MESE (lat. mensis; fr. mois; sp. mes; ted. Monat; ingl. month)
Le necessità pratiehe del vivere civile hanno condotto i popoli primitivi alla definizione di unità di misura del tempo, formate di multipli interi dell'unità fondamentale, giorno: così la settimana, basata sulle fasi della Luna, il mese sulla durata di una lunazione, l'anno sulla rivoluzione del Sole attorno alla Terra e sul ritorno delle stagioni. Nessuna delle unità convenzionali (v. calendario) corrisponde al periodo astronomico, dal quale essa deriva; e ciò per la ragione ovvia dell'essere i singoli cicli celesti formati di numeri frazionarî. Dovendosi poi adattare il mese all'anno, la difficoltà era complicata dal fatto che l'anno civile di 365 giorni (o di 366 nel caso dei bisestili) non può essere suddiviso in periodi eguali tra loro e poco differenti dalla lunazione, che è di 29 giorni e ⅓. Quindi l'opportunità di mesi diseguali, con adattamenti più o meno felici: tra i quali il mese ecclesiastico, definito nel calendario gregoriano, è il più adatto allo scopo. L'inconveniente dell'ineguale durata dei mesi così definiti è stato di recente esagerato dai creatori di nuovi calendarî, i quali vorrebbero sostituire le norme gregoriane con altre ispirate da motivi esclusivamente pratici.
I mesi che vigono ancora nella maggior parte del mondo civile sono, dopo la rifomia giuliana, quelli del calendario romano (per í mesi negli altri calendarî, v. calendario) e cioè: Ianuarius (con 31 giorni), Februarius (con 28 negli anni comuni e 29 nel bisestile), Martius (con 31), Aprilis lcmn 30), Maius (con 31), Iunius (con 30), Quinctilis (poi Iulius, con 31), Sextilis (poi Augustus, con 31), September (con 30), October (con 31), November (con 30), December (con 31). Nel ciclo di quattro anni, che precedette la riforma giuliana, i mesi dei due anni comuni erano gli stessi, ma il Februarius aveva 28 giorni, il Martius, il Maius, il Quinctilis e l'October 31, tutti gli altri 29; e nei due anni intercalari s'inseriva dopo il 23 febbraio un tredicesimo mese detto Mercedonius, che una volta era di 23 e una volta di 22 giorni. Già in questo ciclo era così interrotto ogni rapporto tra il mese e la lunazione, ma è certo che invece in origine il mese romano era stato un mese lunare.
Il mese dell'anno lunare sarebbe stato preceduto a sua volta secondo alcuni autori antichi - ma l'asserzione dà luogo a più di un dubbio e a serie discussioni -, dal mese dt. ll'anno di dieci mesi, al quale anno alcuni cronologici dell'epoca bassa (Censorino, Solino, Macrobio) attribuiscono una durata di 304 giorni. I nomi dei dieci mesi sarebbero stati quelli da Martius a December, e tra essì il Martius, il Maius, il Quinctilis e l'October avrebbero avuto 31 giorni, gli altri sei 30 giorni per ciascuno. Comunque, è certo che il Martius dovette essere il primo della serie sia nell'anno di dieci mesi, sia in quello di dodici, come può dedursi dalle denominazioni Quinctilis-December dei mesi che vengono dopo lo Iunius, che è il quarto rispetto al Martius. E se è vero che da 10 mesi l'anno passò a 12, si deve credere che lo Ianuarius e il Februarius furono accodati ai primi 10. ll principio dell'anno civile segnato dall'entrata in carica dei consoli, a un certo momento, fu fissato al i° gennaio, e allora lo Ianuarius divenne il primo della serie dei mesi dell'anno civile.
Tra le diverse etimologie proposte per i nomi dei mesi romani ricordiamo Martius da Mars (da considerarsi come divinità fecondatrice della natura, quindi Martius sarebbe appunto il primo mese, quello nel quale ricomincia il ciclo della natura con la forza generatrice della primavera); Aprilis, secondo qualche antico da aperte, il dischiudersi cioè della natura a primavera, secondo qualche moderno dalla radice indoeuropea da cui proviene il sanscrito áparaé) "il secondo, il successivo"; Maius, dalla dea Maia, in rapporto col crescere delle piante; Iunius, da riconnettersi con Iuno; Ianuarius, da riconnettersi con Ianus; Februarius con februus, februum "mezzo di purificazione". I mesi intermedî tra Iunius e December hanno nomi di carattere ordinale.
Il mese di Quinctilis ebbe, su proposta di Antonio, il nome di Iulius nel 44 a. C., in onore di Giulio Cesare, nato appunto il 12 di quel mese; e il Sextilis prese il nome di Augusius nell'8 a. C. per decisione del senato, in onore di Augusto che in quel mese aveva rivestito il primo consolato e riportato alcune vittorie.
Iconografia. - Le figurazioni dei mesi sono introdotte negli edifici religiosi e civili del Medioevo a rappresentare l'incessante fatica dell'uomo per riscattarsi dal peccato originale. Accanto a questo profondo significato, i mesi dovettero averne, per il popolo, anche uno semplicemente mnemonico e didascalico. Le origini della figurazione sono da ricercare nell'ambito della cultura classica e orientale. Una delle più antiche e importanti serie dei mesi si ha nel cosiddetto Calendario dei figli di Costantino, codice del sec. IV, ispirata con ogni probabilità a un calendario classico perduto. Nell'arte romanica, i mesi appaiono di frequente, specie in Italia, nelle miniature di codici, nei litostrati (S. Michele di Pavia; cattedrale d'Aosta, ecc.), nelle sculture degli edifici profani e sacri (S. Zeno di Verona, cattedrale di Genova, S. Maria della Pieve in Arezzo, duomo di Lucca, ecc.), in generale adombrati in scenette vivaci che si riferiscono alla vita comune di tutti i giorni, e presentano varianti a seconda del clima e degli usi delle diverse regioni. Nell'arte gotica persistettero le loro immagini nella scultura monumentale (Parigi, Notre-Dame), ma più rare; si moltiplicarono invece nelle miniature illustrando i calendarî dei libri d'orazione come nelle grandi scene delle Très riches Heures di Chantilly (1416); o nel "Breviario Grimani" (Venezia, Biblioteca Marciana); furono frequenti nella pittura murale (Angera, castello; Trento, torre dell'Aquila) e care alla cultura profana per i loro rapporti astrologici o astronomici onde si ritrovano nel pieno Rinascimento (Ferrara, Schifanoia; Londra, Victoria and Alberi Mus.: tondi robbiani già sul palazzo mediceo di Firenze).
V. tavv. CLXXIII e CLXXIV.