mignottocrazia
s. f. (spreg. iron.) I poteri e i benefici ottenuti prostituendosi.
• Il presunto estremismo di girotondi e giustizialisti si riduce nel considerare l’applicazione coerente della Costituzione il programma massimo per oggi e per domani, e la legge eguale per tutti, cioè egualmente garantista (o severa) […] E ogni posto e concorso da assegnare secondo merito, non secondo nepotismo (o peggio, «mignottocrazia», secondo la definizione di un berlusconiano d’annata quale Paolo Guzzanti, vicedirettore di «Il Giornale»). (Paolo Flores d’Arcais, Stampa, 9 luglio 2009, p. 37, Società e Cultura) • La neolingua berlusconiana fa passi da gigante: non contenta di sfornare vocaboli privi di qualsiasi attinenza con la realtà, è passata agli sragionamenti. Un milione di persone, perlopiù donne, manifestano contro la mignottocrazia? (Marco Travaglio, Fatto Quotidiano, 17 febbraio 2011, p. 1, Prima pagina) • Quando si parla di «mignottocrazia» non ci si riferisce alla moralità delle elette nella loro vita privata; ci si riferisce all’eventualità, effettivamente deplorevole, che alcune signore e signorine riscuotano uno stipendio pubblico non per meriti o competenze, ma perché si sono concesse a un uomo di potere. (Michele Serra, Repubblica, 8 febbraio 2013, p. 34, Commenti).
- Composto dal s. f. mignotta con l’aggiunta del confisso -crazia.
- Già attestato nella Stampa del 4 novembre 2008, p. 10, Interno (Jacopo Iacoboni).