PINTO, Michelangelo
PINTO, Michelangelo. – Nacque a Roma il 15 gennaio 1818 da Antonio e da Anna Peruggi.
Di famiglia benestante, dopo aver frequentato le scuole di S. Apollinare e il Collegio Romano, si iscrisse al corso di giurisprudenza presso la Sapienza, dove si laureò nel 1839. Tra 1838 e 1839 viaggiò in Italia e soprattutto in Europa, tra Francia, Germania e Svizzera, «studiando gli usi, i costumi, la storia e le istituzioni di quelle nazioni» (Giovagnoli, 1894, p. 412).
L’elezione di Giovanni Maria Mastai Ferretti al soglio pontificio fornì un impulso decisivo all’avvio della sua attività pubblicistica. Nel 1846 diede alle stampe un inno celebrativo (Nel possesso dell’immortale Pio IX, Roma 1846), esemplare della sua adesione entusiastica al nuovo corso. I suoi interventi svariarono in quella fase dalla critica musicale (Cenni analitici intorno all’articolo anonimo sul Miserere del marchese Muti-Papazzurri, pubblicato in Felsineo, VI (1846), 20) a quella figurativa (Intorno ai dipinti del chiarissimo cav. Tommaso De Vivo eseguiti a decorare la cappella gentilizia di S. E. il marchese Saluzzo nella chiesa di S. Domenico Maggiore in Napoli. Cenni descrittivi, Roma 1847), evidenziando un crescente grado di politicizzazione, testimoniato anche dalle vicende de L’Italico. Giornale di scienze lettere arti industria e progresso nazionale, di cui fu direttore e proprietario insieme al letterato Vincenzo Basilio Diotallevi.
Pubblicato a partire dal gennaio 1847, L’Italico mutò nell’arco di breve tempo formato e linea programmatica, trasformandosi da foglio di varietà storica ed enciclopedica, concepita con il «nobilissimo scopo di istruzione e di educazione» (Introduzione, in L’Italico, 1° gennaio 1847), in un vero e proprio giornale politico, votato al sostegno delle riforme di Pio IX. Nel dicembre 1847 Pinto fu affiancato dal ravennate Leopoldo Spini, conosciuto ai tempi dell’università, che sostituì Diotallevi nel ruolo di condirettore, dando avvio a un sodalizio politico-giornalistico di grande rilievo. Per i suoi princìpi ispiratori dichiaratamente improntati alla moderazione e a un gradualismo politico critico nei confronti delle pratiche rivoluzionarie, L’Italico ottenne le lodi di Vincenzo Gioberti, nonché la collaborazione di Terenzio Mamiani e Carlo Pepoli. Cessò le sue pubblicazioni il 13 marzo 1848 quando si fuse con La Bilancia, uno dei periodici più moderati nell’ambito del liberalismo romano. Dalla fusione nacque il quotidiano L’Epoca, diretto da Pinto, Leopoldo Spini e Andrea Cattabeni. Il primo numero uscì il 16 marzo 1848, l’ultimo il 25 marzo 1849 (quando si trasformò in La Speranza dell’Epoca).
Il nome del nuovo giornale intese celebrare lo Statuto concesso dal governo pontificio il 14 marzo 1848, accreditandosi come «un giornale adatto al tempo in che siamo», in grado di «parlarvi de’ bisogni presenti, non proponendosi utopie, né immaginazioni da poeti, e da politici di romanzo, ma idee pratiche e praticabili» (L’Epoca, 16 marzo 1848). Dopo pochi numeri dall’uscita de L’Epoca, l’ex direttore de La Bilancia, Cattabeni, abbandonò il giornale evidenziando una prima spaccatura tra la linea perseguita da Pinto e Spini e i fautori di una prospettiva politica più temperata, come lo stesso Cattabeni e Francesco Orioli. Le programmatiche professioni di moderatismo si infransero comunque il 2 agosto 1848, con la caduta del governo di Terenzio Mamiani, alle cui posizioni, specie in merito alla separazione dei due poteri pontifici, L’Epoca fu sempre assai vicina.
La radicalizzazione della lotta politica nel contesto romano dell’estate del 1848, schiuse a Pinto e Spini lo spazio editoriale per creare, in associazione con il tipografo Alessandro Natali, Il Don Pirlone. Giornale di caricature politiche. Quotidiano, uscì per la prima volta il 1° settembre 1848, nell’agile formato di quattro pagine con una vignetta litografica in terza. Terminò le sue pubblicazioni il 2 luglio 1849, con la caduta della Repubblica Romana.
La direzione del giornale era situata in palazzo Bonaccorsi, presso la sede dell’Epoca, di cui Il Don Pirlone costituì una sorta di emanazione satirica, fondata su un principio di differenziazione delle funzioni, delle forme e dei registri giornalistici, oltre che sull’obiettivo del coinvolgimento di una fascia di pubblico più allargata e socialmente diversificata rispetto alla stampa ‘seria’. Pinto e Spini si riservarono la direzione politica, letteraria e artistica del giornale. Il loro intervento non era cioè limitato alla stesura e revisione dei testi, a cui collaborarono anche altri scrittori e giornalisti, ma concerneva «il diritto esclusivo», sancito in sede contrattuale, «di dar la mente a scegliere le composizioni artistiche de’ disegni» (Lefevre, 1955, p. 242), che venivano poi eseguiti da diversi artisti, tra cui il più noto fu il disegnatore friulano Antonio Masutti. Grazie alla combinazione del linguaggio diretto degli articoli con le mordaci vignette caricaturali, Il Don Pirlone ebbe immediatamente uno straordinario successo, che gli consentì di diventare uno dei più importanti giornali satirici illustrati italiani del Risorgimento: un vero e proprio simbolo dello «spirito pubblico» dell’epoca, come riconosciuto anche dai suoi avversari politici (Spada, 1868, II, p. 463).
Fedele alla sua vocazione polemica, Il Don Pirlone ingaggiò feroci battaglie con i settori più reazionari del clero, scagliandosi frontalmente contro la stampa moderata e conservatrice romana, identificata ne Il Costituzionale romano, Il Labaro e soprattutto nel satirico Cassandrino; attaccò apertamente il governo diretto da Pellegrino Rossi, costringendolo di fatto alla reintroduzione della censura preventiva sui disegni per limitare gli effetti dirompenti delle sue caricature; infine, dopo aver deriso la fuga a Gaeta del pontefice, (24 novembre 1848), aderì in maniera convinta alla Repubblica Romana.
Il coinvolgimento diretto di Pinto e Spini nelle vicende de Il Don Pirlone e L’Epoca dovette ridursi sensibilmente già dal dicembre del 1848, a causa delle crescenti responsabilità politiche e diplomatiche dei due direttori, favorite dalla fama conquistata nell’agone giornalistico e dal ruolo che nel frattempo si erano ritagliati nel contesto dell’associazionismo romano; proprio in rappresentanza di un circolo, il Casino dei Commercianti, Pinto aveva infatti partecipato al Congresso federativo di Torino nell’ottobre del 1848. Il 17 dicembre 1848 fu invece la Giunta provvisoria romana, per volontà del ministro degli Esteri Mamiani, a incaricare Pinto e Spini di recarsi a Torino col mandato di «intavolare gli accordi e il capitolato della Costituente italiana» (Lettera di Terenzio Mamiani ai Sig.i M. P. e Leopoldo Spini, 17 dicembre 1848, in Pinto, 1983, p. 50). Le trattative con il governo sardo non ebbero buon esito a causa del precipitare degli eventi a Roma e soprattutto per l’atteggiamento ambiguo di Gioberti, non a caso messo alla berlina da una vignetta pubblicata su Il Don Pirlone del 28 febbraio 1849.
Al rientro a Roma, nel febbraio del 1849, Spini fu nominato segretario del potere esecutivo della Repubblica, mentre Pinto proseguì la carriera diplomatica; dapprima gli furono affidate due missioni di minor rilievo, tra cui una spedizione a Ginevra nel tentativo – fallito – di convincere il colonnello svizzero Louis Rilliet-Constant a organizzare l’esercito della neonata Repubblica. Il 1° aprile 1849 fu nominato inviato della Repubblica Romana presso il governo sardo dal ministro degli Esteri, Carlo Rusconi. A causa del mancato riconoscimento ufficiale della Repubblica da parte del governo sardo, l’azione di Pinto si riversò sostanzialmente sul piano mediatico, dandosi cura – anche grazie agli ottimi rapporti intrattenuti con il deputato e giornalista Lorenzo Valerio, direttore de La Concordia – che nella stampa piemontese non mancassero «articoli polemici» favorevoli alla Repubblica (Lettera di M. P. al Ministro degli Esteri, 18 maggio 1849, in Vecchi Pinto, 1936, p. 342).
Dopo la caduta della Repubblica, Pinto rimase a Torino dove, nel 1851, divenne membro, e per un breve periodo anche segretario generale, della Società dell’emigrazione italiana. In esilio lavorò al progetto della Società editoriale italiana, per cui collaborò alla pubblicazione delle Memorie sull’Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850 di Giuseppe Montanelli (Torino 1853); esercitò la docenza nelle scuole tecniche di mutuo soccorso; tradusse dal francese Le rovine o Meditazioni sopra le rivoluzioni degli imperi di Constantin-François de Volney (Lugano 1850), per cui subì un processo per offesa alla religione presso il tribunale di Casale Monferrato, e La casa Savoia dal 1555 al 1850 di Alexandre Dumas per l’editore Claudio Perrin (Torino 1852-57); scrisse opere originali (pubblicate probabilmente su giornali piemontesi) di carattere politico (La questione italiana e il ruolo del Piemonte, Torino 1851), economico (Saggi di Economia politica, Torino 1853) e filosofico (Discorso sulla storia della filosofia, Torino 1853).
L’opera più significativa del periodo torinese fu senza dubbio il Don Pirlone a Roma. Memorie di un italiano dal 1° settembre 1848 al 31 dicembre 1850 (Torino 1850-51), appassionata e rabbiosa narrazione storica delle vicende romane, italiane ed europee tra rivoluzione e seconda restaurazione.
L’abile concezione editoriale pose l’opera in ideale prosecuzione dell’impresa avviata dal giornale Il Don Pirlone, nonché in polemica risposta a una pubblicazione reazionaria illustrata (La Grande Riunione tenuta nella sala dell’ex Circolo Popolare in Roma, Roma 1849), che aveva scagliato un attacco a tutto tondo sull’esperienza rivoluzionaria romana. In quest’ottica, Pinto affidò alle immagini un ruolo decisivo nella valorizzazione e nell’accentuazione del testo, costruito a sua volta su un forte coefficiente di visualità: pubblicato inizialmente a dispense, Il Don Pirlone a Roma uscì in tre volumi ricchissimi dal punto di vista iconografico, con più di trecento tavole fuori testo disegnate con respiro neoclassico da Masutti, già disegnatore de Il Don Pirlone. Fu un grande successo editoriale, testimoniato dalle quattro edizioni che l’opera ebbe nel giro di pochi anni. Fondamentale «perno di tutti gli avvenimenti» (Don Pirlone a Roma..., cit., I, p. 44) che portarono al trionfo della reazione e del dispotismo fu, nella costruzione storico-narrativa di Pinto, la figura di Pio IX, che apparve del tutto ribaltata rispetto all’immagine del pontefice precedente il 1848: «la bandiera di Pio IX, simbolo un giorno di redenzione» si tramutò in effetti, dopo il 1848, in «insegna di morte» (II, p. 148). Su questa linea, il Don Pirlone a Roma si caratterizzò come un radicale ripensamento della stagione moderata del liberalismo italiano, oltre che come una sistematica difesa dell’esperienza repubblicana. Tutt’altro che moderato nei giudizi, Pinto perseguì sistematicamente la creazione di immagini aspre e polemiche; fu assai sferzante con Gioberti che, «felice e invidiato scrittore, fu tristo uomo di stato» (I, p. 156), e non risparmiò critiche neppure all’amico Mamiani, definendolo «uomo allora di grande anima e di gran fede, ma non di pari vigore» (I, p. 50).
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, ottenuto il passaporto dal governo sardo, Pinto si recò a Parigi, dove rinsaldò i contatti con Alexander Herzen, conosciuto nel 1848, e incontrò lo scrittore russo Ivan Turgenev; successivamente viaggiò in Germania e in Inghilterra, da cui seguì i fatti italiani della seconda guerra d’indipendenza. Grazie ai contatti stabiliti con gli esuli russi, nel 1860 venne assunto come lettore di letteratura italiana all’Università imperiale di San Pietroburgo, dove si stabilì e tenne brillanti lezioni sulla letteratura italiana intesa come espressione del sentimento nazionale, in linea con quel «romanticismo engagé» (Guida, 1998, p. 88) che, di fatto, aveva caratterizzato i suoi scritti sin dagli esordi (Dante, Petrarca, Machiavelli, Michelangelo. Monografie estratte dai corsi di storia della letteratura nazionale in Italia professati dall’autore nella Università imperiale di Pietroburgo 1860-1861, Napoli 1891). Esemplari in tal senso furono gli studi danteschi, che ebbero una prima consacrazione in occasione delle celebrazioni del sesto centenario di Dante organizzate dallo stesso Pinto a San Pietroburgo, nel 1865.
Nel periodo pietroburghese si dedicò anche alla produzione teatrale, collaborando con il compositore Erennio Gammieri, e ottenendo discreti successi: l’opera Chatterton, di cui scrisse il libretto insieme a Graziano Eugenio Bardare, fu rappresentata al Teatro imperiale di San Pietroburgo (E. Gammieri, Chatterton, dramma lirico in tre atti dei Sig.ri Cav.e M. P. ed Emanuele Bardare, [Sankt Peterburg 1867]).
L’11 ottobre 1863 sposò Lidjia Adolfovna Voronec-Dmochovskaja, ventiduenne di fede ortodossa, figlia di un consigliere di Stato; dalle nozze nacquero Olga e Michele. L’inserimento nell’alta società pietroburghese, consentito anche dal suo ruolo preminente nella Società di beneficenza italiana di San Pietroburgo, favorì la carriera consolare di Pinto, nell’ambito della quale svolse, su incarico del ministero dell’Educazione nazionale russo, alcune missioni in Italia e Francia rivolte allo studio dei rispettivi sistemi d’istruzione superiore. La sua nomina a viceconsole (marzo 1867) fu seguita da quella di console di seconda categoria (gennaio 1868) e console di prima categoria (2a classe 1872, 1a classe 1879).
Il 22 agosto 1871 Lidjia morì a S. Terenzio, in Liguria, ma fu soltanto nel 1886 che Pinto lasciò San Pietroburgo, spostandosi in altre sedi consolari: Algeri (1886-87), Amsterdam (1888), Amburgo (1890), Odessa (1891-93), di nuovo Amburgo (1893-1905). Nel 1905 rientrò a Roma, dove ottenne la pensione e il conferimento, da parte di Vittorio Emanuele III, del grado di inviato straordinario e ministro plenipotenziario ad honorem, nonché della croce di grande ufficiale dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Morì in viaggio tra Roma e Milano, il 12 febbraio 1910.
Fonti e Bibl.: Archivio privato della famiglia Pinto; Roma, Museo centrale del Risorgimento, Carte Pinto. Inoltre: G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio dal 1° giugno 1846 al 15 luglio 1849, Firenze 1868; R. Giovagnoli, Ciceruacchio e don Pirlone. Ricordi storici della Rivoluzione romana dal 1846 al 1849 con documenti nuovi, Roma 1894; E. Vecchi Pinto, La missione di M. P. inviato presso il governo sardo (1° aprile - 5 luglio 1849), in Rassegna storica del Risorgimento, XIII (1936), 3, pp. 312-368; R. Lefevre, L’atto di nascita del «Don Pirlone», in Strenna dei romanisti, XII (1955), pp. 240-244; M. Pinto, M. P. da Roma a Torino per la Confederazione Italiana (17 dicembre 1848 - 9 febbraio 1849), a cura di E. Vecchi Pinto, Roma 1983.
Per una ricca bibliografia si rinvia a F. Guida, M. P. Un letterato e patriota romano tra Italia e Russia, Roma 1998. Per Il Don Pirlone, si vedano S. Morachioli, L’Italia alla rovescia. Ricerche sulla caricatura giornalistica tra il 1848 e l’Unità, Pisa 2013, pp. 177-236; Id., Caricatura e allegoria. Don Pirlone a Roma e le immagini politiche a stampa intorno al 1848, in Il lungo Ottocento e le sue immagini. Politica, media, spettacolo, a cura di V. Fiorino - G.L. Fruci - A. Petrizzo, Pisa 2013, pp. 179-192, apparato iconografico: http://lungo 800.it/?p=65 (12 giugno 2015).