MILAZZO (lat. Mylae; A. T., 27-28-29)
Città della provincia di Messina, la quale sorge sul collo di una penisoletta, protesa nel mare, per circa 7 km., fino al capo dello stesso nome. Proprio sull'istmo è la città piana, che è la più moderna, con un piccolo porto e una bella passeggiata sul mare. La città alta - che sino alla prima metà del sec. XIX costituiva la città murata (presso il Castello) e il Subborgo, digradante a SE. - è assai più antica e presenta un maggiore interesse. Il Castello, nel punto più elevato della penisola (97 m. s. m.) e nell'aspetto preso più nell'età spagnola che in quella angioino-aragonese, attrae principalmente il visitatore. Ma la città ora ha anche notevole importanza economica, sia per i prodotti agricoli (agrumi, olio, vino) che esporta largamente, sia per alcune industrie che vi si sono sviluppate. Ricordiamo la fabbricazione del solfuro di carbonio e, in genere, gli stabilimenti di prodotti chimici, i varî pastifici e i tre grandi mulini. Il porto è attivo soprattutto per il traffico dei prodotti vinicoli e agrumarî e per le comunicazioni con le isole Eolie. Milazzo aveva intorno a 5000 ab. nell'età spagnola, e un secolo fa non raggiungeva ancora i 10.000 (1831: abitanti 9206). Ma nel 1912 gli abitanti del comune erano già 20.454 e nel 1931 risultarono 19.141, dei quali nel centro 11.464. Il territorio comunale (kmq. 25,34) si stende sul lato occidentale dell'ampio golfo detto di Milazzo.
Storia. - Milazzo fu originariamente, col nome di Mile (Μύλαι), colonia greca di Zancle (Messana) e dipendente da questa città, alla quale si sottrasse per breve tempo durante la campagna degli Ateniesi in Sicilia (426 a. C.) e sotto Agatocle (315). Nelle vicinanze di essa, avvennero la battaglia di Longano (266), quella vinta dal console romano Duilio contro i Cartaginesi (260), la battaglia vinta da Agrippa contro Sesto Pompeo (36). In quel tempo, Mile continuava a dipendere da Messana; ma alla metà del primo secolo dell'impero, aveva già acquistato gli ordinarî privilegi municipali delle città siciliane. Dopo la caduta dell'impero, seguì le vicende generali dell'isola e fu spesso, come già prima, teatro di avvenimenti importanti. Nell'889, vi furono sconfitti i Saraceni; nell'agosto 1268, i partigiani di Corradino di Svevia riportarono un successo sugli Angioini. Passata agli Aragonesi, fu nel 1326 devastata dagli Angioini di re Roberto, che anche nel 1341 la fece occupare. Sottomessa nel 1346 da Ludovico d'Aragona re di Sicilia, tentò di ribellarsi, ma tosto fu ridotta all'obbedienza. Nel 1523 fu teatro di un episodio della congiura che prende nome dai fratelli Imperatore. Nel 1718 fu presa dai Tedeschi e assediata dagli Spagnoli; ma l'intervento di Inglesi e Tedeschi la lilberò. Il 20 luglio 1860 Garibaldi vi combatté vittoriosamente col colonnello borbonico Bosco quella battaglia che fu decisiva per la liberazione dell'isola.
Bibl.: G. Piaggia, Illustrazione di Milazzo e studi sulla morale e sui costumi dei villani del suo territorio, Palermo 1856; id., Nuovi studi sulle memorie della città di Milazzo, ivi 1866.
Le battaglie di Milazzo.
La battaglia di Mile (260 a. C.). - Passato appena qualche anno dall'inizio della prima guerra punica, i Romani, riconoscendo di non poter strappare la Sicilia ai Cartaginesi se non vincendoli per mare, posero mano alla costruzione della prima loro grande flotta da guerra, forte di 100 quinqueremi e 20 triremi. Questa fu destinata a uno dei consoli del 260, Gneo Cornelio Scipione, e poi, lasciatosi Gneo sorprendere e catturare in Lipari con una piccola squadra dai Cartaginesi, al collega Gaio Duilio, cui sul prmcipio era stato affidato il comando dell'esercito di terra. Duilio, poco a SO. del capo Peloro nelle acque di Mile, diede ai Cartaginesi la prima grande battaglia che, fu nello stesso tempo, la prima grande vittoria navale romana. I Cartaginesi avevano la superiorità del numero perché i Romani dopo l'avvisaglia di Lipari non disponevano più forse che di un centinaio di navi. I nemici invece si dice ne avessero 120, che non tutte però erano certo quinqueremi; fidavano poi sulla più perfetta costruzione delle loro navi, sul migliore addestramento delle ciurme e sull'abilità manovriera degli ufficiali. Ma i Romani resero vani questi vantaggi con l'uso inopinato dei corvi, specie di ponti levatoi che calavano dalla prua dei loro vascelli sulle navi nemiche permettendo ai loro soldati di marina di passare sul ponte di quelle e di mutare la battaglia marittima in pugna terrestre nella quale il vantaggio toccava ai Romani meglio armati e più assuefatti alla zuffa. Sicché, se la tradizione è fededegna, la ragione del successo sarebbe stata nel non essersi i Cartaginesi aspettati una tale sorpresa e non essersi quindi preparati a contrapporvi gli opportuni avvedimenti. Ma forse l'effetto dei corvi è stato un po' esagerato dalla tradizione. Comunque i Cartaginesi ebbero 30 vascelli catturati oltre la nave ammiraglia, 13 o 14 colati a fondo; 7000 dei loro uomini perirono, 3000 rimasero prigionieri. La tradizione non parla di perdite romane. In ogni modo la vittoria dei Romani fu piena e gloriosa e aperse ad essi la via del dominio del Mediterraneo, non però immediatamente; perché i Cartaginesi avevano potuto salvare una parte ragguardevole della loro armata in Palermo, sicché il console non si credette in grado di muovere con la flotta all'assedio di Palermo o di Lilibeo. Tuttavia egli fu meritamente accolto in patria col primo trionfo navale ed ebbe una colonna rostrata e altri onori straordinarî (v. duilio). L'ammiraglio cartaginese Annibale, che aveva corso pericolo di cadere in mano dei Romani, fu chiamato a Cartagine per la sua sconfitta e deposto.
Questo racconto è desunto da Polibio (I, 22-23), che lo desume a sua volta da Fabio Pittore. Conformi sostanzialmente sono gli accenni più sommarî, che, mancando il testo di Livio, ci dànno le fonti romane derivate in massima da questo scrittore. S'aceorda con la tradizione romana l'epigrafe della colonna rostrata di Duilio che è della prima età imperiale, ma rispecchia un elogio certo molto più antico (Corp. inscr. lat., 2ª ed., 25). Polibio riferisce che prima della battaglia di Mile, Annibale "doppiando il promontorio d'Italia" con una squadra di 50 navi, con cui tentava una ricognizione, s'imbatté inopinatamente nel nemico e perdette la maggior parte della squadra. I critici vedono in questo racconto una relazione attenuata e confusa della battaglia di Mile, desunta probabilmente dallo storico Filino favorevole ai Cartaginesi, non una prima vittoria navale del console, che sarebbe stata di poco inferiore alla seconda. Anche un'altra battaglia antica si combatté nei pressi di Mile (36 a. C.), ma essa è più conosciuta sotto il nome di battaglia di Nauloco (v.).
Bibl.: O. Meltzer, Geschichte der Karthager, II, Berlino 1896, pp. 277 segg., 563 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1916, pp. 128 segg., 226. Per la cronologia, ibid., p. 255. Per la colonna rostrata v. G. Q. Giglioli, in Notizie degli scavi, 1930, p. 346 segg.
Il combattimento del 2o luglio 1860. - Dopo l'entrata dei Mille in Palermo e la capitolazione della città, giungeva il 18 giugno 1860 a Castellammare di Sicilia la spedizione di rinforzo del generale Giacomo Medici. Con questa e con altri contingenti, Garibaldi decideva allora di formare tre colonne, destinate ad attraversare l'isola e a concentrarsi alla punta del Faro: la prima, agli ordini dello stesso Medici, incaricata di percorrere il litorale, con obiettivo Messina; la seconda, con S. Türr, diretta a Caltanissetta e a Catania; la terza con Bixio, per Corleone e Girgenti, a Taormina. Mentre però a queste ultime due era assegnato un compito prevalentemente politico per sollevare le popolazioni e instaurare il governo di Vittorio Emanuele, alla prima, forte di 2000 uomini, spettava disimpegnare anche un'azione militare, sapendosi il forte di Milazzo presidiato da truppe borboniche. Iniziata pertanto la sua marcia, per Cefalù, alla fine di giugno, la prima colonna giunse alla metà di luglio a Barcellona, dove fu rinforzata da altri 1500 volontarî giunti allora in Sicilia con la spedizione Cosenz. Con questi uomini Garibaldi si propose di abbattere l'ostacolo nemico e raggiungere Messina.
La guarnigione di Milazzo, comandata dal colonnello Pironti, contava 4500 uomini, in aiuto dei quali erano già in marcia da Messina 4 battaglioni, uno squadrone e una batteria, agli ordini del colonnello Bosco. Di fronte a questa situazione, il Medici, arrestatosi a Santa Lucia del Mela, inviò il giorno 17 una prima ricognizione a Corriolo (250 volontarî comandati dal Simonetta). Ma il Bosco era già passato ed entrato in Milazzo. A prevenire l'arrivo di altre truppe, Garibaldi decise l'attacco della piazza per la mattina del 20. Questo fu ordinato su due colonne, rispettivamente agli ordini dei colonnelli Simonetta e Malenchini, mentre altri volontarî con il Fabrizi furono posti a sorveglianza dello stradale di Messina. Il Cosenz rimase in riserva a Merì.
Il Malenchini attaccò per il primo, da sinistra, ma accolto da raffiche di fucileria, ripiegò In suo aiuto corse allora il Medici per attirare colà l'attenzione dei borbonici e diminuire sulla destra la pressione nemica. In quel momento Garibaldi, sceso da cavallo, fu circondato da alcuni cavalieri borbonici e dovette la sua salvezza al pronto intervento del Missori. Il provvidenziale arrivo del piroscafo Tüköry, con un battaglione di volontarî, decise le sorti del combattimento. Garibaldi lo vide, lo raggiunse su una barca, lo spinse a tutta velocità contro la spiaggia, producendo un allarme nei difensori. Il Medici ne approfittò, forzando l'attenuata resistenza della destra ed entrò in Milazzo. Il Bosco rifiutò, dapprima, la resa, ma, pressato dal gen. Anzani giunto allora nel porto con una fregata napoletana, finì per accettare la capitolazione. Le perdite dei volontarî erano state di 150 fra morti e feriti, quelle dei borbonici di 126 uomini fuori combattimento.