SERAFINI, Michelangelo
– Ignota la data di nascita di Serafini, figlio di Simone, forse da collocare agli inizi del XVI secolo.
Purtroppo scarseggiano i dati propriamente biografici su questo letterato fiorentino: le informazioni a lui relative delle quali finora disponiamo riguardano principalmente la sua attività, circoscritta agli anni 1547-50.
Il primo testo databile di Serafini, e forse il più celebre, è La Nanea (1547), poema burlesco in ottave, a lungo attribuito in maniera erronea ad Antonfrancesco Grazzini.
Le ottave, attraversate da allusioni per noi oggi non comprensibili a pieno, si collocano in uno scontro interno all’Accademia fiorentina, nata l’11 febbraio 1541, per volere di Cosimo I de’ Medici, dall’Accademia degli Umidi, a sua volta fondata da alcuni letterati e appassionati di lettere, tra i quali Grazzini e Giovanni Mazzuoli da Strada, detto lo Stradino. Dopo il Trionfo di tutto il mondo ovvero della Pazzia, sfilata carnevalesca del 4 marzo 1546, cui partecipò Alfonso de’ Pazzi, detto l’Etrusco, Girolamo Amelonghi, detto il Gobbo da Pisa, scrisse la Gigantea, poema burlesco di centoventotto ottave dedicato a Cosimo I e all’Etrusco (con dedica che reca la data del 15 aprile 1547): all’interno dei versi si racconta, pur in toni comici, della scalata dei giganti all’Olimpo. Nello stesso anno, tra l’aprile e il maggio, Serafini compose, in risposta alla Gigantea, La Nanea, nella quale si canta di nani e pigmei che riconquistano l’Olimpo. Ai due poemi fece seguito la Guerra de’ mostri di Grazzini.
Giusta la lettura di Michel Plaisance, i giganti di La Nanea indicherebbero gli Umidi, nelle vicende storiche allontanati dagli Aramei, seguaci di Pier Francesco Giambullari, il quale riteneva che il fiorentino derivasse dall’ebraico. Sarebbe a ogni modo azzardato identificare gli Aramei con gli dei. E, ancora, il testo dell’Amelonghi costituirebbe una sorta di rivincita letteraria sulla realtà; infine, in questo episodio di frizioni e scontri non appaiono chiare del tutto le posizioni degli accademici, compresa quella di Serafini, ancora da definire a pieno rispetto alle vicende storiche e ai fatti narrati pur con un travestimento letterario (secondo quanto dichiarato nella dedica del poema, Serafini diede una copia autografa di La Nanea allo Stradino). È significativo che La Nanea abbia conosciuto la stampa soltanto nel 1566 (per gli eredi di Lorenzo Torrentino, a istanza di Alessandro Ceccherelli), a polemica ormai placata.
Sul versante comico, a La Nanea si può affiancare la Canzona sopra la carbonata di M. S. con l’espositione del medesimo, con dedica al signor «B. Sirigatti», che costituisce un’espressione di esegesi burlesca, in questo caso rivolta a Tutta la natural philosophia, canzone dello stesso autore (come avveniva nel caso del Commento al capitolo della primiera di Francesco Berni), in linea con una prassi allora diffusa.
Vista la mancata precisazione di ‘Accademico fiorentino’ accanto al nome di Serafini nella rubrica del manoscritto che trasmette il testo, si potrebbe ipotizzare che il commento sia anteriore al 1548 e comunque successivo al Commento di ser Agresto da Ficaruolo sopra la prima ficata del padre Siceo (1538), citato esplicitamente. Il commento parodico di Serafini, che circolò manoscritto, fu menzionato nella versione a stampa di una delle esposizioni burlesche di Grazzini, ossia la Lezione di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del Lasca (Firenze 1589, p. 18).
Il 6 settembre 1548 Serafini entrò nell’Accademia fiorentina. Si distinse anche come valido traduttore dal greco: Le Fenicie di Euripide (Le Fenisse), fatica successiva al 1548, venne volta in «volgar fiorentino» e dedicata all’abate de’ Ridolfi.
La traduzione costituisce un’operazione nata in seno all’Accademia fiorentina, alla quale fu assegnato il compito di promuovere il volgare fiorentino, a fini culturali e, naturalmente, anche politici e propagandistici, attraverso la risoluzione di problemi di natura linguistica e la stesura di una grammatica. Tra i teorici ebbe un peso considerevole Giovan Battista Gelli, il quale, nel Ragionamento intorno alla lingua (1548), ritenne il fiorentino superiore a qualsiasi altra lingua parlata nella penisola. La promozione e la nobilitazione del fiorentino passarono anche per la traduzione di opere classiche, sulla scorta di operazioni culturali simili, come la scrittura di tragedie di ispirazione greca (si pensi a quelle di Gian Giorgio Trissino e Giovanni Rucellai o, in ambito accademico patavino, di Sperone Speroni) e la traduzione di quelle, dal greco, di Alessandro de’ Pazzi.
Il 20 gennaio 1549 Serafini recitò l’Orazione in morte di Andrea Dazzi, letterato del quale fu discepolo (Firenze, Biblioteca Marucelliana, B.III.52, c. 50v). Di Dazzi Serafini ordinò alcuni versi latini per la stampa e diede alla luce il poemetto Aeluromyomachia, di cui lo stesso Serafini conservava il manoscritto, come si desume dalla lettera in latino dedicata a Pandolfo Cattani da Diacceto (si legge in Andreae Dactii patricii et academici Florentini Poemata, Florentiae, apud Laurentium Torrentinum, 1549, pp. 263 s.).
Il 10 febbraio 1549 Serafini fu eletto provveditore dell’Accademia. Il 3 novembre di quello stesso anno commentò pubblicamente nell’Accademia fiorentina il sonetto di Giovan Battista Strozzi il Vecchio Torbid’ onda di lagrime, che il chiaro, non edito altrove (ma tradito dai mss. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.360, c. 2v, e Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnham, 581, c. 56r). Il testo della lezione venne pubblicato l’anno successivo con dedica ad Alessandro Salviati, nella quale Serafini dichiarò di essere in rapporti con Lorenzo Scala, né è difficile ipotizzare anche uno scambio intellettuale con lo stesso Strozzi. Si tratta dell’unica opera a stampa, vivente l’autore. Dal commento si coglie una solida formazione umanistica di Serafini, in cui non sono trascurabili le competenze filosofiche.
Il 9 novembre 1549 i censori dell’Accademia approvarono la sua Favola in versi sciolti di Febo e Dafne. Di questo testo, la cui materia è verosimilmente desunta da Ovidio, si hanno fino a oggi solo notizie indirette.
Nel 1550 un sonetto di Serafini venne commentato dal fiorentino Leonardo da Filicaia.
Poeta lirico, Serafini in una serie di madrigali celebrò la bellezza di Petra, ossia Piera Ruoti, con uno stile dal quale si intuisce facilmente il magistero dello Strozzi.
Morì nel giugno del 1555.
Opere. La Nanea è trasmessa dal ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.1149 (vergato dal cartolaio ed editore Alessandro Ceccherelli su richiesta di Filippo Calandri) e dalla stampa La Gigantea insieme con la Nanea nuovamente mandata in luce, Firenze, eredi di L. Torrentino, 1566 (le stampe successive, tra Seicento e Ottocento, poco giovano alla ricostruzione del testo). L’edizione moderna si legge in Nanerie del Rinascimento... (2006, pp. 179-278); alla recensio va aggiunto il ms. Milano, Biblioteca nazionale Braidense, Mss., AD.XII.9, cc. 70r-123v.
L’Orazione in morte di Andrea Dazzi dovrebbe corrispondere a quella conservata nel ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, IX.26 (il testo è rubricato come adespoto).
La lezione accademica è, come detto, l’unico testo a stampa dell’autore in vita: Sopra un sonetto della gelosia di m. Giovanbatista Strozzi, Firenze, L. Torrentino, 1550.
Il volgarizzamento delle Fenicie euripidee è contenuto nel ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.304, cc. 123r-187v (edito nella tesi di laurea di A. Porro, Tre volgarizzamenti cinquecenteschi inediti di tragedie euripidee, Università cattolica di Milano, a.a. 1978-79); alcuni frammenti della tragedia sono conservati nel ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.650, cc. 253r-258v e Mss., II.I.100, cc. 238r-239r.
Alcuni madrigali inediti sono stampati in Poesie italiane inedite di dugento autori dall’origine della lingua infino al secolo decimosettimo, a cura di F. Trucchi, IV, Prato 1847, pp. 52-60 (dalla filza 149 delle Carte strozziane conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze e dal ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.380).
La Canzona sopra la carbonata di M. S. con l’espositione del medesimo, a cura di F. Pignatti, in Ludi esegetici, a cura di D. Romei - M. Plaisance - F. Pignatti, Manziana 2005, pp. 319-328 (è tràdita, mutila, dal ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.1094, cc. 2v-12r, copia del XVII secolo).
Vari componimenti sono tramandati dal ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conventi soppressi, 504, pp. 33-44: i sonetti Strozzo, i’ ho ’l cor costà con voi lasciato (p. 33), Sacra Mirto d’Amor cui muove l’aura (p. 34), O Nemica di pace, e di Vertute (p. 35), la canzone Donna gentil, che drittamente al Cielo (pp. 36-41: trasmessa, adespota e anepigrafa, anche dai mss. Firenze, Biblioteca nazionale, II.IV.684, cc. 31r-32r e Biblioteca Riccardiana, 1166, cc. 124v-125r), il madrigale Vaga soave fiamma (p. 41), i sonetti Riposta selva, e voi lucidi fonti (p. 42), Ghondo gentil, voi de’ celesti scanni (p. 43) e Po’ tu puoi ben veder ch’anzi ’l mio fine (p. 44).
Nel ms. Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VI.242, cc. 71r-78r quindici madrigali per la Ruoti, erroneamente interpretati negli inventari come una canzone, sono assegnati a Serafini in maniera dubbia; gli stessi vengono attribuiti ad Antonio Bonaguidi nei ms. Firenze, Biblioteca Riccardiana, 1166, cc. 186r-187r e Biblioteca nazionale, Magliabechiano, VII.633, cc. 17r-19v (dal quale vengono pubblicati, non integralmente, in Poesie italiane inedite di dugento autori, cit., IV, pp. 63-69); un altro testimone è costituito dal ms. Firenze, Biblioteca nazionale, II.IX.45, cc. 239r-242v, dove i componimenti viaggiano adespoti.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Marucelliana, B.III.52, Annali dell’Accademia degli Humidi, cc. 49v, 50v, 51v, 57v, 58r, 60r; J. Rilli, Notizie letterarie, ed istoriche intorno agli uomini illustri dell’Accademia Fiorentina. Prima parte, Firenze 1700, pp. 195 s.; C. Verzone, Introduzione a Le rime burlesche edite e inedite di A.F. Grazzini, a cura di C. Verzone, Firenze 1882, pp. LXXXV, LXXXIX, XCV; Sariette [A. Pescarzoli], I giganti si divertono, in Primato, VIII (1942), p. 169; A. Porro, Volgarizzamenti e volgarizzatori di drammi euripidei a Firenze nel Cinquecento, in Aevum, LV (1981), pp. 483-493; L. Caciolli, Due sconosciuti traduttori cinquecenteschi di testi greci: M. S. e Giovanni da Falgano, in Critica letteraria, LXX (1991), pp. 159-168; V. Bramanti, Il “cartolaio” Ceccherelli e la fortuna del duca Alessandro de’ Medici, in Lettere italiane, XLIV (1992), pp. 272-274; M. Plaisance, L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Manziana 2004, pp. 181 n. 162, 182 s., 209 s., 275; F. Pignatti, Introduzione, in A. Grazzini, Comento di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia, a cura di F. Pignatti, in Ludi esegetici, Manziana 2005, pp. 172-174; Nanerie del Rinascimento. «La Nanea» di M. S. e altri versi di corte d’accademia, a cura di G. Crimi - C. Spila, Manziana 2006, pp. 141-143; G. Masi, Politica, arte e religione nella poesia dell’Etrusco (Alfonso de’ Pazzi), in Autorità, modelli e antimodelli nella cultura artistica e letteraria tra Riforma e Controriforma. Atti del Seminario..., Urbino-Sassocorvaro... 2006, a cura di A. Corsaro et al., Manziana 2007, p. 313 nota 54; G. Crimi, Note sul mito dei giganti nella Firenze cinquecentesca, in Nello specchio del mito. Riflessi di una tradizione. Atti del Convegno, Roma... 2010, a cura di G. Izzi et al., Firenze 2012, pp. 214, 217.