MILIARIO
. Cippus o lapis (miliarius), come lo chiamavano i Romani, posto lungo le strade di maggior percorso a indicare la distanza progressiva per ogni miglio (circa 1480 metri). Quest'uso è certo di molto anteriore a Gaio Gracco, designato da Plutarco come inventore di esso. Appare maggiormente probabile che Gaio Gracco desse soltanto forma legale, o generalizzasse a tutte le strade consolari il sistema iniziato da Appio Claudio sulla via Appia. Infatti, fino dal tempo dello storico Polibio, la via Domizia, fra i Pirenei e il Rodano, era limitata da cippi e così pure la via costiera fra Rimini e Aquileia.
I lapides miliarii hanno generalmente la forma di una colonnetta, alta da m. 1,50 a m. 2 e del diametro di circa 60 cm.; l'iscrizione è incisa sulla superficie laterale verso l'alto e porta il nome dei magistrati, o dell'imperatore, che costruirono o restaurarono la via, e il numero del miglio; dapprima semplici e senza alcuna sagoma, divengono poi adorni con una cornice in alto e portano l'iscrizione entro una specie di cartello. In Italia il calcolo delle distanze si faceva generalmente a partire da Roma, per le vie che dipendevano direttamente dallo stato, fino a una città di particolare importanza, che costituiva la meta primitiva della via stessa; p. es., l'Appia aveva una numerazione continua fino a Benevento, poi ricominciava il calcolo di là fino a Brindisi. Nelle provincie, tale calcolo si faceva fra due città principali e s'indicava di solito nell'iscrizione la città di partenza: a Caesarea, a Baete.
Il centro ideale, dal quale irradiavano tutte le strade dell'impero romano, era il miliarium aureum nel Foro, una colonna posta fra i rostri e il tempio di Saturno, sulla quale erano incise, in caratteri di bronzo dorato, le principali distanze fra la capitale e i confini dell'impero. Il computo effettivo delle distanze non avveniva però dal miliario del Foro, bensì dalle porte del recinto serviano.
Bibl.: Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités romaines, III, ii, p. 1897 segg.; Cagnat e Chapot, Manuel d'archéologie romaine, I, Parigi 1916, p. 50 segg.