LENZI, Michele
Nacque a Bagnoli Irpino, presso Avellino, il 7 luglio 1834, secondo dei cinque figli di Vincenzo e Maria Giuseppa D'Andrea.
Nonostante il parere contrario della famiglia, nel 1850 si trasferì a Napoli e si iscrisse al Real Istituto di belle arti. Esordì alle mostre del Real Museo Borbonico nel 1851 con Un vecchio eremita assiso e tutto assorto nella lettura di un codice manoscritto; nel 1855 vi partecipò con uno Studio di una mezza figura e nel 1859 con l'Interno del Soccorso della chiesa di S. Nicola nella città di Bari (Sica, 1986, cui si fa riferimento nel corso della voce, se non altrimenti indicato).
Studiò disegno con G. Mancinelli e pittura con A. Guerra, i quali lo indirizzarono, attraverso l'esercizio della "copia" (dal Guercino, da A. Turchi detto l'Orbetto, dal Caravaggio) e lo studio dei maestri del passato, verso un classicismo accademico appena rivitalizzato da un sentimento religioso d'intonazione romantica.
Fu sensibile alle proposte di rinnovamento artistico espresse a Napoli dal verismo letterario di D. Morelli, come attesta il dipinto Eremita del 1855 (ubicazione sconosciuta: una replica a Bagnoli Irpino, municipio, sala consiliare), ma anche dal naturalismo analitico di F. Palizzi. Frequentò lo studio di A. Cefaly, punto di ritrovo, tra il 1856 e il 1859, di un gruppo di artisti animati da ideali patriottici e interessati allo studio diretto del vero, tra cui gli stessi Morelli e Palizzi, M. Cammarano, B. Celentano, A. Martelli, M. Tedesco, S. Cucinotta, F. Sagliano.
Dopo aver partecipato, nel 1860, alle imprese garibaldine e alla repressione della reazione sanfedista a San Giovanni Rotondo, si distinse all'Esposizione italiana agraria, industriale e artistica di Firenze del 1861 con Una scuola di bimbi e un'opera di tematica garibaldina ispirata a un verismo anticelebrativo, Un garibaldino che ritorna in famiglia (il bozzetto è ad Avellino in collezione privata), che fu premiata con medaglia d'argento.
Tra il 1861 e il 1864 fu in Calabria ospite di Cefaly a Cortale, con il quale collaborò alla fondazione di una scuola di pittura improntata al naturalismo napoletano e volta a offrire concrete possibilità di riscatto culturale e sociale, contribuendo alla formazione di un linguaggio artistico sovraregionale.
Con il nome di Istituto artistico e letterario (1862) e poi di Società degli artieri (1863), la scuola ebbe come presidente onorario G. Garibaldi e, fino all'anno della sua chiusura, nel 1875, mantenne rapporti con importanti personalità della politica, dell'arte e della cultura dell'epoca, da G. Mazzini a G. Verdi, da S.R. Mercadante a S. Caro, da D. Morelli a F. Palizzi.
Nonostante la lontananza dall'ambiente artistico napoletano, il L. partecipò alle mostre della Società promotrice di belle arti sin dalla prima edizione, nel 1862, quando ripropose un'opera di soggetto garibaldino (L'arrivo del garibaldino) e tre dipinti segnati da un realismo narrativo minuto, affine alle "bambocciate" di G. e D. Induno, condiviso anche da Martelli e Cefaly: Una cucina di frati cappuccini, Interno di una cucina e Scena domestica in Calabria, quest'ultimo di ricordo cortalese come Forno calabrese (1862: Catanzaro, Museo provinciale: ripr. in Sica, 1986, tav. 2), tratto probabilmente da una fotografia. Nel 1863 vi espose Paesaggio calabro insieme con Il racconto della nonna (bozzetto a Bagnoli Irpino, municipio, sala consiliare) e nel 1864 Un villaggio calabrese e Costume calabrese.
Dopo aver partecipato, come tenente della guardia nazionale, alla repressione del brigantaggio a Bagnoli (novembre 1862 - settembre 1863), nel 1865 fece definitivamente ritorno nella città natale, dove iniziò uno stretto rapporto di amicizia e di lavoro con il pittore calabrese Martelli, con il quale condivise lo studio fino al 1886. A Napoli e fuori si affermò con opere d'intonazione domestica e sentimentale, in sintonia con certo intimismo lirico proprio della pittura di G. Toma, conosciuto durante la militanza garibaldina ad Avellino. Tra questi lavori si ricordano: Un racconto al focolare, esposto alla XXIV Promotrice di belle arti di Torino nel 1865; Quod superest date pauperibus e Amor di madre, esposti a Napoli nel 1866 e incentrati sul tema dell'amore materno, ripreso, più tardi, in Il ritratto della mamma (1868-69) e in quadri d'interno come Bimbo malato e Grazie Gesù! (1870: Sica, 1986, pp. 104, 239, figg. 21 s.); I primi passi del fanciullo (Napoli, palazzo della prefettura; una replica, datata 1874, è presso il palazzo della prefettura di Avellino: ibid., tav. 1), l'opera più famosa dell'artista, acquistata dalla Provincia di Napoli alla V Promotrice del 1867 e nuovamente esposta nel 1870 in occasione della solenne Mostra italiana d'arti belle in Parma e nel 1888, dopo la morte del L., alla XXIV Promotrice partenopea. In sintonia con la "teoria della macchia" divulgata da V. Imbriani (La V Promotrice 1867-68, Napoli 1868, pp. 77-84), al quale il L. fu molto vicino (si vedano il Ritratto di Vittorio Imbriani del 1885, conservato a Napoli nel Museo di S. Martino, e S. Pescatori, Lettere e versi inediti di Vittorio Imbriani, Avellino 1929, pp. 7 s., 10, e passim), dal 1870 portò avanti una ricerca più esplicitamente legata al filone romantico del genere paesaggistico, declinato a Napoli sia da N. Palizzi, educato alla pittura della scuola di Barbizon, sia dagli artisti della scuola di Resina sulla scorta della pittura macchiaiola toscana.
Caratterizzati da una tecnica compendiaria tesa a restituire le sensazioni visive ed emotive della realtà, questi lavori erano considerati dall'autore dipinti finiti e non semplici bozzetti, tanto che nel 1871 rifiutò la commissione del Consiglio provinciale di Avellino per un quadro di grandi dimensioni, ricco di dettagli pittoreschi, da realizzare sul modello del Ritorno da Montevergine (ripr. in Sica, 1986, fig. 30): opera esposta dal L. quell'anno alla Mostra artistica industriale di Avellino e raffigurante il ritorno dei pellegrini, nei loro costumi tradizionali, dal noto santuario. Istanze filomacchiaiole sono ravvisabili anche nel Ritratto di Elisa Pescatori-Speranza (1871: ibid., fig. 29) che, premiato con medaglia d'argento nella stessa mostra avellinese, testimonia, insieme con il Ritratto di Giulio Capone bambino (ibid., fig. 20), gli stretti rapporti intercorsi tra il L. e l'ambiente di N. Pescatori, del bibliofilo e agronomo S. Capone e dello stesso Imbriani, con il quale condivise i medesimi interessi per i dialetti, i canti e le storie popolari dell'Irpinia (in XVI conti in dialetto di Avellino, a cura di G. Amalfi, Napoli 1893).
Dal 1873 iniziò, con Martelli, a sperimentare la pittura a fumo su piatti in ceramica o maiolica, secondo la strada solcata da F. Palizzi a Napoli, riuscendo a ottenere la medesima resa della pittura a olio. Un gruppo di trentacinque lavori, tra i quali I rudimenti della calzetta (Bagnoli Irpino, municipio, sala consiliare), tratto dall'omonimo dipinto del L., venne presentato nel 1877 alla XIV Promotrice napoletana, assicurando la fortuna del L. come ceramista (V. Imbriani, L. e Martelli, in La Gazzetta di Avellino, 9 giugno 1877).
Alla mostra, che ebbe carattere nazionale e fu inaugurata da Vittorio Emanuele II nelle sale dell'Accademia di belle arti, il L. espose anche due importanti dipinti: La farfalla intorno al lume, già lodato da S. Cucinotta nel 1872 (La IX Esposizione di belle arti, in La Patria, 19 maggio 1872) e Ricostruzione di un ospizio di ricovero sugli altipiani del Monte Laceno presso Bagnoli Irpino (Avellino, Museo provinciale), che documentava l'ampliamento del pio istituto voluto e intrapreso dallo stesso L. in qualità di consigliere comunale, destinando a tale progetto il ricavato della vendita del quadro (Sica, 1986, tav. 3, fig. 23). Dai numerosi disegni a penna eseguiti dal vero per il dipinto furono tratte alcune incisioni (Il Partenio, Il Terminio, Un ospizio sul poggio del Laceno, La Celica: ibid., figg. 25-28), pubblicate dallo scrittore e politico meridionalista G. Fortunato in Su e giù pel Terminio (in Boll. del Club alpino italiano, XIII [1879], 38, pp. 232-255). Altri disegni del L., riproducenti edifici e scene di vita quotidiana della provincia avellinese, apparvero, invece, nel 1881 nell'Illustrazione italiana (VII [1881], 36, pp. 152 ss.) in un articolo di N. Lazzari su Una festa campestre a Bagnoli Irpino.
Capitano della guardia nazionale nonché consigliere comunale della sua città sin dal 1870-71, nel 1878 il L. venne eletto sindaco di Bagnoli Irpino. Nonostante i nuovi impegni, però, non abbandonò mai del tutto né l'attività artistica né quella espositiva. Nel 1880 restaurò l'affresco quattrocentesco della Vergine con il Bambino (o Madonna di Montevergine) nell'edicola di via Garibaldi a Bagnoli e, per la cappella del Ss. Salvatore, alla cui ricostruzione aveva contribuito personalmente, realizzò nel 1881 un grande pannello ceramico, composto da dodici mattonelle, raffigurante l'Apparizione del ss. Salvatore a s. Guglielmo da Vercelli e s. Giovanni da Matera sul Laceno.
Alla IV Esposizione nazionale di belle arti di Torino inviò sette disegni a fumo su ceramica con paesaggi e scene di genere e di costume fedeli al verismo di matrice palizziana, tra i quali si ricordano: Ponte sul Calore presso Bagnoli Irpino, I rudimenti della calzetta, Asinelli (tratto da un dipinto di F. Palizzi), Costumi di Bagnoli Irpino e Costumi della Calabria. Nel 1883 la principessa Maria Della Rocca (nata Emden-Heine) lo inserì nel volume su L'arte moderna in Italia. Studi, biografie e schizzi (Milano, pp. 119-124).
In qualità di primo cittadino di Bagnoli Irpino conferì la cittadinanza onoraria a G. Fortunato per i suoi scritti dedicati all'Irpinia (1879) e fondò l'istituto professionale del legno, noto con il nome di Scuola di arti e mestieri. Si impegnò attivamente nell'apertura della strada Bagnoli-Laceno e delle provinciali Calore-Ofanto (M. L., Il Comune di Bagnoli Irpino e la via provinciale Calore-Ofanto. Memoria per l'onorevolissimo Consiglio provinciale del Principato Ulteriore, Avellino 1878) e Bagnoli-Acerno. In particolare, dal 1881 al 1886 insieme con S. Capone si batté per la costruzione della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta attraverso la Valle del Calore. Al fine di ottenere l'approvazione del progetto soggiornò a lungo a Roma (1881, 1885), dove frequentò la trattoria del Lepre, allora punto di incontro degli artisti residenti nella capitale, e dove realizzò Il Colosseo (ora a Bagnoli Irpino, municipio, sala consiliare), e ad Avellino (1884, 1886).
Il L. morì a Bagnoli Irpino il 26 giugno 1886.
Fonti e Bibl.: La Prima Mostra d'arte calabrese, (catal., Catanzaro 1912), testo di A. Frangipane, Bergamo 1913, pp. 39 s., 74 n. 195; R. Sica, M. L. (pittore bagnolese dell'Ottocento), Napoli 1986 (con bibl. precedente); Il secondo Ottocento italiano. Le poetiche del vero (catal.), a cura di R. Barilli, Milano 1988, p. 133; M. Picone, in La pittura in Italia. L'Ottocento, II, Milano 1990, pp. 881 s.; I. Valente, in La pittura napoletana dell'Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli 1993, pp. 50, 54 s., 138; T. Sicoli - I. Valente, L'animo e lo sguardo. Pittori calabresi dell'Ottocento di scuola napoletana, Cosenza 1997, pp. 18, 20 s., 26 s., 47, 109; T. Sicoli - I. Valente, Andrea Cefaly e la scuola di Cortale (catal.), Catanzaro 1998, pp. 18, 20, 90 s., 93, 100; R. Sica, Pittori irpini dell'Ottocento, Pratola Serra 2001, pp. 69-91.