BONELLI, Michele
Nacque a Bosco in provincia di Alessandria nel 1551 ed era pronipote per parte di madre del papa Pio V.
Dal fratello Michele, il cardinale Alessandrino segretario di Stato di Pio V, fu chiamato ancora adolescente a Roma, per compiere gli studi nel Collegio Germanico, come attesta un mandato di pagamento del 13 giugno 1567. L'anno prima Pio V, subito dopo la sua elevazione al pontificato, gli aveva assegnato una pensione di quattrocento scudi, primo segno tangibile di un favore che gli avrebbe aperto le vie di una brillante carriera al servizio pontificio. Nel dicembre del 1569, ancora diciottenne, fece il suo ingresso nella vita pubblica, compiendo una missione di rappresentanza alla corte di Firenze per consegnare a Cosimo de' Medici il breve papale che gli conferiva il titolo di granduca. Questo primo incarico fu seguito di lì a poco, il 17 sett. 1570, dalla nomina a capitano generale dello Stato della Chiesa. Malgrado l'ostentato rigorismo, il nuovo papa si poneva risolutamente sulla via della vecchia tradizione nepotistica romana, elevando a un posto di tanta responsabilità un giovincello inesperto, proprio nel momento in cui la conclusione della Santa lega antiturca imponeva un notevole sforzo militare allo Stato della Chiesa. Le conseguenze rovinose di un tale atteggiamento non tardarono a manifestarsi: il B. divenne assai presto lo scudo di una cricca di "capitani falliti di palazzo" che intrigava per scalzare i più qualificati esponenti militari pontifici, come Marcantonio Colonna e Onorato Caetani, e riusciva a render loro la vita difficile. Assai significativa in questo senso la lettera che il Caetani scrisse da Civitavecchia il 21 giugno 1571 al cardinal di Sermoneta nella quale denunciava le mene del B. e del suo entourage per impedire la sua nomina a capitano generale delle fanterie pontificie e ostacolare il regolare reclutamento della truppa. La lettera assume toni assai gustosi quando si sofferma con stizza sull'ingrato compito affidato a un capitano come Marcantonìo Colonna di tenere a balia l'imberbe e maldestro condottiero.
La posizione del giovane nipote del papa era però troppo forte perché le lamentele dei due capitani potessero minimamente scalfirla. Fu così che il B., quando la flotta pontificia prese il mare per congiungersi con le flotte dei collegati e muovere insieme verso il Mediterraneo orientale alla ricerca della flotta turca, s'imbarcò sulla capitana di Marcantonio Colonna. Nel corso di tutta la campagna conclusa dalla vittoria di Lepanto, egli fu sempre in prima fila, come voleva la sua carica e il suo rango, partecipando a tutti i consigli di guerra e soprattutto a tutte le cerimonie ufficiali. Una funzione eminentemente decorativa in perfetta corrispondenza con la sua condizione di nipote del papa santo che quella lega e quella campagna aveva tanto ardentemente voluto e preparato. La sua presenza nella flotta pontificia non mancò però di suscitare i fastidi consueti, ora per una furiosa lite con Pompeo Colonna, insignito a suo dispetto del grado di luogotenente generale di Marcantonio, ora per una indisposizione che trattenne la flotta pontificia a Napoli più del previsto.
A Lepanto comunque il B. non si comportò come la sua condotta precedente poteva lasciar prevedere e se non si coprì, come tanti altri cavalieri romani, di gloria, non si dette a quella fuga che tutti si aspettavano. In complesso resse abbastanza bene alla sua prima prova delle armi, tanto che il Colonna, al quale non riuscì mai troppo simpatico, non poté fare a meno di accennare a Pio V, in una lettera del 7 ott. 1571, che "il signor Michele fu un poco ferito, ma certo lo ha fatto tanto bene che più non si potria desiderare". Il sobrio accenno del comandante della flotta pontificia fa da realistico contrappunto alla testimonianza, grottesca nella sua magniloquente comicità, di Bartolomeo Sereno che fu a Lepanto come cavaliere romano e ne scrisse come benedettino.
Al ritorno dalla vittoriosa spedizione, il B. fu naturalmente fra i cavalieri romani più onorati e accarezzati: partecipò cavalcando al fianco del Colonna al trionfo tributato ai vincitori e nella primavera del 1572 si ebbe la nomina a generale delle fanterie pontificie al posto dello sfortunato Caetani.
La morte del prozio, sopraggiunta il 1º maggio 1572, segnò però la fine di una così brillante carriera e l'immediato depennamento dai ruoli delle forze armate pontificie. Alla corte di Gregorio XIII egli non riuscì a conservare, malgrado l'appoggio del fratello, un solo briciolo di quel favore goduto alla corte di Pio V. Se ne allontanò quindi assai presto: nel gennaio del 1573 si recò in Piemonte per portare a Emanuele Filiberto il breve che gli concedeva la fusione dei due ordini dei SS. Maurizio e Lazzaro. Fu l'occasione buona per entrare, con l'aiuto del fratello che era protettore della Savoia in Curia, al servizio ducale con rango di gentiluomo e funzioni, a quel che pare, di mera rappresentanza. Da Emanuele Filiberto fu nominato cavaliere di gran croce e commendatore maggiore di Piemonte. Sospetta risulta la notizia che lo vuole comandante delle galere ducali. Ancora al fratello dovette il matrimonio con una ricchissima ereditiera romana, Livia Capranica, che portò a definitiva soluzione il problema della sua sistemazione: in tale occasione infatti il cardinale Alessandrino gli comprò per sessantamila scudi il feudo di Salci e glielo eresse in ducato.
Morì a Roma nel 1604.
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