Massa vescicolare o carnosa che può svilupparsi nell’utero o in una tuba, in caso di gravidanza. La m. carnosa (m. sanguigna) si manifesta come alterazione degli annessi fetali con stravasi sanguigni nello spessore delle membrane ovulari; si accompagna a morte dell’embrione. La m. vescicolare (m. idatidea) è una malattia della gravidanza da anomalia dei villi coriali che si presentano rigonfi a formare vescichette ripiene di liquido e raggruppate in grappoli di dimensioni varie. La trasformazione vescicolare può interessare tutto l’apparato villoso o solo una parte di esso e si accompagna di solito alla morte dell’embrione o del feto. I rapporti della m. vescicolare con le pareti uterine vanno da un interessamento superficiale fino alla perforazione dell’utero. L’eziopatogenesi è oscura; sono invocate endocrinopatie o disturbi di circolo del villo. La sintomatologia consiste in un’accentuazione dei fenomeni propri della gravidanza (vomito, nausea), comparsa di metrorragie ecc. La malattia si conclude, nella maggior parte dei casi, con l’espulsione spontanea della m. vescicolare tra il 3° e il 5° mese, ma in qualche caso può essere seguita da un corionepitelioma. Per la diagnosi è molto importante la ricerca e il dosaggio delle gonadotropine corioniche, notevolmente aumentate nel sangue e nelle urine.
Utensile rotante, a taglienti multipli non metallici, usato nelle lavorazioni di sbavatura, rettifica, affilatura, lappatura ecc. di materiali sia metallici sia non metallici. Ha spesso forma di solido di rivoluzione; in forma di ruota, è usata per affilare lame e coltelli.
Le m. sono naturali o artificiali; le prime si ottengono generalmente da blocchi di arenaria ricca di silice, o quarzo, i cui granuli, annegati nella pasta calcarea, esercitano l’azione tagliente utile; l’uso delle m. naturali, a causa della loro scarsa omogeneità e resistenza, è tuttavia limitato a lavorazioni semplici e di scarsa precisione, come, per es., l’arrotatura. Molto più importanti sono le m. artificiali, composte da una sostanza di supporto (cemento) e da una sostanza molto dura (abrasivo). Il cemento, di varia natura, deve essere tenace, per mantenere legati a sé con sufficiente forza i granuli abrasivi; resistente, per opporsi alle elevate pressioni e forze centrifughe; insensibile, sia alle variazioni di temperatura sia all’azione chimico-meccanica del refrigerante, durante la lavorazione; rigido o elastico, a seconda del tipo di lavorazione e del materiale su cui la m. agisce. Più comunemente usati sono: il cemento ceramico, o vetrificato, il cemento resinoso, il cemento gommoso e il cemento metallico.
Le m. si dicono tenaci o dolci in base alla peculiare proprietà del cemento di trattenere più o meno a lungo i granuli abrasivi; però allorché questi, avendo ‘lavorato’ ed essendosi smussati, non possono più esercitare azioni di taglio, il cemento deve permettere facilmente il loro distacco; si usano m. dolci per lavorare materiali duri e m. tenaci per materiali teneri. L’abrasivo per m. artificiali può essere naturale o sintetico; esso consiste sempre di granuli molto duri, di varia grandezza, a spigoli vivi atti a tagliare il materiale asportando da esso, senza raschiarlo, minutissimi trucioli. Le caratteristiche dell’abrasivo sono: durezza molto elevata, vicina a quella del diamante; forma aguzza e acuminata per dare origine al truciolo; resistenza allo schiacciamento in modo da non frantumarsi sotto le grandi pressioni di lavoro; refrattarietà alle elevate temperature originate dall’attrito; granulometria uniforme; frattura a spigoli vivi.
La fabbricazione delle m., con cemento ceramico o resinoso, ha inizio con l’impasto di cemento, abrasivo e acqua; ottenuta una massa perfettamente omogenea e più o meno fluida, essa viene colata in apposite forme, pressata e lasciata essiccare; seguono quindi la tornitura e la cottura in forni; la fabbricazione delle m. con cemento metallico viene realizzata mediante processi di sinterizzazione o galvanici. La forma delle m., molto varia (fig.), è sempre però quella di un solido di rivoluzione poiché il moto di lavoro della m. è rotatorio; le velocità periferiche massime dipendono sia dal tipo di m. sia dal tipo di lavorazione: velocità troppo piccole comportano elevati consumi di abrasivo e basso rendimento, velocità troppo grandi comportano pericolo di rottura della m. e scarsa azione abrasiva. In alcune lavorazioni di precisione di materiali estremamente duri si usano le m. diamantate, in cui l’abrasivo è polvere di diamante, omogenea e di ottima qualità, mentre il cemento è resinoso o metallico.
Le molatrici sono macchine utensili che usano come organo di lavoro una mola. Servono per spianare, affilare, lucidare e anche per asportare quantità notevoli di materiale; sono molatrici le affilatrici, le rettificatrici, le levigatrici e anche le sgrossatrici. Possono essere fisse, al banco di lavoro o su proprio piedistallo, azionate a mano (solo per le macchine piccolissime e di uso intermittente) o a motore, coassiale o con trasmissione. Quelle mobili sono generalmente azionate da un piccolo motore incorporato e servono per lavorare pezzi molto pesanti o per giungere in punti difficilmente accessibili.