MERIDIANA (fr. méridienne; sp. reloj solar; ted. Sonnenuhr; ingl. dial, sundial)
È, propriamente parlando, la linea retta, secondo cui il piano meridiano (determinato dall'asse della rotazione terrestre e dalla verticale) sega il piano dell'orizzonte, linea che ne congiunge il punto Nord con quello Sud (meridiana orizzontale), oppure un qualsiasi piano verticale (meridiana verticale). In senso esteso si designa con tal nome ogni orologio o quadrante solare di cui siffatta linea è l'elemento essenziale.
La linea meridiana orizzontale si determina con grande precisione con metodi astronomici che richiedono l'uso di strumenti appropriati e cognizioni speciali; ma si può anche determinare con metodi speditivi. L'uso della bussola e la conoscenza del valore che ha la declinazione magnetica in un dato luogo ne consentono il tracciamento. Ma essa si può meglio ottenere, con precisione sufficiente per la pratica, dalla direzione che ha la più breve ombra portata su un piano orizzontale da uno stilo (gnomone) eretto verticalmente su di esso. Per raggiungere tale intento si descrivano con centro nel piede dello gnomone alcuni circoli di diverso raggio e si segnino i punti nei quali l'estremo dell'ombra prima e dopo il mezzodì raggiunge uno dei descritti circoli e si dimezzi l'arco compreso fra tali punti; la meridiana è la linea passante fra il suddetto punto medio e il piede dello gnomone. La ripetizione della suddetta operazione per diversi cerchi darà parecchi di tali punti medî che dovrebbero essere tutti allineati col piede dello gnomone, cioè trovarsi tutti sulla meridiana. Il procedimento descritto, usato già nell'antichità, è esatto soltanto al tempo del solstizio estivo quando la posizione (declinazione) del Sole varia pochissimo ed è, per conseguenza, ammissibile che il Sole a uguali distanze di tempo prima e dopo il mezzodì si trovi ad altezze pure eguali e che quindi siano uguali anche le lunghezze delle ombre. Siccome il limite dell'ombra di uno stilo di altezza anche soltanto modesta, a cagione della penombra che la circonda, può non essere evidente, è vantaggioso fissare al termine superiore dello stilo una piastrina metallica con foro e usare, per trovare la meridiana, i raggi solari che traversano il foro, anziché l'estremità dell'ombra.
Quando la meridiana debba avere una notevole estensione ed essere assai precisa, bisogna al suddetto stilo verticale dare una grande lunghezza. Da ciò è derivato che si sono più volte usate colonne od obelischi che sorgono tuttora sulle piazze di molte città, ovvero anche alti templi, nelle vòlte dei quali si praticò un foro per il passaggio dei raggi solari, sicché attraverso di esso si forma l'immagine del Sole sul pavimento del tempio. È a tale dispositivo che si suole più propriamente dare il nome di gnomone.
Per tracciare la linea meridiana su di un piano verticale, per esempio sulla parete di un edificio, si deve innanzi tutto infiggere in essa lo stilo o le verghe che reggono la lamiera forata rappresentante il vertice dello stilo, e lo stilo può anche essere obliquo al piano. In tale caso si chiama piede dello stilo o dello gnomone il punto, in cui codesto piano è segato dalla perpendicolare abbassata dal vertice, mentre l'altezza o lunghezza è il segmento di siffatta perpendicolare compreso tra il vertice e il piano. Determinata quindi sopra un contiguo piano orizzontale, con le suesposte regole, la meridiana, si noti, quando quest'ultima indica il mezzodì, il punto d'ombra segnato sul piano verticale, dallo gnomone infitto in esso. Per il punto così determinato si conduce con un filo a piombo una retta verticale, essa è la richiesta meridiana.
Come indici dell'istante del mezzodì vero sono ora usate più che le orizzontali le meridiane verticali. Anzi comunemente si segnano sulle pareti degli edifici non la sola linea meridiana, ma anche le linee indicatrici delle altre ore della giornata, sulle quali linee o si proietta l'ombra dello gnomone ovvero cade il raggio che ha traversato il foro gnomonico.
Data la piccolezza del rapporto fra il raggio medio della Terra e la distanza media Terra-Sole (1/23.000 circa), qualsiasi punto terrestre si può assumere per centro dell'apparente sfera celeste e conseguentemente un asse passante per un qualsiasi punto terrestre e diretto al polo si può ritenere come asse del mondo e qualunque gnomone disposto secondo tale direzione si potrà considerare un segmento del detto asse. I piani passanti per l'asse del mondo hanno per tracce, su un piano qualsiasi che tagli il detto asse, delle rette le quali s'incontrano tutte in un punto, precisamente nel punto nel quale l'asse del mondo incontra il detto piano. Tale punto si suol chiamare il centro della meridiana o dell'orologio solare o anche del quadrante solare. Se il piano è parallelo all'equatore si ha l'orologio solare equatoriale, se è verticale od orizzontale si ha l'orologio solare verticale od orizzontale rispettivamente. Per l'uniformità del moto della rotazione terrestre i piani passanti per l'asse del mondo o fra loro distanziati per angoli orarî uguali (piani orarî) determinano sull'orologio solare equatoriale delle rette orarie pure formanti l'una con l'altra angoli uguali. Le tracce dei piani orarî sul piano dell'orologio verticale od orizzontale si determinano con una costruzione che qui si espone per il caso del piano verticale, quando però questo sia diretto esattamente secondo la linea Est-Ovest, cioè non sia un piano declinante.
Sia A il piede dello gnomone di altezza data (v. figura) e sia CD la meridiana tracciata sul piano verticale non declinante π mediante le regole suesposte; nel detto piano si conduca la AB normale a CD ed eguale all'altezza dello gnomone, per B si conduca la retta BC formante con la CD l'angolo BCA uguale al complemento della latitudine locale ϕ e quindi con la BA l'angolo ϕ e determinante sulla meridiana il punto C che chiamammo centro dell'orologio e nel quale debbono concorrere tutte le linee orarie. Nel punto B s'innalzi la perpendicolare a BC che incontri in D la linea meridiana; su questa si prenda il segmento DB′ = DB, e con centro B′ e raggio B′D si descriva il semicerchio FDG col diametro FG perpendicolare alla CD. Si divida ciascuno dei due archi DF, DG in sei parti uguali, dal centro B′ si conducano ai punti dividenti i raggi, che si prolungano fino a determinare sulla WE i punti 11, 10, 9, . . ., 1, 2, 3. Ora dal centro C si tirino a tali punti le rette, quali C 11, C 10, . . ., C1, C 2 . . ., che prolungate al di là della WE saranno le linee orarie richieste; quelle cioè a est della linea meridiana indicheranno le ore dopo il mezzogiorno, quelle a ovest le ore prima di esso.
La dimostrazione del procedimento esposto deriva dalle considerazioni seguenti. Pensato il triangolo BCD rotato intorno all'ipotenusa CD fino a essere nel meridiano, così che il cateto BC assuma la direzione dell'asse del mondo; e pensato il piano del semicerchio FDG pure rotato intorno alla WE fino a che il raggio B′D coincida col lato BD, esso avrà assunto la direzione del piano equatoriale, essendo normale all'asse del mondo BC e la WE sarà l'intersezione di esso col piano verticale, cioè la linea equinoziale. In tale disposizione facendo passare per l'asse BC, mentre B coincide con B′ centro della semicirconferenza FDG, dodici piani per i punti determinati sulla detta semicirconferenza, essi taglieranno l'equatore secondo rette quali B′ 10, B′ 11, B′D, B′ 1, B′ 2, . . . e il piano verticale secondo le rette C 10, C 11, CD, C 1, C 2, . . . e queste quindi saranno le linee orarie cercate.
Il tracciamento delle linee orarie sul piano verticale non declinante è il caso più semplice, ma non il più frequente. Occorre tracciarle sopra piani verticali declinanti in varia misura, sopra piani variamente inclinati all'orizzonte, e anche sopra superficie non piane; si determinano con procedimenti meno semplici di quello riferito or ora, esposti nelle trattazioni speciali sull'argomento.
Le ombre sulle linee orarie indicano il tempo solare vero, soggetto all'inuguaglianza ben nota col nome di equazione del tempo, la quale nel corso di ogni anno, varia superando di poco 16m, si annulla quattro volte e quattro volte raggiunge un massimo relativo. Le differenze tra il tempo vero e il tempo medio sono rappresentate da una curva che è uso di tracciare non per ogni linea oraria, ma soltanto per la linea oraria del mezzodì. Tale curva ha la forma di un otto allungato ed è denominata la meridiana a tempo medio.
Cenni storici. - Antichità. - La divisione del giorno in due parti, distinte dal mezzodì, cioè dal momento in cui il sole raggiunge la maggior altezza sull'orizzonte e l'ombra dello gnomone si proietta sulla linea chiamata appunto meridiana, dovette avvenire in tempo antichissimo, ma in seguito si trovò alla meglio, osservando il rivolgersi di quell'ombra e la sua variabile lunghezza, il modo di dividere in ore la parte di tempo prima del mezzodì e quella dopo (II Re, XX, 14). Del resto Erodoto dice esplicitamente che i Greci appresero dai Babilonesi lo gnomone e l'orologio solare con le dodici divisioni del giorno.
Ma ai filosofi greci si deve, senza dubbio, lo sviluppo della gnomonica su basi scientifiche col miglioramento dei metodi innanzi adoperati, e, per conseguenza, la determinazione delle norme per costruire orologi solari esattissimi, non solo su piani orizzontali, ma sopra piani variamente inclinati rispetto a quello dell'orizzonte o a quello del meridiano (declinanti), nonché sopra superficie coniche, cilindriche, sferiche. Così Anassimandro Milesio, o, se dobbiamo attenerci a Plinio (Nat. Hist., II, 76), Anassimene, aveva fatto costruire uno σκιόϑηρον a Sparta; e, nel sec. V, Ferecide di Siro un ἡλιοτρόπιον nella sua patria e un altro l'astronomo Metone. Nel secolo IV Democrito scrisse un trattato sul πόλος, cioè sul più semplice degli orologi solari antichi, costituito da un emisfero concavo, al cui centro corrispondeva la punta dello stilo: osservando il cammino delle ombre di quello, dalla mattina alla sera, negli equinozî e nei due solstizi, divisi quei tre archi ciascuno in dodici parti eguali e uniti con curve i tre punti corrispondenti, siffatte curve saranno dei cerchi massimi, al pari di quella dell'ombra equinoziale, opposte alle corrispondenti della sfera celeste.
Da quest'orologio Beroso, nei primi anni del sec. III a. C., pensò sopprimere tutta la parte non contenente segnature e, pertanto, l'invenzione andò sotto il nome di ἡμικύκλιον o orologio a semicerchi. Nel corso del sec. III l'arte di costruire gli orologi raggiunse la perfezione, e a quell'epoca si debbono attribuire i trattati sull'Analemma (v. gnomonica), cioè sulle costruzioni geometriche atte a disegnare qualunque specie di orologi solari, ai quali trattati indubbiamente attinsero Vitruvio e Tolomeo. Apparvero anche nel corso di quel secolo i primi orologi conici: Vitruvio ne attribuisce l'invenzione a Dionisodoro di Milo. Erano formati dalla superficie concava di un cono circolare retto e, perché ore temporarie eguali si traducessero in cammini eguali dell'ombra dell'estremità dello stilo, vale a dire corrispondenti alla dodicesima parte della durata del giorno, qualunque essa fosse nel suo continuo crescere e diminuire, bisognava che l'asse del cono fosse parallelo all'asse del mondo, cioè perpendicolare al piano dell'equatore, e che la punta dello stilo corrispondesse a un punto dell'asse del cono. Laonde era necessaria l'osservazione esatta della latitudine del luogo ove l'orologio doveva essere installato, e la determinazione almeno geometrica della lunghezza da dare allo stilo, per soddisfare la seconda delle condizioni. Vitruvio arresta la sua esposizione alla ricerca degli estremi punti d'ombra dello gnomone sulla proiezione del meridiano nel mezzodì dell'equinozio e dei due solstizî, e null'altro ci dice circa il tracciamento delle linee che indicavano l'ora temporaria. Il completamento di quelle cognizioni lo troviamo nel trattato sull'Analemma di Tolomeo.
Vitruvio, seguendo la sua fonte, ci dà notizia e nomi anche di altri quadranti usati dagli antichi. Il discus in planitia, la cui invenzione, insieme a quella della σκάϕη, sarebbe dovuta ad Aristarco da Samo: doveva trattarsi di un peculiare orologio orizzontale; il plinthium sive lacunar, inventato da Scopina di Siracusa, che è difficile indovinare come poteva esser fatto, e una copia del quale si trovava, ai tempi di Vitruvio, nel Circo Flaminio; il quadrante per tutti i luoghi noti, πρὸς τὰ ἱστορούμενα, inventato da Parmenione, che doveva essere un equinoziale al quale si potevano dare diverse inclinazioni entro certi limiti; laddove il πρὸς πᾶν κλίμα di Teodosio e Andrea sarebbe stato suscettibile di tutte le inclinazioni. Infine, dovuto all'inventore Patrocle, il πελέκινον, che il Lalande credette potesse essere un orologio orizzontale o verticale terminato entro le due iperboli dei tropici e rassomigliante quindi da una parte e dall'altra alla scure, chiamata dai Greci πέλεκυς; invece si trattava di un orologio formato di due tavole di marmo, più larghe nella parte superiore, più strette sotto, le quali, accostate sotto un certo angolo entro cui era lo gnomone, presentavano proprio la forma di una bipennis, come lo descrive, poco accuratamente, Faventino, nel c. XXIX del suo compendio d'architettura.
I Romani, mentre prima dividevano la giornata in quarti, annunziati dal littore nel Foro, o, per conoscere il mezzodì, osservavano l'apparire del sole tra i Rostri e la Grecostasi, nell'anno 290 a. C. videro piazzato presso il tempio di Quirino da L. Papirio Cursore un orologio solare preso ai Sanniti; M. M. Valerio Messalla, nel 263 a. C., situò nel Foro un orologio solare (solarium) trasportato da Catania, il quale non poteva segnare esattamente, perché la latitudine di quella città differisce di 5° da quella di Roma. Solo nel 56 a. C., il patrigno di Augusto, Q. Marcio Filippo, fece costruire il primo orologio solare per la latitudine di Roma. Sotto Augusto, finalmente, si vide nel campo Marzio un obelisco (ora sulla piazza Montecitorio) che servì da gnomone: era alto 37 m., ed era stato eretto in Egitto dal re Psammetico II, nel VII sec. a. C.
Orologi privati antichi sono a noi pervenuti in gran copia, ma tutti presentano irregolarità nella loro costruzione, così da farci ritenere che siano stati tracciati in seguito a sommarie osservazioni sopra una sfera celeste, o, materialmente, da artefici pressoché ignoranti, da cartoni che, disegnati da persone dell'arte nei centri dell'antica cultura, passavano di mano in mano nei diversi paesi. La sola Pompei ne ha tramandate parecchie dozzine e varietà: di quelli raffigurati a pag. 903, il primo, da sinistra, di terracotta, e l'ultimo, di tufo, sono hemicyclia; e degli altri tre, di marmo, due sono orizzontali e il terzo, poggiato su di essi, è la metà di un pelecinum, oggi esposto nella sezione tecnologica del Museo nazionale di Napoli. Un pelecinum è quello trovato a Nemi. Uno, inciso sulla faccia superiore di un tronco di colonna, nel peristilio della casa detta dei capitelli figurati a Pompei, sottoposto a controllo rigoroso, presenta difetti nel tracciato della curva iperbolica del solstizio estivo e nella trascuratezza onde sono disegnate le linee orarie: particolare curioso di quest'orologio è la molta probabilità che fosse associato a un disco di bronzo (discus), la cui percussione risparmiava allo schiavo l'annuncio alla voce delle ore osservate. Orologio pubblico ben disegnato è quello di Preneste, controllato dall'Armellini. Se la famosa Torre dei Venti ad Atene di Andronico Cirreste poté essere costruita in tempo antico quale anemoscopio e per contenere la clessidra, solo in uno dei primi secoli dell'era volgare vi furono disegnati egregiamente gli otto orologi solari.
Gli horologia viatoria pensilia erano quadranti portatili di minuscole dimensioni, i quali, costruiti per una certa latitudine, rendevano servizio entro un ristretto raggio, e, anch'essi, non erano esenti da inesattezze. Tali sono quello singolare in forma di prosciutto, scavato a Ercolano nel 1775 e conservato nel Museo nazionale di Napoli (Ant. di Ercolano, III, pref.); e due, in forma di disco, l'uno disegnato sul rovescio di una medaglia di Commodo illustrato dal padre Angelo Secchi (Civiltà cattolica, fasc. 169), e conservato ora nel Museo nazionale romano, l'altro, scavato nel 1892, a Ierapoli (Mém. de la Soc. Naton. des Antiquaires de France, serie 6ª, t. III), il cui tracciato a guisa di tela di ragno fa pensare all'orologio da Vitruvio denominato arachne. Si usavano sospendendoli e girandoli in modo che il raggio solare cadesse quasi tangenzialmente al loro piano.
Medioevo ed età moderna. - L'uso delle meridiane si protrasse nel Medioevo e oltre, anche dopo che altri tipi di orologi ebbero preso maggiore sviluppo. Di parecchie abbiamo notizie più o meno esatte; altre ancora sussistono. Molte meridiane anteriori al 1000, per es., si trovano disegnate o costruite sui muri di antiche chiese inglesi: sono in genere assai semplici, divise spesso in quattro zone soltanto, in base all'antico computo anglosassone delle parti del giorno. Note quelle di Daglingworth, di Bewcastle Cross, ecc. Gerberto d'Aurillac, maestro di Ottone III, e poi papa col nome di Silvestro II, costruì una meridiana a Magdeburgo verso la fine del sec. X. Di particolare importanza appaiono le meridiane arabe, costruite in base agl'insegnamenti degli scrittori greci, ma poi notevolmente modificate e semplificate, specie dopo che l'astronomo e matematico al-Hasan ibn ‛Ali al-Marrākusl (sec. XIII) ebbe insegnato a tracciarle su superficie cilindriche, coniche, ecc., e vi ebbe introdotto le ore equinoziali, probabilmente per adeguarle in precisione agli orologi d'altro tipo che già cominciavano a usarsi.
In Italia son degne di particolare menzione alcune grandi meridiane legate a edifizî o a uomini celebri. La più antica sembra esser quella che esisteva nel Battistero di S. Giovanni a Firenze, e che dal gesuita L. Ximenes viene attribuita a Strozzo Strozzi (primi del sec. XI). Nel 1467 Paolo Dal Pozzo Toscanelli praticò un foro gnomonico nella cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, a 86 metri dal suolo, costruendo il più alto gnomone d'Europa. La pietra solstiziale collocata primamente dal Toscanelli fu rinchiusa nel 1510 dentro un'altra (posta forse dal padre A. Dulcinati), recante una data in cifre romane (M. D. X. PRIDIE. ID. IVNII) che corrisponde al 12 giugno (solstizio d'estate di quell'anno). Nel 1756 L. Ximenes rettificò lo gnomone del Toscanelli e fece per mezzo di esso una serie di esperienze da cui dedusse l'obliquità dell'eclittica.
Un'altra meridiana in Santa Maria Novella a Firenze promosse nel 1575, sette anni prima della riforma gregoriana del calendario, il padre Egnazio Danti, per rendere evidenti gli errori del calendario giuliano e la necessità appunto di una riforma. Chiamato a insegnare all'università di Bologna, riprese l'opera lasciata incompiuta a Firenze e costrusse in S. Petronio una meridiana col foro gnomonico alto 27 m.; il celebre G. D. Cassini non la riconobbe sufficientemente orientata e ne costruì un'altra più esatta nel 1655, poi da lui stesso e da Domenico Guglielmini rettificata nel 1695: foro gnomonico di 32 metri. Per mezzo di essa il Cassini condusse una serie di osservazioni rimaste famose nella storia dell'astronomia. Nel 1776 la meridiana di S. Petronio fu nuovamente restaurata da Eustachio Zanotti.
Nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in Roma fu costruita nel 1703 una meridiana da Francesco Bianchini, con gnomone di 20 m. d'altezza, restaurata poi da L. Vanvitelli; nel 1786 gli astronomi di Brera diretti dal padre G. A. Cesaris costruirono una meridiana con gnomone di 24 m. nel duomo di Milano. Tra le meridiane del secolo scorso una delle più note è quella esistente nella chiesa del monastero dei Benedettini a Catania, cominciata nel 1830 da N. Cacciatore e rifatta nel 1841 da W. Sertorius e Chr. Peters. Lo gnomone è alto m. 23,017 e la meridiana, dal piede dello gnomone al punto del solstizio d'inverno, è lunga m. 43,93.
Durante il Rinascimento e l'età barocca le meridiane vennero spesso abbellite con fregi, decorazioni, iscrizioni varie: fra le tante si può menzionare quella che si trova nella vòlta della Galleria di palazzo Spada, a Roma, e che si vuole attribuire al Guercino.
In Francia si costruirono nei secoli XVII e XVIII alcune meridiane rimaste famose: così quella della chiesa di Saint-Sulpice (Parigi 1743, gnomone alto 26 m.), quella dell'osservatorio astronomico di Parigi, installata da Giacomo Cassini, ecc. Altri orologi solari celebri dei secoli passati sono: quello eretto da Tyge Brahe nell'osservatorio di Uraniborg (Hven, Danimarca) nel 1572, quello di S. Marco a Venezia, quello di Lund in Svezia, ecc. Un cenno particolare meritano ancora le meridiane costruite in India dall'inizio del sec. XVIII: famose quelle di Delhi (con gnomone di 18 m.), di Benares, di Muttra, di Jaipur. In quest'ultima città venne costruita ai primi del sec. XIX una gigantesca meridiana con gnomone di 27 metri.
Attraverso i varî secoli le meridiane assumono forme svariatissime. dovute all'inventiva di studiosi e di artefici e anche allo sbizzarrirsi delle mode. Sono state già menzionate le "meridiane portatili" dell'epoca romana. Una forma posteriore di queste è quella cilindrica, o "da pastori", descritta la prima volta dal benedettino Hermann di Vöringen (sec. XI) e ancora usata dai contadini dei Pirenei; altre forme sono ad anello, a quadrante, o anche piatte, come quella del "cappuccino" (così chiamata per la somiglianza del complesso dei grafici a un cappuccio da frate), risalente ai tempi del Regiomontano (sec. XV). Pure nel sec. XV compaiono le meridiane "a bussola", anch'esse portatili e costituite sostanzialmente da una meridiana orizzontale e da un ago magnetico, perfezionate poi in modi svariati soprattutto per opera di costruttori tedeschi.
Del tutto tramontata nei tempi moderni l'importanza pratica delle meridiane, si seguitò a costruirne per diletto e per abbellimento di edifizî, ville, giardini. Svariatissime come forma, ricavate nei modi più diversi sfruttando le possibilità dei singoli luoghi, le meridiane conferiscono anche oggi una nota pittoresca a chiese e dimore. Iscrizioni d'ogni genere furono apposte in tutti i tempi alle meridiane, tra cui: Sine sole sileo; Aspiciendo senescis; Horas non numero nisi serenas; Le ciel est ma règle; Solis et umbrae concordia; Vulnerant omnes, ultima necat; ecc.
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