meglio (mei; me')
È il comparativo dell'avverbio ‛ bene ', e significa perciò " in modo migliore ", pur assumendo connotazioni diverse secondo il verbo a cui si unisce.
Si vedano i seguenti luoghi: Vn XIX 15 Questa canzone, acciò che sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l'altre di sopra; Rime CII 12 quei che me' intagliasse in petra; Cv II I 13 la natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostra conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che conoscemo non così bene; I V 11 quanto meglio lo fa tanto è più virtuosa; II VII 11 per meglio inducermi, e 12, III III 11, V 1 e 10, IV II 1 e 15, III 1 e 10, XVI 8; If II 36 intendi me' ch'i' non ragiono; XIV 36 lo vapore / mei si stingueva mentre ch'era solo, e 101; Pg VII 88 Di questo balzo meglio li atti e ' volti / conoscerete voi; XII 68 non vide mei di me chi vide il vero; XVI 125, XX 72 (in un contesto ironico), XXII 74, XXVI 75, XXIX 72; Pd XI 96 la cui [di s. Francesco] mirabil vita... / meglio in gloria del ciel si canterebbe; XIII 71 (contrapposto al suo contrario ‛ peggio '), XV 66, XVI 72, XXVI 79 e 104; Fiore LXXXVIII 12 Perch'i' la mia malizia me' ripogna; CI 8 co llor cuopro meglio il mi' volpaggio; CCXI 8, CCXXX 5, Detto 86.
Nel senso di " più convenientemente ", in If XVI 18 i' dicerei / che meglio stesse a te che a lor la fretta, e con il valore di " in maggior misura ", in XXIV 59 Leva'mi allor, mostrandomi fornito / meglio di lena ch'i' non mi sentia.
Usato come aggettivo invariabile, m. equivale a " migliore ": ricorre in Rime dubbie XXVII 3 mi fora meglio ogni altro male, e, rinforzato da ‛ assai ', in Pg VII 101 Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce / fu meglio assai che Vincislao suo figlio / barbuto.
In funzione di predicato, nel sintagma ‛ esser m. ' seguito da proposizione infinitiva, in Cv II X 10 Meglio sarebbe a li miseri grandi, matti, stolti e viziosi, essere in basso stato; IV V 16 dice che meglio è tacere che poco dire, e VI 20, XXI 13; Pd XVI 52 Oh quanto fora meglio esser vicine / quelle genti ch'io dico; Fiore CXXVI 11 me' lor fora che non fosser nati; ugualmente nell'espressione ellittica mei foste state qui pecore o zebe! (If XXXII 15). La locuzione ‛ valere m. ', per " esser cosa migliore, preferibile ", in Fiore XXIII 13 gli varria me' che fosse in Catalogna; LXXV 14 me' ti varria avermi servita; XC 6 se tu lor presti, me' val a chitarli (per il Parodi si potrebbe leggere acchittarli), " se tu presti loro denari, è meglio lasciar perdere, farne la quietanza "; CCIII 12, CCXIV 8, e Detto 16 ciò ch'e' disira avere, / che val me' ch'altro avere. Nell'espressione ‛ amare m. ', per " preferire ", in Fiore XXXVI 13 Megli'amo di Fortuna esser guerrero, CXX 7 Megli'amo stare davante adorando / ched i' a lavorar m'affaticasse, e CCXII 11; rafforzato da ‛ assai ', in CVI 5 i' amerei assa' meglio l'amistate.
In locuzione avverbiale, in Pd X 38 È Bëatrice quella che sì scorge / di bene in meglio, sì subitamente / che l'atto suo per tempo non si sporge.
Con valore di sostantivo, in If I 112 Ond'io per lo tuo me' penso e discerno.