MESSAPÎ
. Col nome di 'Ιήπυψες Μεσσάπιοι la geografia ionica, o per lo meno un logografo anteriore a Erodoto (VII, 170), indicò la popolazione della regione che i Greci chiamavano 'Ιαπυγία e i Romani dissero Apulia (v. iapigi). Codesto logografo o geografo pare Ecateo, che da altri frammenti si rivela diretto conoscitore del paese, prima del 500 a. C. Tuttavia, pur assegnando ai Messapî la penisola da Taranto e da Brindisi fino al Capo, Erodoto (IV, 99) avverte che essi non costituiscono ἔϑνος diverso dagli Iapigi, e dello stesso avviso parrebbe Antioco di Siracusa (apud Strab., VI, 279). La distinzione ancora concreta ai tempi di Tucidide (VII, 33) e in uso a Taranto (Rhinton Apud Hesych., s. v. Καλαβρίαν) pare confermata dal fatto che messapie erano le città unite contro Taranto nella guerra del 473 a. C. Si tratta dunque o di una nazionalità più omogenea, o di una più stabile federazionc politica e militare. La lingua dei Messapî è detta dai Greci indistintament messapica; ma i Messapî sono per essi anche indistintamente βάρβαροι, cioè, rispetto agl'Italioti, "non parlanti lingua greca o italica".
Preistoria. - Dal fatto che nella regione italica più direttamente prospiciente alle coste dell'Epiro e ad Itaca l'Odissea non conosce ancora se non Σικελοί, e cioè la condizione etnografica generale dell'Italia preistorica, si arguisce che la comparsa degli Iapigi nella penisola non sia di molto anteriore alla prima età del ferro, 1000-800 a. C. D'altra parte è sicuro che il nome geografico di Siculi prima di quel tempo era tenuto da popolazioni di nazionalità e lingua opico-ausone, le sole conosciute dalla primissima tradizione italiota, raccolta alla fine del sec. VI a. C. dalle fonti interne (italiote) ed esterne (argive), rispettivamente di Antioco di Siracusa e di Ellanico, questi il solo dei logografi che Tucidide nomini espressamente. Opici o Ausonî sono infatti per loro (Antioch. apud Strab., VI, 257; V, 242; onde Aristot., Pol., VIII, 9, 2; Hellan. apud Dion., I, 22, da cui Thuc., VI, 2) i popoli che, cacciati dagli Iapigi dalle sedi in cui questi s'insediarono, passarono in Sicilia (secondo il calcolo di Ellanico, corretto da Tucidide) verso il 1035 a. C.
Protostoria. - Tradizione costante, ed espressa in varie forme nell'antichità, indica gli Iapigi come di stirpe illirica: a tale tradizione corrispondono gli etnici, i nomi geografici, le glosse, e la lingua delle iscrizioni messapiche. Perché Ecateo potesse parlare di 'Ιαπυγία, δύο πόλεις, μία, ἐν τῇ 'Ιταλιᾳ καὶ ἑτέρα ἐν τῇ 'Ιλλυρίδι (Steph. Byz.), il presupposto è che la forma originaria e da lui conosciuta di gr. 'Ιαπυγία fosse 'Ιαπυδία (la formula con -d- è normale per gli 'Ιάποδες illirici). Eforo chiama 'Ιαπυγία ancl. e la Iapudia illirica (Steph. Byz., s. v. "Ισπρος). La stessa base è postulata dalla forma che divenne poi latina Apulia. Il primitivo Iapudia in una pronunzia greco-barbara cominciò dal perdere per spirantizzazione il j iniziale finché Apudia, su bocca latino-sabellica, divenne Apulia, come osco Akudunnia divenne Aquilonia, Aufidus Ωϕελος (Appian.). A Japudiscu risale anche il nome etnico degli Iapigi nelle tavole Iguvine (Japuzkum numen). Né è da meravigliarsi che Illiri si trovassero sulla costa orientale dell'Umbria, se di origine illirica son detti anche i Peligni (Paul. ex Fest., p. 278 L.) e se una stazione di Liburni collocava sul Tronto la fonte di Plinio, III, 100. La difficoltà di crederlo sta nel fatto che, mentre la presenza di Iapudi sulla cosia pugliese presupporrebbe un'estensione corrispondente di questo popolo sulla costa illirica fino all'Epiro, in età storica gli Iapudi appariscono confinati nell'estremo angolo NE. del Mare Adriatico, accanto ai Veneti e senza una particolare importanza politica. Pare, però, che l'etnografia protostorica, in cui la dominazione degli Iapudi sulle altre stirpi doveva rappresentare la condizione politica generale della costa adriatica dell'Illyricum, sia stata successivamente modificata, oltreché da probabili e in parte dimostrabili immistioni di genti tracie, dalla talassocrazia liburna che nel 734 a. C. aveva ancora in sue mani Corcira, all'imbocco dell'Adriatico (Strab., VIII, 269), dalle incursioni celtiche di Taurisci e Scordisci e finalmente dalla dominazione dalmatica trovata dai Romani. L'unità politica creata dagli Iapudi doveva essere quindi già spezzata nel IX o VIII sec. a. C., se nel VI non si parla se non vagamente dell'origine comune di Iapudi e Iapigi.
La presenza di Traci sulla costa Adriatica, oltre che dal figurare di Dardani, Paeones e Bryges, e poi complessivamente di Bessi, fino ai monti Acroceraunî, è indicata da una quantità di nomi geografici, ora a più riprese raccolti e illustrati dalla ricerca. Le infiltrazioni di genti tracie fra gl'Illirî precedono in ogni caso il passaggio in numero di Iapudi sulla costa italica, se tra le stirpi iapigie figurano: 1. un popolo di Daunii che è anche il nome di una popolazione tracia: Δαόνιον πόλις Θρᾴκης (Zon., 470); Δαύνιον τεῖχος (Steph. Byz.: forse traduzione di un tracio Δαυνο-διζος); 2. un popolo di Dardi distrutto da Diomede (Plin., III, 104 e altri), nella cui regione colloca Licofrone una Δάρδανον πόλιν, v. 1128 seg., nome anche di popoli (Derdi, Dardaiti) e di città tracie; 3. i Calabri, il cui nome, con usuale lenizione della sorda iniziale, trova riscontro nei traci Γαλάβριορ (tribù dei Dardani), Strab., VII, 316; 4. i Sallentini, che rammentano il nome dell'illirico Salluntum (Itin. Anton.). Tutti questi nomi sono o sembrano di carattere indoeuropeo. Altro nome tracio e indoeuropeo è iap. Γάργαρον (Monte Gargano, Steph. Byz.), da cui il nome Γαργαρία-'Ιταλία di Pseudo-Aristot., Mir. ausc., 108, cui corrispondono Γάργαρον,-α (Epiro), presso Steph. Byz., e Γάργαρα "vette del M. Ida e città della Troade". Si tratta di un raddoppiamento di indoeur. e a. slav. gora "monte", albanese gur "pietra", av. gairi- "monte", a. ind. giriõ. Nomi personali, come iapigo-mess. Δαζας, gr. Δάζος, Πύλλος; "Αρτας, gr. "Αρτος; AFιϑος = illiro-celt. Avitus; Πλάτωρ, gr. Πλάτωρ si ripetono poi nelle isole o nel contincnte illirico.
Delle glosse conservate dagli antichi sono pervenute a noi: 1. βρέντιον "testa (di cervo)", Seleuc. apud Steph. Byz. (cfr. Strab., VI, 282); brunda "caput (cervi)", Enn. fr., etimo allegato dagli antichi a spiegare il n. loc. Βρεντέσιον, Brundisium o Brenda, Paul. ex Fest., p. 24 L., cfr. lat. frons, alb. bri???-ni "corno, corna"; 2. βρένδον•ἔλαϕον, Hes. e Etym. Magn., sved. dial. brind(e) "Elentier"; 3. βαυρία•οἰκία, Etym. Magn., 389, 24; βύριον•οἴκημα, Hes., a. a. ted. būr, ecc., da *būra "casa, nido", cfr. ted. Bauer "nido, casa" e Bauer "rusticus" alb. būr, būrε "uomo (di casa), marito"; 4. βίσβη•δρέπανον, certo da indoeur. bheid- "findo"; 5. σίπτα•σιώπα, Hes., a. a. ted. swiftōn "conticescere", Fick, in Bezzenberger's Beiträge, XIX, 235 (ital. zitto?). È quanto basta per indicarci nel messapico una lingua indoeuropea.
Iscrizioni. - Per quanto non si possa negare col Deecke che la forma definitiva dell'alfabeto messapico sia quello tarentino dei secoli IV-II a. C., tuttavia né quello arcaico di una perduta iscrizione di Vaste (Mommsen, Unterit. Dial., 49, n. 6), né quello antico di Metaponto, su un vaso del museo di Taranto (cfr. Neapolis, II [1914], p. 10) ne rappresentano oggi la forma più antica. Un'iscrizione messapica di Carbinium, di cui l'originale sembra disgraziatamente perduto, ma che conosciamo da due buone copie, supplendo con lettere di altre iscrizioni arcaiche della regione, ci aiuta a rappresentarcelo in questa forma.
Il primo dei due segni usati per h (v. l'alfabeto), il fenicio cheth, ricorre in Italia solo nell'alfabeto etrusco di Marsigliana d'Albegna, giudicato del sec. VIII a. C. Del pari che il segno del 8 per rappresentare l'f, esso deriva da un alfabeto modello proveniente dal basso Adriatico, giacché nessuno dei più antichi alfabeti sicelioti e italioti, compresi quelli di Selinunte e di Cuma, ne hanno traccia. Particolare negativo arcaicissimo è che l'alfabeto messapico, anche più tardo, non conosce il segno dell'u (V), per il quale adopera l'o. Il tipo di scrittura più antico è quello che va da destra verso sinistra, cioè l'originario fenicio. Iscrizioni di alfabeto e lingua messapica si sono raccolte dal Medioevo sino ad oggi nei territorî che storici, geografi e gromatici assegnano all'Apulia meridionale, sotto una linea che congiunge Taranto, sullo Ionio, con Monopoli, sull'Adriatico.
Le iscrizioni raccolte nella parte superiore della Puglia fino a Bari e Lucera non presentano più un dialetto puro e omogeneo. Nelle cause di alterazione, oltre alla diversità costitutiva delle stirpi, bisogna tener conto del numero maggiore o minore di relitti e reazioni dei sostrati eteroglotti, delle infiltrazioni culturali e letterarie del greco di Taranto, delle immistioni demografiche e dialettali sannitiche. Sotto Monopoli (Diria) le località più produttive di iscrizioni sono Gnathia (Fasano), Ostuneum (Ostuni), Caelium (Ceglie Messapico), Rudiae Peucet., mediev. Rodia (sull'Appia presso Francavilla), Uria (Oria), Manduriae (Manduria), Mesagne, Brundusium, Baletium, Lupiae e presso di. questa Rudiae (oggi Rusce), Salapiae, Vaste (Bausta), Muro (Leccese), Soletum (Soleto), e sullo Ionio Neretum (Nardò), Aletium (Alezio-Gallipoli), Uzentum (Ugento), Veretum (Patù). Oltre alla generale difficoltà di un'esatta topografia storica, inesplorata resta la zona costiera malarica tra Manduria e La Vetrana (Arneo).
Dopo le parziali e imperfette collezioni del Mommsen e del Maggiulli e Castromediano e i supplementi al CII del Fabretti, in cui si insinuò qualche falsificazione, il numero delle iscrizioni raccolte per il Corpus Inscriptionum Messapicarum (C. I. M.) di F. Ribezzo, comprese quelle di dialetto misto della Daunia, Peucezia e Lucania, sale a circa 200. Quelle che superano il rigo, e non sono o estremamente frammentarie o composte di soli nomi proprî, sono relativamente poche. Per dare un'idea della lingua, dò il testo in 15 righi della grande iscrizione brindisina, dopo Deecke e Torp più completamente costituito dal Ribezzo (C. I. M., 34)
Klaohizis denϑ[ava]n v[a]sti ∣ anda dara[n]ϑoa ras[..]o[..ar]ta- ∣ hiaihi v[al]laihassi dasinn[.]r dazi- ∣ maihi oibaliai[hi] anda ϑivas ∣ mannati daχtas vosϑellihi ϑa- ∣ tarassi balasiiri[hi] ϑaotorassi vallaidihi tahizi[hi] atavetes maber[an] ∣ argorian [.]olan mazzes na ∣ ta(n) noman inin vasti beradam[..] ϑendono morohi dehatanta ta(n) ∣ nin tarihe nerikiden artorian eχ[....] ∣ [.]olas nin ϑaolan maberan ai [.....] ∣ kos kraapati argonan preiχr[.]i[....]; ∣ nes nabtaiϑis, anda pelaϑ[is] hi berain vasti (.)dia...
La formula introduttiva klaohizis denϑavan, ecc., compare a principio delle iscrizioni più lunghe, alcune delle quali, contenendo non uno, ma liste di nomi, non possono essere di carattere funerario. A giudicare dal rapporto formazionale e semantico che intercede tra mess. argonan "argentum" gr. ἄργυρον e mess. argorian, gr. ἀργύριον "moneta, argento coniato", l'iscrizione contiene un decreto monetario del senato o bulè dei Brundisini. Oltre a queste parole vi si lasciano identificare klaohizis, illir. n. pers. Vesclevesis "di buon grido, illustre", gr. εὐ-κλεFής, a. ind. Vasuçravas. In denϑavan è da vedere un participio ide. in -uont; mentre vasti è il locativo di un nome corrispondente a gr. (F)ἄστυ "città" e (F)ἑστία "domicilio, casa". Forme verbali da ide. *bherō, gr. ϕέρω, lat. fero, a. sl. berǫ sono messap. beran, berain con -t finale caduto, cui pare da aggiungere bere(ϑi) = dor. ϕέρετι in C. I. M., 67, 6 dato che questo verbo così supplito si trova in paratassi contestuale con la 3 p. sing. kermaϑi *κρεματι "appende, vota"; anda è probabilmente una congiunzione da ide. n̥thá (con la riduzione di -nt in -nd-, p. es. di Brent- in Brend- nel nome di Brindisi, e forse di Μανϑυρέα in Manduriae), e affine a germ. und, anglosass. and "e".
Se ora si domanda a quale dei gruppi di lingue indoeuropee, al centum o al satem, si connetta lo iapigo-messapico, tre caratteri per lo meno permettono d'inserirlo tra le lingue balcaniche: 1° il rendimento di ide. o con a; 2° l'evoluzione di eu in au attraverso ou (p. es., mess. taotā- "città, popolo", lit. tautà, illir. Tεύτα, ecc.); 3° la trasformazione, oltreché di ide. bh, anche di gr. lat. f in b, come nel traco-macedone. Né bastano a separarlo dal gruppo satem la conservazione di k nella parola klaohizis da *klau(u̯)esis, a. i. -çravas; a. sl. slovo -ese, perché questa è un'eccezione diffusa in tutto il gruppo satem, cfr. alban. èuhem "mi chiamo", lett. klausīt "ascoltare" lit. klausaũ. Invece mess. argorian, argona "argento", illiro-trac.-frig. 'Αργυρία n. loc. (eontro tr. ἄρζος "bianco") deriva dal linguaggio della cultura o è relitto di un sostrato ide. diverso. Del resto nella rarità di altri esempî non bisogna trascurare cimelî medievali come Barsentum, città su altura, distrutta, tra Putignano e Alberobello, con una chiesa del sec. IV d. C. eretta dai monaci di S. Aquizio, Barsinto nella Syll. Membr. Neapol. v. Ind., nome che fa serie con i nomi itinerarî di base Berz- Birz-, Bers- della costa illirica, accanto a quelli comincianti con Berg-, certamente d'altro sostrato, ma ambedue da ide. berĝho- "alto, monte, fortilizio". Anche in mediev. Disum (Diso) sul nodo stradale che conduce a Castrum Minervae (Castro Marina) si ravvisa il tr. -διζος, gr. τεῖχος, equisignificanti di lat. castrum e affini a pers. daẽza "cinta, recinto" da ide. dheiĝho- "muro, fortificazione"; v. Riv. indo-gr.-ital., XVII (1933), p. 116 segg.
Di una occupazione illirica della costa adriatica della penisola italiana poco prima del 1000 a. C. non si può dunque dubitare. Concorrono con le altre prove quelle della discesa quasi coeva degli Illirî nel già ellenico Epiro e l'arrivo dei Traci sull'Ellesponto e in Asia Minore verso il 1100-1000 a. C. Si tratta evidentemente di stirpi che dal corso del Danubio si riversarono a sud, su territorî precedentemente occupati da altre stirpi indoeuropee, tra cui sicuramente i Veneti con gli ultimi nuclei negli 'Ιλλύριοι "Ενετοι di Erodoto, negli Enedi, nei Vendi della Germania, negli 'Ενετοι del Ponto e della Paflagonia, onde i numerosi relitti centum in area storicamente satem. Né si opponga che nessun indice archeologico prova tale assunto, poiché Illirî e Traci rappresentano una comparsa relativamente recente sulla sponda orientale dell'Adriatico, archeologicamente subito assorbiti dalla superiore cultura mediterranea del paese.
Organizzazione politica. - La prevalenza, nelle notizie e nelle iscrizioni, di gentilizî d'origine balcanica, come quelli dei Dasii e dei Blattii di Arpi in Livio, accenna chiaramente all'esistenza di un patriziato uscito dalla classe dei conquistatori e dominatori illirici in tutta la Iapigia. Delle loro competizioni intestine, quando essi non riuscirono a formare una oligarchia compatta o a creare una dinastia, si servirono ai proprî scopi Taranto e Roma. Si sa che nelle lotte con Cartagine le città seguirono le alternative di famiglie potenti parteggianti per Annibale o per Roma, donde la loro sorte finale. L'antichità ci ha tramandato parecchi nomi di re: Opis, Artas, Messapus, Dasummius, Malennius, ma di re o di regge si parla per città diverse: Uria, Rudiae, Brundusium, Lupiae e altre sedi ignote. Forse ogni città, oltre a una bulè propria, come Brindisi (Kaibel, I.G. A, 674), ebbe anche un principe particolare. La federazione del 473 contro Taranto fu dunque una federazione politico-militare di città autonome. A federazioni di 12 o 13 città (Strab., VI, 281), o popoli illirî, divisi in tre tribù (Plin., III, 102; Varron. apd. Prob., Vergil. Ecl., VI, 31), alludono le notizie o leggende raccolte dagli scrittori. Poiché il numero di dodici città si ripete per la Campania, per l'Etruria e per la Padana, deve trattarsi d'influsso dei sistemi federali adriaco-egeo-ionici di dodici demi e rispettivi Βασιλεῖς con alla testa un πρύτανις Βασιλεύς, come prossimamente nell'isola vicina dei Feaci omerici. Talvolta, infatti, nelle leggende o nelle vicende di guerra si parla di un re di tutti i Messapî o di tutti gli Iapigi. A particolari leghe, intese o convenzioni di singole città si riferisce l'arcaico caduceo con le leggende δαμόσιον Θουριων e sotto il retrogr. δαμόσιον Βρενδεσίνον (Kaibel, A G. A, 672). La seconda iscrizione per le sue particolarità arcaiche deve essere copia di un modello più antico, mentre la prima, in alfabeto ionico-attico, deve essere opera del tempo di Cleonimo (302 a. C.) in cui la distrutta Thuriae (per il suo porto e la sua forte posizione probabilmente a Castro Marina, Liv., X, 2; Diod., XX, 105, 3) era forse stata alleata di Brindisi. A relazioni particolari di Baletium con Brundusium prima dell'occupazione romana allude la leggenda di Baletos figlio di Brentos (Steph. Byz., s. v. Βρέττος, lemma contaminato con *Βρέντος).
Cultura e religione. - Salvo che nelle tracce di una cultura locale collegata con quella di tutta la regione pugliese nella prima età del ferro, e derivata da età eneolitica, prima dell'influsso particolare di Taranto, in tutto il resto, architettura, arte, ceramica, la Messapia imita e ripete forme greche. La leggenda raccolta da Antioco, ancora nel sec. V a. C., dice che i Partenî della Laconia da principio vennero accolti ospitalmente dagl'indigeni della regione (Strab., VI, 278 seg). Della vicina Rudiae si sa, forse dalla stessa fonte, che era divenuta una πόλις ‛Ελληνίς (Strab., VI, 281).
Il processo di antica ellenizzazione del paese è evidente dal culto. I nomi divini delle iscrizioni dedicatorie sono tutti di divinità greche: Aprodita, Aϑana, Aplu(n), Damatra e a Brindisi Heracles, di cui Brentos si diceva figlio (Steph. Byz., s. v. Βρέττος). I culti proprî od originarî della stirpe dovevano essere ben semplici: il culto illirico-epirotico di Δειπάτυρος (Hesych.), "Giove padre", è attestato indirettamente da quello di Iuppiter Menzana, da Mend-ia na "equinus", cfr. alpino-gallo-dinar. mend-, alban. mes "muletto", dio al quale, secondo fonti romane si sacrificava gettando un cavallo vivo nel fuoco, forse a imitazione, più che di un analogo costume laconico, di quello notato da Strabone, V, 215, presso gli 'Ιλλύριοι. Originario degli Japudi umbri pare anche in Umbria il culto di Iuppiter Grabovius, illiro-slav. grab- "faggio" (Kretschmer, Festschrift Bezzenberger, p. 89 seg.).
Dal nome teoforico Divana si direbbe che dei Messapî fosse anche il culto della corrispondente divinità femminile (cfr. lat. Diana da *Di(u̯)iāna, gall. Divona, epir. Διώνη "Hera". Quanto agli eroi, il culto di Falanto a Brindisi parrebbe di derivazione tarentina, (cfr. Strab., VI, 282; Iustin., 3, 12) e la leggendaria inimizicia dei Brindisini contro Diomede (cfr. Eracl. Pont., fr. 27, F.H.G.; Iust., XII, 2, 5, e il vaso di Ceglie Messapico nel museo di Berlino) dice che il culto di questo eroe restò limitato alla Puglia superiore e alle isole dell'Adriatico (Diomedee). Un eroe nazionale dovette essere Μέταβος o Μέταπος (figlio di "Αλυβας, Steph. Byz., s. v.; Etym. Magn., 579, 28, s. v.), lat. Messapus in Ennio e Virgilio. Μέταβος fu anche il nome postomerico di Metaponto. Ma non è dubbio che l'eponimo Μέταπος originariamente fosse quello stesso di Μεταπία (Rhinton apud Hesych.) e di cui Μεσσαπία è un adattamento greco. Dall'iscrizione dell'elmo di Metaponto (Riv. indo-gr.-ital., XV, 1931, p. 182 segg.), si ricava che iapigio dovette essere una volta il dialetto di Metaponto, forse ancora prima dell'arrivo dei Sanniti e anche se già sotto dominazione tarentina. Di un'estensione maggiore della lingua messapica in corrispondenza della tradizione, secondo la quale gli Iapigi originariamente avevano cacciato gli Ausonî della regione fino allo stretto di Sicilia, non abbiamo elementi sicuri. Ma che l'ἔϑνος iapigio nel corso del sec. VII a. C. andasse oltre la destra del Casumtus (Basento), non è credibile, giacché il nome stesso di Μέταπος, dato alla città, e di *Μετάπιοι, dato agli abitanti, esprime un confine territoriale tra popolo messapico e non messapico. Tracce dello stato politico di età antica sono, tra gli altri, i ripetuti nomi dei Chones e di Pandosia illirici in questa regione e fino al fiume Traente, in pieno Bruzio.
Vicende politiche. - Le prime notizie storicamente sicure sui Messapî sono le loro lotte con Taranto al principio del sec. V a. C. Di una vittoria ottenuta dai Tarentini intorno al 500 resta testimonianza, in un accenno di Pausania, X, 10, 6, a un donario da loro posto a Delfi, tratto dal bottino dei vinti, e nell'iscrizione del medesimo donario di recente ritrovata (Dittenberger, Sylloge inscriptionum graecarum, 3a ed., I, n. 21). È verosimile che durante questa guerra sia stata distrutta dai Tarentini con ferocia la città messapica di Carbinium (Ateneo, XII, 522 d), situata a nord di Brindisi. Pochi anni dopo, quasi certo nel 471 e non nel 473, come asserisce Diodoro, XI, 52, i Tarentini subivano invece una grave sconfitta, che Erodoto, VII, 170, 3, dice la più terribile che i Greci avessero mai provato. Ma la riscossa fu rapida perché circa il 460 i medesimi Tarentini potevano mandare un nuovo donario a Delfi, di cui pure ci restano l'iscrizione (Dittenberger, n. 40) e un ricordo di Pausania, X, 13, 10. È probabile che al tempo della fondazione della colonia panellenica di Turi (443 a. C.) gli Ateniesi stringessero amicizia con i Messapî per odio contro i Tarentini ostili alla nuova colonia. Certo, nel 427, durante la prima spedizione ateniese in Sicilia, gli Ateniesi potevano rinnovare una preesistente amicizia con i Messapî e averne anche qualche aiuto (Tucidide, VII, 33, 4). A questo periodo si deve riferire anche una nuova guerra dei Tarentini contro i Messapî per il territorio della distrutta Siri, di cui parla Strabone, VI, 280-81. Il rafforzarsi della lega italiota placò le ostilità fin dopo la morte di Archita (v.). Ma intorno al 343 i Messapî si erano nuovamente fatti minacciosi, se Taranto invocava l'aiuto di Sparta, che mandava il suo re Archidamo, il quale combatté cinque anni senza risultati decisivi e morì in battaglia a Manduria, in territorio messapico, nel 338. Alessandro d'Epiro (v.), invocato poco dopo dai Tarentini (circa 335 a. C.), iniziava invece un'altra politica: cercava cioè di conciliare Greci e Messapî in vista del pericolo sannita sempre più grave, e ci riusciva. Comincia a questo punto la seconda fase della storia dei Messapî, che non è più di rivalità, ma di accordo con Taranto. Dapprima l'accordo fu anche comune con i Romani, ugualmente impegnati contro i Sanniti. I Messapî furono alleati dei Romani nella seconda guerra sannitica (326 a. C.) e nella terza (299 a. C.), ma in quest'ultima già cominciarono defezioni dei Messapî impensieriti della crescente potenza romana. Del resto non sembra che i Romani, né allora né poi, abbiano mai trattato con i Messapî collettivamente, benché dovesse esistere una loro lega, ma solo con le loro città, e infatti durante queste guerre ci appare come fedelissima la città di Arpi. I Messapî furono poi coinvolti da Taranto nella guerra con i Romani, per cui Taranto ebbe l'aiuto di Pirro (282 a. C.): già nel 280 i fasti trionfali romani ci parlano di una vittoria romana sui Sallentini, cioè sui Messapî. Nel 272 Taranto si dovette arrendere a Roma, e dopo le due campagne del 267 e del 266, del pari ricordate nei fasti trionfali, anche i Messapi dovettero cedere ed entrare a far parte della confederazione capitanata da Roma, non sappiamo bene a quali condizioni precise. Secondo l'elenco dei contingenti militari dato da Polibio, II, 24, per l'anno 225 a. C., i Messapî nel complesso dovevano mettere a disposizione di Roma 50 mila fanti e 16 mila cavalieri (più probabilmente 6 mila). Nemmeno i Messapî rimasero fedeli a Roma dopo la battaglia di Canne nella seconda guerra punica: nell'inverno 213-12 erano già ribelli e sul loro territorio si poteva stabilire Annibale per preparare la defezione di Taranto a Roma avvenuta poco dopo (212). Nel 209 i Romani ricuperarono il territorio. Della dura repressione della ribellione sappiamo poco: il particolare più importante è che Arpi fu privata di una parte del suo territorio, cioè di Siponto, in cui nel 194 fu collocata una colonia romana. L'ultimo tentativo di reazione a Roma si ebbe nella guerra sociale, ché i Messapî si ribellarono nel 90 a. C., ma la riconquista romana avvenuta nell'88, a cui seguiva la concessione della cittadinanza romana, non faceva che riconoscere e nello stesso tempo accelerare il processo di romanizzazione che trasformò del tutto l'antica gente illirica in latina.
Bibl.: Collezione delle iscrizioni messapiche: Th. Mommsen, Die unteritalischen Dialekte,Lipsia 1850, p. 43 segg., tavv. II-V; Maggiulli e Castromediano, Le iscrizioni messapiche raccolte, Lecce 1871; A. Fabretti, Corpus Inscriptionum Italicarum, suppl. I-III; Fr. Ribezzo, Corpus Inscriptionum Messapicarum, in corso di pubblicaz. dal 1922, in Riv. indo-greco-italica, Napoli 917 segg.; e prima, L. Viola, Not. d. scavi, 1884, p. 128 segg. Vedi anche quelle edite da L. Pepe, B. Nogara e C. De Giorgi e da F. Ribezzo, in Neapolis, II, p. i segg., Riv. indo-gr.-ital.; III, p. 77 segg.; V, p. 47 segg.; XI, p. 295 segg.; XII, pp. 67, 218 segg.; I.P. Droop, Ann. Brit. School. Ath., II (105-06).
Studî linguistici: W. Deecke, in Rh. Mus., XXXVI, p. 576 segg.; XXXVII, p. 373 segg.; XL, pp. 133 segg., 638 segg.; XLII, p. 226 segg.; P. Kretschmer, Einleitung in die Gesch. d. griechischen Sprache, Gottinga 1896, p. 172-282; A. Torp, Idg. Forschungen, V, p. 196 segg.; F. Ribezzo, La lingua degli antichi Messapii, Napoli 1907; oltre ad articoli del Whatmough, in Language, III (1927) ed ora del Krahe, in Glotta, Indoar. Forschungen e Z. f. Ortsnamenforschungen.
Omonimie: Dopo le ricerche fondamentali del Helbig in Hermes, XI (1875), p. 257 segg., e Patsch, Jahresh. österr. arch. Inst. X, p. 169 segg., v. ora Iokl, in Reallex. d. Vorgesch., s. v. Albaner, Illyrier, Thraker, e i due libri, da alcuni punti di vista esaurienti, di H. Krahe, Die alten balkan. illyr. geogr. Namen, Heidelberg 1925, e Lexikon altillyr. Personennamen, Heidelberg 1929, in cui la dimostrazione affinità iapigo-messapiche e traco-illiriche dal fatto storico, linguistico ed etnografico scende fino a quello personale, gentilizio e demografico. Per l'orientamento archeologico utile resta sempre M. Mayer, Apulien vor u. während d. Hellenisierung, Lipsia 1915. Circa l'evoluzione continua e assorbente della cultura mediterranea della regione dal neolitico fino all'età del ferro e alla colonizzazione greca, vedi ora i giudizî più maturi di U. Rellini, nelle ultime annate del Bull. di Paletn. Ital.
Per le vicende politiche: G. De Sanctis, Storia dei Romani, I-II-III, Torino 1907-16; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, I-III, Roma 1924-32; E. Pais, Storia dell'Italia antica, 1ª ed., Roma 1925, 2ª ed., Torino 1933; G. Giannelli, La Magna Grecia da Pitagora a Pirro, I, Milano 1928. Per i rapporti con Roma anche J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino e Lipsia 1926.