MELISSO di Samo
Filosofo greco della scuola eleatica, vissuto nel sec. V a. C. Dovette anche rivestire, nella sua patria, importanti cariche politiche: l'unica notizia precisa concerne il comando della flotta samia, che egli aveva durante la battaglia in cui questa vinse quella ateniese, nel 441-40. E da tale notizia deriva l'assegnazione, compiuta da Apollodoro, della sua acme (cioè del quarantesimo anno della sua vita) all'Olimpiade 84ª (444-1 a. C.).
Della sua opera in prosa ionica Sulla natura o sull'ente ci sono stati conservati da Simplicio, nei suoi commentarî alla Fisica e al De caelo di Aristotele, dieci frammenti (editi da A. Covotti in Studi italiani di filologia classica, VI, Firenze 1898, pp. 213-27, e, insieme con le testimonianze e col brano dello pseudoaristotelico De Melisso Xenophane Gorgia, concernente Melisso, da H. Diels in Fragmente der Vorsokratiker, I, 48 ed., Berlino 1922, pp, 176-93). Salvo il settimo e l'ottavo, di notevole ampiezza, i frammenti sono assai brevi: è possibile tuttavia desumerne, anche con l'aiuto del brano del De Melisso, un'immagine abbastanza precisa del pensiero melissiano. Su di esso ha sempre gravato la sfortuna dello sfavorevole giudizio di Aristotele, che trattando, nel primo libro della Metafisica, della scuola eleatica, considera Melisso come rozzo e pedestre seguace di Parmenide: giudizio sostanzialmente perpetuatosi nella critica moderna, concorde con l'antica tradizione anche nel vedere in Zenone il più autentico continuatore del massimo pensatore eleatico. ln realtà, mentre la difesa zenoniana di Parmenide apre la via alla crisi dell'eleatismo, offrendo inconsapevolmente le migliori armi dialettiche ai suoi stessi avversarî, la concezione di Melisso rappresenta la più sistematica e coerente trascrizione ontologica del pensiero parmenideo, nel quale logica e ontologia erano ancora fuse in un'unità indifferenziata. Al presente extratemporale dell'ente parmenideo (che non "fu" né "sarà" appunto perché "è") Melisso sostituisce l'eternità temporale (che fu, è, e sarà sempre); e all'infinità temporale che così attribuisce all'ente può accompagnare quell'infinità spaziale, che costituisce il più tipico elemento di distinzione del suo ente da quello, finito, di Parmenide, e la cui giustificazione è stata oggetto di molte controversie critiche. Non avendo più che predicati negativi (infinità temporale e spaziale, assenza di ogni diversità e divisione, ecc.), l'ente melissiano è quindi anche più coerente, nella sua superiorità a ogni determinazione empirica, di quello parmenideo. D'altra parte, nella concezione ormai soltanto ontologica di Melisso non vive più quel motivo determinante dell'eleatismo parmenideo, che aveva fatto sorgere il suo ente dall'esperienza logico-verbale della necessaria determinatezza, contraddicente in sé l'essere col non essere, di ogni singolo nome e predicato, in contrasto con l'assoluta universalità e non contraddittorietà dell'essere che ne compie l'affermazione. Così s'intende com'egli possa dire (nel fr. 8 Diels) che se le singole realtà empiriche mantenessero immutata nel tempo la propria forma, sarebbero vere alla pari dell'ente: carattere costitutivo della realtà-verità non è cioè più, per lui, l'assoluta non contraddittorietà propria dell'indeterminato, ma l'eterna costanza nella determinazione (per Parmenide, l'eternità non avrebbe salvato il determinato dalla contraddizione, e quindi dall'irrealtà). Ora, proprio questa è la forma nella quale l'eleatismo agisce sul pensiero posteriore, presentando a esso l'esigenza dell'eterna durata del mondo assoluto rispetto al divenire che ne deriva nell'empirico. Quando Empedocle, Anassagora, Democrito, Platone conciliano eleatismo ed eraclitismo attribuendo l'immobile eternità del primo agli elementi, o ai principi ideali, del divenire eracliteo che se ne genera, essi obbediscono (più o meno consapevolmente) non tanto all'eleatismo di Parmenide, quanto a quello di Melisso.
Bibl.: F. Kern, Zur Würdigung des M. v. S., in Festschrift des Stett. Stadgymn. zur 35. Philologenversammlung, Stettino 1880, pp. 1-24; O. Apelt, M. bei Pseudo-Aristoteles, in Jahrbücher für klass. Philologie, 1886, pp. 729-66; A. Pabst, De M. S. fragmentis, Bonn 1889; M. Offner, Zur Beurteilung d. M., in Arch. f. Gesch. d. Philos., IV (1890), pp. 12-33; A. Chiappelli, Sui framm. e sulle dottr. di M. d. S., in Memorie della R. Acc. d. Lincei, sc. mor., 1889, pp. 377-413; K. Reinhardt, Parmenides und d. Gesch. d. griech. Philos, Bonn 1916, passim; G. Calogero, Studi sull'eleatismo, Roma 1932, pp. 57-85.