essi hanno capacità sufficiente a immagazzinare le scorte di grano per uno o più mesi di produzione. Ai silo di muratura e a quelli di ferro ormai si preferiscono quelli di cemento armato.
In un silo hanno grande importanza i mezzi meccanici di trasporto. I trasporti orizzontali possono esser fatti a mezzo di nastri trasportatori oppure di coclee (viti d'Archimede); quelli verticali con elevatori a tazze oppure con trasportatori pneumatici. Nei silo di una certa importanza il grano subisce una prima grossolana pulitura mediante una o più pulitrici aspiratrici (tarare), cui fanno corredo i cosiddetti cicloni e i filtri, che servono a depurare l'aria proveniente dalle pulitrici, trattenendo le polveri da essa trasportate. Nei silo inoltre il grano viene pesato a mezzo di bilance automatiche a contatore. Circa le caratteristiche costruttive e di funzionamento di tutte queste macchine v. silo.
Dai silo, a mezzo di una coclea o di un nastro, il grano prelevato dalle celle attraverso le tramogge passa nel molino propriamente detto.
Pulitura. - La pulitura del grano si distingue in pulitura preliminare e pulitura definitiva. La pulitura preliminare ha lo scopo di allontanare tutti i materiali eterogenei, i semi di altri cereali, la polvere, ecc.: si divide a sua volta in pulitura per via secca e pulitura per via umida. La pulitura per via secca si compie allo scopo di allontanare più specialmente la paglia, la pula, i semi di altri cereali, le impurità metalliche, ossia tutte quelle sostanze che si possono eliminare per differenza di dimensioni e di peso specifico, per differenza di forma o per differenza di costituzione. La pulitura per via umida, invece, si compie allo scopo di eliminare più che sia possibile la polvere aderente ai chicchi, togliere le materie estranee di un peso specificamente inferiore a quello del grano (grani ingolpati, cariati, vuoti, pule, scaglie, ecc.), che non fossero state eliminate in precedenza.
La pulitura definitiva, infine, è fatta allo scopo di allontanare le impurità intrinseche, barbette, germe, pellicole superficiali, e quel poco di minutissima terra o polvere che, malgrado i precedenti energici trattamenti, fosse rimasto incuneato nel solco del grano.
Qui di seguito sono classificate le macchine destinate alle suaccennate fasi della pulitura:
Pulitura preliminare per via secca. - Pulitrici-aspiratrici. - Servono a separare dal grano la polvere, la paglia, la pula e altri materiali eterogenei. Sono del tipo delle pulitrici o tarare usate nei silo, salvo che hanno normalmente incastellatura in legno e potenzialità più limitata, potendo pulire soltanto fino a 100 q. all'ora di frumento. Si compongono di un ventilatore, della camera d'aspirazione costruita attorno alla macchina, e di un doppio o triplice telaio stacciante (fig. 38) dotato di movimento d'oscillazione. L'entrata del grano è regolata in modo che esso vi cada in velo per meglio sentire l'effetto dell'aspirazione che asporta le parti leggiere. I telai sono di lamiera con fori di diversa grandezza in modo che i primi trattengono le impurità grosse e medie lasciando passare il grano, gli ultimi trattengono il grano e lo dividono dalla sabbia e dalle piccole impurità.
Svecciatori cilindrici. - Servono a eliminare dal grano i semi di altri cereali, basandosi sulla differente forma di questi. Sono costituiti (fig. 39) da un cilindro in lamiera nel quale sono stati stampati o fresati degli alveoli circolari; sono montati su incastellatura metallica, sono leggermente inclinati sull'orizzonte e dotati di un lento movimento di rotazione. Quando si vogliono separare le cosiddette vecce, grani piccoli e tondi, i fori del cilindro si fanno circolari e più piccoli del chicco di grano: questo entra dall'estremità più alta dell'apparecchio e rotola lentamente sul fondo portandosi verso lo scarico; le vecce, invece, entrano negli alveoli, sono sollevate per un certo tratto e poi ricadono andando a finire in una vaschetta raccoglitrice e di qui, mediante una piccola coclea, a uno scarico separatore (fig. 40). Quando si vogliano invece separare i semi più lunghi del grano (di orzo, di avena), gli alveoli del cilindro si fanno più grandi: allora i semi lunghi rotolano sul fondo, mentre i chicchi di grano entrano negli alveoli (fig. 40).
Le batterie di svecciatori si montano a serie di gruppi in parallelo, e hanno produzioni svariatissime a seconda delle dimensioni, del nunero dei giri e del materiale eliminato. La lunghezza dei cilindri varia da mm. 1250 a 3500, con diametri da mm. 350 a 1000, giranti da 20 a 8 giri. In tipi più moderni, dotati di maggior velocità periferica (150-180 giri), il grano è trascinato contro il mantello fin quasi all'altezza del diametro trasversale e in modo da triplicare quasi la produzione.
Svecciatori a disco. - Si usano al posto degli svecciatori cilindrici allo scopo di aumentare la produzione, diminuendo notevolmente lo spazio ingombrato. L'operazione già affidata al cilindro alveolato è qui disimpegnata da una serie di dischi paralleli, di ghisa, montati a breve distanza l'uno dall'altro su un albero orizzontale (fig. 41). I dischi sono immersi per circa 1/3 nel grano da pulire e girano a velocità notevoli. Le facce dei dischi sono alveolate con fori di opportune dimensioni, di modo che il disco può eliminare i semi tondi più piccoli del grano (vecce) o quelli più lunghi (orzo, avena), così come avviene nello svecciatore cilindrico. I chicchi abbandonati dai dischi sono condotti in canaletti affiancati agli stessi che li portano a una coclea di eliminazione.
Svecciatori elicoidali. - Sono costituiti da tre o quattro canali a coclea, verticali e coassiali, l'uno nella spirale dell'altro, di larghezze diverse (fig. 42). Il prodotto è introdotto dall'alto e cade roteando in basso. Le parti leggiere e lisce restano nella spirale centrale a raggio minore; quelle invece rotonde e più pesanti vengono per forza centrifuga proiettate nelle coclee di maggior larghezza, tenute separate ed eliminate per scarichi diversi.
Apparecchi magnetici. - Nel grano, sia per provenienza esterna sia perché staccatesi dalle macchine, si trovano facilmente delle impurità metalliche: chiodi, viti, scaglie, ecc. Per eliminarle, si ricorre a due specie di apparecchi. L'uno è costituito da un piano leggermente inclinato, formato dalle facce terminali di tante calamite a ferro di cavallo: facendo scorrere il grano in sottile velo su tale piano, le parti metalliche restano attaccate, e sono poi eliminate da un raschiatore (fig. 43). L'altro apparecchio è costituito da un cilindro di lamiera che ruota sopra un settore longitudinale percorso da corrente elettrica: facendovi cadere il grano, le parti metalliche vengono trattenute, finché, giunto il mantello al limite della zona magnetica, si distaccano da sé (fig. 44).
Pulitura preliminare per via umida. - Tinello spietratore. -È a struttura metallica ed è costituito (fig. 45) da una tramoggia di carico che alimenta un cono distributore e, coassiale con questo, un cono lavatore col vertice in basso, montato in una vaschetta cilindrica a fondo inclinato. Alla vaschetta cilindrica è raccordato un altro serbatoio a fondo rettangolare pure inclinato e provvisto di due canaletti-sfioratori. Il grano cade dalla tramoggia nel cono distributore, mentre l'acqua in pressione, immessa da un tubo sotto questo cono, riempie il cono lavatore e si mescola col grano nell'intercapedine fra i due coni. I corpi più pesanti scendono al fondo del cono lavatore, da cui sono eliminati di tanto in tanto con valvola a contrappeso, mentre il grano, entrato con l'acqua nel secondo recipiente, va a fondo per conto suo e le impurità più leggiere del grano, sospese a mezz'acqua, passano in un'altra vaschetta unita al recipiente principale; in una terza vaschetta, invece, tracimando da fori sfioratori, passano con l'acqua le impurità leggerissime. L'acqua deve arrivare al tinello spietratore con una pressione di 1/3-2/3 di atmosfere.
Quando l'acqua è scarsa si usa un tipo di spietratore più moderno costituito (fig. 46) da due coclee sovrapposte in un'unica vasca riempita fino all'asse della coclea superiore. Il grano vi cade lasciando alla superficie le impurità leggiere che galleggiando sono eliminate da uno sfioratore; il grano, dalla prima coclea a metà immersa, viene spinto verso una colonna centrifuga asciugatrice e le impurità pesanti cadute al fondo sono eliminate dalla coclea inferiore. Il consumo d'acqua è di 3-4 litri per kg. di grano.
Centrifuga preliminare. - È usata talvolta per farvi passare l'acqua e il grano, provenienti dal tinello spietratore. È ad asse verticale (fig. 47) e racchiusa in un mantello di lamiera forata. Le palette rotanti di un tamburo vi agitano il grano e lo risciacquano. L'acqua esce dai fori del mantello trascinando seco le impurità.
Coclea spruzzatrice. - È una breve coclea ad asse inclinato (fig. 47). Il grano entra dal basso e viene spinto verso l'alto, dapprima risciacquandosi nell'acqua di una vasca attraversata dalla coclea, poi energicamente lavato da varî spruzzi d'acqua alla pressione di 3-4 atm. uscenti da un tubo parallelo alla coclea. Il grano viene poi asciugato, prima meccanicamente indi termicamente.
Centrifuga asciugatrice. - Opera l'asciugamento meccanico del grano. È costituita (fig. 47) da un gran tamburo rotante ad asse verticale munito di palette. Il grano, entrando dal basso, è sbattuto dalle palette e scagliato contro il mantello di lamiera forata della colonna, così da potere eliminare l'acqua mista a sudiciume. L'effetto dell'asciugamento è aumentato dalla corrente d'aria prodotta dalla rotazione del tamburo ad alette. L'uscita del grano ha luogo dall'alto.
Colonna essiccatrice. - Appena raccolto, sempreché il maltempo non l'abbia aumentato, il grano ha in media un grado di umidità del 17-18%, che può scendere al 14% con asciugamento artificiale. Con la lavatura, anche se con breve soggiorno all'acqua, il grano assorbe ancora circa l'8-10% di umidità: con la centrifuga asciugatrice, tale umidità non è totalmente eliminata. Si ricorre allora alla colonna essiccatrice. Questa è costituita (fig. 48) da due lunghi canali verticali di lamiera forata chiusi in un involucro, anch'esso di lamiera; i canali sono riuniti superiormente e inferiormente da testa e piede, e contengono valvole di regolazione per l'immissione e l'uscita del grano. Il grano si fa scendere dall'alto lentamente e uniformemente, regolando le valvole in maniera da avere una discesa regolare, senza arresti o intasamenti. Una colonna d'aria calda generata da apposito radiatore e aspirata da un ventilatore, si immette invece poco più su del piede: questa corrente d'aria calda attraversa il grano dall'esterno all'interno in contro corrente. Per impedire che il grano esca troppo caldo dalla base è aspirata anche una colonna d'aria ambiente, dal piede, che raffredda il grano all'uscita dall'apparecchio. La temperatura del grano non deve superare i 30-40° e la regolazione è fatta in base alle indicazioni di termometri opportunamente disposti.
Le colonne essiccatrici hanno potenzialità diversa secondo il tipo d'impianto, la qualità e condizione del grano. Ve ne sono della capacità di 500-2000 q. in 24 ore, con 1-4 colonne, larghe da 600 a 1000 mm., alte da 8 a 10 m.
Condizionatore o preparatore. - Compie una funzione analoga a quella della colonna essiccatrice, ma con migliori risultati e notevole risparmio di tempo e spazio. Anche qui il grano entra dall'alto, viene riscaldato mentre discende, ed è raffreddato poco prima dell'uscita (fig. 49). In questa macchina il riscaldamento è fatto a mezzo di radiatori disposti trasversalmente lungo la colonna e sfalsati da fila a fila, in modo che il grano viene suddiviso in molteplici filetti che lambiscono le pareti dei radiatori riscaldati a termosifone. La preparazione è con questo apparecchio perfezionata e accelerata in modo che sono quasi eliminati i cassoni di riposo (v. oltre). Il condizionatore si presta tanto per l'essiccazione e la preparazione di un frumento troppo bagnato quanto per rendere tenero e atto alla macinazione un frumento duro e secco, dandogli il giusto grado di umidità. Si ottiene così una più alta resa di farine bianche, nonché un miglioramento del glutine e delle proprietà di panificazione. Durante la discesa del grano si compiono l'essiccazione, la preparazione e il raffreddamento del grano. Un ventilatore aspira mediante tubazione longitudinale, esterna all'apparecchio, l'aria dell'interno, favorendo le suddette operazioni. Termometri registratori dànno la temperatura in parecchi punti della colonna, permettendo una precisa regolazione. Anche in quest'apparecchio il grano viene mantenuto a una temperatura di 350-450 per poi essere rapidamente raffreddato all'uscita. Se ne ottiene un grano con una migliore e più regolare distribuzione dell'umidità in spessore.
La produzione varia molto anche a seconda del grano trattato e delle dimensioni dell'apparecchio. Per apparecchi da 1 a 5 scompartimenti di essiccamento, alti da m. 4,50 a m. 11,25, si va da produzioni di 500 kg./ora a produzioni di 6000 kg./ora.
Pulitura definitiva. - Cassoni di riposo. - Dopo il trattamento alla colonna essiccatrice, il grano ha bisogno che l'umidità di cui è ancora dotato si distribuisca uniformemente in tutto il chicco perché ne risulti poi migliore la macinazione; a questo scopo prima di passare alla pulitura definitiva, viene immagazzinato in celle o cassoni di riposo, dove sosta a seconda della qualità e del grado di umidità da 6 a 12 ore. Quando invece il grano è stato trattato col condizionatore uscendo da questo già pronto per le successive lavorazioni, i cassoni di riposo si possono eliminare sostituendoli con cassoni più piccoli che facciano semplicemente da volano quantitativo alle macchine successive.
Spuntatrice. - Questa macchina, di cui il tipo ad asse verticale è in generale sostituito col tipo ad asse orizzontale, consta (fig. 50) di un mantello cilindrico composto di elementi di lamiera di acciaio forte con fori a bordi scabri, o tessuti metallici, o ghisa con fori oblunghi, o, meglio, di elementi di smeriglio. I chicchi di grano vengono sbattuti dalle pale montate sull'albero, l'uno contro l'altro e contro il mantello, perdendo così le barbette e la superficie corticale. A seconda dei tipi di mantello adottati (a segmenti cambiabili o a mantello rotante), si viene ad avere una predominanza nell'operazione di sbattitura o in quella di strisciamento. L'eliminazione delle barbette e dei pezzi di corteccia staccati avviene a mezzo di energica aspirazione.
La produzione varia a seconda che le operazioni di spuntatura o di spellatura sono separate o unite, secondo il tipo di frumento o di cereale usato, e se la macchina ha mantello fisso o rotante. Comunque, per il frumento, con una spuntatrice-scortecciatrice si possono lavorare da 800 a 4200 kg./ora.
Spazzolatrice. -È una macchina simile alla precedente, talvolta con essa accoppiata, e serve a meglio togliere le particelle ancora attaccate al chicco e ad entrare nel fondo del solco del grano. Anche per questa macchina predomina il tipo ad asse orizzontale che, anziché le pale battitrici, porta delle spazzole o setole che possono essere semplici, doppie, cilindriche, coniche o elicoidali. È però necessario che le spazzole non sfreghino contro la superficie del mantello e che sia possibile regolare, anche in marcia, la distanza fra le spazzole e il mantello, che anche in queste può essere fisso o girevole; la macchina è pure dotata di forte aspirazione. Per il frumento la produzione può variare da 400 a 3200 kg./ora, leggermente superiore in quelle a mantello girevole. Se la macchina è combinata con la pulitrice, la produzione oraria può salire a 500-5000 kg./ora, a seconda delle condizioni di pulizia.
Bagnagrano. - Può accadere che, per il tipo e la qualità di frumento, o per un eccesso di permanenza nella colonna essiccatrice o infine per eccesso di effetto ventilante nelle macchine di pulitura definitiva, il grano sia un po' più asciutto del necessario. Allora, prima d'immetterlo nei cassoni di riposo che alimenteranno la macinazione propriamente detta, si può bagnare un po' il grano con un piccolo apparecchio detto appunto bagnagrano. La natura dell'inumidimento dipende dalle condizioni e dalla qualità del grano e dal sistema di macinazione.
L'apparecchio è costituito (fig. 51) da una ruota a celle che gira in un involucro con unito un recipiente con acqua dove funziona una coclea comandata dalla ruota. Il grano cadendo sulla ruota provoca la sua rotazione e questa il movimento della coclea. La spirale attinge l'acqua portandola a bagnare il grano nelle celle della ruota, scaricandosi per gravità da queste in una sottostante piccola tramoggia dove una coclea o un canale lo porta via.
Macchinario accessorio. - Bilance automatiche. - Prima che abbia inizio la pulitura, il grano viene pesato nelle bilance automatiche a contatore. Queste sono apparecchi aventi a un'estremità della leva il contrappeso, all'altra il recipiente che riceve il grano, recipiente ribaltabile e tenuto nella posizione di carico da un arresto. L'alimentazione del recipiente è fatta a mezzo di una tramoggia, all'uscita dalla quale sono due valvole di chiusura funzionanti in modo che una, quando il carico è quasi completo, rallenti l'ammissione del grano e l'altra, appena raggiunto il peso voluto, chiuda l'ammissione e stacchi l'arresto; il recipiente si rovescia, ritornando appena vuoto nella posizione di carico dopo di che le due valvole si riaprono completamente.
Calibratori. - Sono normalmente montati prima degli svecciatori, col compito di effettuare una prima divisione volumetrica, ordinariamente in due grandezze, del grano. Sono costituiti da un corpo cilindrico a mantello in lamiera a fori oblunghi entro cui è immesso il grano. Sono apparecchi che compiono lavoro grossolano a forte produzione (2000 ÷ 10.000 kg./ora).
Dosatori. - Sono posti sotto le tramogge dei cassoni di 2° riposo, talvolta anche, oltre che sotto le tramogge dei cassoni, sotto le celle dei silo. Servono a mescolare le varie qualità di grano provenienti dai cassoni (o dalle celle). Sono costituiti (fig. 52) da un corpo in ghisa entro cui ruota un albero sul quale è montato un cilindro in lamiera diviso secondo la sua lunghezza in un certo numero di scomparti uguali. Il grano, proveniente dal silo o dai cassoni, può entrarvi attraverso parecchie valvole. La mescolanza del frumento è quindi in proporzione al numero più o meno grande delle valvole che si aprono per l'ammissione all'apparecchio. Normalmente se ne monta una sotto ogni cella, unendole fra loro con un unico albero. Lo scarico avviene per di sotto nella coclea che trasporta il grano in pulitura o in molino. Con l'applicazione di un canale laterale a quello di carico si può mandare il grano alla coclea senza farlo passare dal mescolatore. Il rendimento, ad apertura totale delle valvole, varia da 1 a 7 kg. per giro.
Cicloni e filtri. - Servono a depurare l'aria proveniente dalle pulitrici, trattenendo le polveri da essa trasportate.
I cicloni o separatori centrifughi sono grandi cassoni di lamiera troncoconici con la base cilindrica (fig. 53). L'aria sporca entra tangenzialmente nella parte cilindrica con una velocità di 30-40 m./sec., per forza centrifuga le particelle pesanti si portano verso le pareti ed essendo, nell'interno, diminuita la velocità per l'aumento di sezione, discendono lungo la parete cilindrica e la conica percorrendo un cammino a spirale, perdendo gradatamente di forza viva. Le polveri si depositano in fondo donde vengono poi asportate; l'aria depurata esce da un foro centrale nella parte superiore.
I filtri sono serie di maniche filtranti tubolari di flanella o di tela, sospese verticalmente in un cassone: l'aria è guidata nell'interno dove deposita sulle pareti dei tubi la polvere, uscendo pulita attraverso i tubi. I filtri funzionano normalmente ad aria aspirata (fig. 54), cioè con un ventilatore posto a valle il quale ne aspira l'aria pulita; in alcuni casi funzionano ad aria premente (fig. 55), cioè con un ventilatore posto a monte il quale aspira dalle macchine l'aria sporca e la soffia, poi, nel filtro da cui esce pulita.
Per togliere la polvere dalle pareti onde asportarla e mantenere il potere filtrante dell'apparecchio, i tubi o sono sostenuti a gruppi e ad intervalli scossi perché la polvere precipiti sul fondo, o sono muniti di un telaio di legno a crociere di filo di ferro che abbracciano con una leggiera strozzatura ogni tubo (fig. 54). Tale telaio è dotato di un continuo lento movimento di sali e scendi; strozzando il tubo provoca, nell'interno, lo staccarsi della polvere e il suo precipitare al fondo, di dove viene convogliata a uno scarico raccoglitore.
Macinazione propriamente detta. - La macinazione graduale o alta, attualmente in uso invece della bassa o piatta macinazione (v. sopra), comprende le seguenti principali operazioni:1. rottura del grano in frammenti, così da ottenerne farine secondarie, semole grosse e fini, e crusche; 2. classificazione degli sfarinati e delle grosse semole vestite prodotte; 3. svestimento delle semole vestite e lavoro di disaggregazione e riduzione in semole fini; 4. pulizia e classificazione dei semolini; 5. rimacina, per convertire i semolini in farina; 6. classificazione ultima delle farine.
La rottura in frammenti, lo svestimento delle semole, la rimacina vengono compiuti con i laminatoi a cilindri, la classificazione, degli sfarinati e delle grosse semole, nonché l'ultima classificazione, a mezzo di buratti o di stacci piani ad oscillazione libera (Plansichter); la pulizia e classificazione dei semolini a mezzo di pulitrici da semolini e di stacci piani a oscillazione libera. In genere dopo la rottura, si usano buratti comuni (ormai in disuso) o buratti centrifughi, o plansichter; dopo gli svestimenti pulitrici da semolini e plansichter; dopo la rimacina, plansichter.
Laminatoi a cilindri. - Sono costituiti (fig. 56) da una robusta cassa o incastellatura di ghisa o di ferro, entro cui si trovano i cilindri propriamente detti e i relativi organi accessorî di comando, controllo e regolazione. I cilindri sono fatti in ghisa indurita fusa in conchiglia e possono essere, secondo l'operazione cui sono chiamati, o rigati o lisci. La rottura è sempre fatta con cilindri rigati, gli svestimenti con cilindri a superficie o liscia o molto finemente rigata, la rimacina sempre con cilindri lisci. Il lavoro fornito da una coppia di cilindri dipende molto dalla rigatura, dal senso di rotazione e dalla velocità di rotazione propria e relativa.
Le forme, le dimensioni e il numero delle scanalature in un cilindro di rottura variano a seconda del sistema di lavorazione, del grano lavorato, del passaggio di lavorazione. Righe grandi, rare e profonde sono specialmente indicate per le prime rotture, così da dare semole grosse, vive e poca farina di rottura che è di qualità scadente; righe gradualmente più sottili e fitte sono indicate per le rotture successive, così da dare prodotto sempre più minuto. Le righe debbono avere profondità costante e uguale, né in eccesso né in difetto per evitare un trattamento troppo violento, o un surriscaldamento del prodotto. I loro spigoli devono essere vivi perché l'azione risulti di taglio e non di stracciamento. Le righe possono avere profili diversi e orientamento diverso sui cilindri affacciati.
La velocità di rotazione dei cilindri è diversa a seconda delle singole fasi di lavorazione (fig. 57). Nella rottura il cilindro più lento (segnato con una freccia) ha gli spigoli rivolti in alto e fa quasi da sostegno al chicco di grano, presentandolo al cilindro più veloce (con 2 frecce) che ha invece gli spigoli rivolti in basso. Questo quindi lavora di taglio col massimo effetto di rescissione, e uno minimo di schiacciamento: tende cioè a produrre frammenti di grano e semole grosse a spigoli vivi e pochissima farina di rottura: in quest'azione di taglio esercitata sul chicco è di pari importanza la forma e l'orientamento delle righe quanto la differenza di velocità; occorre che, per il tempo che il chicco rimane fra i cilindri, quello più veloce avanzi di una quantità per lo meno uguale alla grossezza del chicco di grano perché questo venga tagliato dagli spigoli; se detta velocità è inferiore il chicco non sarebbe rotto ma solo incrinato o scalfito. Le altre disposizioni indicate in figura servono invece a produrre più farine che semole, inquantoché i cilindri lavorano col dorso esercitando azione di schiacciamento e compressione, con conseguente prevalente produzione di farine anziché di semole: esse non sono quindi indicate per la rottura, ma eventualmente per gli svestimenti che debbono rompere i granelli di semola grossa in granelli di semole più piccoli o semolini: in questo caso quindi le velocità differenziali sono minori che per i cilindri di rottura. Le rimacine usano cilindri lisci che, col definitivo schiacciamento, trasformano il semolino in farina.
Il diametro dei cilindri varia da 150 a 400 mm. mentre la lunghezza non supera m. 1,25-1,50. Il diametro non deve essere troppo piccolo perché ne resterebbe ostacolata l'introduzione del materiale, né troppo grande altrimenti risulterebbe eccessivo il tempo in cui il grano rimane sotto l'azione dei cilindri a tutto scapito del prodotto. La lunghezza è l'elemento costruttivo del cilindro che influisce sulla potenzialità di produzione: una grande lunghezza assicurerebbe maggiore produzione oraria, ma per difficoltà di esercizio, ingombro e peso non si superano, in pratica, le dimensioni sopra indicate.
I cilindri nei laminatoi sono ordinariamente montati l'uno sopra l'altro in diagonale, sia che il laminatoio abbia una coppia sola sia che ne abbia due. Si usarono in passato anche le disposizioni a cilindri affiancati o a cilindri sovrapposti. Nel primo caso però si aveva eccessivo ingombro, nel secondo difficoltà d'alimentazione. La disposizione in diagonale è ormai l'unica usata (fig. 57). I cilindri in un laminatoio doppio possono lavorare per un solo prodotto e allora hanno unica alimentazione e unico scarico; possono però lavorare anche per due prodotti e hanno allora un setto di separazione nella colonna di carico e nella macchina a due tramogge di scarico.
Il comando dei laminatoi è effettuato da una cinghia che aziona un cilindro della coppia, mentre una coppia d'ingranaggi comanda l'altro: ciò consente di ottenere una differente velocità di rotazione fra i due cilindri. Il tipo più moderno di laminatoio è dato dal cosiddetto laminatoio a cilindri a regolazione automatica (fig. 58). In esso, per mezzo di un servo-regolatore, se l'alimentazione cessa il laminatoio si ferma, si staccano i cilindri e s'accende un segnale luminoso. Riprendendosi l'alimentazione, automaticamente il laminatoio riprende il suo lavoro. Ciò riduce ancora di più il già scarso personale necessario per la sorveglianza in un molino. Il comando del servo-regolatore è fatto a mezzo dell'alberetto ad alette nell'interno del tubo di vetro dell'alimentazione su cui grava il peso della colonna di grano.
Quando i cilindri dei laminatoi hanno le righe consumate, con una smerigliatrice-rigatrice automatica se ne smeriglia la superficie fino a cancellare la vecchia rigatura e se ne incide una nuova. Quest'operazione, però, non si può ripetere che un numero limitato di volte e cioè fino a tanto che non si è asportato dal cilindro tutto lo strato esterno indurito della ghisa.
La potenzialità produttiva dei laminatoi è calcolata e predisposta sulla base del seguente criterio pratico. Al grano tenero sono assegnati 40-60 mm. di lunghezza di generatrice macinante per quintale, al grano duro 30-40 mm. A seconda poi del diagramma di lavorazione, del tipo di grano e di farina, la lunghezza complessiva assegnata al grano tenero è attribuita, in media, per il 35-45% alla rottura, per il 25% agli svestimenti, per il 35-45% alla rimacina; quella assegnata al grano duro per il 40-45% alla rottura, per il 45-55% agli svestimenti, fino al 10% per la rimacina.
Buratti e stacci piani a oscillazione libera (plansichter). - Queste macchine agiscono differenziando i diversi prodotti in ragione del loro volume.
Il buratto comune è costituito da aspi in legno a sezione esagonale montati sull'albero orizzontale, sui quali sono tesi dei veli di seta o di finissimi fili metallici. Il prodotto entra nell'interno, il buratto girando staccia e lascia passare il prodotto fino trattenendo quello più grosso: la capacità di stacciamento è calcolata in 15 kg. di farine per 1 mq. di velo. Il buratto centrifugo rappresenta un notevole miglioramento del precedente: esso presenta, nell'interno del tamburo stacciante cilindrico, delle palette montate sull'asse girante a notevole velocità (fig. 59): le palette girando sollevano il prodotto scagliandolo contro la superficie stacciante e poiché in questo buratto lavora tutta la superficie stacciante si ha un forte aumento di produzione unitaria, con un vantaggio rispetto al buratto comune da 1 a 4-5 volte tanto (70-80 kg. per mq. di velo). L'organo stacciante caratteristico dei buratti comuni e centrifughi è costituito da garze o veli di seta, o da tessuti metallici molto fini. La grossezza dei fili, la loro conformazione, il numero dei fili per centimetro o per altra unità di misura, determina la classificazione dei veli che vengono individuati da numeri caratteristici, secondo l'uso cui sono destinati e del prodotto che devono stacciare. Si va così da veli che hanno 7 fili per cm. a veli con 72 fili per cm. e anche più. I tessuti metallici analoghi sono costituiti da sottili fili di bronzo od ottone, o ferro o acciaio, e sono usati specialmente per la stacciatura dei grossi sfarinati.
Lo staccio piano a oscillazione libera o plansichter fu introdotto nel 1887 da Hagenmacher e rappresenta il tipo più moderno di macchina stacciatrice. È costituito da parecchi stacci piani (da 6 a 12 normalmente, fino a 24 nei tipi gigante) disposti l'uno sopra l'altro, tenuti a posto da tiranti (fig. 60), formanti due grandi cassoni di legno, uniti fra loro da un telaio metallico orizzontale. Tutta la macchina è dotata di un movimento di rotazione in un piano orizzontale a mezzo di un eccentrico comandato da un albero verticale, movimento che riproduce l'analogo che si faceva stacciando a mano. Inoltre i due cassoni contenenti gli stacci sono sospesi a un'armatura a mezzo di fasci di canne d'India, così da farne derivare un movimento vibratorio e sussultorio oltre a quello circolare.
Ogni staccio ha la parte stacciante fornita del velo di seta: essa riceve il prodotto, cede al disotto la parte fina e trattiene la più grossa; canali separati portano rispettivamente il primo prodotto agli stacci successivi, il secondo agli scarichi diretti. Per obbligare il prodotto a seguire la direzione segnata dalle bocche di carico e da quelle di scarico, il moto circolare di cui sono dotate tutte le particelle è trasformato in moto traslatorio a direzione obbligata. All'uopo ogni telaio è diviso in canali paralleli, longitudinali, su un lato dei quali sono disposte delle sbarrette di legno o metalliche: le particelle nel loro moto circolare vanno a sbattere contro questi ostacoli e rimbalzando da una sbarretta all'altra, compiono un moto traslativo nella direzione che si vuole (fig. 61).
Per mantenere puliti i veli di seta dalla polvere di farina che ne potrebbe ostruire i piccolissimi fori si dispongono, sotto ai canali degli stacci, spazzole a movimento continuo e automatico a setole inclinate (fig. 62). Queste spazzole si spostano in un'unica direzione e oltre che mantenere puliti e disostruire i fori delle garze, spostano il prodotto stacciato nel canale raccoglitore. Naturalmente le setole usate per la garza sono più fine di quelle che sfiorano il canale metallico.
I plansichter (fig. 63) si prestano all'entrata di diversi prodotti (2-4-6-8) e all'uscita di un numero di molto superiore di prodotti stacciati, inquantoché diversi stacci possono essere messi in serie con alimentazioni in parallelo. Essi possono servire sia per la classificazione degli sfarinati e delle grosse semole, sia per la classificazione dei semolini e del prodotto finale. Basta solo montare le garze di seta appropriate al prodotto cui lo staccio piano è destinato. La potenzialità di queste macchine varia naturalmente secondo il prodotto lavorato, le dimensioni dello staccio singolo, il numero di stacci montati nella macchina, l'eccentricità dell'asse di simmetria dei cassoni rispetto all'albero motore (eccentricità che varia da 40 a 50 mm.), il numero dei giri di questo (da 215 a 180), lo stato di manutenzione, e l'esistenza o meno di un impianto di ventilazione. Riferendosi a un mq. di staccio, si può ritenere che un plansichter a 12 stacci dia una produzione variante da 18-20 a 6-8 kg. di prodotto, secondo si tratti di uno staccio piano per rotture o per svestimenti o per rimacine. Riferendosi invece al comune buratto centrifugo, a parità di superficie stacciante e di prodotto si può ritenere che un plansichter sostituisca 5 o 6 buratti.
Pulitrici di semolini (tipo Riforma). - Le semole, dopo gli svestimenti, e specialmente nel caso del grano duro, hanno bisogno di essere ben pulite dalle tracce di farina o di crusca per ricavarne esclusivamente semolini puliti, sia che questi vadano alle rimacine per la trasformazione in farina, sia che vengano classificati come tali. A questo scopo si usa la pulitrice ai semolini. Nel plansichter il concetto su cui era basata la macchina era la separazione per volume; in questa la suddivisione avviene per peso specifico. Le semole e i semolini cadono, nella macchina, su un telaio stacciante (ve ne possono anche essere due) normalmente munito di quattro numeri diversi di garze (fig. 64). Per il movimento di va e vieni impresso alla tavola stacciante, che è leggermente inclinata, rotolano verso il fondo d'uscita i granelli a peso specifico maggiore (semole e semolini nudi) mentre i meno pesanti si tengono alla superficie e più verso l'entrata. Quelli adatti passano attraverso le maglie e sono raccolti da 4 tramogge sottostanti. Poiché il telaio stacciante è a tenuta d'aria lungo i bordi su cui si appoggia, l'aria chiamata dall'aspiratore incorporato nella macchina, passa da sotto in su, attraverso le garze e lo strato di materiale, sollevando le parti più leggiere, cruschellini e residui farinosi (fig. 65). Sopra al piano stacciante è disposta una griglia costituita da tanti canaletti di lamiera col fondo a doppia pendenza posti a piccola distanza l'uno dall'altro. La velocità della corrente d'aria aumenta in corrispondenza dei passaggi fra i canaletti a causa della diminuita sezione. Tutto il materiale aspirato viene quindi portato sopra i canaletti, dove la velocità dell'aria diminuisce di colpo. Le parti in sospensione allora precipitano nei canaletti e, scivolando sul loro fondo inclinato verso i lati maggiori della macchina, scendono in condotti longitudinali che li portano all'uscita. l'aria poi deposita le parti polverose che trascina per successive strozzature e variazioni di velocità, su lamiere che opportune spazzole periodicamente puliscono. Altre spazzole a catena continua mantengono pulita la faccia inferiore delle garze staccianti.
Anche in queste macchine la produzione varia secondo il prodotto lavorato, il tipo delle sete, la loro larghezza utile. Se la macchina è semplice o doppia, si possono lavorare da 300 a 1000 kg./ora di semole con una produzione per mq. di staccio da 300 a 500 kg. secondo che si tratti di semolini o semole.
Macchinario accessorio. - Per pesare il grano all'entrata si usa la bilancia automatica. Per i prodotti finiti si usano pure le bilance automatiche accoppiate a insaccatrici, controllabili e regolabili, ammesse alla bollatura, che anziché rovesciarsi come le altre, si scaricano per apertura del fondo, evitando così che la farina resti attaccata alle pareti.
Per staccare le piccole lamine o placchette di sfarinato che si producono, a causa della forte pressione di lavorazione, dopo la rimacina dei semolini, e che non sono completamente disintegrabili dagli stacci piani si usano i cosiddetti distaccatori. Il tipo comune di tale apparecchio eseguisce la disaggregazione a mezzo di spazzola rotante o più modernamente a mezzo di un elemento d'elica che provoca, spingendo, un'azione di sfregamento reciproco fra le lamelle e contro le superficie. Il disintegratore a disco invece eseguisce la disaggregazione col passaggio del materiale fra due dischi pressati l'uno contro l'altro, di cui uno girante.
Per mescolare le qualità diverse di farina prodotte dalla macinazione si usa la mescolatrice. Il tipo moderno di tale apparecchio è costituito da un grande cassone (fig. 66) talora occupante due o tre piani, con in alto una coclea veloce che adduce le diverse qualità di prodotti, e in basso un apparecchio mescolatore costituito da un asse orizzontale munito di palette di ghisa, dirette, a gruppi destrorsi o sinistrorsi, applicato sotto la tramoggia del cassone; un elevatore che prende il prodotto mescolato, lo riporta alla coclea che lo riversa nel cassone per un'ulteriore rimescolatura. Nel cassone il prodotto viene versato a successivi strati inclinati e dal basso viene tolto trasversalmente; ciò sempre per facilitare la mescolanza.
I laminatoi, le pulitrici di semolini, gli stacci piani, possono essere muniti di ventilazione per il raffreddamento del prodotto. Le tubazioni possono essere separate per i tre tipi di macchine e terminano, per i laminatoi, in filtri ad aria aspirata; per le pulitrici di semolini si possono usare oltre che filtri ad aria premente e ad aria aspirata, anche i cicloni che però sono più adoperati in pulitura.
Per i cicloni si può ritenere che 1 mc. di ciclone serva per un mc. d'aria aspirata. Pei filtri ad aria premente la capacità varia secondo le macchine che essi debbono servire. Si ritiene generalmente che un mq. di filtro basti per 2-3 mc. d'aria al minuto, secondo che provenga dalla pulitura o dalla macinazione. Per i filtri ad aria aspirata la capacità per mq. filtrante varia da 7 a 10 mc. al minuto, secondo la natura e la provenienza delle polveri.
Fabbricati, forza motrice, prevenzione incendî. - Normalmente un molino è costituito da un fabbricato per l'immagazzinamemo del grano (silo), da un fabbricato a 3-5 piani per la pulitura e la macinazione, da un altro pure a più piani per l'immagazzinamento delle farine. Dal silo il grano passa alla pulitura, da questa al molino propriamente detto: questo, negl'impianti medî e grossi, accentra nel semisotterraneo le trasmissioni, i distaccatori, i piedi degli elevatori e le macchine per la macinazione e lavorazione dei rifiuti di pulitura; al piano rialzato la sala laminatoi; al 1° piano le pulitrici di semolini; al 2° piano tutte le coclee di smistamento, i filtri o le macchine meno importanti per i sottoprodotti quali spazzolatrici di crusche, pressa crusche, ecc.; al 3° piano le batterie di stacci piani oscillanti; sopra a questi, in piano a sé, o direttamente sopra i plansichter, tutte le teste degli elevatori. Il magazzino farine può anche essere unito al molino: in esso si trovano le mescolatrici di farine, le insaccatrici, le pesatrici, i montacarichi e scivola-sacchi, inoltre le macchine per pulire e sbattere i sacchi vuoti e per aggiustarli. Un reparto importante del molino è l'officina meccanica per le riparazioni, dove trova posto la rigatrice-smerigliatrice automatica (v. sopra).
La forza motrice occorrente per un molino è complessivamente da HP 0,25 per q. nelle 24 ore, per grandi impianti, fino ad HP 0,35 per piccoli. Un molino per grano duro consuma un 15-20% di forza motrice in meno. La forza motrice così si ripartisce sommariamente fra le varie fasi di lavorazione: alla pulitura 2000; al molino: per la rottura 20%, per gli svestimenti 7%, per le rimacine 18%, per le pulitrici di semolini 10%, per gli stacci piani 5%, trasporti 10%, ventilazione 10%.
Nella pulitura e nel molino, è facile, per un surriscaldamento di una parte in movimento, o per una scintilla dovuta a sfregamento di materiale eterogeneo contro le parti metalliche delle macchine, che si sviluppi un focolare d'incendio. Dato che le macchine sono per la maggior parte in legno, che canali ed elevatori in legno congiungono i diversi piani, che questi hanno i pavimenti in legno, ne viene che il pericolo di un incendio è sempre imminente. Si può prevenirlo con un'apposita installazione che consiste nel disporre al soffitto di ogni locale sopra le macchine più pericolose, o addirittura nella testa degli elevatori, una rete di tubi per acqua recanti ogni 6 mq. appositi ugelli o sprinklers. Questi sono muniti di una valvola in vetro tenuta chiusa da 3 lamine a molla, mantenute unite e in posto da un'apposita saldatura che fonde a 68°. I tipi più moderni di sprinklers al posto delle lamine hanno un'ampollina di quarzo contenente un liquido a forte coefficiente di dilatazione: questi tipi funzionano a temperature ambienti inferiori. Quando questa temperatura, per l'inizio d'un focolare d'incendio, è raggiunta sotto al soffitto del locale, la saldatura si scioglie, le molle scattano o l'ampollina si rompe, permettendo alla pressione dell'acqua di far cadere la valvola di vetro, e all'acqua d'irrorare a pioggia il sottostante focolare. Onde evitare che d'inverno l'acqua geli nei tubi si usa anche il sistema ad aria compressa nelle tubazioni. La pressione d'aria mantiene chiusa la distribuzione centrale dell'acqua mediante una valvola differenziale. Quando un ugello si apre, subito diminuisce la pressione d'aria, la valvola differenziale si apre e l'acqua immediatamente defluisce. Per mantenere all'acqua la necessaria pressione occorre un serbatoio d'acqua di almeno 35 mc., ad almeno m. 4,50 sopra l'estintore più alto.
Bibl.: C. Saldini, Lezioni di tecnologie meccaniche: molini, Milano 1920; A. Bouquin, Manuel de meunerie, Parigi 1923; G. Siber-Millot, L'industria dei molini, Milano 1924; A. Carena, L'industria dei molini da grano, parte 1ª: Tecnologia, Torino 1925; F. Kettenbach, Katechismus für Müller u. Mühlenbauer; Lipsia 1926; Taschenbuch des Müllers, edito a cura della Mühlenbau u. Industrie A. G., 8ª ed., Dresda 1927; W. Baumgartner, Lehr- u. Handbuch für Müllerei u. Mühlenbau, Lipsia 1933.