MICHELE Dokeianos
MICHELE Dokeianos. – Le prime notizie su M. riguardano la sua partecipazione alla spedizione in Sicilia, dove operò agli ordini del generale Giorgio Maniace inviato nel 1038 dall’imperatore di Costantinopoli, Michele IV, a riconquistare l’isola agli Arabi. Nel corso del 1040, quando la campagna era nel vivo, M. fu nominato catepano d’Italia e nel novembre dello stesso anno lasciò l’isola con una parte delle sue truppe per raggiungere Bari, per prendere possesso del suo nuovo incarico in sostituzione del precedente catepano, Niceforo Dokeianos, ucciso ad Ascoli Satriano il 9 genn. 1040 nel corso di una ribellione delle truppe pugliesi, sostenuta da membri dell’aristocrazia locale.
M., che aveva allora il rango palatino di protospatario, trovò in Italia meridionale una situazione fortemente critica. La rivolta pugliese, seguita anche dall’uccisione di un altro funzionario imperiale, Michele Chirosfacte, e da un tentativo fallito di conquistare Bari, si era aggravata per l’intervento di un avventuriero di origine milanese di nome Arduino. Questi, già al servizio di Giorgio Maniace in Sicilia alla guida di un piccolo contingente di Longobardi e Normanni, ne era stato allontanato per motivi disciplinari. Secondo il cronista Guglielmo di Puglia, Arduino si era apertamente lamentato della parzialità mostrata da M. nel ricompensare le truppe a Reggio, a seguito di una vittoria ottenuta in Sicilia, e di conseguenza era stato punito con la fustigazione, motivo per il quale aveva disertato con i suoi uomini, inutilmente inseguito da un drappello di Bizantini che erano stati sconfitti lasciando una cinquantina di caduti sul campo. Ciò malgrado, qualche tempo più tardi era riuscito a ottenere da M. la nomina a topoteretes, ossia governatore, del territorio di Melfi, insediandosi così nella regione in rivolta. Non tardò tuttavia a congiurare contro l’Impero approfittando della sollevazione dei nobili e del malcontento delle popolazioni locali nei confronti dei Bizantini e, recatosi ad Aversa, dove nel 1030 i Normanni avevano ottenuto una contea dal duca di Napoli Sergio IV, prese contatto con questi per la conquista di Melfi e ottenne da loro un contingente di 300 uomini per dar corso all’operazione, ritenuta proficua per la ricchezza del paese e nello stesso tempo facile, stando a quanto sostengono le fonti favorevoli ai Normanni, a causa della scarsa bellicosità dei Bizantini. L’accordo prevedeva la divisione a metà delle conquiste fra Arduino e i Normanni e, nel 1040, gli alleati entrarono nel corso di una notte nella città prendendone facilmente possesso. I cittadini di Melfi inizialmente fecero resistenza, ma alla fine si lasciarono convincere da Arduino, diversamente dagli abitanti delle città vicine che, spaventati dai saccheggi operati dai Normanni, inviarono una richiesta di aiuto a Michele Dokeianos.
M., arrivato a Bari, aveva punito con la morte gli esponenti della nobiltà rei di aver sostenuto la ribellione e allo stesso modo si comportò più tardi a Bitonto e ad Ascoli dove colpì i responsabili dell’uccisione del catepano Niceforo. Partì quindi alla volta di Melfi per combattere i Normanni al comando di un forte esercito, composto per lo più da soldati del tema orientale degli Opsiciani e da ausiliari russi, senza però attendere di aver riunito tutte le sue truppe, parte delle quali si trovava ancora in Sicilia. Lo scontro ebbe luogo presso Venosa il 17 marzo 1041 e terminò con la completa disfatta degli Imperiali. Certo della vittoria, a motivo della notevole sproporzione numerica, M. aveva intimato con arroganza ai nemici di andarsene per risparmiargli un successo senza gloria, ma contro ogni previsione il suo esercito fu messo in fuga sulle rive del fiume Olivento. Seguendo la loro tattica usuale, i Bizantini attaccarono a ondate successive, alla scopo di indebolire progressivamente il nemico, senza però nulla ottenere contro il suo ardimento e la sua furia bellica. Gli Imperiali furono massacrati o affogarono nel fiume cercando di attraversarlo, mentre M. riuscì a trovare scampo sulle vicine montagne, poste a sudest dalla parte di Montepeloso (Irsina), dove gli ostacoli naturali resero sicuro il suo campo, e lasciò via libera ai Normanni che saccheggiarono le zone circostanti portando il bottino a Melfi.
La sconfitta non aveva tuttavia risolto definitivamente la guerra e, dopo aver ricevuto rinforzi, il 4 maggio M. affrontò nuovamente i Normanni, che a loro volta erano stati raggiunti da rinforzi provenienti dall’Italia settentrionale, sulle rive dell’Ofanto, in prossimità di Montemaggiore, subendo però di nuovo una clamorosa sconfitta e riuscendo a fatica a salvarsi: caduto da cavallo durante la fuga, rischiò di essere catturato, ma dovette la sua salvezza all’intervento di uno scudiero che gli consentì di allontanarsi. Nel corso dello scontro perì un gran numero di soldati imperiali e vi trovarono ugualmente la morte anche i vescovi di Troia e di Acerenza. M., attestatosi di nuovo sulle alture di Montepeloso (o fuggito a Bari, secondo una diversa testimonianza), scrisse ai capi dell’esercito di stanza in Sicilia chiedendo altri rinforzi, che vennero inviati, ma la notizia della sua seconda sconfitta ebbe quale conseguenza il richiamo da parte del sovrano di Costantinopoli, il quale lo destinò nuovamente in Sicilia. La campagna in Sicilia, iniziata positivamente, terminò allo stesso modo con la sconfitta dei Bizantini, su cui influì anche il ritiro di truppe operato da M. per accorrere in Puglia. Nel 1040 la parte orientale dell’isola era nelle mani di Giorgio Maniace e, nel corso dello stesso anno, a Troina fu ottenuto un grosso successo, che consentì di estendere la conquista. La rivalità fra il generale e il comandante della flotta causò però il richiamo di Maniace a Costantinopoli; il comando supremo fu lasciato nelle mani dell’eunuco Basilio Pediatites, non all’altezza del suo predecessore, per cui nell’arco di pochi mesi i Bizantini si fecero cacciare dalla Sicilia, mantenendo soltanto fino all’inizio del 1042 il controllo di Messina. Lo stesso Maniace, liberato dalla prigionia nella quale era stato confinato e inviato in Italia meridionale come catepano, non riuscì neppure qui a ribaltare la situazione, e anzi nel 1042 si ribellò facendosi proclamare imperatore dai suoi soldati e, in questo modo, indebolendo ulteriormente lo schieramento imperiale.
Il successore di M. nel comando italiano, il catepano Boioanne, non ebbe migliore fortuna, in quanto nel settembre dello stesso anno fu sconfitto da Beneventani e Normanni e fatto prigioniero a seguito di una battaglia combattuta nella pianura fra Montepeloso e Monteserico, per essere poi liberato qualche tempo più tardi dietro pagamento di un forte riscatto. Le tre sconfitte in rapida successione segnarono l’inizio della fine della dominazione bizantina in Italia meridionale, completata nel 1071 con la presa di Bari, capitale del governatorato imperiale, a opera di Roberto il Guiscardo. Le sorprendenti vittorie normanne del 1041 furono rese possibili sia dall’incapacità di M., dipinto dal bizantino Giovanni Scilitze come un uomo inetto, sia dalla notevole combattività dei suoi nemici, che consentì loro di ovviare alla forte inferiorità numerica, quantificata dagli storici del tempo, sebbene da valutare con molta cautela, in un rapporto di circa uno a 120 (500 Normanni contro 60.000 Bizantini) o anche, con una stima più prudente, di 500 fanti e 700 cavalieri oppure un totale di 2000 o anche 3000 Normanni contrapposti a 18.000 combattenti imperiali e a un numero imprecisato di servitori.
Non è noto per quanto tempo M. sia stato presente in Sicilia e in quale modo abbia partecipato alle ultime operazioni militari nell’isola per poi rientrare verosimilmente a Costantinopoli. Si perdono inoltre le sue tracce fino al 1050 allorché con il rango di patrizio e il titolo di vestarches (che potrebbe classificarlo come un dignitario eunuco) prese parte a una battaglia combattuta contro i Peceneghi in prossimità di Adrianopoli. M. fu fatto prigioniero, ma riuscì a impossessarsi fulmineamente di una spada con la quale uccise il capo nemico per essere a sua volta immediatamente massacrato.
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G. Ravegnani