CASTELLI, Michelangelo
Nato a Racconigi (Cuneo) il 4 dic. 1808 da Giovanni Battista e da Vittoria Bertini – la famiglia aveva simpatizzato, qualche lustro prima, per i giacobini – compì gli studi universitari a Torino laureandosi in giurisprudenza. Aderì al mazzinianesimo, e fu (scrisse A. Mauri in un articolo commemorativo del C. sull’Opinione del 25 ag. 1875) “de’ più scalmanati lettori della Giovine Italia, e de’ più assidui frequentatori di quelle secrete conventicole, ove ripetevansi a squarciagola i famosi versi contro l’esecrato Carignano di Giovanni Berchet”. Ma il suo carattere e l’influenza esercitata su di lui dalla saggistica moderata che venne pubblicandosi – dal Nostro parere intorno alle cose italiane (1839) del Mamiani al Primato giobertiano (1843), dalle Speranze balbiane (1844) agli Ultimi casi di Romagna (1846) dell’Azeglio – lo spinsero verso il moderatismo, nel quale si collocò decisamente con l’opuscolo Saggi sull’opinione politica moderata in Italia, apparso in Svizzera (con la falsa indicazione “Italia”) nella primavera del 1847, e scritto contemporaneamente alla azegliana Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana (1847).
“Senza saperlo (scriveva l’Azeglio al C. l’11 luglio 1847), ci siamo combinati di idee e mi trovo ad aver fatto anch’io un opuscolo all’incirca sullo stesso soggetto che ho mandato a Balbo manoscritto già da qualche tempo. Vedendo il suo m’ero alla prima disposto di sopprimere il mio. Poi ho pensato che al momento presente più si scrive in quel senso, meglio è; oltre che, se non nell’essenziale, nella forma almeno v’è necessariamente bastante differenza tra i nostri lavori per togliere che siano una ripetizione l’uno dell’altro” (Carteggio politico, I, p. 2).
Il momento non era certo favorevole ad una larga diffusione dello scritto, di tono raccolto e riflessivo, mentre si diffondeva il neoguelfismo così ricco di suggestioni e di promesse. Alleanza tra principi e popoli (“Noi italiani non dobbiamo e non possiamo nulla tentare senza i principi”, p. 82), conciliazione di diritto divino e diritto popolare, rispetto dell’ordinamento politico esistente in Italia, lotta contro la rivoluzione e contro la reazione, precedenza assoluta al problema dell’indipendenza, sono temi che richiamano immediatamente il Balbo, che scrivendo il 9 giugno 1847 all’Azeglio giudicava l’opuscolo del C. “buono” (Fea, p. 169).
Allo stato attuale si poteva parlare, per il C., di indipendenza “assoluta” per il Regno di Sardegna, il Regno delle Due Sicilie, lo Stato pontificio e il granducato di Toscana; di indipendenza “possibile” per il ducato di Modena; e di indipendenza “temporaneamente difficile” per Parma e Piacenza. Contrariamente al Balbo, il C. non parla del Lombardo-Veneto: “Se taccio in questo scritto [delle condizioni e dell’avvenire del Lombardo-Veneto] non saravvi spero chi non interpreti generosamente la causa ed il significato del mio silenzio” (p. 63). Quando tutti i principi regnanti saranno nazionali o nazionalizzati, e quando tutti i governi si reggeranno con le stesse leggi politiche e civili, si sarà raggiunta la nazionalità, alla quale non è affatto necessaria l’unità politica.
Fondamentale per il C. è anche il problema della formazione di un’opinione pubblica moderata. Dopo osservazioni realistiche sulla stampa (“tutti i giornali rappresentano una setta o un partito politico e ... al trionfo di esso unicamente aspirano”, p. 30), rivolge aspre critiche all’indifferenza politica di “quella parte semicolta della borghesia che dimentica la propria origine, crede solo al popolo imposti tutti gli obblighi, misura ... la bontà delle opinioni dalla sicurezza dei Profitti” (p. 117), e della classe “pensante” nella quale l’apatia non nasce da ignoranza ma da volontà determinata e il disinganno maschera in realtà “ambizioni deluse” o “calcoli d’interesse falliti” (pp. 117 s.). Le speranze del C. si rivolgono invece al ceto medio “attivo, crescente”, che “ogni dì acquista maggiore importanza” (p. 156).
I principi nazionali italiani sembravano al C. animati tutti da sincero desiderio di riforme: l’avvio era stato dato dal regno sardo, ma sulla stessa strada si erano messi Napoli e Toscana e ultimo, ma “con incredibile generoso slancio”, lo Stato pontificio. Anche se le simpatie del C. erano tutte per il Piemonte, il suo timore di sfavorevoli reazioni nei principi italiani lo induceva ad elogiare anche l’esercito napoletano e a sottolineare le potenzialità riformatrici degli altri Stati della penisola: ubbidiva così alla costante preoccupazione, comune a tutti i moderati negli anni precedenti il ’48, di creare il più ampio fronte possibile nella lotta contro l’Austria.
Il 10 ott. 1847 inviava a Carlo Alberto una domanda per poter fondare “un giornale ebdomadario autorizzato a trattare egualmente le materie politiche e letterarie correnti”. La richiesta, rinnovata dopo le lettere patenti del 30 ottobre che concedevano una limitata libertà di stampa, fu accolta il 27 novembre, quando il C. era già entrato nel gruppo dei Risorgimento per trattarvi “la politica” con Balbo, Bon Compagni, Santarosa e Cavour (Cavour, Lettere edite e inedite, V, p. 174), divenendo il 25 febbr. 1848 vicedirettore del giornale, sul quale, tre giorni prima. il Cavour stesso aveva recensito il Piccolo catechismo costituzionale ad uso del popolo, scritto dal C. in collaborazione con G. Briano (Torino 1848). Agli inizi dell’anno successivo si avvertì però la necessità di affidare la responsabilità del giornale ad una sola persona; “mais la difficulté, – scriveva Cavour al C. il 29 genn. 1849 – sera de bien choisir notre autocrate. Si vous vouliez occuper ce poste périlleux, rien de mieux, tout serait dit” (Carteggio Politico, I, pp. 23 s.). Accettò, divenne direttore del foglio, e per di più fu privato alcuni mesi dopo dell’appoggio del Cavour: “Je puis prendre sans scrupules le parti de me retirer (gli scriveva nel maggio del ’49)... Vous savez bien que je ne fais plus rien et que la vraie responsabilité pèse entièrement sur vous” (ibid., pp. 42 s.). Per il resto del ’49 e per l’anno seguente il C. tenne, fra non piccole difficoltà, il suo posto, ma nel novembre 1850 sembrò deciso a lasciare (ibid., pp. 62 s.). Ancora una volta però il Cavour riuscì a convincerlo a desistere, con una lunga lettera dello stesso novembre 1850 (ibid., pp. 63 s.) utilizzata più volte dai biografi a dimostrazione della stretta amicizia esistente tra i due.
I numerosi articoli che il C. pubblicò sul Risorgimento durante il 1848 rappresentano il logico sviluppo di quanto aveva esposto nei suoi Saggi sull’opinione politica moderata. Ritroviamo la difesa dei diritti dei popoli e dei diritti dei troni (10 genn. 1848), e la teorizzazione di un governo “deliberativo”, posto tra l’assolutismo e la democrazia, per giungere poi a quella di uno schietto costituzionalismo conclusa in una professione di fede assai cara al C., e più volte ripetuta sul Risorgimento e alla Camera, di un “trono costituzionale circondato da istituzioni repubblicane” (22 ag. 1848). In linea poi con il generale mutamento della situazione politica italiana, dall’auspicata indistinta unione di tutti gli Stati della penisola passa a una significativa, severa selezione: “la causa italiana non s’aiuta dal numero dei principi, ma sì, dall’omogeneità delle idee, dei principi” (22 maggio 1848).
Dagli inizi dell’estate del 1848 era entrato alla Camera come deputato di Condove (Torino); eletto nelle suppletive del 26 giugno, aveva avuto l’elezione confermata il 1° luglio. Subito il 9 luglio interveniva nella discussione della legge elettorale per l’Assemblea costituente, sostenendo – contro il Cavour che si batteva per l’elezione per distretto – la tesi della Sinistra, cioè la votazione per provincia e lo scrutinio di lista. Il 1° agosto intanto fu nominato commissario straordinario nella divisione di Torino per “rinfrancare” le popolazioni, e “sorvegliare” e “dirigere” la mobilitazione della milizia nazionale, con poteri discrezionali nei confronti delle amministrazioni comunali. Alla Camera (dove sarà rieletto fino al 1860, per le prime sei legislature) intervenne ancora il 27 dic. 1848 nella discussione di un progetto di legge che prevedeva la nomina regia dei sindaci, ma in una terna votata a maggioranza assoluta dal Consiglio comunale.
Sul finire del 1850 L. Torelli pensò di nominare il C. “primo uffiziale” (cioè sottosegretario) al ministero dell’Interno al posto di M. A. A. Jocteau che voleva rientrare nella carriera diplomatica, ma la proposta fallì perché l’Azeglio pregò questo di conservare per il momento il posto. Qualche mese dopo, su proposta dell’Azeglio ma in realtà per espresso desiderio del Cavour, fu affidata al C. una “commissione temporaria” presso la legazione sarda a Parigi: egli avrebbe dovuto, con il grado di consigliere, esaminare da vicino la situazione politica francese in rapida evoluzione (il 27 maggio 1851 il C. scriveva all’Azeglio: “rivoluzioni non se ne voglion più ... il presidente Napoleone ha molte probabilità di successo”: Carteggio politico, I, pp. 71-74), ma avrebbe dovuto anche, per incarico del Cavour, prendere contatto con alcuni banchieri francesi per liberare il Piemonte dalla crescente influenza dei Rothschild.
Al fine di illustrare la situazione finanziaria piemontese il Cavour inviò al C. il discorso tenuto l’8 maggio alla Camera per diffonderlo, tradotto, in Francia e in Inghilterra. Il C. si sentiva a disagio a Parigi, privo di precise istruzioni, incapace di afferrare natura e limiti del suo incarico, e il Farini conveniva con lui nel riconoscere falsa la sua posizione a Parigi (Ibid., p. 67). Chi non era d’accordo col C. era l’Azeglio che gli precisò, il 5 giugno ’51, che scopo della missione era di coadiuvare il conte S. Gallina, ministro plenipotenziario, nelle relazioni con la Francia (ibid., p. 75). In realtà il contrasto tra il Gallina, esponente della più tradizionale diplomazia piemontese e assai legato all’Azeglio, e il C. “uomo del Pansciotel” (come scriveva l’Azeglio, in Lettere di M. d’Azeglio a L. Torelli, p. 10) e con opinioni “troppo tranchées” (Azeglio-Pantaleoni, pp. 296 s.), come sembravano dimostrare gli stretti contatti parigini col finanziere A. Bixio (interpretati poi dall’Omodeo un “prini o approccio diplomatico del Cavour verso i gruppi bonapartistici di sinistra”: I, p. 107, nota 3), era essenzialmente politico. Il Gallina diffidava delle iniziative di un diplomatico improvvisato e il C. era assai critico nei confronti della diplomazia sarda, la cui azione giudicava in contrasto con la politica del governo, con lo spirito della Camera e con la stessa opinione pubblica. Nessuna collaborazione perciò poteva esserci fra i due, e infatti il C. dichiarò con decisione di considerare terminata la missione, ribadendo le severe critiche alla diplomazia piemontese, pur precisando all’Azeglio di essere assolutamente estraneo a quanto pubblicato dall’Opinione il 26 luglio 1851 nell’articolo I diplomatici sardi presso le corti straniere, dove si parlava di un deputato tornato “indignatissimo” della diplomazia sarda dopo una missione a Parigi (Carteggio politico, I, pp. 80 s.).
Il C. ebbe parte non secondaria nell’alleanza fra il Cavour e il Rattazzi – il “connubio”, secondo la definizione dei Revel – stipulata fra il dicembre 1851 e il gennaio successivo, che avrebbe portato entro qualche mese il Rattazzi alla presidenza della Camera e in meno di un anno il Cavour alla presidenza del Consiglio dei ministri.
Quando il C. decise di dedicare qualche pagina al “connubio” nei suoi Ricordi, essendo trascorsi alcuni lustri, scrisse a Rattazzi per avere una autorevole testimonianza. Vi ricorderete (gli scrisse questi da Firenze il 1° maggio 1870) che le basi del “connubio”... furono intese in modo definitivo nel dicembre ’51 o gennaio ’52, in casa vostra, in una riunione alla quale presero parte oltre di voi, il compianto Cavour, allora ministro di agricoltura e commercio nel gabinetto d’Azeglio, il povero Buffa e lo scrivente... Se quella riunione... ha potuto aver luogo e se poté perciò formarsi quel partito, che... parmi poter dire abbia reso in appresso grandi servigi alla libertà e all’Italia, il merito è dovuto in gran parte a voi ed al povero Buffa... Io non aveva in quel tempo col conte Cavour strette relazioni personali, e confesserò... che rimaneva... una qualche diffidenza intorno ai di lui sentimenti liberali e italiani... Voi invece che eravate intimamente legato a Cavour... avete potuto togliere dall’animo mio ogni incertezza ed indurmi ad un riavvicinamento che l’interesse del paese consigliava” (Ricordi, pp. 72 s.).
La funzione mediatrice del C. ebbe modo di esplicarsi con particolare efficacia nei mesi del 1852 durante i quali fu il trait d’union tra Vittorio Emanuele II e l’ultimo ministero d’Azeglio da un lato, e il Cavour e il Rattazzi dall’altro. Il 1° dic. 1852, meno di un mese dopo la formazione del “grande ministero”, il C. fu nominato “primo uffiziale” al ministero dell’Interno tenuto dal San Martino. Ma alla caduta di questo, dopo meno di un anno, ritenne di dover dare le dimissioni, quando a reggere il ministero era stato chiamato interinalmente il Rattazzi. Come il C. spiegò al Buffa, a differenza del “primo uffiziale” amministrativo – che aveva fatto una normale carriera nella burocrazia ministeriale – il “primo uffiziale” politico doveva ritrarsi insieme con il ministro che l’aveva scelto (Carteggio politico, I, p. 125). Il nuovo ordinamento del ministero dell’Interno del 1853 Pose il C. “fuori pianta” e il Rattazzi lo propose il 16 luglio 1854 al sovrano come direttore generale degli Archivi di Stato.
Proprio per questa qualifica ebbe l’incarico dal Cavour di raccogliere e pubblicare una serie di documenti sulla questione d’Oriente e il regno sardo, tendenti a dimostrare l’analogia tra la situazione europea del 1783-84 e quella del 1854-55, già messa in risalto del resto dal Moniteur del 30 giugno e del 1° luglio 1855. “Les voeux de mon pays – scrisse il C. nel presentare il lavoro a Napoleone III nel novembre 1855 – sont aujourd’hui réunis à ceux de la France comme ils étaient dans le siècle passé” (Carteggio politico, I, pp. 138 s.). Il volumetto, col titolo La politique sarde et la question d’Orient en 1783-84, di complessive settanta pagine, uscì a Torino nel 1855; messo in vendita, il ricavato andò alle famiglie dei soldati della spedizione in Crimea.
Nell’estate del 1858 il Cavour si trovò costretto dalle pressioni del Rattazzi a predisporre la sostituzione del Salmour, già segretario generale alle Finanze e, dopo il congresso di Parigi, agli Esteri. Salmour pensava alla possibilità di uno scambio di posti col C., ma la proposta fu respinta: “Io amo e stimo Castelli – gli disse il Cavour ma non lo credo capace di occupare tuo posto, e il suo è troppo modesto perché possa dartelo” (Carteggio Cavour-Salmour, Bologna 1961, pp. 169 ss.). Durante le ostilità dei ’59, il C. ebbe l’impressione di essere messo da parte; aveva avuto – è vero – l’offerta dell’intendenza di Bologna, ma non era mai riuscito a farsi ricevere dal Cavour per dirgli le ragioni del rifiuto (Massari, p. 282). Ancora il 4 luglio si lagnava dell’abbandono in cui era tenuto col Massari, che commentava: “là un galantuomo e non ha torto. Il conte Cavour dimentica troppo facilmente i suoi amici” (ibid., p. 291). Dai primissimi di agosto il C. faceva da tramite fra il Farini, governatore delle province modenesi, e il governo La Marmora in carica dal 19 luglio. Il 18 agosto gli fu conferito dal Farini l’incarico ufficiale di “rappresentare il governo delle provincie modenesi e parmensi” a Torino (Carteggio politico, I, p. 205), ma la sua posizione non era evidentemente chiara se il 9 settembre Farini gli scriveva: “Tu mi domandi un po’ brontolante che cosa tu sia in riguardo a Modena e Parma? Ma non ricordi che io ti offerii nomina ufficiale, e mi dicesti di no. Pur te la mando oggi. Ma il governo dei Re ti conosce o no, procuratore ed. orator nostro?” (Epistolario di L. C. Farini, p. 308). In realtà il C., oltre i contatti con i ducati, le Legazioni e la Toscana – come aveva già fatto, alla vigilia del congresso di Parigi del 1856 (Rattazzi a Cavour, 23 febbr. 1856; Cavour a Rattazzi, 26 febbraio; Rattazzi a Cavour, 1° marzo: in Cavour e l’Inghilterra, I, pp. 201, 216, 237), costituiva forse l’unico canale di comunicazione tra il Cavour, che nell’agosto ’59 si trovava a Ginevra, il governo La Marmora, il Minghetti, il Farini.
È al C. infatti che il Farini preannunciò l’8 settembre l’arrivo delle due deputazioni di Parma e di Modena “per esprimere a Vittorio Emanuele i voti per l’annessione al regno sardo” (Carteggio politico, I, pp. 212 s.). E sempre al C. il Farini scrisse da Bologna il 30 novembre la nota lettera sulla fusione dei ducati e delle Legazioni, citata frequentemente come momento particolarmente significativo nel processo unitario: “Ho fatto il colpo. Ho cacciato giù i campanili e costituito un governo solo. Ad anno nuovo da Piacenza a Cattolica tutte le leggi, i regolamenti... ed anche gli spropositi saranno piemontesi. Farò fortificare Bologna a dovere. Buoni soldati, buoni cannoni contro tutti che vogliano combattere l’annessione. Questa è la mia politica e me ne impipo di tutti gli scrupoli” (ibid., pp. 263 s.).
L’azione del C. in Toscana non incontrò invece il favore del Ricasoli, forse perché, come riteneva il Massari, questi “vedeva in lui l’amico di Guerrazzi” (p. 418). Il rifiuto, poi, del Ricasoli a un’unione politica con l’Emilia provocò il deciso risentimento del C. che voleva rassegnare l’incarico (a Minghetti, 26 nov. ’59, in Carteggio politico, I, pp. 254 s.).
Sul finire del 1859, quando si doveva scegliere il rappresentante piemontese al progettato congresso di Parigi, il C. fu ancora una volta il trait d’union fra il governo sardo, che desiderava il preventivo esplicito gradimento francese alla nomina del Cavour, e quest’ultimo, fortemente irritato di fronte al debole atteggiamento governativo (“Ces ministres sont d’ignobles valets”, in Lettere edite e inedite, VI, p. 510). Le tergiversazioni e le malcelate ostilità fecero perdere la pazienza al Cavour anche nei confronti del C.: “Il buon Castelli non ha ancora esaurita tutt’intera la dose di conciliazione di cui natura lo fornì. Se voi gli faceste capire essere ormai tempo di rompere coi tristi, mi fareste piacere” (Cavour a Farini, 7 genn. ’60, in La liberazione del Mezzogiorno, V, pp. 444 s.). Ma quando si parlò pochi mesi dopo, nel luglio del ’60 – il Cavour era ormai dagli inizi dell’anno tornato al potere –, di un possibile riavvicinamento dei protagonisti del “connubio”, fu ancora il C. a tentare la realizzazione: “Il sensale di questi aggiustamenti è, come al solito, Michel Angelo Castelli”, scrisse nel suo Diario segreto lo Sclopis (p. 267) il 23 luglio 1860. Proprio in quell’anno, il 29 febbraio, il C. fu nominato senatore, e prestava giuramento il 2 aprile nella seduta reale di inaugurazione della VII legislatura.
Anche dopo la morte del Cavour rimase costantemente in contatto, oltre che con il sovrano che lo stimava e ne ascoltava le opinioni, con»le personalità più rappresentative della classe dirigente subalpina. Come aveva contribuito a preparare le annessioni dei ducati, delle Legazioni e della Toscana, così dedicò tutto se stesso alla questione romana, prendendo contatto con il Comitato nazionale romano e divenendo il normale canale di comunicazione tra questo e il governo.
“Aveva frequenti contatti con emigrati e con romani di passaggio, cercava di avere complete e dettagliate informazioni che gli rendessero comprensibile la vita reale di una città cosi diversa da quella cui era abituato. In questo tentativo di chiarimento e di impostazione di una linea d’azione, egli era in contatto con Sella, con Dina e, soprattutto, con Lanza” (Bartoccini, p. 419). Fu il C., infatti, per incarico dei Lanza a fissare (8 ott. 1864) un incontro con M. Montecchi e G. Checchetelli per stabilire accordi con i patrioti romani, e il Lanza presentava al C. il 12 ag. 1865 l’avv. A. De Dominicis, presidente del Comitato nazionale romano “per concertare... il modo di corrispondere e di tenere il Governo informato delle cose...” “Non è d’uopo, aggiungeva il Lanza, che io ti suggerisca le istruzioni che occorre dare al Comitato Romano. Tu conosci perfettamente quali sono le mie idee al riguardo e, siccome sono conformi alle tue, saprai quindi trasfonderle con tutta la convinzione nel tuo interlocutore” (Carteggio politico, II, pp. 72 s.).
Cosa pensasse della situazione romana al termine del ’66 lo si può ricavare dal carteggio che ebbe con Dina, Montecchi e Gualterio. Roma era diventata per il C. “una idea fissa”, ma vi era una delicata situazione internazionale che non si poteva ignorare, e allora: “cerchio di fuoco, come si fa attorno allo scorpione che si uccide da sé. Ma non muovere un dito, guai a noi se non siamo irremissibilmente negativi” (al Dina, 4 novembre 1866, ibid., pp. 161 s.). Nel profondo contrasto che allora divideva l’emigrazione romana tra sostenitori del Checchetelli e del Montecchi, il C. si accostò decisamente a quest’ultimo, guadagnandosi, nell’estate del 1867, la fama di semigaribaldino presso il Nigra, il Rattazzi e il Dina (ibid., pp. 258-261). In realtà, nell’articolo La questione romana, pubblicato sull’Opinione del 24 settembre 1867, il C. sosteneva il non intervento di tutti, che si trasformò nel mese successivo in una richiesta di intervento comune, solo apparentemente contraddittoria perché ribadiva invece il concetto della parità delle posizioni francesi ed italiane, accomunate nel non intervento o nell’intervento. “Ho letto l’Opinione di ieri e di oggi (scriveva il C. al Dina il 15 ott. 1867), e siamo perfettamente d’accordo; batti, batti sempre l’intervento nostro, ammesso anche quello dei Francesi. Quando ci saremo tutti, bisognerà trovare l’uscita” (Carteggio politico, II, p. 281).
Sebbene non fosse più nella posizione che aveva col Cavour, il C. pure godeva ancora la fiducia di molti uomini politici. Il Durando ad esempio, sul finire del 1867, nel tentativo di formare un ministero “di fusione colla sinistra moderata, cioè con Mordini e amici”, rasentando il Crispi, si rivolgeva al C. per scandagliare il Saracco e il Lanza per eventuali responsabilità ministeriali (ibid., pp. 308 ss.). E al C., divenuto nel ’70 primo segretario del gran magistero dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro su proposta del Lanza, ricorse nell’agosto 1873 il Minghetti per convincere il sovrano ad effettuare il progettato viaggio a Vienna e a Berlino. “Tutto è combinato – gli scrisse il 2 settembre successivo – ... ti ringrazio di nuovo di quel che hai fatto; la tua parola giunse opportunissima a controbilanciare le esortazioni del principe Napoleone... Il re partirà il 21 per Vienna. Avrà l’invito da Berlino e accetterà” (ibid., p. 563).
Il C. morì a Torino il 20 ag. 1875.
Fonti e Bibl.: Il conte di Cavour. Ricordi di M. Castelli, a cura di L. Chiala, Torino 1886 (comprende i Ricordi poi riprodotti a sé tranne i due primi capitoli; alcune lettere dell’Azeglio e del Cavour al C.; una append. con lettere di F. D. Guerrazzi, L. C. Farini e U. Rattazzi al C., un dialogo tra il C. e il La Marmora alla vigilia della guerra del 1859, un articolo del Fischietto del 20 ott. 1859 e altri di scarso rilievo); Ricordi di M, C. (1847-1875), a cura di L. Chiala, Torino 1888 (scritti dal 1869 al ’75, hanno in append. i Diari delle campagne del ’48, ’59, ’60, ’66 scritti da un aiutante di campo di S. M. il Re Vittorio Emanuele II: “ben poca cosa, per tacere delle mille e mille inesattezze”, Chiala ad E. Govean, 9 genn. 1889, in A. Colombo, G. Dina e la convenz. di Sett., Torino 1913, p. 164); M. Castelli, Carteggio politico, a c. di L. Chiala, I-II, Torino 1890-91 (contiene, oltre le appendici, 1.214 lettere di “interesse non solo personale, ma storico”; Chiala, in Colombo, G. Dina, cit., p. 164).
Prima di questa raccolta del Chiala erano già state edite lettere del C.: in P. Fea, Lettere ined. di uomini illustri a M. d’Azeglio, Firenze 1884, ve n’erano sette ripubblicate poi dal Chiala; nelle Lettere edite e inedite di C. Cavour, a cura di L. Chiala, Torino 1883-87, ne erano apparse varie del C. e al C., non sempre riprodotte nel Carteggio politico; in E. Tavallini, La vita e i tempi di G. Lanza, Torino-Napoli 1887, sono comprese le trenta lettere del C. al Lanza e una del Lanza al C. non pubblicate dal Chiala, che rinviava all’opera del Tavallini, eccetto per la lettera del Lanza al C. del 10 ag. 1860 pubblicata mutila dal Tavallini. Dopo la pubblicaz. del Carteggio politico apparvero altre lettere del Castelli. In C. Durando, Episodi diplom. del Risorgimento ital. dal 1856 al 1863, Torino 1901, alcune lettere del C. al Durando non tutte intere; in Colombo, G. Dina, ventisei lettere del C. al Dina (di cui solo due pubblicate parzialmente nel Carteggio Politico) e una del C. a N. Bianchi; in M. Mazziotti, Lettere di un intimo amico di Cavour, in Nuova Antol., 16 ott. 1914, pp. 177-192, trentadue lettere, non tutte intere, del C. a P. Andreis, sindaco per trent’anni di Racconigi, dall’8 genn. 1855 all’agosto 1867. Nell’Epistol. di L. C. Farini, a cura di L. Rava, Bologna 1911-1935, c’è una lettera del C. al Farini sulla missione a Parigi del 1851 e diverse lettere del Farini al C. dal settembre al dicembre 1859; numerose lettere del C. al Lanza e viceversa sono pubblicate in Le carte di G. Lanza, a cura di C. M. De Vecchi, Torino 1936-40, II, IV-VI, VIII-IX. In G. Talamo, Un moderato: M. C., Roma 1955, sono pubbl. in appendice tredici lettere del C. a D. Berti, D. Carutti, G. Durando, G. Dabormida, dal 1852 al 1869. Infine nel Carteggio politico ined. di M. C. con D. Buffa (1851-1858), a cura di E. Costa, Santena 1968, sono trecentodiciotto lettere del C. al Buffa e viceversa. Cospicui gruppi di lettere, in gran parte ined., del C. e al C. si trovano a Torino e a Roma. Con testamento del 13 maggio 1889 Margherita Piacenza vedova del C. lasciò alla Sovrintendenza degli Archivi di Stato piemontesi 1.920 lettere dirette al C. da 287 corrispondenti, tra cui Artom, A. Bixio, Cavour, M. d’Azeglio, L. C. Farini, Lanza, Minghetti, Peruzzi, Rattazzi, Sella, Valerio, Vimercati. Diverse decine di lettere del C. al Cavour sono all’Arch. di Stato di Torino nelle Carte Cavour-Fondo Corrispondenti, insieme con le copie di settantotto lettere del C. ad A. Bixio; nel Museo del Risorgimento di Torino si trovano una cinquantina di lettere del C. a G. Dina, Zini, Dabormida, D. Berti, G. Durando, D. Carruti (di cui tredici edite in Talamo, Un moderato ...) rispettivamente nei fondi Cart. C. 159/143, Zini, Dabormida, Berti, Durando. Al Museo centrale del Risorgimento, in Roma, ci sono venticinque lettere del C. a G. Massari (busta 811), a L. C. Farini (busta CI-V), a D. Farini (busta 287), a M. d’Azeglio (busta 561), e alcune lettere al C. di L. C. Farini (busta 320), di D. Farini (busta 553), di N. Bixio (busta 556).
Non esistono sul C. studi completi esaurienti; spesso la bibliografia presenta un notevole divario sulle notizie essenziali, perfino sulle date di nascita e di morte. Profili biogr. sono nell’articolo di A. Mauri sull’Opinione del 25 ag. 1875 (riprodotto nei Ricordi di M. C., pp. 1-18); nella prefaz. di P. Fea, Lettere... a M. d’Azeglio (che dà l’erronea data di nascita 1809); in T. Sarti, Il Parlam. subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 249 (che dà l’erronea data di nascita 1810); in M. Musso, Per le solenni onor. al senatore M. C., Torino 1891; nel Catalogo del carteggio politico di G. Dina..., Torino 1909 (che dà l’erronea data di nascita 1809); nel Catalogo-guida del Museo naz. del Risorg. ital., a cura di A. Colombo, Torino 1911 (stesso errore); in F. Bertolini, Diz. univ. di storia e cultura, Milano s.d.; A. Malatesta, Ministri, dep. e senatori dal 1848 al 1922, I, Milano 1940, p. 226; F. Ercole, Gli uomini politici, ibid. 1941, p. 320 (che dà erronee le date di nascita e di morte); Diz. del Risorg. naz., II, pp. 595 s.; in Encicl. Ital., IX, p. 355 (che dà l’erronea data di morte del 30 agosto). Per quanto riguarda i giudizi e le testimonianze dei contemporanei sull’opera del C. basterà citare G. Massari, Diario dalle cento voci 1858-1860, con prefaz. di E. Morelli, Bologna 1959, pp. 39, 64, 74, 99, 210, 282, 291, 305, 330, 338, 344, 347, 415, 418, 462; e F. Sclopis, Diario segreto, 1859-1878, a cura di P. Pirri, Torino 1959, pp. 105, 144-45, 267, 326, oltre naturalmente ai carteggi cavouriani (Cavour e l’Inghilterra, I, pp. 201, 216, 237, 394; Cavour-Nigra, I, pp. 86, 89; Liberaz. del Mezzogiorno, III, p. 317; IV, pp. 44, 249, V, p. 346; Questione romana, I, p. 37). Per un complessivo giudizio sul C. vedi il profilo di G. Dina (in L. Chiala, G. Dina e l’opera sua nelle vicende del Risorgimento ital., Torino-Roma 1903, III, app. X, pp. 622-24); A. M. Ghisalberti, Lezioni di storia del Risorgimento, 1948-1949, Roma 1949, pp. 198-200; G. Talamo, Un moderato..., e la puntuale e densa introduzione di E. Costa (Due collaboratori di Cavour: M. C. e D. Buffa) al citato Carteggio politico inedito, pp. 17-65. Sulla collaboraz. del C. al Risorgimento, oltre ad A. Colombo, I due giornali torinesi: il “Risorgimento” e “La Concordia” negli albori della libertà, in Il Risorg. ital., III (1910), pp. 28-65, significativi e precisi giudizi in R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II, 1842-1854, Bari 1977 (specialm. nel cap. IV). Sulla missione a Parigi nel 1851 sono da vedere M. d’Azeglio-D. Pantalconi, Carteggio ined., con prefaz. di G. Faldella, Roma-Torino-Napoli 1888, pp. 296-300; Lettere di M. d’Azeglio a L. Torelli, Milano 1870, pp. 15-18, 60; Epistol. di L. C. Farini, a cura di L. Rava, III, Bologna 1914, pp. 500-503; ma, soprattutto, M. Avetta, Dall’Archivio di un diplomatico (Il barone M. A. Alessandro Jocteau), Casale 1924, pp. VIII-XIX, XLII-XLIII, e pp. 31-42. Un rapido cenno in A. Omodeo, L’opera polit. del conte di Cavour, Firenze 1940, I, p. 107. Sull’episodio, inquadrato nel problema dell’atteggiamento della diplomazia sarda nei confronti degli indirizzi politici dei governo di Torino, vedi Romeo, Cavour, II, pp. 541 ss. Un inquadramento della missione parigina nell’ambito delle divergenze Cavour-Nigra sugli indirizzi di politica finanziaria ed economica, e delle renitenze del Cavour verso la casa Rothschild e verso prestiti esteri con modi tali da arrischiare che “il deficit [assumesse] un carattere strutturale”, ancora in Romeo, Cavour, cap. VII. Per l’attività finanziaria dei Rothschild verso il Piemonte dal ’49 a tutto il ’51, vedi B. Gille, Histoire de la maison Rothschild, II, Genève 1967, pp. 75-88. Sulla parte avuta nella formaz. del e connubio”, oltre a V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II, Torino-Roma 1878-1895 (specie V, p. 273); E. Tavallini, La vita e i tempi di G. Lanza, Torino-Napoli 1887, I, pp. 153 e 216, e l’opera citata di Omodeo, è da vedere soprattutto l’intero cap. VIII del II volume della citata biogr. cavouriana del Romeo. Sulla brevissima missione in Toscana nel ’59 un cenno in E. Poggi, Memorie stor. del Governo della Toscana nel 1859-60, Pisa 1867, I, pp. 397-98. Sulla parte avuta nei tentativi per risolvere il problema di Roma nel più vasto contesto dei rapporti tra il governo italiano e gli emigrati romani, vedi F. Bartoccini, La “Roma dei Romani”, Roma 1971, soprattutto pp. 459, 461, 481-483, 488-490.