migrazione
migrazióne s. f. – Fenomeno che ha accompagnato la civiltà dell’uomo, ma negli ultimi decenni è diventata una delle tematiche prioritarie dell’agenda politica di molti paesi. Si tratta di un argomento molto mediatizzato, che incarna perfettamente la liquidità e l’opacità della nostra epoca: difficilmente inquadrabile, in continuo cambiamento. Bisogna sottolineare che non troppa attenzione viene destinata alle m. interne, benché ancora oggi siano stimate in numero superiore a quelle internazionali. I migranti interni sono tornati di attualità anche in Italia con la ricerca di lavoro nelle regioni del Nord da parte dei giovani meridionali qualificati, ma soprattutto continuano a caratterizzare fortemente i paesi in via di sviluppo, dirigendosi dalle aree rurali verso le città (le m. intraregionali in Africa sono il principale movimento di popolazione). Il caso cinese è forse il più significativo: le m. interne coinvolgono, secondo i dati governativi più recenti, 150 milioni di persone, generando un vero stravolgimento del profilo socio-demografico del paese. Nondimeno, le m. internazionali e la loro crescente articolazione sono un tema di più vivo interesse al punto che gli ultimi decenni sono stati definiti dai sociologi S. Castles e M.J. Miller come «l’era delle migrazioni», nonostante, in realtà, la maggior quantità di spostamenti si sia vissuta nelle m. transoceaniche tra fine Ottocento e inizio Novecento. Già a partire dagli anni Ottanta del 20° secolo, e in maniera più significativa nell’ultimo decennio, infatti, le m. assumono un carattere globale toccando molti punti di partenza e di arrivo, creando diversi sistemi migratori, accentuando la componente transnazionale e trasformando anche i paesaggi dei luoghi di transito. Sempre in questa fase si è assistito a una marcata differenziazione dello status dei migranti (temporanei e permanenti, m. volontarie e coatte) e al crescere del protagonismo femminile: le donne, secondo una stima del 2010, rappresentano il 49% del totale dei migranti e in particolare quelle in provenienza dai paesi dell’Europa orientale sono quasi sempre i primomigranti dei nuclei familiari. Un altro aspetto rilevante di questa fase è stato il ruolo assunto dalle politiche interne ai singoli stati e a scala planetaria: in particolare, dopo l’attacco alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 le politiche di tutti gli stati occidentali si sono concentrate sui temi della sicurezza e del controllo delle frontiere più che sulle politiche di integrazione e di promozione dell’interculturalità. In tal senso la 'clandestinizzazione' del fenomeno è aumentata negli ultimi anni e sono cresciuti anche i migranti che, entrati regolarmente, sono poi caduti nell’irregolarità. Nei primi anni del nuovo millennio il numero mondiale dei migranti regolari è passato dai 150 milioni di persone nel 2000 a 214 milioni dieci anni dopo. Una popolazione pari al 3,1% degli abitanti del mondo che, benché non rappresenterebbe che la quinta nazione per numero di abitanti, nella letteratura scientifica sovente è letta come un nuovo continente. Dal 2000 in poi, inoltre, il peso delle m. verso i paesi del mondo occidentale (quasi il 60% nel 2010) ha continuato a crescere rispetto agli attraversamenti di frontiera Sud/Sud che, solo alla fine degli anni Ottanta, erano ancora in maggioranza. Alcuni elementi delle m. tra i paesi in via di sviluppo sono ancora leggibili dall’incidenza percentuale dei migranti regolari sul totale della popolazione dei singoli stati: il Qatar è composto all’87% da stranieri e l’Arabia Saudita per il 70%. Si tratta, come in molti altri paesi della Penisola Arabica, di lavoratori provenienti dal subcontinente indiano e da altri paesi arabi che sono stati impiegati nella costruzione delle recenti opere faraoniche: lo sciopero dei lavoratori edili stranieri di Dubai del 2006 ha acceso l’attenzione sulla loro condizione di vero sfruttamento. Se leggiamo il fenomeno in termini assoluti, invece, i principali poli migratori sono rappresentati dall’Unione Europea, il Nord America e l’Asia pacifica. La gerarchia dei paesi ospitanti è dominata dagli stati appartenenti all’OCSE: gli Stati Uniti continuano a ospitare lo stock maggiore di migranti con circa 42 milioni di stranieri nel 2010 e sono seguiti soprattutto dai paesi europei (in testa la Russia con 12,3 milioni e la Germania con 10 milioni), il Canada e l’Australia, i cui 6 milioni di stranieri rappresentano più di un quarto del totale degli abitanti. Fuori da questo insieme, si distinguono l’Arabia Saudita (7 milioni) e la Repubblica sudafricana (quasi 5 milioni), che è diventato negli ultimi anni il polo più importante d’Africa. Questi primi anni del nuovo millennio hanno anche confermato il ruolo di polo attrattore per i paesi tradizionalmente esportatori di manodopera come l’Irlanda e gli Stati dell’Europa mediterranea (Spagna e Italia soprattutto, ma anche Portogallo e Grecia). Il Mediterraneo, insieme con la linea di confine USA-Messico, incarna la frontiera del Nord del mondo che tenta di frenare i flussi provenienti da Sud. Altri nodi strategici nei flussi migratori sono i corridoi tra la Russia e l’Ucraina e il confine tra il Bangladesh e l’India. In relazione all’aspetto economico – motore principale della mobilità – l’ammontare complessivo delle rimesse è cresciuto esponenzialmente passando dai 132 miliardi di dollari del 2000 ai circa 440 del 2010, pur subendo un leggero declino a causa della crisi economica iniziata nel 2008. Questa fase di difficoltà generalizzata ha rallentato i flussi in tutti i paesi OCSE incrementando i tassi di disoccupazione tra gli stranieri: solo nel 2012 si sono visti i primi segnali di ripresa. In questo scorcio di millennio, anche a causa della crisi economica, le tensioni e i conflitti tra i migranti e le società ospitanti si sono registrate in più parti e gli effetti di una difficile convivenza hanno assunto configurazioni diverse: dalla clamorosa marcia di protesta dei latinos negli Stati Uniti del 2006, alle periodiche tensioni che si registrano nelle disagiate banlieues francesi a opera delle terze generazioni di immigrati, fino alle periodiche ondate xenofobe in Sudafrica, la più drammatica delle quali si è vissuta nel 2008, quando si è scatenata una caccia allo straniero per le strade di Johannesburg. Anche le cronache italiane sono punteggiate di episodi razziali e il crescente peso politico del partito nazionalista Alba dorata in Grecia è misura di questo atteggiamento che ha avuto la sua espressione parossistica nell’eccidio di giovani socialisti in Norvegia per mano di un fondamentalista cristiano contrario al multiculturalismo nel luglio 2011.