MINERVA (Minerva)
Divinità italica, assimilata all'Atena greca. In origine, con tutta probabilità, non faceva parte del pantheon delle divinità indigeti. Il suo nome, infatti, non appare nei più antichi calendarî romani.
L'etimologia del nome è di difficile determinazione (nominis in dubio causa est, Ovid., Fasti, iii, 839). Fra le soluzioni proposte fin dall'antichità, è da respingere senza altro quella di Cicerone (De nat. deorum, ii, 67: ... Minerva autem, quae vel minuere, vel minaretur) mentre si avvicinano probabilmente al vero quelle, assai simili tra loro, di Festo (De verb. sign., 123: Minerva dicta quod bene moneat) e di Arnobio (iii, 31) e S. Agostino (De civit. Dei, vii, 3, da memoria). All'origine sarebbe una radice menes (che dà in latino mens - moneo memini) da cui si passerebbe a Menesoā e infine, col rotacismo intervocalico, a Menerua. Questa infatti, e non Minerva, è la forma che appare nel latino arcaico.
Quanto all'origine del culto, essa non è, probabilmente, né latina, né etrusca. Ovidio ritiene che provenga da Faleri (Fasti, iii, 843 s.), a causa del tempio di Minerva Capta esistente sul Celio, nel quale dopo la presa di quella città (nel 211) sarebbe stato portato un antichissimo simulacro della dea. Ed effettivamente a Faleri il culto è attestato da iscrizioni arcaiche.
Un'altra tradizione, invece, che lo fa derivare dalla Sabina (Varr., De ling. Lat., v, 74), sarebbe confermata dalla presenza sul Quirinale, tradizionalmente occupato da popolazioni sabine, di un Capitolium vetus antecedente al tempio di Giove Capitolino e, come questo, dedicato alla triade Giove, Giunone, M., tanto più che pare ormai certo che questa triade non sia di origine etrusca.
Durante la Repubblica esistevano in Roma numerosi templi dedicati a Minerva. Oltre a quello di M. Capta e ai due consacrati alla triade capitolina, cui si è già accennato, i più importanti erano: il tempio dell'Aventino, che doveva essere uno dei più antichi. Un frammento della Forma Urbis ce ne ha conservata la pianta (Carettoni-Colini-Cozza-Gatti, La pianta marmorea di Roma antica, tav. xxiii, fr. 22). Esso costituiva la sede del Collegium scribarum histrionumque fin dal 207 a. C. (Festo, 333). Il giorno della dedicazione era il 19 marzo, corrispondente alla festa dei Collegia artificum, i Quinquatrus. In questo giorno anche le scuole facevano festa e gli scolari offrivano ai maestri un dono detto Minerval o Minervale munus (Macrob., Sat., i, 12, 7).
Il tempio di M. Medica, sull'Esquilino, è stato falsamente identificato dal Nardini con il grande edificio circolare di età tardo-imperiale che passa comunemente sotto questo nome. In realtà, il tempio dovette sorgere nelle vicinanze della via Merulana, dove nel 1887 furono scoperti degli avanzi, insieme con una stipe. Fra l'altro, apparve anche l'orlo di un vaso con la scritta Me]nerva dono de[dit in caratteri arcaici, oltre ad una statuetta e ad una testa della dea.
In età imperiale, altri templi furono dedicati a Minerva. A questo riguardo, particolare interesse ha l'attività edificatoria di Domiziano. Sappiamo infatti dalle fonti come egli praticasse un culto vivissimo per la dea. A lui sono dovuti il tempio di M. Chalcidica nel Campo Marzio (anch'esso presente nei frammenti della Forma Urbis, La Pianta marmorea di Roma antica cit., tav. 31); il rifacimento dell'Atrium Minervae nel Foro; il tempio del Foro di Nerva o Transitorio, demolito da Paolo V.
Fuori di Roma i più celebri santuarî della dea erano quello del Promunturium Minervae presso Sorrento, e l'altro, dedicato a M. Memor o M. Medica Cabardiacensis nei dintorni di Piacenza.
M. è identificata con Nerio, che nella tradizione romana è la compagna di Marte, e con Bellona. Inoltre, è unita spesso ad altre divinità: oltre alla Triade Capitolina, abbiamo notizia di una associazione con Nettuno (ad imitazione della coppia Atena-Posidone) fatta nel Lectisternium del 217 a. C. (Liv., xxii, 10, 9) e di una triade M., Marte e Lua quibus spolia hostium dicare ius fasque est (Liv., xlv, 33, 2).
Per quanto riguarda l'iconografia, infine, la M. italica e romana in nulla si distingue dall'Atena greca, e ciò si può notare anche nelle più antiche rappresentazioni che ne abbiamo, risalenti alla fine del VI sec., come la testina prqveniente dalla stipe del Capitolium di Signia, o il gruppo in terracotta rappresentante la triade capitolina, dal tempio della Mater Matuta di Satrico.
Una modificazione e un adattamento degli originari schemi ellenistici appare forse nei rilievi del Foro Transitorio, dove sono rappresentate, piuttosto che scene del mito di Aracne, vari mestieri femminili attinenti al culto della dea.
Piuttosto rielaborata appare anche la rappresentazione di M. che si vede in uno dei rilievi della Cancelleria, pure di età domizianea. In base al confronto con una moneta di Domiziano il Castagnoli ha avanzato l'ipotesi che si tratti del tipo della M. Chalcidica.
Monumenti considerati. - Statuetta dalla stipe del Capitolium di Signia: R. Delbrück, Das Capitolium von Signia, Roma 1903, p. 13, tav. vi. Gruppo con triade capitolina da Satrico: A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma 1918, pp. 161, 276. Rilievi del Foro Transitorio: P. H. von Blanckenhagen, Flavische Architektur und ihre Dekoration. Untersucht am Nervaforum, Berlino 1940, tavv. xxxviii-xlii. Moneta domizianea col tipo della M. Chalcidica: F. Castagnoli, in Arch. Class., 1961, tav. xxxv, 3. Rilievi della Cancelleria: F. Magi, I rilievi Flavi del Palazzo della Cancelleria, Roma 1945, tavv. i, ii, vi, xi.
Bibl.: G. Fougères, in Dict. Ant., s. v.; Preller-Jordan, Röm. Mythol., I, Berlino 1858, 289 ss.; id., Religion und Kultus der Römer, Monaco 1912, p. 252, n. 39; Bull. Com., 1887, p. 154 ss.; Not. Scavi, 1887, p. 179 ss., 446; 1888, p. 60, 133, 699; G. Wissowa, in Roscher, II, 2, 1894-97, c. 2882 ss., s. v.; F. Altheim, in Pauly-Wissowa, XV, 1931, c. 1774 ss., s. v.; G. Lugli, I monum. antichi di Roma e suburbio, III, 1938, pp. 110, 389, 535, 577; id., Roma antica, Il centro monumentale, Roma 1946, p. 191, 274; O. Terrosi-Zanco, Divinità sabine o divinità etrusche?, in Studi Class. e Orientali, X, 1961, p. 190 ss.