(gr. αἱ Μοῖραι) Le dee del destino nella mitologia greca. In Omero la M. è una sola, ma già in Esiodo sono tre: Cloto, la ‘filatrice’ della vita; Lachesi, la ‘fissatrice della sorte’ toccata all’uomo; Atropo, la ‘irremovibile’ fatalità della morte. Sono figlie di Zeus e di Temi; secondo un’altra genealogia sono figlie della Notte. Presiedono ai tre momenti culminanti della vita umana: nascita, matrimonio, morte. La ineluttabilità cieca delle M. è come una forza che frena il potere degli dei, espressione della fissità delle leggi fisiche e morali, come appare in Eschilo, soprattutto nell’Orestea, e anche in Sofocle. Successivamente i Greci concepirono il destino come placabile per mezzo dell’espiazione, specialmente con il diffondersi delle religioni misteriche e con l’orfismo. Le M. ebbero culto dovunque. Esse rassomigliano alle Chere senza divenire, come quelle, demoni violenti e sanguinari. A Roma furono dette Parche.
Le M. erano già raffigurate in età arcaica sulla celebre arca di Cipselo; compaiono nel cratere François (Firenze, Museo archeologico), ma in numero di quattro e senza attributo, oltre a varie generiche rappresentazioni sulla ceramica del 6°-4° sec. a.C. Nel puteale neoattico di Madrid e nella copia della lastra di Tegel appaiono in figure di tipo classicheggiante. Partecipano alla gigantomachia nel fregio dell’ara di Pergamo e appaiono in diverse scene sui sarcofagi romani.