MERLETTO (anche: merlo, trina, pizzo: fr. dentelle; sp. encaje; ted. Spitze; ingl. lace)
È propriamente un tessuto trasparente lavorato con l'ago o coi fuselli o con l'uncinetto, cucendo, annodando, intrecciando fili d'ogni sorta: d'oro, d'argento, di seta, di cotone e di aloe, ma più spesso di lino.
L'arte delle trine è quasi esclusivamente occidentale ed è arte femminile e moderna di cui non si trova esempio prima della fine del '400. Negli scavi di Egitto si sono, sì, trovate, fini maglie e tessuti a giorno con disegni rudimentali; nelle remotissime storie si parla di stoffe trasparenti come aria tessuta; si sa che nel Medioevo le donne portavano reticelle dorate e ingemmate a guisa di cuffie, è però certo che a quei tempi in cui con l'ago si sapeva emular la pittura nei ricami meravigliosi, non si trova traccia né cenno della fiorita trasparenza della trina. Questa aspettava per nascere che l'uso della biancheria fosse generale e che si sentisse il bisogno di lavarla più facilmente di quanto consentissero i ricami d'oro e di seta colorata, di cui, secondo l'uso fastoso del tempo, si ornavano camicie e lenzuola. Si cominciò dal ricamare i lini col filo bianco, ma ciò risultò monotono e greve; si cercò allora qualche effetto nella trasparenza, levando alcuni fili dalla tela nel senso orizzontale, raggruppando e fermando i fili rimasti a formar semplici disegni geometrici. Così si ebbero le prime "sfilature". In altri casi si tolsero due o tre fili nei due sensi opposti formando un reticolato e riempiendo i vuoti con un punto a tela, così da tracciar piccole figure e ornati. Altre volte si lasciò, a raffigurar il motivo, la tela opaca sul fondo quadrettato e trasparente saldando tutto coi punti: in un caso e nell'altro chiamando "fili tirati" questo lavoro frequentissimo nelle isole di Sardegna e di Sicilia. A ottenere un effetto consimile in modo più sollecito, si ricamò con lo stesso punto su un fondo di tela rada e di per sé trasparente che si chiamò "buratto". A questi lavori servirono i disegni a fili contati e punto in croce i quali valsero anche per il modano ricamato, lavoro più facile e meno costoso degli altri due, che consiste nel tessere con l'ago il motivo fra le maglie della rete con un punto a tela o a stuoia. Piuttosto ricami trasparenti che trine, tutti questi, che domandano un fondo su cui appoggiarsi, si devono però considerare come i precursori della nuova arte nata da quel ricamo di cui le donne del Rinascimento conoscevano tutti i punti più complicati. Si comincerà dallo sfilar la tela in modo da offrire uno schema geometrico sul quale l'ago appoggerà un fiore, una stella, una crocetta e spesso tal lavoro si alternerà con ricami di punto riccio e di punto reale. Altre volte si traccerà lo stesso schema sulla pergamena dove l'ago creando col filo fondo e disegno, aprirà la via a ciò che rapidamente diverrà arte squisita e perfetta. Nel nostro campo non si ha norma sicura per la nomenclatura. Così a mo' d'esempio vediamo in qualche inventario della fine del '300 e del primo '400 il nome di "reticello" o "radizellis" dato a un ornamento delle tele, quando nulla consente di credere che si tratti di merletto; anzi il fatto che da alcuni inventarî quattrocenteschi (La Grua di Sicilia, 1403; Guinigi di Lucca, 1432) risulta che di tali "radizellis" erano ornate tele "in uno tocco" (in pezza) prova che si trattava di opera tessuta. Così nei frontespizî dei libretti di modelli si vedono promessi disegni per "punto in aria" quando tal merletto è ancora di là da venire e nessuno di quei modelli poteva servire per opera di punto in aria. Le trine a reticello, che avranno in principio motivi strettamente geometrici, prenderanno via via forme più libere di ornati, di fogliami, e anche di animali e di minuscoli personaggi. Col punto di reticello si rappresenteranno scene e storie intere sempre appoggiando le figure al largo reticolato di punto a stuoia che giustifica il nome di reticello dato a questo, che è il capostipite di tutta la famiglia delle trine ad ago.
Per tutto il '500, il reticello domina il campo, menzionato nei ricchi inventarî, e, sul finire del secolo, nelle leggi suntuarie e spesso riprodotto dai pittori. Vi lavorano le dame a ornare specialmente lenzuola e federe (che si trovano ancora abbondanti) per il rito dell'estrema unzione; e le monache che ornano di trine gale di camici, tovaglie di altare, copricalici, palle, manutergi, e contribuiscono a diffonder l'arte dappertutto, portando con sé di convento in convento, attraverso l'Europa, i punti, gli utensili e i disegni. Lo svolgersi dell'arte si può seguire nei libretti che gli artisti minori del '500 e del '600 pubblicarono specialmente in Italia e a Venezia, dedicandoli alle più illustri dame, prima con disegni per tessitura e ricami, poi solo per trine. Tra le bellissime tavole per ricami "a fili contati" stampate da Alessandro Paganino col titolo di Burato (s. a., ma Toscolano 1532 circa), sei sembrano accennare a un lavoro trasparente sul modano o sulla tela sfilata o sul buratto (v. buratto). Subito dopo Giov. Andrea Vavassote nella sua Corona di racammi (Venezia 1530 circa) mette nel frontispizio (come novità?) un piccolo motivo dello stesso tipo e 15 tavole di opere trasparenti di cui 4 sono tolte al Burato. Fra i molti e bellissimi libretti stampati da Mathio Pagan compare il vero punto tagliato nel 1543 nell'Ornamento de le belle et virtuose donne; nello Specchio di pensieri (Venezia 1544), e nel Giardinetto novo di ponti tagliati (Venezia 1543). Del 1545 circa è la Fontana de gli essempli del Pelliciolo con disegni per reticello ricchi e originali dove il motivo è formato con triangoletti di punto. Dovettero allora moltiplicarsi le operette nuove e gli stampatori prestarsi i legni o rubacchiarsi i disegni e ripetersi le edizioni che arrivarono sino a noi scarse, saltuarie, mutile. Le signore e le operaie ne fecero strazio staccandone i fogli o bucando le tavole per trasportar con lo spolvero il disegno sulla carta o sulla tela. Del 1557 è un importante, rarissimo libretto di sole mostre per trine a fuselli intitolato Le pompe. Del 1560 circa è un altro album intitolato Libro primo di lavorieri alle molto illustri et virtuosissime gentildonne bolognesi di Aurelio Passarotti. Libretto bolognese, questo (mentre gli altri menzionati sono tutti veneziani), del miniatore e disegnatore Aurelio Passarotti, con disegni bellissimi per punto in aria, e tavole dedicate alle famiglie patrizie di quella città, portanti i loro stemmi e le imprese da riprodurre col punto. Dopo il libretto di G. B. Ciotti intitolato: Prima parte de fiori e disegni (1591) e altri minori, verrà la volta dei libretti notissimi e infinite volte ristampati, anche ai giorni nostri, del cugino di Tiziano, Cesare Vecellio la cui Corona delle nobili et virtuose donne (1591) come il Gioiello della corona (1593) valsero a dare il carattere definitivo alle trine veneziane cinquecentesche. Dopo il Vecellio si pubblicano ancora avanti nel '600 sempre più numerose queste raccolte di incisioni in legno (rare volte in rame) che l'artista o lo stampatore (spesso confusi in una sola persona) dedica alle dame del tempo dichiarandole "esperte e appassionate di tali lavori". Fra gli autori di disegni appare anche una donna: Isabetta Catanea Parasole che nel 1595 pubblicò a Roma lo Specchio delle virtuose donne al quale succede lo Studio delle virtuose dame nel '97, il Fiori d'ogni virtù nel 1610, la Gemma pretiosa nel 1615, il Teatro nel 1616, che ebbero numerose ristampe. E nei libretti della Parasole che leggiamo gli antichi nomi di alcuni punti; reticello, punto in aria, punto reale; a maglia quadra per la rete e a mezza mandolina per quella a maglie di diversa grandezza. Nel 1639 Bartolomeo Danieli, bolognese, pubblica a Bologna un grande album di tavole con Vari disegni di merletti (a fuselli?) di stile seicentesco, fastoso. Poi silenzio. Quando i disegni acquistano d'importanza e di bellezza non si pubblicano più. E la ragione è chiara: l'arte individuale, casalinga, signorile si viene a mano a mano trasformando in un'industria che ha tutto l'interesse di custodire gelosamente i suoi disegni. Libretti di modelli si pubblicarono anche fuori d'Italia. Senza parlare del più antico, attribuito a Schönsperger, Jurm-oder Modelbuchlein (Augusta 1523 circa), il quale non porta se non modelli per tessitura e ricamo, ricorderemo che intorno al 1561 lo stampatore Froschauer pubblicò a Zurigo il Nüw Modelbuch per sole trine a fuselli. In Francia nel 1587 uscì il fortunatissimo libretto Les Singuliers et Nouveaux pourtraicts di quel Seigneur Fédéric de Vinciolo Venitien che Caterina de' Medici chiamò e condusse con sé a Parigi a diffondervi l'arte delle belle trine italiane. A lui la regina concesse il privilegio di vendere quei colletti insaldati e orlati di merletto che si chiamarono "fraises". Anche Caterina, come quasi tutte le dame italiane del tempo, si dilettava a lavorare di ricami e di trine con le donne della corte; tanto che nei suoi cofani si trovò poco meno di un migliaio di "carrés de reseuil" simili a quelli del libro del Vinciolo. Più tardi sarà Jacques Foillet che pubblicherà i Nouveaux pourtraicts de point coupé (Montbéliard 1598) ancora strettamente geometrici così da sembrare caleidoscopici (è nel libro di Foillet che si legge per la prima volta la parola "dantelles" nel frontispizio). Né mancheranno francesi o pseudo-francesi che stamperanno libretti a Venezia e in Francia: Domenico Da Sera che si dice "il Franciosino" sul frontispizio della sua Opera nova (Venezia 1543), mentre nel suo Livre de lingerie (Parigi 1583) si vanta d'essere "italien"; Giovanni Ostaus che pubblica a Venezia nel 1557 il libretto intitolato La vera perfettione del disegno dove fra le tavole di modelli per reticello tolte di peso dal libro del Pelliciolo, si trovano incisioni in cui l'artista, che non misura più il suo passo su quello dell'ago, rivela il vivace temperamento francese e l'influenza della scuola di Fontainebleau. Nel 1605 di Matthias Mignerak Anglois, esce a Parigi La Pratique de l'Aiguille industrieuse con modelli per "passements faits aux fuseaux".
Tali rarissimi libretti, di cui si hanno moderne riproduzioni in facsimile, provano come l'arte nascesse tra le dame e gli artisti di Venezia nei primi del '500 e come rapidamente fiorisse così da arrivare in 50 anni dai balbettamenti dei fili tirati alle squisite meraviglie del punto in aria. Era naturale che il reticello con le sue timide forme non bastasse più alle dame veneziane abituate alle stoffe e ai ricami dai larghi e liberi motivi decorativi. Ai bordi composti di motivi geometrici o di piccole figure isolate, ripetute o alternate vogliono sostituire le larghe volute ispirate all'arte classica, svolgentisi in una composizione organica. E così dal reticello nasce il punto in aria che, liberatosi dall'impalcatura squadrettata, aprirà la via a quelle forme più evolute di trine che avranno vero valore d'arte. I motivi tracciati sulla pergamena e segnati con un filo sono riempiti col punto stesso del reticello e legati fra loro con sbarrette irregolari che possono essere di semplice e nudo punto di festone o arricchite di nodini e asolette capricciose. Col progredire dell'arte sempre più si varieranno i punti e si arricchiranno le sbarrette. Col '600 neppure la discreta bellezza del punto in aria basta più. L'ago non contento di disegnare vuol ottenere effetti di scultura; il contorno dei fogliami fatto a rilievi più o meno pronunciati è spesso a doppio o triplo lavoro con varietà bellissime di punti. È questa la sontuosissima trina che somiglia all'avorio scolpito e che prende nome, in origine, di punto a fogliame e che in tutto il mondo (anche in Italia) va ora sotto il nome di "gros point de Venise". A questo merletto pomposo succede la gracile e squisita minuzia della trina a roselline che è come un "gros point" visto col cannocchiale a rovescio. Le ricche candelabre salgono lungo le gale tempestate con una folle profusione di rosette e conchigliette e ramoscelli di corallo e minuscoli frutti di mare, col fondo animato da sbarrette a loro volta seminate d'innumerevoli anellini e nodini capricciosi.
Lo svolgimento di questa piccola arte bella, si può seguire anche nei quadri fino dai primi suoi timidi passi. Nei ritratti bentivoleschi di Lorenzo Costa in S. Giacomo di Bologna troviamo per la prima volta intorno alla scollatura di alcune damigelle una breve trina di modano ricamato, mentre la Maddalena di Carlo Crivelli a Brera mostra pure alla scollatura un fine ricamo di fili tirati. Più tardi mano mano che si procede nel'500, vedremo le successive trasformazioni e i progressi delle nostre trine nei quadri e più nei ritratti: del Parmigianino, di Scipione Pulzone, del Bronzino, del Salviati, di Guido Reni, del Guercino, dell'Allori, di Daniele Crespi. Nel '600 appariranno i più ricchi punti in aria, i punti tagliati a fogliami, i punti alla rosa nei quadri del Maratta, di Pietro da Cortona, di Giovanni da S. Giovanni e specie delle pittrici, come L. Fontana, G. Garzoni, A. Gentileschi, e, poi, A. Kaufmann.
Fra gli stranieri Van Dyck darà il nome alle ampie punte a fuselli; Rubens, Frans Hals, Pourbus, Ravestein, Moreels, Douven, Rigaud, Largillière, Pantoja e Coello, per non dire che dei maggiori, ne orneranno i camici dei sacerdoti, baveri, gorgiere, vestiti di dame e di cavalieri.
Il prezzo delle trine è salito intanto a cifre altissime; perciò dai palazzi e dai conventi l'arte è passata ai laboratorî (uno è fondato dalla dogaressa Morosina Grimani morta nel 1614), per provvedere alla richiesta di trina che in Italia e fuori fanno gli uomini di corte, i signori e i sacerdoti, anche più delle dame. I provveditori delle pompe a Venezia (1616, 1633, 1634) il ministro Sully e il cardinal Mazzarino in Francia tentano invano di porre un freno a questo lusso crescente, con severe leggi suntuarie. Ad esse nel 1660 si risponde a Parigi con la satira famosa scritta da Madame de la Tousse, cugina di Madame de Sévigné, intitolata: La Révolte des passements, dove si leggono i nomi delle trine in uso allora. Il Colbert ricorre ad altro e più sano rimedio. Il 5 agosto 1665 ordina con un editto "la creazione nelle città di Quesnoy, Arras, Reims, Sedan, Chateau-Thierry, Loudun, Alençon, Aurillac e altre del regno, di manifatture d'ogni sorta di lavori di filo, tanto ad ago quanto a tombolo, come quelli che si fanno a Venezia, Genova, Ragusa e altri paesi stranieri; lavori che prenderanno nome di point de France. Così vennero spaesate e sbattezzate le trine italiane. (Da allora si comincerà a dare a quasi tutti i punti e a molte trine i nomi francesi che tutto il mondo adotterà; le sbarrette si diranno brides, i nodini picots, la tela tessuta con l'ago o col fusello toile e i fondi saranno fond de neige, fond rosacé. Non solo: alcune trine italiane saranno chiamate, anche in Italia, rosaces de Gènes, gros point de Venise, point à la rose, ecc.). Colbert confortò l'ordine con l'assegno di 30.000 lire annue e col dare la privativa alle manifatture per dieci anni; proibì l'entrata alle trine straniere, diede severe disposizioni in difesa dell'onestà e della bellezza della produzione; chiamò trenta maestre trinaie da Venezia, e altre ne chiamò dalle Fiandre a insegnare i segreti dell'ago e dei fuselli.
Venezia tenta di difendere l'industria che dà lavoro alle sue donne, dall'infanzia alla vecchiaia; il governo della repubblica terrà in conto di traditore della patria colui che porterà l'arte fuori del paese, imprigionerà i suoi parenti, sarà fatto segretamente uccidere se non torna. Intanto però a Sedan, Argentan e, meglio, ad Alençon, si sono stabilite le manifatture reali di punto di Francia.
Ad Alençon, che è per le trine in Francia ciò che Venezia è per l'Italia, le donne lavoravano già da più d'un ventennio a quel point coupé che Caterina de' Medici aveva introdotto in Francia con Federico Vinciolo: si contava quindi sulla loro preparazione per riuscire nell'intento, ma delle ottomila lavoranti trinaie solo 600 accettarono di entrare nella manifattura. Il sovrintendente mandato da Colbert si trovò di fronte a un'aperta ribellione. Le trinaie di Alençon non vogliono sottostare alla nuova disciplina, né piegarsi a imparare le difficili e lente minuzie del punto tagliato a fogliame; si ricorrerà allora a una stretta divisione del lavoro che lo renderà più redditizio e più facile. Non solo; ma artisti di gran nome, come Lebrun e Berain, Bailly e Bonnemère, daranno disegni originali e caratteristici e le trine di Alençon, di Argentan, di Sedan finiranno per prendere una loro fisionomia così da chiamarsi a buon diritto points de France. I punti sono sempre quegli stessi delle trine veneziane, ma le ghirlande, le ricche cornucopie donde escono i rami di gelsomino, di tulipani e di giunchiglie, poi, con Luigi XV, i motivi minuti meno pomposi e non meno eleganti esili e capricciosi, neppure ricordano più il gros point dal quale derivano. Anche la moda concorre al cambiamento, e a mettere in seconda linea le trine veneziane più solide e solenni. Già nella seconda metà del regno di Luigi XIV si abbandonano gli ampî colletti rovesciati e distesi sul velluto e sulla seta dell'abito, così da dar risalto al ricco disegno. Si usano ora le spumanti gale arricciate e sovrapposte che domandano disegni leggieri e minuti. Ecco le sbarrette accostarsi l'una all'altra e diventare sempre più regolari fino a prender l'aspetto di maglia esagonale. A rendere il disegno più fermo e preciso e a meglio rilevarlo sul fondo finissimo si contorna il motivo con un filo più grosso o con un crine di cavallo.
In Francia l'opera delle trine, nata in Italia come passatempo signorile o occupazione monacale, è, fin dall'inizio, un'organizzazione statale potente e perfetta che in meno di quarant'anni, secondo i calcoli di Aubry, arriverà a dare alla Francia un'entrata di otto milioni all'anno. La divisione del lavoro comprende una dozzina di operazioni affidate ad altrettante operaie. Il solo lavoro affidato agli uomini è il disegno; poi viene il piquage, cioè la punteggiatura fatta sulla cartapecora (la quale darà il nome di vélin alle trine di Alençon), tinta di verde e foderata di doppia tela; il tracé: lungo il disegno punteggiato sarà steso un filo fermato dai punti; l'entoilage che riempirà di punto i motivi chiusi nel tracciato; le brides o sbarrette che possono essere picotées, a nodini o bouclées festonate o tortillées, a cordoncino; la brode o rilievo ricamato; l'enlevage, l'operazione con cui si stacca il merletto dalla cartapecora passando una lama di coltello o di rasoio fra le due fodere; l'éboutage che taglia e ferma i fili pendenti; il regalage che dà l'ultimo tocco e rifinisce il merletto; l'assemblage che raccorda i pezzi fra loro completando il fondo dove manca, e cucendo insieme i fiori con punti invisibili; le modes cioè i trafori che dal primo ventennio del '700 diventeranno sempre più varî, più ricchi e complicati e daranno alle trine francesi grazia e leggerezza insuperabili. A Sedan, ad Argentan, come ad Alençon, si continua a imitare il Venezia, finché dura il monopolio della manifattura reale, cioè dal 1665 al 1675. Col '700 le sbarrette a nodini (brides a picots) veneziani si trasformano in maglie esagonali che ad Alençon saranno ricoperte con un finissimo punto a festone mentre ad Argentan saranno rivestite con un filo attorcigliato come un esilissimo cordoncino. Altra particolarità delle trine di Argentan è quella suggerita dal pittore Boucher di fare nello stesso merletto fondi diversi: a maglia fitta e nuda e a maglia larga e picotée. Belle come quelle d'Alençon le trine d'Argentan: di esecuzione più sollecita e quindi meno costose, ebbero grande fortuna presso le signore e gli eleganti cavalieri. Preferito dai prelati fu invece il punto di Sedan che vediamo riprodotto nei ritratti cardinalizî del Rigaud e del Largillière. Qui il fondo è quasi interamente coperto dal magnifico fogliame a sobrio rilievo e ricco di svariati trafori. L'industria a Sedan finì con la rivoluzione. Mentre a Sedan il filo finissimo era prodotto in paese, Alençon e Argentan lo domandano ai paesi del nord: a Lille e a Malines, pur carissimo qual'era, non gravava sul costo delle trine che per una minima parte. Superata la crisi prodotta in tutte le industrie del lusso dalla revoca dell'editto di Nantes, il merletto è più che mai richiesto dalle dame che non vogliono rinunciare al tessuto soffice e vaporoso, tanto conforme ai loro gusti, e dai cavalieri che ne mettono al collo, alle maniche, intorno alle ginocchia, alle scarpe.
Il point de France (e solo il point de France con esclusione di tutte le trine degli altri paesi), rigorosamente imposto alla corte, era arrivato a squisitezze fantastiche, quando la rivoluzione venne a interrompere bruscamente tanta fortuna. Nel 1809 le ottomila donne che lavoravano ad Alençon e nei dintorni erano ridotte a poche centinaia miseramente pagate. Sul finire dell'impero, Napoleone cercò ancora di sostenere l'industria con qualche commissione importante. Ordinò ad Alençon una guernizione da letto per l'imperatrice Giuseppina con un volo d'api nel fondo e un gran fregio di rami di lillà. La trina non era ancora compiuta che si ebbe notizia del divorzio, il mercante allora sostituì le iniziali d'una imperatrice con quelle dell'altra: e nel 1811 quando Napoleone si recò ad Alençon, la coperta gli fu venduta per 40.000 franchi.
La Francia ha superato così le antiche sue maestre, Venezia e la Fiandra, le quali nel Settecento si sforzeranno d'imitare le trine francesi imposte dalla moda, per vincere la formidabile concorrenza. L'Alençon che si farà in Fiandra sarà sempre di disegno più veristico e di quell'estrema finezza e leggerezza e trasparenza (anche in quelle parti che nelle trine italiane sono più sode e opache) che è la sua caratteristica e il suo vanto. Venezia in tutto il Seicento per qualità se non per quantità è sempre al primo posto. Ancora nel 1662 Colbert scrive all'intendente di Alençon: "Il difetto principale del point de France è di non essere così candido e sodo come quello di Venezia"; Venezia trova anche il modo di gareggiare col punto di Alençon creando quel "punto di Venezia col fondo" a larghi fiori e a fogliami con le nervature segnate a giorno invece che a rilievo; trina questa, ricca, morbida e fine, tra le più preziose. Altra trina settecentesca italiana è il punto di Burano; nella piccola isola della Laguna si creano quei singolari merletti dal fondo a piccole maglie rotonde condotte in senso verticale così da dare un caratteristico effetto di ondeggiamento singolare e piacevole. I motivi minuti vi sono segnati da un punto di festone che dà loro fermezza e rilievo. Le "buranele" continuarono a lavorare in casa e sulla strada per pochi soldi nell''800 e le loro trine servirono particolarmente a ornare i lini del rito israelitico.
È a Burano che nel 1872 s'iniziò la rinascita delle industrie femminili italiane che prospera tuttora; in seguito a un rigidissimo inverno che fece gelare la Laguna, la popolazione peschereccia dell'isoletta si trovò ridotta alla fame. Paolo Fambri e la contessa Andriana Marcello ricorsero a una vecchia di nome Cencia Scarpariola, che ancora ricordava il modo di eseguire l'antico punto. La Cencia lo insegnò alla maestra elementare che a sua volta lo insegnò alle bambine, e il punto di Burano protetto anche da Margherita di Savoia, allora principessa, tornò a conoscere l'antica fortuna. La stessa cosa si ripeté due anni dopo a Pellestrina dove M. Jesurum fondò la scuola di trine a fuselli, fiorente ancor oggi, che produce così la puntina da pochi soldi come l'ampia gala che vale molte migliaia di lire. Così in cento e cento altri paesi e paeselli d'Italia rinacque quel lavoro tradizionale che in antico era fiorito nelle singole regioni. Uno dei centri più importanti di questa rinascita è Bologna, donde la società dell'Aemilia Ars manda in tutto il mondo i suoi lavori eseguiti secondo l'antica tecnica del reticello fuso col ricamo.
Anche le trine dell'umile donna della montagna tornarono in onore: e il "poncett" o punto avorio o saraceno o alpino, si rifà in Vallevogna e in Val Sesia dove ornava il grembiule e le vesti dell'antico costume. Di disegno geometrico, che ricorda le decorazioni arabo-moresche, ha nel modo di esecuzione stretta affinità con la randa spagnola. In Val Sesia è di solito fatto con filo color avorio e consiste in un doppio punto a occhiello, solido così da poter essere tagliato senza che si sfilacci.
Insieme con le trine ad ago e per lo stesso scopo, nascono le trine a fuselli che hanno diverso carattere: il contorno è qui più vago. Mentre l'ago precisa, i fuselli addolciscono, sfumano il disegno, mentre quelle derivano dal ricamo, queste vengono dall'arte del tessere galloni e passamani d'oro, d'argento e di seta colorata. In Francia infatti, per tutto il '500 e ancora nel '700, le trine a fuselli si chiamarono passements aux fuseaux. Può essere che in qualche caso anche i galloni fossero fatti già anticamente con i fuselli, perché figure in atteggiamento d'intrecciar fili, che un peso all'estremità tien fermi e ordinati, si vedono in antiche illustrazioni cinesi, in vasi greci e nell'iniziale d'un manoscritto inglese del sec. XV. Delle trine a fuselli, il primo cenno si trova in un documento estense dove è narrato che in Ferrara, nel 1476, Eleonora, moglie di Ercole I, insieme alla sorella Beatrice d'Aragona, si occupava con le sue diciotto damigelle d'onore a ornare con "friseto d'oro fatto a piombini l'appartamento della stanza da letto della regina d'Ungheria che de chorto se aspecta". Che anche le trine a fuselli siano d'origine italiana (e non fiamminga come alcuni pensarono) si ha testimonianza nel libretto pubblicato a Zurigo dallo stampatore Froschauer intorno al 1560, dove si legge: "L'arte delle trine a fuselli è sorta nel nostro paese da circa venticinque anni ed è stata importata in Germania dall'Italia per la prima volta da mercanti veneziani". I disegni del Froschauer sono alquanto diversi dai veneziani pubblicati poco prima (1558) col titolo Le pompe; ma è naturale che in quei venticinque anni si siano trasformati e adattati al gusto tedesco.
In Italia le trine a fuselli rimangono sempre al disotto delle trine ad ago; queste parlano la lingua, quelle i dialetti, varî per ogni regione; infatti portano il nome del paese che prima le vide nascere e fiorire: trina di Milano, di Genova, d'Abruzzo. E neppur sembra che fossero lavoro caro alle dame come furono le trine ad ago. I pochi libretti di modelli per trine a fuselli, non sono più dedicati alle "Illustrissime" e nei quadri del Longhi, dello Zatta, del Magnasco, vediamo il tombolo ingombrante e inelegante sul trespolo o sulle ginocchia di monache, di donne della borghesia, di bambini. Le trine a fuselli risultano da un tessuto fatto incrociando, avvolgendo, intrecciando i fili raccolti, a un'estremità, su piccoli fusi, e all'altra puntati con gli spilli a un cuscino. Dal cuscino e dai fusi queste trine prendono nome nelle varie lingue. A Venezia in antico a ossi, a piombini, a mazzette o al tombolo; più modernamente, in italiano, a fuselli (fr. dentelles aux fuseaux; ted. Klöppelspitze; ingl. pillow lace o bobin lace). A Venezia la tecnica più usata è quella del semplice treccino (punto in trezola) col quale si disegnano le svelte punte aguzze di cui incorniciavano i loro ricami; o le piccole falsature con che si mascheravano le cuciture (nel 1567 nei conti di Maria Stuarda si legge "Une pacque de petites dentelles pour mettre sur les coutures des rideaux de lits"); e le leggiere puntine che a centinaia di metri accompagnavano e alleggerivano le ampie lattughe che vediamo nei ritratti del tempo. A Venezia si pubblica l'importante, rarissimo libretto, intitolato Le pompe, di soli disegni per trine a fuselli, ora in forma di punte ora di falsature (1558); una tavola è nel Monte libro secondo di Giovanni Antonio Bindoni (1559); dieci tavole con settantaquattro modelli nel Teatro delle nobili e virtuose donne ne pubblica Elisabetta Cataneo Parasole (1616), dopo le tre già date nella sua Gemma preziosa (1600). Cesare Vecellio, nel frontespizio della Corona, dice che molte delle sue mostre, "possono servire ancora per opere a mazzette". Anche M. Mignerak Anglois pubblica (Parigi 1605) disegni simili a quelli delle Pompe col nome passements aux fuseaux.
Genova è per le trine a fuselli italiane ciò che Venezia è per le trine ad ago. Le Rosaces de Gènes in pieno Seicento (cioè nel migliore periodo) sono ricercate alle corti, riprodotte dai pittori, pagate a peso d'oro. Del "Genova" nella Révolte des passements è detto che esso ha "le corps un peu gros" ed è infatti sontuoso e greve. Ha per segno caratteristico l'armelletta di punto a stuoia che gli consente di somigliare al reticello dal quale spesso prende il disegno. E infatti le foglioline raggruppate in forma di stella o di margherita, formano il centro del motivo che le volute di treccino completano e arricchiscono. Intorno a Genova anche le città minori: Chiavari, Portofino, Rapallo, Santa Margherita, Albissola, lavorarono sempre di trine a fuselli anche in concorrenza con le fiamminghe e le francesi, studiandosi di seguire la moda: imitando il Malines, nelle grandi gale a fondo di tulle, vuote e leggiere; e da Santa Margherita mandando a Venezia le trine nere per le bautte e gli scialli neri a punta e i vestiti interi simili allo Chantilly, e le blonde. Infatti ancora nel 1854 nel mandamento di Rapallo, si contavano ottomila merlettaie che guadagnavano 200.000 lire all'anno. Altro tipo di trina a fuselli è quella che porta il nome di "Milano". Qui i fuselli vanno tessendo sul cuscino una tela a modo di stretto nastrino di cui gli spilli che ne regolano il cammino segnano i due vivagni trasparenti. Tale nastrino, che caratterizza il Milano, spesso gira senza interruzione a disegnar volute, fiori e largo fogliame. In principio il nastrino è sorretto da sbarrette fatte a treccino; più tardi a mezzo il '600 il fondo a sbarrette si trasformerà, come nelle trine ad ago, in un fondo a maglie esagonali, sul quale il nastrino continuerà a disegnare i motivi nello stile libero e largo del Rinascimento. Qualche volta le trinaie milanesi comporranno, sempre intessendo la stessa tela dal vivagno trasparente, figure d'animali, personaggi, stemmi e divise, motti, simboli religiosi. Ciò rende il Milano, anche in ragione della facilità con cui si lava e si stira, adatto a ornar camici, tonacelle e arredi di chiesa. Si lavora in tutta la Lombardia e specialmente a Cantù, dove l'arte, portatavi nel '600 dalle monache, non si spense mai. Le trine dette meridionali vengono in gran parte dall'Abruzzo e dalla Sicilia. A Napoli fu nel '600 fiorente l'industria dei galloni e dei passamani d'oro: si lavorò invece col filo bianco ad ago e a fuselli nelle campagne, per la casa e la chiesa; più specialmente a Pescocostanzo (Abruzzo) dove le trine hanno conservato un carattere spiccatamente regionale. Non v'è forse un paese al mondo dove i fuselli siano fra le mani di tutte le donne d'ogni età e condizione come a Pescocostanzo. I disegni (che hanno qualche affinità col Milano) riproducono cose familiari a quella gente: l'uccello, il gallo, l'anfora, il vaso, i fiori di campo; o simboli sacri, come la croce, l'agnello, il giglio, la stella; o amorosi: il cuore trafitto, la coppia danzante, le colombe, la rosa. Il filo soffice color d'avorio, aggiunge carattere a questa produzione rustica e nobile insieme. In Aquila invece si lavorò fino dal Settecento nei monasteri anche a trine di prezzo; infatti si ha notizia d'un merletto ricchissimo ordinato da Maria Antonietta per farne dono a Pio VI. Le donne aquilane fornivano il filo finissimo mentre monache e signore maneggiando i fuselli a centinaia imitavano le trine di Fiandra. A Pescocostanzo come in Aquila l'industria è in fiore anche oggi. Se l'Italia ha il vanto d'avere per prima lavorato anche alle trine a fuselli e portato l'arte negli altri paesi d'Europa, essa ne cede subito e per sempre il primato per finezza e bellezza alle Fiandre.
Nei quadri dei pittori fiamminghi vediamo spesso riprodotte le donne che lavorano al tombolo (Pieter van Den Bosch, Nicolas Maes, Van der Meer van Delft). All'opera pazientissima, conforme all'indole loro, qui le donne furono invitate anche dal filo di prodigiosa finezza, che quando non veniva da Haarlem si coltivava in Brabante, e s'imbiancava nelle chiare acque della Lys. Perché non si spezzasse in mano alle filatrici, era filato nelle cantine umide, illuminate solo dal poco raggio che si lasciava filtrare da una fessura. Del 1599 si conserva a Bruxelles nel Museo d'arti decorative, la coperta donata a Isabella e Alberto duchi di Brabante, in occasione del loro giuramento come sovrani dei Paesi Bassi. I quadretti con personaggi eseguiti col punto a tela che ricorda il Milano, si alternano con punte veneziane che sembrano copiate dai modelli della Parasole quasi a testimoniare della duplice influenza italiana. Nel '700 le trinaie fiamminghe fondono le due diverse tecniche lavorando le loro leggiere trine su un fondo a fuselli (drockel).
Sicuramente fiamminga, malgrado il suo nome, è la trina chiamata "punto d'Inghilterra". II nome doppiamente improprio perché non è di punto, ma a fuselli, e perché nata e fiorita a Bruxelles, viene dal fatto che nel 1662 il governo inglese, allarmato dalle somme che uscivano dal paese per comprare queste trine, tentò d'introdurre l'arte in Inghilterra, invitando maestre trinaie fiamminghe a insegnarla. Ma, fosse la qualità del filo meno eguale e meno fine, fossero le donne meno pazienti, la prova fallì. Le trine (che si chiamarono punto d'Inghilterra da allora) continuarono a venire dalle Fiandre. Invece dell'industria prosperò il contrabbando; come prima e più di prima arrivarono, attraverso la Francia, gale, fazzoletti, colletti, cravatte, grembiuli, pagati a prezzi favolosi, che si fecero credere lavorati in Inghilterra. Nel 1678, fu fermata una nave che portava 754.000 aune di merletto e una quantità di varî oggetti per il valore di molti milioni. Mentre "punto d'Inghilterra" fu chiamata quella trina fiamminga che ha il fondo di tulle a fuselli o a macchina, furono dette "di Bruxelles" quelle col fondo a sbarrette, folte di motivi alquanto vaghi e confusi e dai trafori variati. Un grande incremento ebbe questa industria quando si trovò il modo di eseguire i fiori isolati da inserire poi nel fondo; sistema che permise a più trinaie di lavorare contemporaneamente alla stessa trina. Assai soffici, vaporose, di un dolce color d'avorio, ebbero la maggior fortuna nel Settecento.
Il Malines che si lavora anche dalle beghine di Anversa, di Lierre, di Turnhout ha per tratto caratteristico un filo grosso e lucido che segna il contorno del disegno mentre il resto è di filo finissimo; nell'insieme risulta tanto leggiero, da esser detto trina d'estate e così prezioso, da essere considerato al tempo di Luigi XVI la regina delle trine. Mentre artisti valenti disegnavano fiori, ornati, personaggi per gli oggetti importanti, le beghine di Bruges e di Malines e le beate del Velay lavoravano a trine minori alle quali davano i nomi di Ave, Pater, Rosario, ecc. Ancora nel 1788 lavoravano nel Velay 4000 merlettaie che guadagnavano dai quattro ai cinque milioni all'anno. Porta il nome di Pottenkant, una trina fatta al modo del Malines col motivo del vaso fiorito, simbolo dell'Annunciazione. Fiammingo pure è il Cluny, modesto merletto che ha comune col Genova l'armella; il suo nome deriva forse dal fatto che era specialmente richiesto dagli abati di Cluny. Delle trine di Valenciennes nate in Francia, ma ben presto diffuse in Fiandra, si ha notizia dal 1600. Ebbero probabilmente origine nell'Hainaut donde venne quella trina di Binche fine come il più fine Valenciennes che somiglia a un tessuto figurato, per il disegno denso e un poco confuso e il fondo detto fond de neige, animato da motivi minutissimi. Il Valenciennes soffice, piano, così solido da esser chiamato "trina eterna" è il più pratico e ricco ornamento della biancheria. I fuselli tessono insieme i fiori e il fondo con un'unica qualità di filo. Di fattura assai lenta, raggiunge prezzi alti come nessun'altra trina a fusello. La più pregiata è quella che si faceva a Valenciennes, dove l'arte è ormai spenta; mentre quelle di Ypres, di Coutrai, di Bruges, benché altrettanto pregevoli, vanno col nome di "falso Valenciennes". In antico avevano il fondo a maglia rotonda o quadrata; dall'Impero in poi si fa a maglia romboidale: ed è, meglio che le altre trine, imitata dalla macchina. Nelle Fiandre, l'arte delle trine non si è spenta mai; è là che anche oggi se ne produce di più e meglio. La moda e il lusso domandano sempre il point de gaze ad ago col fondo esagonale come nelle trine antiche; il Duchesse e il Bruges a fuselli con sbarrette il primo, con i fiori che si affollano uno accanto all'altro e senza fondo, il secondo; l'applicazione di Bruxelles coi fiori a fuselli, appoggiati sul tulle a macchina; e presentemente un miscuglio di disegni e di tecniche diverse, uniti insieme con gusto e fantasia, nella medesima trina. Intorno al 1870, lavoravano in Belgio 150.000 merlettaie per circa 50 milioni di lire all'anno, specialmente esportando nell'America Settentrionale. In Francia il lavoro di fuselli s'inizia nel Velay, e nella Linguadoca, verso il Cinquecento, come opera popolare, con le trine di povero disegno che si chiamarono bisettes, mignonnettes, campanes, gueuses, mentre a Aurillac si lavora a trine più ricche, in filo d'oro e d'argento di cui la Spagna fa grande domanda. Le Puy è nota per il suo guipure: nome questo dato, in origine, a quei lavori fatti di un grosso filo ricoperto d'un filo più pregiato o più fine: oro, argento, seta. Più tardi guipures furono dette tutte le trine col fondo a sbarrette. Il "punto di Parigi" somiglia al Malines pur essendo meno fine, e deve il suo nome al fatto che una nutrice di nome Dumont, venuta da Bruxelles, fondò a Parigi, nel sobborgo di S. Antonio, un laboratorio che ebbe vita prosperosa. A Chantilly, intorno alla metà del '700 si fece la blonda, così chiamata a ricordare il suo originario colore biondo chiaro anche quando è candida o nera. È fatta con sete di due qualità, e di diversa grossezza, fine nel fondo, grossa nei fiori. Molto piacque a Maria Antonietta, e sempre, fino ad oggi, grande richiesta ne fece la Spagna, per le mantiglie delle sue donne. Oltre che in Francia, oggi si producono blonde anche a Barcellona, su disegni francesi, a largo stile floreale. Ma il tipico merletto che rimane francese dovunque sia fatto, è lo Chantilly. Data solo da poco più di un secolo, ed ebbe origine dalla città di cui porta il nome. Dopo la rivoluzione, si rifugiò, per non morire (e non morì più) nel Calvados, a Caen, a Bayeux. Eccezionalmente di filo bianco, è quasi sempre fatto con una seta nera chiamata grenadine di Alais che nel lavoro dei fuselli perde ogni lucentezza. Il fondo che oggi è esagonale, era, in origine, di maglie ellittiche tagliate in basso e in alto da un filo orizzontale, fondo detto per abbreviazione fond chant o a cinque buchi. Un filo più grosso segna il contorno del disegno, spesso di una grazia squisita. Anfore, panieri fioriti e inghirlandati, vasi; poi cineserie; più modernamente fiori isolati o a mazzi; uccelli, cornucopie, farfalle, ecc. I fiori sono ombreggiati a mezzo degli svariati trafori: a cinque buchi, mariage, vitré, ecc. Di Chantilly si fanno vestiti interi, mantiglie, ampie gale, ombrellini, ventagli, calze e grandi bracciature, unendo i pezzi in modo assolutamente invisibile. L'oggetto più importante di trina di Chantilly eseguito negli ultimi tempi è il velo da sposa della duchessa d'Aosta. Protettore delle trinaie è in Francia S. Francesco Régis, il quale rassicurò le trinaie spaventate dall'editto che nel 1640 proibiva l'uso delle trine, promettendo che l'arte non sarebbe mai perita, se domandavano tal grazia a Dio. Dopo di che la proibizione fu tolta. Francese è anche il tulle che nasce nella città di questo nome, dove era opera casalinga praticata da tutte le donne. Non è che una rete a fuselli di finissimo filo di Fiandra; per la sua leggerezza e il prezzo modesto, si usava in grandi bracciature arricciato o piegolinato intorno ai polsi, al collo, o nelle acconciature del capo. Nel 1818 si trova il modo di fabbricarlo a telaio e prende il nome di tulle bobin. Maria Antonietta lo rese popolare così che prima della rivoluzione la sua produzione occupava in Francia più di 100.000 donne. Più tardi si chiamò con nome generico tulle il fondo a maglia, ad ago, a fuselli o a macchina. A volte è abbellito da piccoli punti mouches (tulle marli, o point d'esprit).
Spagna. - Alcuni autori affermano che l'arte fu portata in Spagna dai Mori nel 1400; ma non poteva trattarsi che di ricche frange e nappe e galloni d'oro e d'argento (a cui lavorarono specialmente gli ebrei) di cui si ornarono a profusione le statue dei santi e gli abiti sacerdotali. Più che produttrice, la Spagna fu grande consumatrice di trine, tanto da dare il nome di punto di Spagna a tutti i merletti d'oro e d'argento che la Francia produceva per rispondere alle sue richieste. Nelle case borghesi si lavorò sempre, come narra il Cervantes, coi palillos de randa, ma già abbiamo visto come le stesse blonde e le trine di cui son fatte le caratteristiche mantiglie, venissero dalla Francia e specialmente da Chantilly e dai dintorni; e il vestito di finissima trina a fuselli, vanto della cattedrale di Granata, è opera fiamminga del '600. Al presente si fanno blonde anche a Barcellona; e a Granata si lavora a una trina bianca o nera di seta che si chiama blonda granadina, ed è fatta ad ago con un punto di rammendo sul tulle a macchina; nella regione di Ciudad Real (Almagro), si fa una blonda detta "labirinto a disegno ripetuto", mentre nella costa Catalana la blonda è a grandi fiorami: questa e quella a fuselli. A Lisbona dopo il terremoto del 1755, per soccorrere quella popolazione, si avviò fra le donne la produzione di trine di grosso filo.
Russia. - Anche qui i ricchi galloni d'oro e d'argento con gemme e perle, di cui erano ornati gli abiti dei principi e dei sacerdoti, suggerirono alle donne i disegni delle trine: a circoli, losanghe, semicerchi; ebbero il nome di kruževo da kružok "circolo". Già nel '500 pare che monache e contadine lavorassero coi fuselli senza disegno contando gli avvolgimenti e i nodi e usando, invece di spilli, spine di melo selvatico. Nel '600, mano mano che l'arte progredisce, i disegni che s'ispirano alle stoffe orientali diventano più liberi e ricchi, pur conservando un loro carattere. Pietro il Grande chiamerà più tardi dal Brabante le maestre trinaie le quali introdurranno in Russia un nuovo tipo di trina, che avrà qualche affinità col Milano ma che nelle punte schiacciate e nel disegno meno semplice e chiaro, arricchito dalle armelle del merletto di Genova, ha ancora un carattere proprio. Si lavora sempre a fuselli a Niznij Novgorod, a Tula, a Orel.
Grecia. - Merletto greco è spesso chiamato il reticello veneziano, forse perché in Grecia, nel '600, molte trine di quel tipo si trovarono nelle tombe dove erano seppelliti, con le loro vesti sontuose, i personaggi veneziani morti nell'isola; certo è però che a Creta, come pure a Malta, si lavorò al modo italiano aggiungendo al filo bianco qualche tocco di colore. (A Malta anche oggi si produce un tipo di trina che nell'armella frequente ricorda quella di Genova; più spesso di seta bianca o nera; il disegno caratteristico è a rose o circoli radiati, alquanto monotono).
Germania. - Nell'Erzgebirge, sopra un monumento eretto nel 1830 ad Annaberg in onore di Barbara Uttmann, si legge che essa "inventò le trine a fuselli nel 1565" (noi sappiamo però sulla fede del Froschauer che quest'arte fu portata a Zurigo trent'anni prima dai Veneziani). È vero invece che in Germania, dove l'arte della stampa era in fiore, si stamparono forse i primi libretti di modelli, ma per ricami e tessuti e non per trine; trine rustiche, ad ornare cuffie e grembiuli, si fecero già nel '600 in Germania (come dovunque) nelle campagne, imitando i lavori delle donne fiamminghe e italiane. In Boemia nel 1875, sotto il patronato dell'imperatrice, si fondarono laboratorî di trine a fuselli, per sollevare dalla miseria quelle contadine.
Inghilterra. - Benché in Inghilterra si trovino più frequenti che altrove i campionarî di ricami e di trine, a dimostrare l'interessamento delle donne inglesi alle opere d'ago, non si può dire che l'Inghilterra abbia trovato un suo tipo di trina se non molto tardi col merletto d'Irlanda. Le trine di Honiton nel Devonshire derivano da quelle fiamminghe chiamate a torto punto d'Inghilterra, dalle quali si differenziano nel fondo più semplice; si racconta infatti che ad introdurre quell'arte nel paese fossero venute alcune famiglie fiamminghe scampate alla persecuzione del duca d'Alba (1566-1577). Le due trine irlandesi, il Carrickmacross (1820) e il Limerick (1829), sono piuttosto ricami che trine; il primo essendo un'applicazione di finissima tela sul fondo di tulle a macchina; il secondo un ricamo a catenella fatto con l'uncinetto, sullo stesso fondo. Ed è forse da quest'ultimo lavoro che nella seconda metà dell''800 nacque a Dublino la modernissima "trina d'Irlanda" favorita subito da diffusa e crescente fortuna. Di lavoro facile, di mite prezzo, e ben decorativa, essa venne a redimere la povera trina all'uncinetto, rimasta fino allora la Cenerentola della famiglia. Segue, come può, i modelli delle roselline di Venezia e tenta disegni moderni. Ebbe anch'essa origine da una sventura. Quando nel 1846 l'Irlanda fu colpita da una grave carestia vi fu chi pensò a procurare così alle donne un lavoro facile e redditizio. Oggi il merletto di Irlanda si fa in tutti i paesi; in Italia più specialmente a Bologna e a Orvieto. All'Inghilterra spetta invece il merito d'aver creato con le trine a macchina un'industria fiorentissima, che ha messo alla portata delle donne d'ogni classe il lieve e leggiadro ornamento. Alla fine del '700, Hammond di Nottingham riesce sul telaio da calze a produrre un tulle che, da semplice e mediocre come era in principio, andrà mano mano migliorando, finché nel 1818 Heatcot e Morley non riusciranno a perfezionarlo così da permettergli di sostituire nelle trine ad applicazione il tulle a mano. Napoleone introduce le nuove macchine e la nuova industria a Lione e a Calais dove nel 1836, applicando il sistema Jacquard al tulle, si riesce a imitare perfettamente tutte le trine a fuselli che procedono dall'opera della tessitura, come lo Chantilly, il Valenciennes e le trine più comuni e rustiche. Nel 1829 il Heilmann, per una via completamente diversa, arriva a imitare anche le trine ad ago; la macchina ricama con filo o cotone sopra un tessuto speciale, il quale, immerso in un bagno chimicamente preparato allo scopo, viene completamente distrutto, lasciando intatto il ricamo che risulta a giorno come una trina. Naturalmente disegno e ricamo sono copiati dalle trine vere con le sbarrette e il fondo e i punti stessi che la macchina da ricamo imita fedelmente. Si riproducono così trine di Venezia d'ogni sorta, anche le più ricche di rilievi; e punti d'Inghilterra e Alençon e Argentan per centinaia di milioni di lire con poche centinaia di telai e d'operaie. Con la macchina francese, la dentellière, si arriva invece a riprodurre in modo perfetto le trine a fuselli semplici, un poco grosse, d'uso comune. Quest'industria ha portato la prosperità in molti paesi di Francia, di Germania, d'Inghilterra e di Svizzera. In Inghilterra, ad esempio, nel 1901 mentre cinquemila donne lavoravano a trine a mano, trentacinquemila lavoravano a trine a macchina. Anche in Italia, insieme alla produzione a mano di perfetta esecuzione e di buon disegno, si sviluppa la produzione meccanica a Torino, a Brà Ligure, a Milano, a Somma Lombarda, ecc.
V. tavv. CLXIII-CLXX.
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