MATTEO
– Nacque intorno al 1085 a Laon, in Francia, da una famiglia ricca e nobile. M. studiò con Anselmo di Laon; divenuto chierico, dopo il 1106 ricevette una prebenda canonicale presso la cattedrale di Reims, dove rimase alcuni anni assai vicino all’arcivescovo Rodolfo. Deluso dalla mondanità del clero locale e attratto dalla purezza e dalla disciplina dell’Ordine cluniacense, nel 1110 divenne monaco nell’abbazia di Cluny e intorno al 1117 fu nominato priore del monastero di St-Martin-des-Champs a Parigi.
Qui riaffermò la disciplina cluniacense nella sua accezione più ortodossa, correggendo, a dispetto di alcune resistenze, lo stile di vita della comunità monastica, che si era in parte discostata dal rigore della casa madre. Della sua attività come priore rimangono alcuni atti di carattere amministrativo, relativi soprattutto a donazioni a favore del monastero (Berlière, 1901, p. 120).
Nel 1122 l’elezione di Pietro il Venerabile ad abate di Cluny, in un contesto ancora turbato dall’abbaziato di Ponzio di Melgueil e dalla sua gestione poco rigorosa dell’intera comunità, coinvolse M. in prima persona: Pietro lo chiamò infatti ad affiancarlo nella complessa opera di restaurazione che lo attendeva, con l’incarico di occuparsi dell’ordinamento del monastero. Nonostante numerosi ostacoli, nel giro di alcuni mesi M. riuscì a riportare la vita monastica nel solco della disciplina (Cowdrey, pp. 182 s.).
M. è descritto da Pietro il Venerabile nel De miraculis (cap. VIII, coll. 917-919) come modello ideale del perfetto priore cluniacense: monaco nel più profondo del suo animo, egli amava vivere tra i confratelli condividendone letture e meditazione. Non ometteva alcuna prescrizione relativa alle più rigorose pratiche spirituali, vedendo in queste altrettanti mezzi di rigenerazione dell’uomo interiore. Ogni giorno celebrava la messa, e mai tralasciò di farlo nel corso della sua vita; nessun altro priore, stando a Pietro il Venerabile, aveva mostrato un maggiore senso di giustizia e di condiscendenza verso i religiosi affidati alle sue cure. Affettuoso e paterno verso i monaci ligi al loro dovere e devoti alla comunità, sapeva tuttavia mostrarsi assai duro verso chi si rivelava manchevole, non tralasciando alcuno dei mezzi ammessi dalla regola di Cluny: l’uso di verghe, le catene e perfino la prigione, dove il colpevole espiava con digiuni prolungati le colpe di cui non voleva pentirsi.
Nella primavera del 1125, durante un’assenza di Pietro da Cluny, l’ex abate Ponzio di Melgueil, di ritorno da un viaggio in Terrasanta, penetrò di sorpresa nell’abbazia cacciandone i monaci fedeli a Pietro, occupandone le proprietà e assumendone di fatto il governo. In quella circostanza il legato papale Pietro, cardinale diacono di S. Maria in via Lata, e Humbaud, arcivescovo di Lione, incaricati da Onorio II di risolvere la questione, decretarono la condanna di Ponzio e dei suoi seguaci, i quali si appellarono direttamente al papa. Pietro il Venerabile e Ponzio si presentarono a Roma nel 1126 per presentare la loro posizione al pontefice, mentre M. si assunse la difesa di Pietro, illustrando davanti al pontefice gli atti di violenza compiuti da Ponzio e la volontarietà delle sue dimissioni e ponendo l’accento sulla liceità dell’elezione di Pietro; il papa decretò allora la deposizione di Ponzio da ogni giurisdizione su Cluny e lo scomunicò.
M. fu trattenuto a Roma da Onorio II, che nell’ottobre 1126 lo nominò cardinale vescovo di Albano.
Egli rimase comunque fedele alle sue abitudini claustrali; rigoroso e severo, si teneva lontano da ogni vanità e, secondo Pietro il Venerabile, mentre gli altri cardinali si recavano di prima mattina dal papa, M. non vi andava che dopo la terza ora, tanto che perfino il papa rimarcava talvolta il suo essere «troppo monaco» (De miraculis, cap. XIV, coll. 926 s.).
Nel 1128, dopo essersi recato a Montecassino per occuparsi della successione dell’abate Oderisio, fu inviato in Francia in qualità di legato papale. Durante la sua legazione emanò molteplici atti di carattere patrimoniale e giurisdizionale e si occupò di regolare questioni relative alla disciplina interna e alla riforma dei monasteri e di dirimere svariate contese fra diversi organismi ecclesiastici. Fra il 1128 e il 1129 fu a Reims, a Troyes, al concilio di Châlons-sur-Marne, a Montier-en-Der e a Thérouanne. Nell’ottobre 1128 alla presenza di Enrico I d’Inghilterra convocò un concilio a Rouen, nel corso del quale pubblicò alcuni decreti relativi alla disciplina ecclesiastica.
M. non fu probabilmente estraneo all’elezione al soglio vescovile di Rouen, avvenuta nel 1130, di Ugo di Amiens, monaco cluniacense, autore di un trattato teologico ispiratogli dallo stesso M., cui era legato da vincoli di parentela, e a lui dedicato, sul quale, come attesta una lettera di Ugo della fine del 1129, lo stesso M. intervenne a proposito dei preti scomunicati.
Il 13 genn. 1129 presiedette a nome del papa il concilio provinciale di Troyes dove, alla presenza di Bernardo di Chiaravalle e dei più autorevoli rappresentanti del monachesimo cistercense come Stefano di Cîteaux, fu approvata le regola dell’Ordine dei templari. Nello stesso anno operò per sanare il dissidio sorto fra Stefano di Senlis vescovo di Parigi, che aveva sostituito i canonici secolari di Notre-Dame con i vittorini, e il re Luigi VI il Grosso, che sosteneva i secolari.
Tornato a Roma in tempo per assistere alla morte di Onorio II (13 febbr. 1130), M. si schierò, insieme con Bernardo di Chiaravalle e Norberto di Xanten, in favore di Innocenzo II, al quale si contrapponeva Anacleto II.
Nell’estate 1130 Innocenzo II si recò in Francia, accompagnato anche da M.; il 24 ottobre fece il suo ingresso solenne a Cluny, ricevuto da Pietro il Venerabile, e il giorno dopo consacrò la nuova, grandiosa basilica dell’abbazia. Nella settimana successiva emanò varie bolle, tutte firmate anche da M. (Regesta pontificum Romanorum), che rimase accanto al pontefice durante tutto il suo viaggio (Berlière, 1901, pp. 136-138; Hiestand). In ottobre durante il concilio di Étampes, convocato appunto per discutere sullo scisma apertosi con la doppia elezione pontificia, grazie a Bernardo di Chiaravalle il clero francese si schierò apertamente a favore di Innocenzo.
Il 18 ott. 1131 infine, a Reims, Innocenzo II aprì un solenne concilio alla presenza di 50 vescovi e 300 abati provenienti da Francia, Inghilterra, Germania, Castiglia, Aragona, mentre Luigi VI, la regina e il principe Luigi assistevano alle assisi solenni.
Era il riconoscimento ufficiale dell’ubbidienza al pontefice delle principali monarchie europee: il De miraculis (cap. XVI, col. 928) attribuisce tali risultati anche ai buoni uffici di M., grazie al quale il pontefice avrebbe ottenuto l’adesione della maggioranza della Cristianità, ma tale giudizio risente dei legami di amicizia fra i due monaci e non trova alcun riscontro nella documentazione.
Nello stesso periodo M. fu coinvolto nella querelle fra Cluny e Cîteaux (Wilmart).
Dall’inizio del XII secolo, infatti, numerose abbazie benedettine francesi furono interessate da un movimento di riforma interna ispirato alla nuova regola cistercense e fondato su un ristabilimento dell’equilibrio fra lavoro e preghiera e sul ritorno a una concezione più austera dei doveri del chiostro, della penitenza e della solitudine, mentre la centralità degli uffici liturgici veniva limitata in modo drastico. Durante il concilio di Reims del 1131 i rappresentanti delle principali abbazie benedettine, affiancati da Bernardo di Chiaravalle, avevano stabilito l’istituzione di capitoli annuali accordandosi su tre fondamentali punti da perseguire: la riduzione delle preghiere liturgiche, la diminuzione delle solennità e il rafforzamento della regola del silenzio, del digiuno e dell’astinenza. M., pur legato a Bernardo da profonda stima, percepì tale orientamento come una sorta di apostasia dell’Ordine rispetto agli originali dettami cluniacensi e, in una lettera indirizzata agli abati responsabili dell’indizione dei capitoli, attaccò specificamente i punti suddetti (Berlière, 1894, pp. 94-102). Gli abati destinatari risposero punto per punto alle sue argomentazioni (ibid., pp. 102-110), di fatto vanificando il richiamo alla tradizione cluniacense che era stato il perno della sua requisitoria: M. li aveva rimproverati come prevaricatori per avere introdotto una nuova regola senza pensare che, se essi avevano modificato norme secolari, lo avevano fatto in nome della purezza originaria della regola benedettina; non avevano fatto professione di fede sui costumi di Cluny, ma sulla regola di S. Benedetto, superiore ai costumi stabiliti nel tempo dagli uomini. Stupiti della condanna del cardinale gli abati replicarono polemicamente, interrogandosi sull’esistenza del nuovo vangelo di M. legato apostolico, che non era certo il Vangelo di s. Matteo, poiché l’evangelista condanna ogni parola superflua e la regola benedettina raccomanda ai monaci di applicarsi il più possibile al silenzio (ibid., p. 107).
La polemica fu dunque puntuale e incisiva, forse fin troppo mordace, ma non ebbe ulteriore seguito: nel novembre 1131 M. lasciava Reims al seguito di Innocenzo II, accompagnandolo per un tratto del suo viaggio verso l’Italia; nella primavera del 1132 la sua presenza è attestata a Aix-la-Chapelle, alla Dieta convocata da Lotario III durante la celebrazione della Pasqua (Berlière, 1901, p. 291).
Nello stesso anno fu colpito da continui attacchi di dissenteria che lo obbligarono a soggiornare a Cluny, impedendogli di raggiungere il papa che ne richiedeva con insistenza la presenza presso la Curia; Innocenzo II fu contrariato al punto da non rispondere a una lettera del legato in cui venivano illustrati i motivi del ritardo della sua partenza. Pietro il Venerabile scrisse allora al pontefice, ricordandogli il sostegno che la Congregazione di Cluny gli aveva sempre dimostrato e soprattutto riferendosi allo zelo e alla fedeltà di M., che affranto dalla malattia e più ancora dalla freddezza papale attendeva muto a Cluny un segno della ritrovata comprensione e benevolenza del suo pastore (ed. Constable, pp. 131-134).
Innocenzo II rinnovò l’ordine formale a M. di recarsi a Roma (dove il papa era giunto alla fine di aprile 1133), malgrado la difficoltà del viaggio e le sue precarie condizioni di salute. Pietro scrisse nuovamente a Innocenzo II, sottolineando la pericolosità del viaggio e la debolezza di M. (ibid., pp. 142-144), il quale però decise di partire ugualmente, con ogni probabilità entro l’autunno del 1133, poiché la sua presenza a Roma è attestata da un atto pontificio del 30 dic. 1133 (Berlière, 1901, p. 294).
Dopo aver partecipato al concilio di Pisa nella primavera del 1135, fu inviato a Milano come legato a latere per affiancare Bernardo di Chiaravalle nel regolare la successione dell’arcivescovo Anselmo della Pusterla, deposto dalla cattedra ambrosiana per indegnità, in quanto sostenitore dell’antipapa Anacleto II.
La malattia che lo aveva colpito in Francia riprese, però, nuovo vigore: tornato a Pisa da Milano a metà luglio del 1135, lottò ancora contro i sintomi del male, senza mai tralasciare i suoi compiti curiali, e con la stessa assiduità all’ufficio divino, che lo aveva sempre contraddistinto. Costretto a letto all’inizio di dicembre, morì a Pisa la notte di Natale del 1135. Il giorno di S. Stefano, alla presenza di Innocenzo II e di un folto gruppo di vescovi e cardinali, furono celebrate le esequie di M., che fu seppellito con tutti gli onori nella chiesa di S. Frediano.
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