RANGONI, Melchiorre
RANGONI (Rangone), Melchiorre. – Nacque ad Alba il 13 maggio 1734, secondogenito del conte Carlo Giuseppe Rangoni Malerba e di Angelica Trabucco di Castagneto, sposi nel 1723.
Apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà, il cui nome originario era Buriano. Alla fine del Seicento il notaio Filiberto Buriano aveva servito il marchese modenese Giulio Rangoni ottenendo d’assumerne il cognome. Nel 1699 aveva fatto ingresso nella nobiltà, acquistando il titolo di conte di Montelupo. Non avendo eredi diretti, aveva lasciato il feudo al figlio della sorella Cecilia, Carlo Filippo Zocca, purché assumesse il nome Rangoni. Da questi era nato il padre di Melchiorre.
Convittore al Collegio dei nobili di Torino, nel 1754 fu nominato ‘principe’ dell’Accademia degli Uniti, l’accademia gesuitica che ne riuniva i migliori studenti. Nell’elenco dei principi egli era indicato come abate, il che fa pensare che, come cadetto, fosse indirizzato a prendere i voti, mentre il fratello maggiore Carlo Francesco (1721-1788) entrò nell’esercito come ufficiale del Genio. Alla fine, però, Melchiorre fu destinato alla carriera giuridica e il 12 giugno 1755 si laureò in legge all’Università di Torino. Volontario presso l’avvocato generale del Senato, il 21 settembre 1761 ne divenne ‘sostituto’ (Archivio di Stato di Torino, Camerale, Patenti Controllo, Finanze, reg. 33, c. 100). Cinque anni dopo, il 22 giugno 1766, fu promosso referendario nella Camera dei conti (reg. 38, c. 78) e nel settembre di quello stesso anno fu chiamato a far parte della giunta per proporre nuovi regolamenti atti a procurare la sussistenza ai poveri.
Fu nell’ambito di tale incarico che scrisse un importante Saggio di provvidenze sopra i poveri in cui realizzava anche un «compendio storico della legislazione per le opere di carità» e un’attenta analisi della riforma varata da Vittorio Amedeo II all’inizio del secolo (datato 7 settembre 1767 è in Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie Ecclesiastiche, Luoghi pii di qua da’ monti, m. 3 d’add., f. 4; 19, f. 31).
Il 20 dicembre 1771 fu nominato giudice straordinario nel consolato di Torino (Camerale, Patenti Controllo, Finanze, reg. 45, c. 43), poi promosso ordinario già il 23 dicembre 1772 (reg. 46, c. 86), ma la nomina più importante fu quella a membro del Consiglio di Stato il 20 luglio di quello stesso 1772 (c. 15).
Nella seconda metà degli anni Settanta fu coinvolto nella vicenda di Carouge, la città costruita da Vittorio Amedeo III di fronte a Ginevra. E dovette, fra l’altro, occuparsi della definizione dei confini della provincia di cui la nuova città sarebbe stata capoluogo. Inoltre, nel 1779 scrisse alcune relazioni al sovrano in cui invitava a mantenere il regime di tolleranza religiosa verso i protestanti che vivevano nei territori sabaudi prossimi a Ginevra, pur cercando di favorire, se possibile, la loro conversione (cfr. Relazione e ragionamento del cavaliere M.R. […] il quale […] esamina quali provvedimenti possano convenire ai religionari che si trovano nel Reale Dominio ne’ contorni di Geneva, 15 novembre 1778, in Archivio di Stato di Torino, Corte, Paesi, Geneve, cat. 4, m. 8, f. 39).
Nel 1781, in concomitanza non casuale con le nozze di sua figlia Carolina di Savoia con il principe Clemente di Sassonia, Vittorio Amedeo III decise di promuovere la stesura di una nuova storia della dinastia, che risolvesse definitivamente l’annosa questione delle origini: la tesi sassone, ufficiale dal XV secolo, era infatti stata messa in seria discussione dalla critica storica, in primis da Ludovico Antonio Muratori. In giugno, Rangoni redasse un memoriale in cui spiegava che per risolvere il problema le carte raccolte negli archivi torinesi non erano sufficienti, ma era necessaria, invece, una vasta e articolata missione di ricerca all’estero (Sentimento del cavalier M.R. sul modo a seguire, onde rischiarire i dubbi, allora invalsi sulla discendenza della Reale Casa di Savoia da Beroldo, principe sassone, 28 giugno 1781, in Archivio di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. 1, m. 2, f. 2). Il presidente dei Regi archivi, Giovanni Andrea Giacinto Chiavarina, evidentemente già d’accordo con Rangoni, inviò al re una memoria in cui si diceva favorevole a tale missione (Memoria del conte Chiavarina […] nella quale propone di affidare al cavalier R. […] e all’abate Berta, Bibliotecario della Regia Università la ricerca dei titoli e documenti a dilucidare maggiormente l’origine della Real Casa, 18 luglio 1781, cat. 1, m. 2, f. 4). Vittorio Amedeo III, allora, istituì il 22 ottobre 1781 una commissione con l’incarico di redigere la nuova storia. Significativamente, egli non chiamò a farne parte docenti universitari o eruditi delle accademie presenti nella capitale sabauda, ma funzionari la cui competenza si accompagnava a una provata riservatezza: il già citato Chiavarina, l’abate Francesco Ludovico Berta, prefetto della Biblioteca regia, e Rangoni (copia del Regio biglietto è in cat. 1, Origine, m. 2, f. 1). L’attenzione di Rangoni s’incentrò sul Chronicon del vescovo Ditmaro di Merseburgo (975-1018), in un passo della quale compariva un «Beroldus Lotharii filius» che pareva identificabile nel presunto capostipite sabaudo.
Dopo alcuni anni di ricerche negli archivi degli Stati sabaudi, nel maggio del 1785 Rangoni iniziò un lungo viaggio che lo portò in Francia, Paesi Bassi e Germania, e si concluse dopo oltre due anni, nell’ottobre del 1787 (di tale viaggio lasciò un diario, che oggi è disperso). Al ritorno in patria iniziò a lavorare alla nuova edizione, potendo contare sull’aiuto del suo allievo albese Giuseppe Vernazza (cfr. M. Rangone, Le memorie storiche intorno all’origine di Beroldo di Sassonia, in Torino, Biblioteca reale, St. Patria 64; Ditmari Chronicorum Lib. VIII, in Archivio di Stato di Torino, Corte, Storia della Real Casa, cat. 1, Origine, m. 3, f. 4). L’edizione era prossima a uscire, quando nuovi esami convinsero dell’esistenza di interpolazioni che rendevano l’opera inutilizzabile per gli scopi del governo sabaudo. Nel 1790 la sua stampa fu interrotta e il decennale lavoro di Rangone si concluse con un sostanziale nulla di fatto.
I risultati delle sue ricerche non restarono, comunque, sconosciuti. Li usò, per esempio, Antoine Joseph Lévrier nella sua Chronologie historique des comtes de Genevois (Orléans 1787, I, pp. 52-58) e furono, inoltre, resi pubblici da Pietro Gaetano Galli della Loggia nel suo Dell’Origine della Real casa di Savoia (appendice a Id., Dignità e cariche negli Stati della Real Casa di Savoia, III, Torino 1797, pp. 11-15).
Il 9 marzo 1791 fu nominato presidente del Consiglio di Stato (Archivio di Stato di Torino, Camerale, Patenti Controllo, Finanze, reg. 83, c. 40). Si trattava di una carica prestigiosa, fra le principali dello Stato. Tuttavia, nelle stesse patenti, era dispensato dall’esercizio attivo, così che potesse adempiere a non meglio specificati compiti «pel regio servizio». È difficile comprendere se si trattasse di un’onorevole giubilazione dopo la sfortunata vicenda del Ditmaro o se, invece, il re gli avesse assegnato incarichi segreti nella provincia d’Alba, una delle più turbolente e dove il ruolo dei Rangoni come referenti importanti della dinastia era emerso già con la nomina, nell’agosto di quello stesso 1791, del fratello minore Amedeo, colonnello di fanteria, a comandante di Alba.
Morì d’infarto a Diano d’Alba il 7 settembre 1795 e fu sepolto nella locale chiesa di S. Giovanni Battista.
Fonti e Bibl.: L. Cibrario - D. Promis, Documenti, sigilli e monete appartenenti alla storia della monarchia di Savoia, Torino 1833, pp. 23 s.; G. Claretta, Sui principali storici piemontesi e particolarmente sugli storiografi della Real Casa di Savoia, Torino 1878, pp. 357-360, 498 s.; I rami incisi dell’Archivio di Corte: sovrani, battaglie, architetture, topografia, Torino 1981, pp. 70 s.; G. Ricuperati, Le avventure di uno stato «ben amministrato»: rappresentazioni e realtà nello spazio sabaudo tra Ancien Régime e Rivoluzione, Torino 1994, pp. 55 s.; V. Sorella, Origini sassoni e Impero nelle opere di Bernardo Andrea Lama e M. R., in Stato sabaudo e Sacro Romano Impero, a cura di M. Bellabarba - A. Merlotti, Bologna 2014, pp. 113-134.