MODA (dal lat. modus "maniera, foggia")
Usanza passeggiera, soprattutto con riferimento alle acconciature e agli ornamenti, specie femminili. Se tutti i popoli conoscono un costume, cioè una forma qualsiasi di abbigliamento, la moda, intesa come perpetuo mutamento del costume stesso, non si manifesta negli stadî primitivi dell'umanità, né nelle società civili a lenta evoluzione, quando, sia la superstizione dominante anche in questo campo, sia la povertà delle materie prime disponibili, sia la forza della tradizione immutabile, generano piuttosto una monotona uniformità; essa compare sempre più evidente negli stadî più progrediti e nelle società più complesse, man mano che le forme della vita collettiva si differenziano, si moltiplicano i bisogni sociali e l'istinto estetico, individuale, prima asservito, riprende il sopravvento.
E ancora questo avviene soltanto fra le classi sociali più elevate e più libere, dalla vita più brillante e più instabile, mentre il costume resta stazionario per secoli fra le classi dalla vita più rozza, come presso i contadini, o in quelle per le quali esso ha un particolare valore tradizionale e simbolico, come avviene per le uniformi militari, per le vesti ecclesiastiche e monastiche, per gli indumenti proprî di particolari mestieri, arti, professioni, sette più o meno segrete, o distintivi di cariche sociali.
Fenomeno oscuro nella sua origine, multiforme nelle sue manifestazioni, legato da reciproche influenze con l'arte, con l'economia e con la morale, la moda non ha mancato di attrarre l'attenzione di autorità civili ed ecclesiastiche, di sociologi e di letterati, formando oggetto di leggi suntuarie e di scomuniche, d'indagini teoriche e di garbate disquisizioni, e proseguendo intanto imperturbata il suo corso.
Vi fu chi non vide in essa se non un'imposizione artificiosa da parte d'interessati o un seguito di bizzarrie senza logica, regolate al più - il che non è del tutto falso - da un alternarsi ciclico di poche fogge tendenti volta a volta ad accentuare o celare questa o quella avvenenza, questa o quella deformità, secondo il tipo estetico del momento; chi, come H. Spencer, che se ne occupò di proposito per il primo, soprattutto un caso di "imitazione collettiva", in cui si scorse poi (Simmel) il ritmo altemato dello sforzo di conformismo della massa ai grandi e dello sforzo di differenziazione di questi dalla massa a scopo di autorità e di distinzione sociale; chi, come E. Grosse, piuttosto un fenomeno legato con l'origine e lo sviluppo dell'arte e del senso estetico.
Non frutto del capriccio più o meno interessato, che può influenzarla durevolmmte solo nei particolari secondarî (le "voghe"), la moda è in realtà un fenomeno sociale e artistico insieme; sociale nello scopo, artistico nell'origine. Essa si forma, per dirla con H. Taine nell'"atmosfera morale" di un' epoca, determinata dalla razza, dal clima, dal momento storico con le sue necessità pratiche, morali ed estetiche, e viene tradotta in forme concrete da individui che creano le fogge secondo una loro particolare sensibilità e che vengono così a riassumere e insieme a modificare il gusto del loro tempo imprimendo alla moda la sua tipica caratteristica del mutamento perpetuo.
I rapporti della moda con l'arte sono sottolineati dall'eleganza, privilegio di pochi che, implicando la determinazione anche di un tipo estetico e delle belle maniere, suggella lo stile di un'epoca. Fu detto infatti che il vestito sta al corpo come lo stile sta al pensiero, e proprio un economista, A. Marshall, ha affermato che un abito bello e adatto appartiene alla stessa classe di una buona pittura.
I rapporti con l'economia sono sottolineati dal lusso; circa quelli con la morale - anche senza tener conto delle note variazioni del senso del pudore secondo i popoli, i tempi e le circostanze - è lecito dire che malgrado le infinite accuse lanciate in ogni tempo contro gli eccessi di sperpero come d'impudicizia della moda, questa ne è la conseguenza, non la causa: la stessa sproporzione fra la lievità di certe questioni di moda e la serietà e la persistenza con cui si discussero dimostra come s'intuisse che esse rappresentavano idee e interessi ben più gravi. Similmente le cosiddette mode antigieniche, che hanno suscitato spesso la riprovazione dei medici, si accompagnano a manifestazioni di una generale incuria non solo dell'igiene ma perfino della comodità, e servono, caso mai, a indicare il prevalere, in certi momenti e in certi strati sociali, dell'interesse ad apparire su quello volto a salvaguardare la salute: fenomeno, questo, che può avere radici assai profonde.
Esagerata è poi la parte attribuita comunemente alla donna nella creazione e nell'accettazione della moda. È ben vero che dalla natura, dalla tradizione e della convenienza la donna è portata a una più continua e cosciente ricerca dei suoi mezzi di seduzione, tanto più raffinata quanto più essa viva in una società evoluta; è ben vero che, più istintiva, intuendo il fascino che esercita sull'uomo l'imprevisto e il bizzarro, essa presente gli orientamenti del gusto, onde il suo più pronto accettare le nuove fogge e il suo insistervi anche quando da principio esse sembrano spiacere a un certo misoneismo maschile, senza mancare però di adeguarsi in questa ricerca alle correnti estetiche del tempo; ma è anche vero che gli uomini, per ragioni simili a quelle della donna, s'interessano alla moda più di quanto sembri, o, almeno in certe epoche, più di quanto amino confessare: che i sarti hanno preceduto le sarte, riconosciute ufficialmente in Europa solo da un editto di Luigi XIV (1675); che accanto alla moda femminile esiste, sempre in sostanziale accordo di gusto e spesso di eccessi con essa, una moda maschile, e che non furono né sono pochi coloro che, artisti o industriali del costume, mostrarono la più pronta e fine sensibilità al fenomeno moda e cantribuirono alle sue evoluzioni. Accanto a Isabella d'Este "inventrice di fogge" e a Caterina de' Medici, alla Pompadour e all'imperatríce Eugenia, occupano il loro posto nella storia della moda Petronio arbiter elegantiarum ed Enrico III, George Brummel ed Edoardo VII.
Ma anche all'infuori di certe individualità singolari, donne e uomini contribuiscono insieme a imprimere una fisionomia alla moda. Anche coloro che non prendono una parte diretta ad attività piu cospicue del loro tempo, dovendo in qualche modo provvedere al loro abbigliamento, sia pure fuori da ogni pretesa di lusso e di eleganza, debbono di necessità procedere a una scelta che presuppone un gusto e un fine e contribuiscono così, senza nemmeno rendersene conto, all'estrinsecazione e alla classificazione del gusto e della mentalità collettivi.
Sono perciò sempre naufragati miseramente, da qualunque autorità partissero, sia i tentativi di far nascere per imposizione, su ragioni ideali o pratiche, determinate mode in un terreno che non fosse o non fosse ancora preparato ad accoglierle; sia quelli diretti a regolare e dominare le manifestazioni della moda corrente. La moda non nasce fuori o contro la società, ma dalla società, reazione immediata agli avvenimenti di ogni genere che la agitano, faccia la più appariscente del suo poliedrico aspetto; e se ne sottolinea grossolanamente i difetti o ne rivela ingenuamente, dai motti religiosi ricamati sulle camicie dei Puritani ai faux-ventres à la Vigano del 1788, le esaltazioni, ne traduce arditamente in simboli esteriori gl'ideali, dal cappello alla calabrese dei carbonari alla camicia nera fascista.
Le variazioni della moda sono naturalmente lentissime e poco appariscenti nelle antiche civiltà mediterranee, com'è ancor oggi nell'oriente non europeizzato. Le differenze tra fogge maschili e fogge femminili sono meno rilevate (il che smentisce coloro che le ritengono ispirate dal diverso genere di vita), e quelle fra l'abbigliamento delle varie classi sociali stanno più nella ricchezza dei particolari e degli ornamenti che in una sostanziale diversità.
Il lusso consiste non nel cambiare spesso la forma delle vesti ma nell'averne in numero stragrande. Il costume poco variato anche nei colori e nel materiale (lino, lana, bisso) è del tipo drappeggiato, cioè composto di teli poco o affatto cuciti tra loro, disposti con arte attorno alla persona. I copricapi scarseggiano. La calzatura sviluppa da un tipo rudimentale originario, quale vediamo ancora nelle ciocie dei ciociari del Lazio, varie fogge di sandali più o meno lussuose.
Il gusto per le linee stilizzate, i colori vivaci, il fasto, si rifletterono nel costume dell'Egitto antico, creato per un tipo piuttosto piccolo e magro, bruno di pelle e di capelli. Composto semplicemente all'inizio di una mutanda-gonnellino per gli uomini e di una tunica lunga aderentissima senza maniche, di stoffe operate, con bordi e spalline differenti, per le donne, si complicò poi con l'aggiunta di sopravvesti più voluminose, di solito trasparenti e strette alla vita da larghe cinture ricadenti sul davanti. Era completato dal fazzoletto rigato scendente in pieghe rigide dietro le orecchie, quello che orna la sfinge, o da parrucche di lana colorate; da numerosi gioielli, tra cui domina il largo collare, che conservano spesso chiaramente il loro valore di amuleto, e cosmetici abbondantissimi per i due sessi.
Lo stesso tipo di costume, per quanto meno rigido ed elegante, ebbero, fra gli altri grandi popoli antichi, i Fenici e gli Ebrei, mentre gli Assiri ebbero una loro moda tipica e complicata, caratterizzata dagli scialli frangiati e dalle complicate acconciature in riccioli dei capelli e della barba. I Persiani, come molti altri popoli barbari nell'antichità, usavano i calzoni, il cui uso per i Greci e poi per i Romani fu uno dei più cospicui contrassegni dei popoli barbari in genere.
Il gusto classico squisito e armonioso si rivelò anche nel costume, il quale ricavava la sua bellezza solo dall'artistica disposizione dei drappeggi che accompagnavano e rivelavano senza alterarle le linee del corpo. La moda greca del periodo arcaico, quella dei personaggi di Omero, aveva risentito dell'influenza orientale con vesti di un sol pezzo rigide e coperte di ricami; poi - la tradizione dice in seguito al lutto pubblico per una sconfitta - le vesti si ridussero a semplici teli di stoffa che si adattavano alla persona per mezzo di una cintura su cui si ripiegavano fermandosi sulla spalla con fibule: il chitone, più lungo per le donne che vi sovrapponevano un'ampia sopravveste, il peplo, più corto per gli uomini che lo completavano con l'imation o il pallio o con la clamide, mantelletto rotondo fermato su una spalla. Le donne, in assenza di ogni biancheria, usano come busto delle strisce di cuoio; si adornano di artistici gioielli, fra cui predominano i cammei; acconciano la capellatura, che non piace troppo abbondante perché guasta la linea della testa, in semplici nodi retti da nastri; mentre gli uomini curano la loro persona quasi come le donne, lisciandosi la pelle, arricciando e ornando i capelli, ecc., per rispondere a quell'ideale di bellezza virile alquanto effeminata che la statuaria greca ci rivela.
A Roma - dove confluiva anche la corrente etrusca - la moda femminile non fu molto diversa nelle sue linee generali da quella greca del periodo classico, con tunica e mantello: la stola e la palla. Variò invece continuamente l'acconciatura del capo, tanto che vediamo ritratti femminili tenuti al corrente della moda con parrucche di marmo sostituibili. Degli artifici della toletta c'informa ampiamente Ovidio. Gli uomini invece vestivano in modo più sobrio dei Greci, mantenendo un aspetto più virile. Gens togata, sopra la tunica piuttosto lunga, che prende varie forme e varî nomi, essi avvolgono maestosamente la toga, l'ampio telo di lana o di lino a linea circolare, che costituisce una vera e propria uniforme, tipico esempio dell'indumento che vale come contrassegno sociale, riservata com'è ai cittadini romani liberi che l'assumono nel giorno della maggiore età e, cavalieri o senatori, l'adornano delle insegne del grado, la striscia di porpora, angusticlavio o laticlavio. Le tuniche degli umili e degli schiavi sono grossolane, spesso centoni di varî pezzi, e si accompagnano a mantelli con cappuccio, i quali, insieme con cappelli larghi e molli, vengono portati anche da chi viaggia.
Il passaggio al Medioevo dà inizio a un ritmo di moda vero e proprio ed è caratterizzato dall'introduzione di abiti adattati a particolari fogge col taglio e la cucitura e dalla maggiore differenziazione delle fogge secondo i luoghi, secondo il sesso e secondo le classi sociali. Il centro della moda, seguendo le vicende storiche, si sposta dall'Europa orientale all'Europa occidentale e vi si fissa con Carlomagno.
Il periodo d'oro dell'impero bizantino, alle soglie tra l'antichità e il Medioevo, ci dà un costume di transizione, che rivela l'influenza orientale con la comparsa delle maniche, di origine persiana, con l'uso maschile della zazzera e con la magnificenza delle stoffe di seta e dei gioielli massicci: ancora vicino a quello classico per gli uomini con le tuniche "dalmatiche" ornate di strisce colorate verticali e i mantelli rotondi e, più nuovo, con l'abito lungo, cui si sovrappongono una sopravveste e una mantelletta a stola ricamata, per le donne, che fa apparire come idoli scintillanti: adatto alla sontuosità un po' barbarica delle chiese soffocanti d'incensi e splendenti di aurei musaici, esso ci dà ancor oggi un'idea di sé nei paramenti sacri delle cerimonie solenni.
Sul costume occidentale influivano le tradizioni classiche e le novità barbariche (soprattutto l'uso delle brache già imitato dai soldati dell'impero romano), le esigenze dei nuovi ordinamenti sociali e le preoccupazioni della morale cristiana. Seguendo l'andazzo generale, la moda in Italia fu piuttosto modesta di linee, di colori e di stoffe nei primi secoli, quando su una camisa lunga e con maniche, che sembra di origine araba ed è destinata a rimanere fino al sec. XIX l'unico indumento di biancheria si portava dai due sessi un tipo di veste intera che durerà a lungo nelle classi popolari: la sottana o gonna o cotta, sotto cui gli uomini cominciano a portare le brache, cingendo di fasce le gambe, completata dalla schiavina o mantello a cappuccio ereditato da un mantello militare e popolare romano, di lana di capra verdognola o rossastra; e da copricapi del tipo berretto frigio, cui le donne aggiungono la guimpe o sottogola bianca - per divenire man mano più complicata, lussuosa e anche immodesta a partire dal 1300, adeguandosi al fervore nuovo della vita e allo sviluppo delle industrie tessili, che, mentre scomparivano definitivamente il bisso e la porpora, introducevano, accanto alla lana, la seta e il velluto nei grandi centri di Firenze, Milano e Venezia.
Nella varietà delle mode locali è più difficile notare con precisione tanto le fogge quanto la loro rispondenza agli stili artistici, che pure fu vera nelle sue linee generali e sembra più evidente tra il sec. XIV e il XV, in cui tutti i particolari del costume, cappelli, maniche, scollature, scarpe, sono appuntiti alla gotica. Il costume a cui si pensa di solito riferendosi al Medioevo del mondo feudale, con i paggi, i menestrelli, i cavalieri, le castellane, e che è come un riassunto di tutti quelli portati in quel tempo dalle classi signorili, comporta: per gli uomini farsetto o giustacuore corto e ricco, stretto alla vita da una cintura, calzoni di maglia attillati, spesso a due colori (segno di nobiltà) che formano calza, e dai quali si originarono infatti le calze, eventualmente la sopravveste senza maniche che si metteva anche sopra l'armatura; sui capelli tagliati a zazzera copricapi di varie fogge, dal breve tocco con la lunga penna a quei cappelli dalla cupola allungata e ricadente a punta sulle spalle, che avevano un po' dell'antico cappuccio e un po' del turbante suggerito dalle crociate; per calzatura le famose pantofole dalla punta lunga fino a 50 cm. che, introdotte dal conte d'Angiò perché aveva i piedi malfatti e imitate dapprima dai cortigiani adulatori, divennero per i due sessi una moda generale assai duratura.
Per le donne un abito lungo, aderente, ampio in fondo, di colori uniti e chiari, dalla cintura scesa che regge la scarsella imitata dai pellegrini, dalla breve scollatura rotonda, dalle maniche lunghe e strette, cui si sovrapponevano le solite sopravvesti senza maniche o guarnelli corti e attillati bordati di pelliccia, oppure ampî mantelli foderati di pelli. I capelli sono sciolti o intrecciati sulle spalle o raccolti sulle orecchie o nascosti entro svariatissimi copricapi che vanno dalle cuffiette col soggolo, più comuni in Italia, alle fogge stravaganti a cono o a bicorno (hénin) con veli fluttuanti, comuni soprattutto, finché Anna di Bretagna non li abolisce, in Francia, dove eccitano, non si sa perché, lo sdegno dei moralisti, che le chiamano "le corna del diavolo".
Il Rinascimento, con la sua opulenza di vita e la sua esaltazione della bellezza, creò una moda fra le più estetiche e fastose, che interessò più vasti strati sociali e, aiutata dall'abilità di artisti e di artigiani, dall'influenza personale di grandi dame come Caterina de' Medici o Beatrice Sforza, per cui disegnava i figurini Leonardo da Vinci, le quali esportavano i modelli nostrani o li diffondevano per mezzo di bambole vestite, fece dell'Italia il centro anche dell'eleganza, maestra di fogge e dominatrice dei mercati.
Mentre nel contado si fissano in quell'epoca molti dei costumi che chiamiamo oggi popolari, la moda cittadina moltiplica i modelli, come ci rivela una terminologia sempre più ricca (già nel Decameron s'incontrano più di una cinquantina di parole concernenti l'abbigliamento) e introduce col raffinarsi delle usanze varî particolari eleganti: calze, guanti, fazzoletti. Uomini e donne, quelli che dalle pagine e dai quadri dell'epoca balzano maestosi nel portamento, sgargianti di variopinti broccati e di artistici gioielli, gareggiano, noncuranti del vano rincorrersi delle leggi suntuarie, nell'uso e nell'abuso di ori, cosmetici e profumi, nel numero, che non deve essere inferiore alla trentina, di vesti fastose che "sian a vedere più che la persona". Gli uomini portano brache larghe e giubba a soprataglio, cioè con aperture bordate che mostrano, a prova di ricchezza, la bella fodera sottostante, del tipo che si è conservato nella divisa delle guardie svizzere del Vaticano attribuita a Michelangelo; e sopra robe e roboni, lucchi e cappe, palandrane e tabarri, berretti di varie fogge sui capelli acconciati in genere a zazzera allungata dietro; scarpe di cuoio o di stoffa larghe e basse. Le donne portano sotto la ricca zimarra, gonna larga e lunga, corpetto o falda attillato sul nuovo busto di stoffa a stecche di legno o di metallo introdotto da Caterina de' Medici (1532), dalla scollatura quadrata aperta "alla cipriana" o allacciata sul pettorale, dalle maniche ampie e lavorate che mostrano la camicia di lino ricamata a colori; le pianelle minuscole e ricamate a doppio tacco, così alte che a Venezia le eleganti debbono passeggiare sostenendosi a due cameriste. Le pettinature sono semplici e gettate all'indietro, in modo da far la testa piccola: questo era un elemento di quel tipo estetico ben definito di donna molto formosa, bianca e bionda, che chi non aveva cercava di raggiungere con i più sbalorditivi accorgimenti e che era completato da curiosi particolari: ciglia rade, sopracciglia rasate, fronte alzata col radere una parte dei capelli, il che spiega l'uso di veli e gioielli alla fronte o di quella banda, resa poi così popolare in Francia sotto Francesco I dalla Belle Ferronnière e produce, con l'aiuto del trucco abbondante, un certo livellamento delle fisionomie.
Nel Seicento l'Italia perde nella sua generale decadenza anche il primato della moda, che era andata spostando i suoi centri verso i paesi allora in ascesa: Spagna, Germania, Inghilterra, Francia, tendendo però a un livellamento snazionalizzato. Il carattere più austero impresso alla vita dalla Riforma e dalla Controriforma si riflette nel costume che si fa più severo, ma anche più goffo, seppure il lusso non cessi di manifestarsi in nuove forme nelle classi elevate: il gusto barocco si riflette nei fronzoli complicati e nei gioielli di forme bizzarre, tra i quali spicca l'orologio; la biancheria - camicie e deshabillés - diventa sempre più raffinata e costosa, spesso di tela di Olanda (il popolo la portava di canapa); si arriva al fanatismo per il merletto di Venezia, ornamento indispensabile ai due sessi, il cui monopolio era ferocemente custodito e ferocemente insidiato alla repubblica e per il quale si spendevano milioni. Per l'ingresso di Cristina di Svezia a Roma la Congregazione dei riti stabilisce che ogni dama del corteo abbia un abito da 5000 a 6000 scudi con un seguito di 36 persone con abiti da 500 a 600 scudi! È tuttavia assai significativo che le ultime leggi suntuarie siano dei primi anni del 1700.
La moda del tempo, che ci fa pensare ai personaggi dei Promessi Sposi, è più elegante nelle fogge maschili che in quelle femminili. Gli uomini assumono pose spavalde "alla moschettiera", con la giubba a rovesci attillata alla vita e allargata ai fianchi, sulle brache ampie, l'una e le altre di velluto o di panno a tinte unite, il largo feltro piumato e il mantello corto, i guantoni e gli stivaloni di cuoio, l'acconciatura a capelli molto lunghi con i baffi e il pizzo inaugurata da Enrico III, lo spadone a lato e il bastone in mano. Le donne sono chiuse invece in un abito intero e rigido dalla linea a campana, con le maniche più larghe alla spalla; inalberano berretti di velluto con piume appena posati sulla testa, con pettinature semplici che arrivano al tentativo di capelli corti e ricciuti "alla Maria de' Medici". Caratteristica inconfondibile dell'epoca nel costume dei due sessi è la gorgiera di lino stirata a cannelli, che chiude il collo o il colletto rovesciato di trina che lo scopre e, per le donne, incornicia la testa, derivazioni di un collaretto inventato dall'inesauribile Caterina e che era stato propagato ugualmente dalle due altrimenti inconciliabili rivali Maria Stuarda ed Elisabetta d'Inghilterra.
Con Luigi XIV, la corte sfarzosa, le grandi favorite, la moda fissò definitivamente a Parigi il suo centro, consacrando quella che sarà per molto tempo la terminologia francese dell'abbigliamento, e, sotto la Reggenza, Luigi XV, Luigi XVI, vi elaborò (non senza la diretta influenza dei sovrani stessi e di artisti come il Watteau e le sue "pastorellerie", che vennero poi favorite dall'atmosfera del Rousseau, e di eleganti come la Pompadour, la Du Barry, Maria Antonietta e la sua famosa modista Bertin) quelle fogge settecentesche, che, ispirate dallo stile squisito dell'epoca, ideate da una nobiltà raffinata preoccupata solo di piacere e di godere, furono fra le più eleganti e abili che mai siano esistite, prestandosi come nessun'altra a mettere in rilievo i pregi e a mascherare gli eventuali difetti fisici e dell'età. Sono per le donne, che amano accostarsi al tipo estetico petite marquise, i corpetti stretti alla vita e alti di busto, dall'ampia scollatura rivelatrice e dalle maniche brevi, la gonna lunga cui si sovrappongono sui fianchi i paniers o guardinfanti sempre più ampî, capaci per contrasto di snellire qualunge figura e di celare perfino la gravidanza, le grazie delle seriche stoffe delicate, dei nodi di nastro o di velluto nero, dei mazzolini di fiori; per gli uomini, che non furono mai così effeminati, l'attillata redingote (velada), elaborata da un costume di caccia inglese, di seta a fiorami, il gilet (panciotto) ancor più ricco, le culottes corte di raso e le calze di seta. "Giovini signori" e belle dame portano con uguale civetteria i capelli incipriati o le parrucche bianche (altissime e complicate fino al ridicolo per le donne, basse con i riccioli laterali e il "codino" con nastro di velluto nero per gli uomini, che vanno sbarbati); alzano esageratamente, per conservare le proporzioni, i tacchi, rossi per i nobili, delle loro scarpine di vernice fibbiate; ostentano lo jabot (la "gala") e i paramani di trina e si coprono per uscire - superbia e intrigo - col mantello nero a mantelline, il tricorno e la maschera. E se gli uni portano a leggiadro gingillo lo spadino e le altre il ventaglio che le aiuta a sopportare il tormento del busto troppo stretto, entrambi conoscono le eleganze dell'epoca (manicotto, occhialino e tabacchiera) e spingono fino all'esagerazione gli artifici della toletta.
In Italia il centro dell'eleganza è Venezia, che continua la sua tradizione di buon gusto con la moda chiamata goldoniana, differente alquanto da quella francese soprattutto nel costume femminile, che presenta panieri più lunghi e schiacciati, parrucche e pettinature più basse e più semplici, quali favorì poi in Francia Maria Antonietta, e la graziosa bizzarria della bautta di trina nera, che cela la parte inferiore del volto.
Toccava alla rivoluzione francese spazzare quelle frivole eleganze e rendere momentaneamente generale, non senza qualche particolare ispirato dai tempi come il nastro rosso "alla ghigliottina", stigmatizzato dal Parini, quello che era prima l'abbigliamento delle classi inferiori: senza cipria e senza parrucche, senza tacchi alti né trine, con stoffe più modeste e linee più semplici, che acconciava gli uomini con i capelli corti e il bicorno e cingeva graziosamente i busti delle donne col fichu di lino bianco incrociato sul corpetto, incorniciandone il viso con la cuffia a volanti. L'orma nuova però che essa imprimeva nella storia della moda riguardava piuttosto l'abbigliamento maschile, che segnava l'inizio del costume moderno con una riforma generale nel senso della sobrietà del taglio e del materiale, del colore e degli ornamenti - il che ha reso da allora più lento il ritmo della moda maschile in confronto a quella femminile - e con l'introduzione d'importanti novità quali il cappello a cilindro (1793-97), il soprabito abbottonato, di cui pare precursore Carlo II d'Inghilterra, e i pantaloni lunghi, opposti dai sans-culottes alle brache dei nobili, di nome e di origine veneziani.
Il gusto neoclassico e la sbrigliatezza di vita che accompagnarono l'epoca napoleonica influirono anche sulla moda ispirando direttamente l'audace costume delle merveilleuses del Direttorio, dalle tuniche leggiere ricamate a palmette, altissime di cintura e amplissime di scollatura, accompagnate dalle scarpe a sandalo, dai gioielli di cammei, accanto alle graziose novità degli alti bastoni, delle sciarpe svolazzanti e dei cappelli a larga visiera annodati sotto il mento, mentre più tardi, sotto l'Impero, la fusione delle fogge classicheggianti con giubbetti "alla Spencer", ornamenti e copricapi ispirati dalle uniformi militari fecero cadere la moda in un certo goffo cattivo gusto che perdurò anche durante la Restaurazione, quando, con gli strascichi "Luigi Filippo", in cui "la minor cosa era la donna", si ripresero alcune infelici creazioni dell'epoca della Reggenza, come le stole di pelliccia palatine, creazione della duchessa d'Orléans e quegli enormi cappelli piumati destinati a molte filiazioni. Dominarono la moda dei loro tempi prima la bella Madame Tallien, poi l'imperatrice Giuseppina, celebre per le costose eleganze, la cui figura alta, snella e bruna e di tipo veramente classico era particolarmente adatta a quel costume: ella lasciò un'influenza durevole nell'arte della truccatura, che divenne più semplice e abile in confronto alle spesso ingenue esagerazioni dei tempi precedenti, nonché (ed era tempo) in una cura più raffinata dell'igiene della persona. Anche gli uomini passarono, pur con minori mutamenti, dalle passeggere squisitezze degli incroyables del Direttorio all'affettazione della trascuratezza e del piglio militaresco e arrivarono, con le loro brillanti uniformi, con i loro soprabiti e cappelli napoleonici, con i loro gambali a rovesci e i loro capelli volutamente lunghi e scompigliati "alla Brutus" o "a colpo di vento", alle pallide eleganze romantiche del primo Ottocento.
È il costume fine e aggraziato che ci è caro perché è quello del nostro Risorgimento e che ebbe il suo centro in Inghilterra, baluardo della nuova poesia e culla di eleganti, che diedero da allora alla loro nazione (valendosi dell'abilità tradizionale e finora insuperata dei sarti italiani) il predominio della moda maschile: campeggia fra essi George Brummel (1778-1840), il re dei dandies, il creatore dell'abito da sera, il quale stabilì il tipo di eleganza che nasce non dall'appariscenza ma dalla perfezione del taglio, dalla cura dei minimi particolari e dalla suprema correttezza del portamento. Mentre gli uomini non modificano dunque se non i particolari del loro abbigliamento e della loro acconciatura, con i pantaloni chiari tortora o grigio-perla, con gli alti cravattoni di seta nera che fasciano il collo, con l'orologio pendente "alla castellana" con i capelli lunghi che suggeriscono gli "anti-macassars" a protezione degli schienali, con baffi, pizzo e basette, le donne creano, in reazione al neoclassicismo, una moda del tutto nuova, che fa seguire "una generazione di matrone a una generazione di ninfe": essa è caratterizzata dalla crinolina, l'ampia gonna sorretta da cerchi di vimini, dai corpetti attillati a grandi maniche lavorate, accollati per gli abiti da passeggio e dalla scollatura rotonda e bassa, non priva di arditezza, per gli abiti da sera; dalle capotes guernite nella sottofalda e legate sotto il mento, dagli scialli di lana Kashmir e dalle ampie giacche rigide "alla Malakoff", dagli stivaletti "alla polacca", dai mezzi guanti di filo traforati (le mitaines), dagli ombrellini minuscoli a manico lunghissimo. La pettinatura modesta con la scriminatura nel mezzo, i boccoli ai lati, e un semplice nodo sollevato sulla nuca, ornata se mai di fiori freschi o artificiali, l'assenza di rossetto, l'usanza di tenere in mano un fazzoletto pronto per le lacrime contribuivano all'aspetto casto, malinconico e languido che il gusto del tempo esigeva. Si crea allora anche una moda speciale per i bambini, che prima si erano sempre abbigliati come grandi in miniatura, e si vestono i maschietti alla scozzese, le femminucce con i graziosi pantaloncini guerniti che sporgono dalle sottane. La nuova civiltà industriale, allora ai suoi albori, comincia intanto a manifestare i suoi primi effetti: l'uso di tessuti nobili come la seta e il velluto si era esteso sempre di più anche per le classi meno elevate; ora vi si aggiungono stoffe nuove di lana inglese, "merino", "alpagà", "popeline" e costosissime "indiane" e "mussoline" fatte col primo cotone d'America, grande lusso dell'epoca; gl'indumenti di biancheria si moltiplicano e si complicano; si generalizzano le maglie e le calze a macchina. Né l'Italia manca di contribuire a questo progresso, ché, solo per citare casi particolari, fino dal 1758, Raimondo di Sangro principe di Sansevero aveva presentato al re di Napoli un panno impermeabile e nel 1839 moriva a Signa Domenico Sebastiano Michelacci bolognese "il quale prima di tutti vendette cappelli da sole agl'inglesi", intelligente organizzatore dell'industria della paglia in Toscana. Durante il Secondo Impero regnò su questa moda, che si suol chiamare "1830", ma che durò in realtà fino intorno al '70, la bellissima imperatrice di Francia Eugenia (di cui fu sola rivale l'italiana contessa di Castiglione), che introdusse la crinolina a volanti e le larghe capelines appunto di paglia di Firenze, e pensò per prima alla presentazione delle mode su un modello vivente: ella è rimasta sinora l'ultima individualità femminile caratteristica capace d'imprimere un segno proprio all'eleganza di un'epoca.
Nell'ultimo Ottocento la democratizzazione della società e la decadenza dell'arte decorativa si rifletterono sulla moda, che diventò, da aristocratica, borghese e che (malgrado le nuove idee e le nuove materie prime offerte dalle industrie, che d'altronde, se rendevano possibile una maggiore varietà abbassavano con le imitazioni il livello estetico) risentì anch'essa della mancanza di uno stile direttivo e cadde in una confusione del peggiore cattivo gusto, dove l'assenza di una "linea", l'eccesso di fronzoli e varie stravaganze goffe e antigieniche concorsero a rendere quanto mai brutto sia l'abbigliamento femminile - con i busti troppo stretti, le forme troppo pronu̇nciate (come fu col famigerato "sellino"), le scarpe troppo appuntite o con i tacchi troppo alti, i cappelli troppo piccoli o troppo larghi, le vesti troppo lunghe e così via - sia l'abbigliamento maschile, salvo che per gl'immutati vestiti da sera, con le giacchettine striminzite, gli alti colletti duri e la cravattina, i nuovi cappotti "Ulster", padri degl'impermeabili, le nuove fogge di cappelli "Derby" o "alla Lobbia" e le nuove acconciature del capo che consacravano i capelli corti e i baffi.
Si delineano intanto alcuni aspetti nuovi del fenomeno moda: con il livellamento delle classi e l'elevarsi della civiltà, con l'aumentare vertiginoso del progresso industriale e dei traffici, la moda tende sempre più a una rapida assimilazione e a un generale conguagliamento di forme e, fino a un certo punto, di raffinatezza, fra le nazioni anche extraeuropee, nella società e occasionalmente anche fra i sessi. Non è più così facile distinguere ora come un tempo la cittadinanza di una persona solo dal suo abbigliamento. Se una statistica ci dice, per es., che negli ultimi 150 anni l'importazione del cotone è aumentata di milioni di chilogrammi, intendiamo che la biancheria è diventata da lusso necessità anche per le classi modeste (le classi ricche adottano la novità della seta colorata) e nessuno si scandalizza più se le donne si vestono da uomo per necessità di lavoro o di sport che abbiano in comune con l'uomo. Viceversa il ritmo del mutamento è molto più rapido che nel passato e più vario nell'applicazione delle fogge alle varie circostanze e perfino alle varie ore della giornata: si può calcolarlo di una diecina di anni per le linee generali (prima erano quarti di secolo e più) e di un anno, quando non di una stagione, per i particolari. Inoltre la crescente importanza dell'industria aumenta le possibilità dei grandi sarti d'influire sulla creazione della moda, sempre che non urtino contro le esigenze del tempo e che si valgano per lanciarla, più che della collaborazione compensata delle modelle, di quella spontanea delle eleganti: fallirono per questi difetti i tentativi stonati o prematuri della jupe-culotte di Bechov e David, che comparve anche in Italia (1911), del vestito universale provocato con un concorso dall'americana Miss Landons (1915), come, da ultimo, quello del De Waleffe in Francia per il ritorno ai calzoni corti.
Dal principio del secolo accennava a scuotersi l'autorità suprema di Parigi in fatto di moda, sorgeva l'astro nuovo di Vienna e dalla sportiva Inghilterra e dall'America partiva un rinnovamento su un indirizzo di maggior sanità e praticità, col costume tailleur, i tacchi bassi, il busto riformato per le donne; con le nuove fogge maschili più sciolte ed eleganti anche nel ritorno al costume del viso rasato; sennonché gli squilibri della guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra portarono il movimento all'esagerazione, soprattutto, come suole avvenire, nella moda femminile. Si vide così la donna dai modi e dall'aspetto mascolinizzati, dai capelli corti, dagl'indumenti ridotti ai minimi termini, fino alla creazione del "costume da bagno invisibile" (Deauville 1932): tipo che culminò nella deformazione fisica e morale della "donna-crisi", che, rinunciando alle sue forme, disertava dal suo compito naturale di maternità senza del resto guadagnare in estetica. Dall'Italia fascista è partita la reazione anche in questo campo, per favorire un tipo estetico femminile dalla sana ed elegante semplicità e per imprimere alla moda un'impronta nazionale, non certo allo scopo di creare un "costume" ma per sciogliere la nazione una volta per sempre dal preconcetto "che la roba forastiera sia meglio di quella italiana", rimproverata già dal Goldoni alle Femmine puntigliose (1750).
Furono a tale scopo istituiti l'Ente nazionale della moda e le mostre periodiche di Torino.
Bibl.: Interpretazioni della moda: J. Swift, Tale of a Tub, Londra 1704; A. Smith, Theory of Moral Sentiments, Londra 1750; G. Leopardi, Dialogo della Moda e della Morte in Operette morali; Th. Carlyle, Sartor resartus, Londra 1833 (trad. it., Bari 1910); J. Barbey d'Aurevilly, Du dandysme et de G. Brummel, Parigi 1875; H. de Balzac, Traité de la vie élégante, Physiologie de la toilette, De la cravate, Études des moeurs par les gants, in Œuvres, Parigi 1885-88; H. Baudrillart, Des caractères du luxe dans la société moderne, Parigi 1873; E. Grosse, Die Anfänge der Kunst, Friburgo in B. 1894; L. Roger-Milès, Comment discerner les styles, du VIIIe au XIXe siècle. Études pratiques sur les formes et les variations propres à déterminer les caractères des styles dans le costume et dans la mode. L'uniforme, le costume civil, le costume professionnel, Parigi 1898; F. Squillace, La moda, Milano 1912; A. Panzini, La penultima moda, Roma 1930; C. Giardini, Decadenza dell'eleganza, Milano 1930.
Trattazioni generali (dove si troveranno citate molte delle innumerevoli monografie): A. Botlinger, Sabina, Lipsia 1806; Abbé de Vertot, Mémoire sur les lois sumptuaires, Parigi 1806; G. Ferrario, Il costume antico e moderno di tutti i popoli, Milano 1826-34; A. Becker, Gallus, Lipsia 1849; P. Lacroix, Costumes historiques de la France, I, Parigi 1852; C. Bonnard e P. Mercuri, Costuems historiques des XIIe, XIIIe, XIVe et XVe siècles, voll. 3, Parigi 1859-63; C. Kohler, Die Trachten der Völker in Bild und Schnitt, Dresda 1871; Pauquet Frères, Modes et costumes historiques et étrangers, Parigi 1873; A. Brüll, Trachten der Juden im nachbiblischen Alterthume, Berlino 1873; E. Lechevalier-Chevignard e G. Duplessis, Costumes historiques des XVIe, XVIIe et XVIIIe siècles, voll. 2, Parigi 1873; E. Viollet-le-Duc, Dictionnaire du mobilier français, voll. 3-4 (per il Medioevo), Parigi 1874-75; J. Quicherat, Histoire du costume en France, Parigi 1875; J. R. Planché, Cyclopaedia of costume, Londra 1876; L. Henzey, Histoire du costume antique, Parigi 1876; R. Jacquemin, Histoire générale des costumes civils, religieux et militaires du IVe au XIXe siècle, Parigi 1879; G. Bardin, Le vêtement et l'habillement des deux sexes à l'Exposition Univesrelle de 1878, ivi 1879; J. Marquardt, Das Privatleben der Römer, Lipsia 1879-82; H. Weiss, Kostümkunde, Stoccarda 1881; A. Kretschmer e C. Rohrbach, Costume of all ages, Londra 1882; J. Falke, Costümgeschichte der Culturvölker, Stoccarda 1882; F. Hottenroth, Haus-, Feld- und Kriegsgeräthschaften der Völker alter und neuer Zeit, 2ª ed., voll. 2, Stoccarda 1885-88; J. Puiggari, Monografia histórica y iconográfica del traje, Barcellona 1886; C. Blanc, L'art dans la parure et dans le vêtement, Parigi 1887; A. Racinet, Le costume historique, Parigi 1888; J. H. von Hefner-Alteneck, Trachten, Kunstwerke und Geräthschaften vom frühen Mittelalter bis Ende des 18. Jahrhunderts, nach gleichzeitigen Originalen, 3ª ed., voll. 9, Francoforte s. M. 1889-90; W. M. Müller, Life in ancient Egypt, Londra 1894; T. Child, Studies in the Coiffures and Ornaments of Women (Ancient Egypt to Modern Times), Londra 1895; H. Stratz, Die Frauenkleidung und ihre natürliche Entwicklung, Stoccarda 1904; Das Kostüm in Vergangenheit und Gegenwart, a cura di G. Buss, Lipsia 1906; E. Meyer, Sumerien und Semiten in Babilonien, Berlino 1906; M. v. Böhn, Die Mode, Monaco 1907-08; E. B. Abrahams, Greek Dress, Londra 1908; S. H. Dichett, Historic Costumes' influence on Modern Fashions, Washington 1920; P. L. de Giafferri, Histoire du costume féminin français, Parigi 1922; id., Histoire du costume féminin mondial, ivi 1927; id., Histoire du costume masculin français de 420 à 1870, ivi 1927; H. Norris, Costume and Fashion (The Evolution of European Dress through the Earlier Ages), New Jesey (U.S.A.) 1924; F. Bargagli-Petrucci, Storia delle arti decorative e applicate, Bologna 1924; F. M. Kelly e R. Schwabe, Historic Costume: a chronicle of Fashion in Western Europe (1490-1790), Londra 1925; J. Rosenberg, The Design and Development of Costume from Prehistoric Times up to the 20th Century, Londra 1925; R. Genoni, Storia della moda, I: Dalla preistoria alla Grecia antica, Bergamo 1925; E. von Sichart, Praktische Kostümkunde, Monaco 1926.
Per l'Italia del Rinascimento cfr. specialmente: L. Belgrano, Vita privata dei Genovesi, Genova 1875; A. Luzio e R. Renier, Mantova e Urbino (Isabella d'Este ed Elisabetta Gonzaga), Torino 1893; F. T. Perrens, La civilisation florentine du XIIIe au XVIe siècle, Parigi 1893; F. Malaguzzi-Valeri, La Corte di Ludovico il Moro, Milano 1913; H. Floerke, Der Mensch der Renaissance und seine Kleidung, Monaco 1917; P. Molmenti, Storia di Venezia nella vita privata, Bergamo 1927; L. Frati, La vita privata in Bologna dal sec. XIII al XVII, Bologna 1928.
Vedi inoltre: C. Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo, Venezia 1590; G. Franco, Habiti d'uomini et donne Veneziane, Venezia 1610; O. Ferrario, De re vestiaria lib. VII, Pavia 1685; Greuze, Divers habillements suivant le costume de l'Italie, Parigi 1768; Fabri, Raccolta di varii vestimenti ed arti del regno di Napoli, Napoli 1773; E. Calderini, I costumi popolari italiani, Milano 1934.
Fra le molte raccolte di pubblicazioni, stampe, figurini e disegni sulla moda citiamo la Lipperheider a Berlino, la Witt a Londra, la Massana a Barcellona, la Lafitte-Désirat a Parigi (bambole vestite secondo la moda dal 1900 ad oggi) e, per l'Italia, quella ricchissima (dal '500 ad oggi) in preparazione presso l'Ente della moda a Torino: con l'avvertenza però che tutta la documentazione che non sia diretta o fotografica, e perfino dei giornali di moda, deve essere considerata con cautela, manifestando spesso più la fantasia degli artisti o i desiderata degl'industriali che la moda veramente corrente.