MERCATO (XXII, p. 878)
Le forme di mercato. - Per forma di m. si intende, nell'analisi economica, l'insieme delle caratteristiche che concorrono a determinare le modalità con cui la merce è offerta o domandata e che spiegano il meccanismo particolare di formazione del prezzo. Nei più antichi contributi all'analisi economica si distinguono le forme tipiche della concorrenza e del monopolio. Nel secolo scorso crescente attenzione è stata data dagli economisti alla forma di m. intermedia, all'oligopolio. La classificazione si è ampliata e la problematica estesa con i contributi più moderni.
1. - La tendenza ad assicurarsi un monopolio nella vendita, che già Aristotele aveva indicato come uno dei principali obiettivi degli uomini d'affari, fu una delle caratteristiche del capitalismo commerciale. L'interesse degli stati (in particolare della corona inglese) nell'attività delle grandi compagnie commerciali, anche per la necessità di aumentare le entrate allo scopo di far fronte ai crescenti bisogni finanziarî, portò, attraverso la concessione di privilegi, alla formazione di situazioni monopolistiche; ma agli economisti mercantilistici non sfuggirono i principali inconvenienti del monopolio.
Con l'affermarsi delle nuove concezioni filosofico-sociali e con l'inizio del nuovo capitalismo industriale furono invece messi in luce i vantaggi della concorrenza. Ma soltanto con i classici i vantaggi della concorrenza vennero esaminati in relazione al processo di sviluppo economico e alla distribuzione dei beni. La concorrenza spinge gli imprenditori ad attuare ogni possibilità di progresso tecnico (divisione del lavoro), mentre la libertà di commercio (e quindi l'assenza di barriere doganali) consente ad ogni impresa di espandersi oltre le possibilità offerte dai m. locali e, costituendo un incentivo all'accumulazione, provoca un più elevato saggio di sviluppo del reddito. Inoltre la concorrenza porta ad una distribuzione efficiente dei beni offerti ai prezzi più bassi possibili in armonia alle richieste dei consumatori.
La tendenza dei capitalisti ad accordarsi sui prezzi non è sfuggita ad A. Smith, il quale per altro ritiene che, se lo Stato non concede privilegi e favorisce con le leggi la libertà di commercio, il meccanismo di m. instaura e conserva un regime concorrenziale. Né lo Smith né il Ricardo posseggono gli strumenti analitici per analizzare il livello al quale il monopolista fissa il prezzo in relazione all'andamento della domanda sul m. e dei costi dall'impresa.
2. - Il primo a studiare la diversa formazione del prezzo nelle diverse situazioni o forme di m. è stato A. Cournot. I suoi contributi saranno dopo alcuni decennî valorizzati dai teorici dell'equilibrio generale. La concorrenza è definita come la situazione che si crea in un m. perfetto quando per il grande numero di imprese ciascuna non può influire sul prezzo. Quando il numero di imprese si riduce e ciascuna può influire sul prezzo abbiamo una situazione di oligopolio: al limite, quando nel m. di un bene l'offerta è concentrata in una sola impresa, si ha la situazione di monopolio (sulla teoria marginalista del monopolio, v. monopolio). L. Walras e V. Pareto hanno ripreso l'analisi del m. concorrenziale e monopolistico. Il Pareto, in particolare, sottolinea le differenze tra l'equilibrio competitivo e quello monopolistico. Secondo l'illustre economista il monopolio causa un trasferirnento di ricchezza e ogni trasferimento di ricchezza, modificando le condizioni date dalla libera concorrenza sia per i coefficienti di fabbricazione sia per la trasformazione dei risparmî in capitale, "è necessariamente accompagnato da una distruzione di ricchezza". Un importante contributo allo sviluppo della teoria del Cournot è stato dato anche da A. Marshall, il quale, oltre ad approfondire alcuni strumenti analitici usati dal Cournot con la nozione di elasticità della domanda, ha cercato di tener maggiormente conto dei processi di aggiustamento e di altre caratteristiche strutturali dei m. che nell'analisi astratta del Cournot erano stati trascurati.
3. - Negli ultimi decennî dell'800 l'interesse degli economisti si concentrò sulla forma di m. considerata intermedia tra la concorrenza e il monopolio: l'oligopolio. Il Cournot studiò l'equilibrio di un m. duopolistico (oligopolio con due sole imprese) nell'ipotesi che ogni impresa assuma la quantità offerta dal rivale come data e stabilisca la propria quantità in modo da massimizzare il suo profitto, dato l'andamento del prezzo che i consumatori sono disposti a pagare (e che è funzione della quantità globale offerta dalle due imprese) e l'andamento dei suoi costi. Si può allora stabilire una curva di reazione che per ogni quantità dell'impresa rivale permette di stabilire la quantità ottima che l'impresa considerata può offrire sul m. Il punto d'incontro delle curve di reazione delle due imprese, rappresentate in un grafico, in cui sulle ascisse si indica la quantità offerta da un'impresa e sull'altra la quantità offerta dall'altra impresa, indica la situazione di equilibrio che pertanto si raggiunge quando la prima impresa, in corrispondenza ad una quantità x2 offerta dalla seconda impresa, massimizza i suoi profitti offrendo una quantità x1 e la seconda impresa, in corrispondenza ad una quantità x1 offerta dalla prima impresa, massimizza i suoi profitti offrendo una quantità x2.
La teoria del Cournot è stata criticata da J. Bertrand e da F. Y. Edgeworth. L'Edgeworth suppone che il secondo duopolista assuma come dato il prezzo fissato dal primo e che, allo scopo di estendere il suo m. a danno del primo, sia indotto a stabilire un prezzo inferiore. Il primo duopolista allora è costretto, per difendere il proprio m., ad abbassare egli pure il prezzo: si determina in tal modo una tendenza di entrambi i duopolisti a ridurre continuamente il prezzo, tendenza che si arresta quando entrambi hanno offerto la quantità massima producibile. Questa posizione non rappresenta però una posizione di equilibrio stabile. L'uno o l'altro dei due duopolisti ben presto troverà conveniente aumentare il prezzo sapendo che il rivale non può trarne vantaggio in quanto ha raggiunto la produzione massima. Si inizia allora una tendenza all'aumento dei prezzi: in regime di oligopolio quindi, secondo l'Edgeworth, non si ha una posizione di equilibrio, ma il prezzo oscilla tra un massimo e un minimo.
Un particolare interesse è stato prestato alla situazione che si presenta quando ad un monopolio nell'offerta di un bene si contrappone un monopolio nella domanda dello stesso bene (da alcuni detto anche monopsonio o mononio): è questo il caso del monopolio bilaterale.
Già C. Beccaria aveva sostenuto l'indeterminatezza del prezzo quando sul m. vi è un solo venditore ed un solo richiedente. Questa affermazione sarà ripresa e sviluppata dagli economisti della scuola austriaca (C. Menger e E. Böhm Bawerk) e da Marshall. Nel monopolio bilaterale, sia il richiedente sia l'offerente hanno la possibilità d'influire sul prezzo e cercheranno di farlo a danno della controparte. È possibile allora stabilire soltanto dei limiti entro cui il prezzo si determina. La teoria del monopolio bilaterale è stata rigorosamente formulata dall'Edgeworth e ha trovato larga applicazione nello studio del m. del lavoro. Tra i contributi allo sviluppo di tale teoria ricordiamo quelli di P. Jannaccone, F. Zeuthen e A. Bordin.
4. - Mentre l'analisi marginalistica veniva sviluppata sul presupposto che la forma normale di m. fosse quella di libera concorrenza e si proponeva di mettere in luce non solo le caratteristiche strutturali ed evolutive del sistema economico ma anche le condizioni che assicurano l'ottima distribuzione delle risorse spontaneamente realizzantesi in un regime concorrenziale (si veda benessere, in questa App.), le situazioni monopolistiche andavano sempre più diffondendosi.
Il Pareto, nel Manuale, considera più diffusamente le situazioni di m. che si verificano quando "l'individuo... può... occuparsi di modificare le condizioni di m. per farne suo prò o per altro fine qualsiasi" e ciò in quanto "l'attività degli uomini si spende per due vie: la prima essendo diretta alla produzione e trasformazione dei beni economici, la seconda ad appropriarsi dei beni economici prodotti da altri". La diffusione di queste situazioni trova, secondo il Pareto, una spiegazione solo sul piano sociologico. È su questo piano che viene meno la fiducia nella legge evoluzionistica spenceriana e nell'armonia che, nella libertà economica, tende a stabilirsi tra diversi soggetti economici. Lo sviluppo, accanto a un'analisi economica che teorizza il comportamento razionale e che si fonda sull'ipotesi di concorrenza, di teorie sostanzialmente sociologiche più o meno contrapposte alla prima o fuse con la medesima, in grado di spiegare l'allontanamento del sistema dalla sua struttura razionale, si trova in diversi autori moderni.
5. - Gli sviluppi moderni della teoria delle forme di m. possono essere classificati in tre gruppi: 1) la classificazione delle diverse forme di m. e l'elaborazione di formule e di modelli per valutare il potere monopolistico ed interpretare le caratteristiche monopolistiche delle diverse situazioni; 2) l'analisi del comportamento delle imprese monopolistiche ed oligopolistiche: particolarmente rilevanti sono i tentativi di passare dall'analisi delle situazioni di m. in un contesto statico all'analisi in un contesto dinamico; 3) la genesi delle situazioni monopolistiche e la loro influenza sul processo di sviluppo economico.
6. - La distinzione classica delle situazioni di m. in monopolio, concorrenza ed oligopolio, appare insufficiente ad interpretare la varietà delle situazioni di m. Uno sviluppo dell'analisi lungo nuove direzioni fu stimolato dal fondamentale contributo di P. Sraffa. Lo Sraffa, considerando criticamente le formulazioni che della produttività decrescente sono state date, mette in luce gli ostacoli che possono opporsi all'entrata sul m. di nuovi concorrenti e il limite che spesso il m. rappresenta all'espansione delle imprese esistenti. In considerazione anche degli incentivi che forzano la tendenza alla formazione di situazioni monopolistiche, lo Sraffa ritiene che il punto di partenza per lo studio del m. debba essere la posizione del venditore individuale, per studiare la quale sono preferibili alcuni concetti già impiegati nell'analisi del monopolio, in quanto un'espansione delle sue vendite è possibile solo attraverso una riduzione di prezzi o un aumento delle spese di pubblicità.
Il nuovo orientamento suggerito dallo Sraffa è stato sviluppato da J. Robinson e da E. H. Chamberlin. La Robinson elabora un modello atto a spiegare il comportamento di ogni impresa per la quale è data una curva di domanda che rappresenta l'effetto di variazione del prezzo sulla quantità venduta dall'impresa una volta che si è tenuto conto delle variazioni di prezzo delle altre imprese (i costi pubblicitarî, necessarî per aumentare le vendite, potendo essere considerati equivalenti a riduzioni di prezzo aventi lo stesso effetto). La concorrenza interviene a poco a poco: il caso limite si ha quando un numero grande di questi venditori unici offrono prodotti perfettamente sostituibili in un m. perfetto. Nello schema concettuale della Robinson le varie possibili situazioni di m. sono confrontabili: una parte dell'imponente contributo dell'economista di Cambridge concerne le caratteristiche di un mondo di monopolî confrontate con quelle di un regime concorrenziale.
Nella teoria della concorrenza monopolistica il Chamberlin considera in particolare le situazioni monopolistiche che risultano dalla differenziazione dei prodotti. Nell'ipotesi che le imprese che vendono prodotti similari (surrogati) siano abbastanza numerose da rendere trascurabile l'effetto che può avere la politica di ciascuna di esse sulla situazione di m. dell'impresa considerata, questa determina la sua posizione ottima in modo analogo al monopolista di Cournot. Il Chamberlin suppone quindi che vi sia perfetta libertà di entrata. In tal caso si può dimostrare che la domanda per ogni impresa si abbassa e il m. trova il suo equilibrio quando il prezzo è uguale al costo medio (la convenienza di nuove imprese ad entrare nel m. viene, in tale situazione, a cessare). Poiché la curva di domanda è discendente, essa risulta tangente alla curva dei costi medî nella fase di costo medio decrescente: ciò significa che l'equilibrio del m. è caratterizzato dalla formazione di capacità produttive inutilizzate. Il Chamberlin studia poi la problematica delle imprese in un contesto più ampio, considerando tra le variabili che l'impresa può manovrare per aumentare il profitto anche il prodotto e le spese di vendita (si veda la voce pubblicità, in questa App.).
7. - L'estensione dell'analisi classica all'ipotesi di prodotti differenziati comporta difficoltà metodologiche in quanto cade la possibilità della netta separazione dei m., ciascuno dei quali, secondo l'analisi tradizionale, abbraccia l'insieme dei richiedenti ed offerenti di uno stesso bene.
Alcuni autori (come R. Triffin, W. Fellner e S. Lombardini) hanno osservato come la differenziazione del prodotto renda difficile l'analisi delle forme di m. sulla base della nozione tradizionale, la cui rigorosa applicazione porterebbe a parlare di m. per ciascun prodotto di ogni impresa. La distinzione delle varie forme di m. può essere effettuata sulla base di indici o criterî che consentono di stabilire l'influenza che il prezzo fissato (la quantità offerta) da un'altra impresa (o gruppo di imprese) ha sulla quantità venduta (il prezzo fissato) dall'impresa considerata. Il monopolio isolato viene allora distinto dalla situazione di oligopolio e di concorrenza monopolistica che possono essere ulteriormente distinte in sottogruppi di situazioni di m. Altre classificazioni delle forme di m. si trovano nelle opere di F. Machlup e di A. G. Papandreou.
Mentre la teoria della concorrenza monopolistica apriva la via al riesame della classificazione tradizionale delle varie forme di m., si presentava all'attenzione degli economisti il problema di una valutazione quantitativa del grado di monopolio. A. P. Lerner e la Robinson suggeriscono di assumere come misura del grado di monopolio il rapporto tra l'eccedenza del prezzo sul costo marginale e il prezzo stesso. Tale rapporto dipende dal costo marginale e dall'elasticità della domanda. L'indice del Lerner, che è alla base di un'importante analisi di M. Kalecki sui fattori che determinano la distribuzione del reddito, si fonda sulle caratteristiche di un m. monopolistico in equilibrio: esso, per questo motivo e per il fatto di prescindere dalle complicazioni che appaiono quando si considerano la politica del prodotto e le spese pubblicitarie nella loro relazione con la politica del prezzo, dalle interdipendenze tra l'impresa considerata e altre imprese, nonché dagli effetti sulla politica dei prezzi delle tendenze collusive, ha una validità assai limitata. Inoltre - come ha dimostrato G. Demaria - esso è insufficiente a misurare le conseguenze negative di una situazione monopolistica.
J. S. Bain suggerisce di assumere come misura del grado di monopolio il saggio di extraprofitto di lungo periodo, una volta che i costi medî siano stati opportunamente calcolati in modo da eliminare le quasi-rendite.
Indici del monopolio, che tengono conto della complessa struttura che possono presentare i diversi m., sono stati elaborati da K. W. Rothschild e da F. Vinci.
I tentativi di misurare il grado di monopolio urtano tutti contro tre ordini di difficoltà. È difficile caratterizzare con un indice le situazioni di m. che appaionoo assai diverse quando si considerano le complesse possibili interdipendenze tra le imprese e le numerose strutture che un m., sia pure empiricamente definito, può assumere. Inoltre tutti gli indici trascurano le caratteristiche che le situazioni di m. assumono quando si consideri un aspetto del fenomeno sin qui trascurato, la minore o maggiore possibilità di entrata. Infine, confronti tra situazioni monopolistiche e situazioni concorrenziali alternative sono difficilmente effettuabili, specie se l'analisi è limitata alla considerazione di un m. isolato, per la complessità degli effetti che si verificano negli altri m. e per le diverse strutture tecniche ed organizzative possibili in un regime monopolistico.
8. - Altri sviluppi moderni hanno ripreso l'analisi del comportamento dell'impresa monopolistica. La più grave limitazione dell'analisi tradizionale è rappresentata dal carattere statico dei modelli elaborati dagli economisti marginalisti. In essi infatti si assumono date la domanda corrente e le condizioni relative alla produzione e si cerca di determinare la situazione ottima di equilibrio in un particolare istante. Inoltre insufficiente considerazione è stata data al problema della stabilità degli equilibrî nelle diverse forme di m.
A proposito del m. duopolistico si può ricordare l'importante contributo di A. Wald allo studio del processo attraverso il quale si perviene ad una posizione di equilibrio (e quindi della stabilità dell'equilibrio).
Modelli dinamici, in cui si suppone che la domanda dipenda, oltre che dal prezzo, dal saggio di variazione del prezzo (e da altre derivate di ordine superiore), sono stati formulati da G. C. Evans, G. Tintner e A. Smithies e L. J. Savage.
9. - Nonostante la complessità formale delle analisi più sopra ricordate, esse appaiono inadeguate a fornire un'efficace spiegazione delle situazioni monopolistiche, quando si abbandonino l'ipotesi statistica e l'ipotesi di perfetta conoscenza dell'andamento delle variabili da cui dipende il profitto monopolistico.
Secondo il Lombardini l'incertezza delle situazioni alternative di m. può implicare una discontinuità nella funzione dei ricavi marginali, in corrispondenza all'attuale posizione di m.: ciò significa che la posizione di m. delle imprese monopolistiche è caratterizzata da una certa rigidità così come, secondo la teoria di P. Sweezy, si verifica per l'oligopolio (si veda sotto). Inoltre a determinare la politica monopolistica concorrono anche la maggiore o minore libertà di entrata e le possibilità di sviluppo dell'impresa determinate dalle maggiori possibilità che essa può avere, rispetto ad imprese nuove che potrebbero entrare nel m., di attuare innovazioni tecniche ed organizzative, di ottenere finanziamenti per nuovi investimenti, di differenziare il prodotto e di provocare espansioni della domanda attraverso l'attività pubblicitaria: aspetti questi che debbono essere riesaminati in un contesto dinamico.
Altri autori hanno suggerito che in un contesto dinamico il comportamento di un'impresa può essere spiegato tenendo conto delle variazioni della struttura dei beni capitali dell'impresa (K. E. Boulding e J. Marschack): invero la politica monopolistica non è senza effetti sulla struttura del bilancio. Ciò può avere implicazioni rilevanti nella determinazione degli ammortamenti (Lombardini, G. Palomba) e nella determinazione contabile dei profitti che possono risultare capitalizzati attraverso una rivalutazione degli impianti quando la situazione di monopolio si stabilizza.
Secondo altri autori (R. L. Hall e C. J. Hitch la complessità dei dati che entrano nella formulazione del problema rende l'analisi tradizionale inadeguata ad interpretare il comportamento effettivo che risulterebbe invece dall'applicazione di una regola più semplice: il full cost principle. L'impresa cioè determinerebbe il prezzo aumentando di una certa percentuale il costo medio variabile. Questa teoria ha suscitato interessanti discussioni sull'adattabilità dell'analisi marginale al fine di renderla suscettibile di spiegare le concrete situazioni di mercato.
Secondo la Robinson (Imperfect competition revised) le imprese che operano in un m. oligopolistico, quando non hanno una evidente convenienza ad eliminare imprese rivali, possono ritenere opportuno seguire la politica di un'impresa-guida, e ciò per evitare il rischio che, qualora esse non agissero di conserva con altre imprese, potrebbe essere rappresentato dalle possibili reazioni delle imprese rivali.
10. - Un importante sviluppo della teoria dell'oligopolio si ebbe con R. Frish, il quale generalizzò la teoria del Cournot partendo dall'ipotesi che nel decidere la quantità ottima da produrre ogni impresa non assuma come data la quantità offerta dall'impresa rivale ma tenga conto delle sue previste reazioni (per cui la quantità da essa offerta è funzione della quantità che l'impresa deciderà di produrre). Peraltro, come ha giustamente osservato il Rothschild, quando si considerano le interdipendenze in un m. oligopolistico, la varietà delle politiche delle imprese è tale da rendere difficile l'elaborazione di un modello sulla base delle nozioni fornite dall'analisi marginalistica: le teorie sulla strategia militare servono allora assai più delle teorie economiche per interpretare il comportamento di tali m.
Tentativi d'introdurre considerazioni di ordine istituzionale per semplificare l'analisi sono stati fatti da diversi autori. P. Sweezy svolge la sua analisi partendo dal presupposto che ogni qualvolta un'impresa riduce il prezzo provoca una reazione delle imprese rivali che, diminuendo in misura anche più drastica i loro prezzi, riducono l'elasticità della domanda dell'impresa considerata, mentre quando questa aumenta il suo prezzo i rivali lasciano invariato il loro: la curva della domanda dell'impresa ha pertanto un angolo in corrispondenza al prezzo corrente e la curva dei ricavi marginali una discontinuità: le variazioni di costo possono pertanto, entro certi limiti, lasciare immutata la situazione di mercato. Questa teoria, anticipata da R. F. Kahn, sembra confermata dalle analisi empiriche di R. L. Hall e C. J. Hitch.
Recentemente W. Baumol, partendo dall'analisi di alcune caratteristiche strutturali dei m. oligopolistici - in relazione alle quali egli ritiene improbabili le azioni e le reazioni frequentemente considerate dall'analisi tradizionale - e dell'organizzazione interna dell'impresa, ritiene che l'obiettivo al quale si ispira la politica dell'impresa oligopolistica è la massimizzazione delle vendite: poiché l'impresa deve preoccuparsi anche del livello delle vendite future, il conseguimento dell'obiettivo è condizionato al perseguimento di un livello minimo dei profitti.
11. - Mentre i contributi precedentemente ricordati aggirano le difficoltà che la complessità delle situazioni oligopolistiche comporta introducendo ipotesi istituzionali semplificatrici, altri sviluppi hanno affrontato tali difficoltà ricorrendo a metodi più raffinati d'analisi dei contrasti di interesse e dei loro effetti sulle decisioni di un'impresa. Tali metodi sono stati forniti dalla teoria dei giochi. Ipotesi alternative, sulle strutture istituzionali di un m. oligopolistico, portano a diverse applicazioni di questa teoria che consente di formulare i più diversi modelli atti a tener conto delle più complesse interdipendenze tra le politiche delle imprese rivali circa i prezzi, i tipi di prodotto e le attività pubblicitarie.
Recentemente M. Shubik ha riconsiderato il problema tenendo conto di altre più complesse caratteristiche che può presentare un m. oligopolistico, ad esempio di quelle relative alla libertà di entrata.
12. - I contributi all'analisi della formazione delle situazioni monopolistiche e dei loro effetti sul processo di sviluppo economico si trovano sparsi sia nelle trattazioni relative al monopolio sia in quelle concernenti lo sviluppo economico. Nel tentativo di inquadrare questi contributi si cercherà di indicare anche i problemi che non sono stati ancora oggetto di un'analisi adeguata.
Le cause principali che spiegano la formazione di situazioni monopolistiche (con tale termine si intende abbracciare tutte le situazioni non concorrenziali) sono:
a) La tendenza delle imprese a collegarsi per conseguire un maggior potere monopolistico. I consorzî sono prevalentemente i risultati di tali tendenze, come afferma ad esempio E. Schneider e come è stato osservato attraverso autorevoli indagini. Già lo Smith aveva riconosciuto in tali tendenze, e nella concessione o creazione di privilegi a favore di particolari imprese da parte dello Stato, i fattori principali che spiegano il formarsi di situazioni monopolistiche. Recentemente L. J. Zimmermann ha svolto un'indagine per determinare i fattori da cui dipende la propensione alla monopolizzazione di un m. che può avvenire attraverso la formazione di cartelli. Secondo questo autore tale propensione aumenta col diminuire della elasticità della domanda e con l'aumentare della elasticità dell'offerta.
Secondo gli economisti liberisti che sostanzialmente aderiscono alla tesi affacciata dallo Smith, una situazione di libera concorrenza può essere mantenuta: 1) in quanto la tendenza alla formazione di cartelli non può durevolmente bloccare le forze della concorrenza (M. Pantaleoni); 2) in quanto opportune leggi antimonopolistiche, che dichiarino illeciti ogni controllo, combinazione o cospirazione intesa a limitare il commercio e a creare situazioni di monopolio, e una politica economica che non crei privilegi a favore di particolari imprese possono frustrare le principali tendenze alla formazione di situazioni monopolistiche.
La legislazione antimonopolistica americana (in particolare il primo e fondamentale testo legislativo, lo Sherman Act del 1890) si ispira a questa concezione. Occorre osservare peraltro che col ridursi del numero delle imprese e coll'aumentare della loro dimensione in seguito al progresso tecnico (si veda sotto b) la tendenza alla collusione può più facilmente realizzarsi ed assumere modalità (collusione tacita) più difficilmente colpibili con disposizioni legislative.
b) Il progresso tecnico. Nel secolo scorso si delinearono a questo proposito due posizioni estreme: secondo la prima (liberista) il progresso tecnico non porta al superamento del regime concorrenziale, secondo l'altra (C. Marx) il progresso tecnico porta ineluttabilmente alla concentrazione industriale come risultato della concorrenza tra le grandi e piccole imprese e quindi alla formazione di situazioni monopolistiche (occorre peraltro osservare che Marx non ha approfondito l'analisi dell'influenza che a sua volta il monopolio può esercitare sulla struttura dei prezzi e degli investimenti). Per i liberisti il progresso tecnico non distrugge necessariamente la concorrenza in quanto si manifesta o attraverso integrazioni verticali (i sindacati nuovi di Pantaleoni), che possono benissimo prosperare in regime concorrenziale, oppure con la specializzazione della produzione, oppure con la creazione di condizioni favorevoli alla formazione di piccole imprese.
In realtà si può osservare che: 1) contrariamente a quanto afferma il Pantaleoni, anche i nuovi sindacati possono portare ad un aumento delle dimensioni delle imprese e possono rafforzare il potere di m. dei complessi di imprese integrate rispetto ad altre imprese che non hanno attuato tale processo di integrazione; 2) il progresso tecnico nei trasporti ha favorito la concentrazione geografica che si accompagna spesso alla concentrazione della produzione; 3) indubbiamente alcune manifestazioni del progresso tecnico (nuove fonti di energia più equamente ripartite nello spazio che possono essere utilizzate senza che sia necessaria la costruzione di grandi impianti, scoperte di materie prime sintetiche lavorabili in piccoli impianti) possono favorire il sorgere di impianti relativamente piccoli ed economicamente convenienti. Altre manifestazioni però portano, soprattutto in alcuni settori (siderurgico, meccanico), ad intensificare le economie di scala. Il progresso tecnico inoltre può interessare anche i sistemi organizzativi: esso allora può notevolmente favorire la concentrazione industriale in quanto si attenuano le ragioni per cui, secondo Pareto e Marshall, con l'aumento della dimensione anche in lungo periodo i costi tendono ad aumentare (per i maggiori costi di coordinamento e di direzione).
c) La differenziazione dei prodotti. Nella misura in cui l'impresa riesce a differenziare il suo prodotto, essa isola in un certo senso il suo m. e acquista un certo potere monopolistico. La sempre maggiore rilevanza che, con lo sviluppo economico, vengono ad assumere i prodotti industriali suscettibili di essere differenziati, spiega la crescente importanza che questo fattore può avere nell'allontanare il sistema dalla situazione concorrenziale. È opportuno osservare che, mentre questa tendenza concorre ad estendere il processo di disintegrazione del regime concorrenziale, essa può ostacolare in alcuni settori il processo di concentrazione industriale. Ciò sia per le difficoltà che i gusti dei consumatori, una volta orientati verso prodotti differenziati, si contrappongono alla concentrazione industriale, possibile solo per prodotti standardizzati, sia per la convenienza, in regime di concorrenza monopolistica, ad introdurre tecniche produttive meno efficienti in vista di future riduzioni della domanda conseguenti all'entrata di nuove imprese (A. F. Harrod).
d) Le imperfezioni del mercato finanziario. La realizzazione di nuovi programmi di investimento dipende non solo dalla loro relativa redditività, ma anche dalla possibilità di disporre dei necessarî finanziamenti da parte delle imprese che tali programmi hanno formulato. Le imprese monopolistiche già consolidate si trovano nel m. finanziario in condizioni di relativo vantaggio rispetto alle altre imprese. Per questa ragione e per la maggiore possibilità di autofinanziamento che generalmente hanno, esse sono in grado di realizzare più facilmente i loro programmi di investimento, i quali possono avere un'elevata redditività aziendale, in quanto suscettibili di rafforzare il potere di m. delle imprese, e nel contempo una bassa redditività sociale, se comparata con altri programmi di investimento alternativi.
e) I fenomeni cumulativi che caratterizzano il processo di sviluppo economico. I tre fattori: progresso tecnico, tendenza alla coalizione e imperfezione del m. finanziario, suscettibili di provocare lo sgretolamento del sistema competitivo, possono interagire tra di loro dando luogo ad un processo cumulativo che può determinare un progressivo rafforzamento delle situazioni monopolistiche. Altri autori moderni (G. Myrdal in particolare) hanno messo in luce la tendenza che un processo di sviluppo in un settore o in una zona ha di autorafforzarsi provocando un'accentuazione degli squilibrî settoriali e zonali, se gli effetti indotti favorevoli all'ulteriore sviluppo del processo nella zona o nel settore prevalgono sugli effetti diffusivi a favore di altri settori o di altre zone. Questi fenomeni di cumulazione dello sviluppo possono rafforzare situazioni monopolistiche in quanto la concentrazione geografica del processo favorisce la concentrazione aziendale. A sua volta la formazione di situazioni monopolistiche in particolari zone può accentuare gli anzidetti fenomeni di cumulazione:
1) in quanto, rafforzando la sperequazione geografica dei profitti - il cui livello nello sviluppo è correlato al volume globale degli investimenti - aumenta la possibilità di investimenti nelle zone dove operano le grandi imprese monopolistiche, che tendono ad investire nelle stesse zone dove già sussistono condizioni favorevoli alla industrializzazione e dove è generalmente più conveniente localizzare quelle attività complementari il cui sviluppo può rafforzare il loro potere di m.;
2) in quanto per la politica delle imprese monopolistiche (ed oligopolistiche) si ha una maggiore rigidità dei prezzi, per cui all'aumento della produttività del lavoro si accompagna generalmente un aumento dei redditi monetarî anziché una diminuzione dei prezzi. Ciò significa che gli effetti che il processo di sviluppo in un paese o in un settore a struttura monopolistica ha a favore di altri paesi o settori, anziché manifestarsi attraverso la riduzione dei prezzi dei beni prodotti dai primi e acquistati dai secondi, può manifestarsi solo attraverso un aumento della domanda dei beni prodotti dai secondi e domandati da coloro che hanno visto i loro redditi monetarî aumentare in seguito allo sviluppo dei primi. E poiché questo ultimo fenomeno tende col progresso tecnico a diminuire di importanza, in quanto l'aumento dei redditi si traduce in misura sempre crescente in aumento di domanda dei beni prodotti dagli stessi paesi o settori a struttura monopolistica (generalmente paesi industriali o settori dell'industria), mentre l'altezza dei prezzi che debbono pagare i paesi o i settori non monopolistici (generalmente agricoli, per il cui sviluppo necessita una quantità crescente di prodotti dell'industria) assume una importanza sempre maggiore, il rafforzamento delle situazioni monopolistiche nei paesi o settori in sviluppo accentua i fenomeni cumulativi e le divergenze economiche tra i varî settori e i varî paesi, ostacolando la diffusione dei vantaggi del progresso tecnico (si veda in particolare P. Sylos Labini per i rapporti tra industria e agricoltura).
13. - Nell'ambito dell'equilibrio generale è stato generalmente assunto come dato il numero delle imprese, mentre esso in verità varia con l'entrata e con l'uscita delle stesse (al fenomeno ha prestato attenzione particolarmente il Marshall). La concorrenza può pertanto provenire sia dalle imprese già esistenti, sia da nuove imprese che possono entrare nel m. (concorrenza potenziale). Per determinare il comportamento del m. in lungo periodo occorre pertanto conoscere le condizioni in cui possono operare le imprese potenziali relativamente alle condizioni in cui operano le imprese esistenti: occorre cioè affrontare il problema dell'entrata.
Se si esclude la teoria del Marshall cui, come si è detto, non è sfuggita la varietà delle situazioni in cui operano le varie imprese, peraltro non sufficientemente indagata nelle implicazioni che essa ha sul funzionamento del m., la teoria neoclassica della concorrenza è stata elaborata nella ipotesi di perfetta libertà d'entrata. In verità perché vi sia perfetta libertà d'entrata occorre che ogni impresa possa operare nelle stesse condizioni di costo e che la produzione cui corrisponde il costo medio minimo sia di entità trascurabile rispetto alla produzione globale. Si può allora supporre che l'espansione della produzione possa avvenire mediante l'entrata di nuove imprese, attratte dalla formazione di extraprofitti, in numero tale da rendere il costo medio uguale al costo marginale che a sua volta risulta uguale al prezzo. Ogni aumento della produzione comporta allora un aumento nello stesso rapporto dei diversi fattori produttivi impiegati; si hanno cioè per l'industria rendimenti costanti e la funzione di produzione è - come aveva ipotizzato il Wicksteed - omogenea di primo grado. Le quote di distribuzione determinate secondo i criterî della produttività marginale esauriscono completamente il prodotto e i profitti residui si annullano. Le ipotesi di economie e di diseconomie esterne, di discontinuità nell'impiego di certi fattori produttivi, di limitazioni nelle quantità disponibili di alcuni, di specializzazione dei medesimi resa possibile dall'aumento della scala della produzione, hanno portato ad una revisione della teoria della produzione e della concorrenza qui ricordata e dato l'avvio ad interessanti discussioni ancora in corso.
Come abbiamo visto, l'ipotesi di perfetta libertà d'entrata, opportunamente riformulata, è alla base della teoria della concorrenza monopolistica. In verità, quando si abbandona l'ipotesi di libera concorrenza gli ostacoli alla libertà d'entrata appaiono più varî e complessi. Inoltre la minore o maggiore possibilità d'entrata di nuove imprese non può non influire sulle decisioni dell'impresa che tenda a massimizzare i profitti in lungo periodo. La teoria della concorrenza imperfetta della Robinson non prescinde da questo aspetto; manca tuttavia nella teoria un'adeguata considerazione della natura e della dinamica degli ostacoli alla libertà d'entrata.
Il Lombardini ha considerato tali ostacoli come altrettante limitazioni alla dimensione di un'azienda nuova, che spiegano la sua ridotta capacità di competere con le aziende esistenti, il cui potere monopolistico resta così rafforzato: gli ostacoli sono indicati in: 1) imperfezioni nel m. finanziario; 2) discontinuità nelle tecnologie, per cui la ridotta domanda disponibile per le aziende nuove può non consentire l'impiego di tecniche altrettanto efficienti di altre già applicate; 3) la maggiore incertezza nelle prospettive future; 4) altri fattori organizzativi e istituzionali, come i collegamenti delle vecchie imprese con gli istituti finanziarî e la disponibilità, da parte di queste ultime, delle reti di distribuzione.
L'analisi delle condizioni che garantiscono facilità d'entrata è stata sviluppata dal Bain. Perché vi sia facilità d'entrata occorre che le imprese esistenti non abbiano vantaggi assoluti di costo, né vantaggi nella differenziazione del prodotto, e le economie di scala debbono essere trascurabili. Il Bain riesamina il problema della determinazione dei prezzi nelle diverse situazioni che corrispondono ai diversi gradi di difficoltà nell'entrata: i ritardi con cui l'entrata può effettuarsi possono pure influire sulla politica delle imprese esistenti. Solo quando l'entrata è effettivamente bloccata, cioè quando il livello massimo cui può essere portato il prezzo, senza provocare l'entrata di nuove imprese, è superiore al prezzo cui corrisponde il massimo profitto, possono trovare applicazione le teorie tradizionali.
Il problema è stato affrontato anche dal Sylos Labini, limitatamente all'oligopolio concentrato (prescindendo dalla differenziazione dei prodotti), con un modello più rigoroso che consente di definire l'equilibrio di un mercato oligopolistico caratterizzato da imprese di diversa dimensione, corrispondenti alle diverse terminologie (anche il Sylos Labini assume discontinuità nelle tecnologie). Le grandi imprese, nella determinazione della politica dei prezzi, debbono valutare i vantaggi che si ottengono praticando prezzi sufficientemente bassi da eliminare alcune imprese e prezzi più elevati che lasciano coesistere tali imprese: analogamente debbono essere soppesati i vantaggi che prezzi suscettibili di bloccare l'entrata di altre imprese possono comportare con quelli che derivano dall'applicazione di prezzi più elevati.
Secondo il Sylos Labini all'entrata di nuove imprese, le vecchie imprese mantengono la loro produzione, per cui i prezzi diminuiscono, la diminuzione essendo determinata dalla elasticità della domanda residua e dal livello dell'offerta addizionale che dipende dalle discontinuità tecnologiche. La teoria permette così di spiegare la coesistenza nel m. di imprese a diversa dimensione: la struttura del m. dipende da tali discontinuità e dalla dimensione della domanda e dalla sua elasticità.
Per le discontinuità tecnologiche, l'equilibrio oligopolistico è caratterizzato da una certa rigidità di prezzi. Il progresso tecnico, secondo il Sylos Labini, tende a favorire le grandi imprese, se la domanda non subisce notevoli variazioni e se la dimensione ottima delle grandi imprese è sufficientemente elevata: si può allora avere un aumento nei profitti di queste imprese. La mancata riduzione dei prezzi impedisce la diffusione dei vantaggi del progresso tecnologico agli altri settori non monopolistici.
Interessanti contributi si sono avuti sulle relazioni tra sviluppo delle situazioni monopolistiche e ciclo economico.
Negli ultimi decennî interessanti ricerche empiriche sono state svolte sulle strutture monopolistiche dei varî paesi: l'ultima, di notevole interesse, si trova nella ricordata opera del Bain.
14. - Il diffondersi delle situazioni monopolistiche ha riproposto il problema degli effetti che il venir meno della concorrenza ha sull'efficienza del sistema. Diversi autori hanno cercato di valutare le possibili conseguenze del monopolio sulla struttura del sistema (Robinson, Lerner, Sylos Labini, Scitowsky, Lombardini). Molti dei contributi allo studio della genesi e delle conseguenze del monopolio sullo sviluppo offrono interessanti spunti per l'analisi di alcuni effetti negativi del monopolio ai fini della massimizzazione del benessere economico. Ad esempio degli effetti: a) sul progresso tecnico (W. Fellner, P. Henniman, I. Svennilson, ecc.); b) sul livello e sulla struttura degli investimenti (il Sylos Labini e il Lombardini ritengono che certe tendenze alla stagnazione possono essere spiegate dalla politica monopolistica); c) sulla dinamica dei gusti in relazione alle possibilità del progresso tecnologico; d) sugli squilibrî regionali.
Altri autori, mediante opportune generalizzazioni della nozione di concorrenza, hanno cercato di dimostrare le possibilità di uno sviluppo efficiente del sistema, anche in mancanza di una struttura competitiva nel senso tradizionale.
In particolare ricordiamo: a) la teoria schumpeteriana, secondo la quale la creazione di situazioni monopolistiche è il necessario obiettivo dell'attività dell'imprenditore innovatore, attraverso la quale si realizza il progresso tecnico e si sviluppa il sistema economico. Tuttavia, secondo J. Schumpeter, la stessa attività innovatrice, mentre crea nuove situazioni monopolistiche, distrugge le vecchie: ad assicurare l'efficienza del sistema economico concorre non tanto la concorrenza, come era intesa nella teoria statica dell'equilibrio generale, quanto la "concorrenza" nello sviluppo, cioè la continua minaccia che dalle nuove iniziative deriva alle posizioni di rendita monopolistica; b) la teoria della concorrenza monopolistica che insiste sui vantaggi della concorrenza nel prodotto (v. pubblicità, in questa App.); c) la teoria della workable competition, secondo la quale la concorrenza che nel sistema si deve cercare di mantenere non è la concorrenza come era intesa nella teoria dell'equilibrio, bensì quella competizione tra imprese che si manifesta attraverso la interazione tra le mosse di alcune nella determinazione della loro politica di prezzo, di differenziazione di prodotti e di innovazioni tecniche e le reazioni delle altre imprese rivali e degli acquirenti; d) la teoria dei poteri contrapposti di J. K. Galbraith che, a differenza delle precedenti, intese a generalizzare la nozione di concorrenza, riconosce il carattere monopolistico dell'economia americana. Secondo il Galbraith però i principali aspetti negativi del monopolio possono essere eliminati con la contrapposizione ad una situazione monopolistica nell'offerta di un bene di una situazione monopolistica nella domanda dello stesso bene.
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Le ricerche di mercato.
Le ricerche di m. hanno acquistato grande importanza nel corso degli ultimi cinquant'anni; si valgono di tecniche particolari continuamente migliorate ed estese e hanno assunto dignità scientifica. Il primo esempio importante di organizzazione di un ufficio per le ricerche di m. probabilmente si può far risalire al 1911 (Curtis Publishing Company di Filadelfia), ma ormai le ricerche di m. sono conosciute e adottate in tutti i paesi a economia avanzata.
Anche in Italia sono largamente effettuate. Nella terminologia italiana si usano le espressioni "ricerche di m.", "indagini di m.", analisi di m.", "studî di m." con significato all'incirca uguale. Taluno usa il termine di "mercatistica" o "mercatologia" per intendere le tecniche, i metodi e gli impieghi delle ricerche di m.
L'origine di questi termini si trova evidentemente nella parola "m.", intesa non nella sua espressione comune quale luogo d'incontro di venditori e compratori (m. del bestiame, del pesce, dei foraggi, dei fiori, ecc.), né in senso economico generale, ma come studio razionale della vendita e del comportamento del consumatore. Coi termini italiani su indicati si cerca di tradurre, ma imperfettamente, le espressioni di lingua inglese, largamente diffuse specialmente negli S.U.A., di marketing research e market research. Con la prima si comprende un campo più vasto, che abbraccia tutti i problemi della distribuzione dei prodotti, ossia della commercializzazione dei prodotti (canali e forme di vendita, costi di distribuzione, formazione dei prezzi di vendita, organizzazione commerciale, analisi di mercato, determinazione delle quote di vendita, localizzazione delle imprese, pubblicità, ecc.); con la seconda si intende un campo più limitato che si identifica con le tecniche e i metodi che si impiegano principalmente per conoscere i bisogni, le tendenze e i gusti del consumatore, le loro caratteristiche per sesso, età e professione, la loro distribuzione territoriale e il loro potere d'acquisto.
Quando noi diciamo ricerche o studî di m., ci riferiamo a qualche cosa di più di quello che si vuol esprimere con market research, ma meno di quello che si comprende nell'espressione marketing research. È però da avvertire che i pareri dei varî autori sul significato dei diversi termini sono difformi. Ci si intende meglio indicando una serie di argomenti che si considerano generalmente con le espressioni italiane di ricerche o studî di m.: determinazione della capacità di vendita sui varî m. territoriali e presso le varie categorie di compratori effettivi o potenziali; ricognizione delle caratteristiche demografiche e socio-economiche dei consumatori; loro tendenze e loro preferenze (quali qualità desiderano? che prezzi sono disposti a pagare? quali marche preferiscono? chi esercita un'influenza sulle loro scelte? in quali negozî si riforniscono? come desiderano essere serviti? gradiscono le vendite a premio? ecc.); le previsioni di vendita a breve e lungo termine, le prospettive di prodotti nuovi; la delimitazione delle aree di attrazione commerciale e l'impiego dei m. di prova; la scelta delle forme di pubblicità a seconda dei casi, e la misura dell'efficacia dei diversi mezzi pubblicitarî. Si intende che le ricerche di m. non si rivolgono solo ai beni di consumo, ma anche ai beni industriali e d'investimento (macchine e parti di macchine, prodotti chimici, materie prime e semilavorati, ecc.) e ai servizî (assicurazione, credito, trasporti, gas, telefono, televisione, teatri, ecc.). Esse si impiegano anche per incrementare le esportazioni, e quindi si proiettano sui m. esteri.
Le ricerche di m. non si devono intendere solo come studio della distribuzione, ossia del collocamento dei prodotti quando questi sono usciti dalla fabbrica, ma si effettuano spesso prima di iniziare una produzione per sapere se essa avrà un m. sufficientemente ampio, e che cosa convenga produrre (caratteristiche e qualità dei prodotti, loro presentazione, prezzo, ecc.), per quali usi e tipi di acquirenti, ecc. Le ricerche di m. sono spesso collegate inoltre con la pubblicità e talvolta vengono eseguite proprio per orientarla. Infatti importanti agenzie di pubblicità dispongono di particolari reparti di ricerche di m.; ed è in gran parte a dette agenzie che si deve la diffusione di queste ricerche.
In taluni casi le ricerche di m. vengono eseguite dalle stesse imprese che le utilizzano per proprio conto. Ciò avviene specialmente quando si tratta di indagini che si basano su una documentazione già esistente (statistiche, annuarî e guide professionali e di categoria) o su elementi disponibili presso l'azienda (registrazioni contabili, libri degli ordinativi, dei reclami, schedarî dei clienti, degli agenti, corrispondenza, ecc.); oppure quando si tratta di imprese importanti che ricorrono spesso o continuamente alle ricerche di m. Ma nella maggior parte dei casi queste ricerche vengono effettuate da società specializzate in questo campo, su ordinazione delle imprese interessate che indicano la natura dei problemi che loro interessano e i dati e le notizie che desiderano ottenere. I risultati di queste indagini sono riservati al committente e sono tenuti segreti, cioè non possono essere comunicati a terzi per nessun motivo. L'utilità di ricorrere alle società specializzate risiede nel fatto che esse dispongono di una vasta esperienza, di un'organizzazione tecnica adatta e di una rete selezionata di intervistatori. Talvolta le ricerche di m. vengono eseguite da un'associazione professionale di un dato ramo nell'interesse e per conto degli appartenenti alla categoria. Altre volte vengono eseguite o fatte eseguire da parte di pubbliche amministrazioni, istituzioni ufficiali, camere di commercio, ecc., in vista di una determinata politica economica, o per avere un dato orientamento prima di proporre qualche norma legislativa, o per illuminare gli operatori, il pubblico, ecc.
Anzitutto una ricerca di m. avrà bisogno di raccogliere la più ampia documentazione statistica disponibile, ricorrendo a fonti governative o ad organizzazioni professionali o enti varî. Quando l'indagine si effettua presso il pubblico, si impiega generalmente il metodo del sondaggio o campione statistico, che riposa sul calcolo delle probabilità e consiste nell'interrogare un piccolo gruppo di persone prese dal totale (universo). Tale gruppo deve essere rappresentativo, cioè avere caratteristiche uguali all'universo. Se, per es., l'indagine riguarda tutta la popolazione adulta italiana, il campione sarà costituito da tante donne, tanti uomini, tanti milanesi, tanti romani, tante persone delle varie classi di età e delle varie professioni, ecc., nell'esatta proporzione in cui le donne, gli uomini, i milanesi, i romani, i giovani, i vecchi, i contadini, gli impiegati, gli operai, ecc., entrano a costituire tutta la popolazione italiana: in altri termini, il campione dovrà costituire un'Italia in miniatura. Una scelta che risponde a questa esigenza è quella ottenuta con sorteggio casuale fra tutte le unità dell'universo; ma ciò non è sempre, anzi è raramente, possibile. Si ricorre quindi a scelte operate per vie diverse, purché basate sulla teoria del caso e sulle regole del calcolo di probabilità, ad evitare ogni deformazione del campione.
L'ampiezza del campione dipende dalla numerosità e complessità dei dati e delle notizie che si cercano, dalla loro variabilità e dal grado di approssimazione che si vuole ottenere, giacché i risultati del campione non sono da considerare perfettamente uguali a quelli che si otterrebbero interrogando l'universo; essi ne differiscono più o meno, a seconda, fra l'altro, dell'ampiezza del campione. Di solito ci si accontenta, per le ricerche di m., di un risultato approssimato entro un margine dell'i o 2 per cento. Il grado di approssimazione costituisce quello che si chiama "errore del campione" o "errore standard". Spesso si ritiene sufficiente un campione intorno a 3000 unità; ma per indagini più approfondite e più estese territorialmente tale numero aumenta. Con ciò una ricerca di m. si effettua in breve tempo e con una spesa poco rilevante, mentre se fosse estesa a tutte le persone dell'universo occorrerebbero somme ingentissime e tempi molto lunghi: in tal caso le imprese interessate non avrebbero la convenienza e la possibilità pratica di ricorrere a queste ricerche. Le persone che costituiscono il campione possono venire interpellate per mezzo di questionarî diramati per posta, ma questa via presenta diversi inconvenienti tecnici e spesso produce una deformazione del campione. Per lo più si ricorre, invece, a interviste dirette, compiute con personale qualificato e debitamente controllato.
Particolari forme di ricerche di m. sono: 1) il panel dei consumatori, mediante il quale si raccolgono presso un gruppo rappresentativo di donne di casa, in modo continuativo, ogni settimana, le notizie sugli acquisti (quantità, marche, imballaggi, eventuali premî o sconti, tipi di negozî presso i quali si sono fatti gli acquisti); 2) l'inventario dei negozî, con il quale si rilevano in modo continuativo, ogni mese, le vendite effettuate presso un numero rappresentativo di negozî attraverso un vero inventario (giacenze del mese precedente, più acquisti fatti nel mese, meno giacenze del mese della rilevazione): con l'inventario dei negozî si apprendono interessanti dati aziendali, come il margine fra prezzi all'ingrosso e prezzi al dettaglio, la giacenza media delle merci, le fonti di acquisto, ecc.; 3) il readership, indagine compiuta presso i lettori di giornali e riviste per conoscere la composizione e i caratteri dei lettori (sesso, età, professioni, condizioni economiche): queste indagini servono specialmente per orientare la pubblicità; 4) le ricerche motivazionali (motivation research), impiegate quando si vogliano conoscere le ragioni del comportamento e delle scelte del pubblico, e ciò non sia facile da scoprire mediante le solite interviste (per ragioni di riservatezza o anche per azioni dovute a subcosciente): si ricorre in questi casi ai principî della psicologia e a metodi speciali (tecniche proiettive, completamento di frasi, descrizioni suggerite da figure, ecc.), e si compiono interviste approfondite, cosiddette "cliniche".
Un'associazione, WAPOR, che ha sede a New York, raggruppa le società e gli specialisti di tutto il mondo che si occupano di ricerche di m. Di tale associazione esiste una sezione in Europa che ha il nome di ESOMAR. Dette associazioni organizzano periodicamente convegni, congressi e corsi di insegnamento sulle ricerche di m. L'ESOMAR pubblica anche una rivista, Journal of the Esomar.
L'impiego delle ricerche di m. in Italia si è diffuso abbastanza rapidamente dopo la seconda guerra mondiale. Sono ormai numerose le imprese che dispongono di uffici di ricerche di m. e che fanno effettuare tali ricerche per mezzo di società specializzate. Queste ultime sono localizzate prevalentemente a Milano, ma ve ne sono anche a Roma, Napoli e in altre città. Dispongono di personale tecnico e di un corpo di intervistatori; svolgono le loro indagini col metodo del campione e con interviste personali; solo eccezionalmente ricorrono al referendum postale o anche alle interviste telefoniche. Qualche società si è specializzata nelle ricerche di m. per beni industriali e d'investimento; qualche altra si è orientata verso le ricerche motivazionali.
Si è costituita nel 1954 a Roma l'Associazione italiana per gli studî di m., che ha scopi scientifici e principalmente si propone di promuovere la diffusione della conoscenza e dell'impiego di queste ricerche e di favorire il miglioramento delle tecniche da adottare per la loro effettuazione. L'Associazione pubblica una rivista trimestrale, Studî di mercato.
Le tecniche per le ricerche di m. hanno assunto da pochi anni in Italia una sufficiente autonomia scientifica, dando luogo alla istituzione di cattedre ufficiali presso le facoltà universitarie di scienze economiche. Titolo di questo insegnamento, considerato come materia complementare, è "Tecniche delle ricerche di m. e della distribuzione generale". Anche la facoltà di scienze statistiche, demografiche e attuariali dell'università di Roma ha istituito dal 1957 una cattedra ufficiale di "Analisi di m. e Statistica aziendale", come materia complementare. Sono inoltre da segnalare corsi speciali di perfezionamento post-universitario organizzati da varie università (università Bocconi di Milano, università di Napoli, università di Torino, università Internazionale di Studî sociali di Roma), dall'IPSOA di Torino, dall'ISIDA di Palermo, dalla Scuola di studî superiori per gli idrocarburi dell'ENI a San Donato Milanese e dalla Scuola di sviluppo economico di Roma. Infine l'Associazione italiana per gli studî di mercato svolge ogni anno a Roma, un corso affidato ad una ventina di docenti universitarî, di specializzazione per analisti di mercato. È in via di costituzione la Federazione internazionale del Marketing (I.M.F.) fra le associazioni nazionali che hanno lo scopo di promuovere la diffusione delle ricerche di mercato e di mantenerle ad un alto livello tecnico e scientifico: queste sono attualmente una ventina (Australia, Canada, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Italia, Inghilterra, Olanda, S. U. A., Svizzera, ecc.).
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