ROCCA, Michele
– Noto con il soprannome di Parmigianino o Parmigiano, nacque nel 1666, forse a Parma. La data di nascita è riportata nella biografia di Nicola Pio (1724, 1977, p. 111) ed è confermata dall’iscrizione presente sull’autoritratto dell’artista (Stoccolma, Museo nazionale).
La prima formazione avvenne a Parma, presso Filippo Maria Galletti, pittore di ascendenza cortonesca, da cui «principiò a prendere il disegno e la professione» (ibid.). Sembra che Rocca giungesse a Roma a sedici anni, verso il 1682 (Sestieri, 2004, p. 11), e che vi frequentasse la bottega di Ciro Ferri (Clark, 1970, p. 208). L’apprendistato presso Ferri non appare aver segnato la sua produzione. Rocca fu attento a reinterpretare le lezioni di numerosi pittori quali Filippo Lauri, Carlo Maratti, Francesco Trevisani, Benedetto Luti, Sebastiano Conca, ma anche Luca Giordano, Francesco Solimena, Sebastiano Ricci e Giovanni Antonio Pellegrini (Sestieri, 1973, pp. 84-92).
A seguito del soggiorno romano tornò a Parma, dove il 18 gennaio 1687 fu chiamato per stimare «li quadri di pittura esposti nel lotto di fortuna del signor Giuseppe Attiglio» (p. 95 nota 8). Non è dato sapere quanto si trattenne in città, ma Pio lo ricorda «in patria, dove, con una lunga et esatta applicazione alle pitture del famoso Correggio, si rese perfezionato e bravo pittore» (Pio, 1724, 1977, p. 111).
Nel 1691 fece ritorno a Roma: la sua presenza è attestata, assieme alla moglie Maria Roè di Burgundia, nella parrocchia di S. Salvatore in Onda, dove rimase sino al 1730 (Debenedetti - Pergoli Campanelli, 2001, pp. 60 s.).
Per la chiesa di S. Paolo alla Regola realizzò il S. Francesco riceve le stimmate, datato 1695.
Nella pala, che reca la firma «Michael Rocc. Par/mensis / Pinxit anno / 1695» (ove la locuzione sembra comprovare l’origine parmense dell’artista), non si riscontra quella cifra stilistica che avrebbe maturato in seguito.
Nel 1696 si cimentò in una tela di soggetto mitologico di grandi dimensioni: Bacco e Arianna (Reggio Emilia, collezione privata).
Il dipinto, tra i pochi firmati e datati, denota un linguaggio sospeso tra elementi di tardocortonismo e soluzioni compositive tipiche dell’imperante marattismo.
I padri camilliani gli affidarono nel 1698 la pala dell’altare maggiore di S. Maria Maddalena. Il dipinto, una Maddalena penitente, fu tra le poche opere di tema religioso dell’artista con una destinazione chiesastica.
La tela è stilisticamente contesa tra linguaggi artistici diversi: «sotto l’aspetto espositivo la composizione appare un compromesso tra le tarde influenze barocche, derivanti dal suo alunnato col Ferri […] e la contrapposta lezione del Maratti […]» (Sestieri, 2004, p. 256). Di analogo soggetto, ma di diversa impaginazione, è un’altra Maddalena penitente (collezione privata), anch’essa firmata.
Agli stessi anni risale un’altra delle poche opere cronologicamente definite, la pala firmata di S. Barbara con s. Giuliano confessore, s. Quirico martire e la Ss. Trinità nella chiesa di S. Maria Assunta a Barbarano Romano, eseguita tra il 1698 e il 1704 (Lo Bianco, 1993, pp. 107-120).
Nel 1704 partecipò all’esposizione di S. Salvatore in Lauro con un Ercole e Anteo, una Crocifissione e una Pietà, quale «pittore raccomandato dal signor aggente di Spagna» (Ghezzi, 1987, pp. 185, 189).
Pochi anni dopo, nel 1707, Rocca perse la moglie, da cui non sembra avesse avuto figli (Debenedetti - Pergoli Campanelli, 2001, p. 61 nota 8).
L’artista fu accolto nel 1710 presso i Virtuosi al Pantheon (Bonaccorso - Manfredi, 1998, pp. 70 s.), e all’Accademia di S. Luca nel 1719 (Roma, Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, Registri delle Congregazioni, vol. 47, c. 7v), ove nel 1727 ricevette la carica di «visitatore degli infermi e dei carcerati» (vol. 49, c. 10).
La sua produzione, sin dal Bacco e Arianna, fu caratterizzata da dipinti di destinazione privata, spesso di piccole dimensioni. Il pittore fu attivo per illustri committenti quali il cardinale Pietro Ottoboni, che gli commissionò un S. Mattia, esposto nella mostra di S. Salvatore in Lauro del 1713 (Ghezzi, 1987, p. 283), e il futuro cardinale Carlo Leopoldo Calcagnini (Vicentini, 2016, pp. 226-229, 438-441).
I temi trattati si ripetono spesso, e prevalgono quelli mitologici come la Nascita di Adone, Aci e Galatea e molti Baccanali (come l’esemplare già Briganti). Altri sono tratti da Ludovico Ariosto, quali Angelica e Medoro (Prato, Palazzo comunale, Quadreria comunale) e Rinaldo e Armida (collezione privata), o dalla storia sacra, come La strage degli Innocenti o il S. Sebastiano (entrambi ad Ariccia, palazzo Chigi). Esemplare è il caso della S. Cecilia (Roma, Accademia di S. Luca), di cui esiste un’incisione realizzata da Pieter Tanjè nel 1727, dipinto che conobbe una vasta fortuna attestata da numerose varianti. L’elevata quantità di repliche autografe, e forse di atelier, unitamente a uno stile continuo e uniforme, rende difficile una puntuale datazione della vasta produzione pittorica di Rocca (Sestieri, 2004, p. 9).
Nel 1730 si trasferì assieme al nipote Francesco in casa Longhi, dove visse fino al 1738 (Debenedetti - Pergoli Campanelli, 2001, p. 61 nota 10). Dal 1738 al 1747 non vi è alcuna sua notizia negli Stati delle anime di S. Salvatore in Onda.
Rocca fu visto a Venezia da Matthias Oesterreich nel 1751 «fort vieux et fort décrépit» (Oesterreich, 1770, 1771, p. 164). Sebbene non vi sia alcun riscontro documentario, si può far risalire a tale data la sua morte nella città lagunare.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, Registri delle Congre-gazioni, vol. 47, cc. 7v, 17v, vol. 49, c. 10.
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