ORSINI, Matteo Rosso
ORSINI, Matteo Rosso. – Nacque a Roma intorno al 1230 da Gentile, secondogenito di Matteo Rosso di Giangaetano Orsini, e da Costanza de Cardinale.
Il casato della madre è noto grazie a un codicillo del testamento di Giangaetano Orsini, dettato nel 1234: «Et insuper dictus Matheus filius meus recolligat pro Gentile filio suo CCC libras provisinorum, quos recepi nomine dotis ipsius Gentilis pro Constantia uxore sua a Romano de Cardinale fratre suo» (Thumser, 1988, p. 106).
Scarsissime sono le notizie sui suoi primi anni e sulla sua formazione. Grazie al testamento del nonno paterno, il senatore di Roma Matteo Rosso, dettato il 4 ottobre 1246, si sa che, a tale data, Gentile era defunto e che i suoi sette figli, Bertoldo, Matteo Rosso, Romano, Orso, Angela, Perna e Giovanna, rimasti orfani, furono affidati alle cure dello zio, il cardinale Giovanni Gaetano, futuro papa Niccolò III: «Item volo et mando, quod Iohannes filius meus cardinalis curet, manuteneat et defendat filios meos et nepotes meos, filios olim Gentilis filii mei, et bona eorum et ipsos et bona eorum pro sua dispositione et ordinatione amministret pro iure cuilibet conservando» (ibid., pp. 113 s.).
Da una lettera di Innocenzo IV datata 4 gennaio 1253 e indirizzata «dilecto filio nostro Matheo Rubeo subdiacono et cappellano nostro Parisiis commoranti» (Les Registres d’Innocent IV..., 1884, III, n. 6179), apprendiamo che Matteo Rosso, intrapresa la carriera ecclesiastica, all’epoca si trovava a Parigi, ove con ogni probabilità compì gli studi teologici, forse sotto la guida di Michele Scotto o di Ranolfo d’Humblières. Nessun indizio, invece, circa il luogo ove compì gli studi giuridici, anche se è stato ipotizzato che, come la maggior parte dei giovani nobili romani, possa aver frequentato l’Università di Bologna (Morghen, 1923, pp. 275-277). Tali studi, comunque, dovettero concludersi entro il 1255, perché nel dicembre di quell’anno il giovane prelato, «canonicus laudensis», è definito «magister iuris» in una sentenza arbitrale – cui partecipò come testimone – emanata dallo zio Giovanni Gaetano cardinale di S. Nicola in Carcere Tulliano e riportata nei registri di Alessandro IV (Les Registres d’Alexandre IV..., 1895, n. 285).
Secondo una tradizione che risale al De cardinalatu di Paolo Cortesi (l.I, XXXVII), Matteo Rosso sarebbe stato autore di numerosi scritti, soprattutto di carattere teologico, ma già agli inizi del Cinquecento le sue opere non erano più rintracciabili: «Quae iam aut vetustate arefacta latent, aut in publicum supposititii nominis usurpatione produnt» . Anche in campo giuridico, dovette godere di buona fama, come dimostrano la dedica che gli fece Gugliemo Durante del suo Repertorium iuris canonici e il gran numero di cause che da cardinale esaminò come auditore (Morghen, 1923, p. 276).
Accanto allo zio, sempre come testimone in una sentenza arbitrale, ma questa volta come «canonicus carnotensis», lo si trova ancora nell’aprile 1256 (Les Registres d’Alexandre IV..., 1895, n. 1357). I due canonicati di Lodi e di Chartres sono gli unici riferimenti alla sua carriera ecclesiastica di cui si è a conoscenza prima della nomina cardinalizia, che gli fu conferita nel maggio 1262, quando fu creato cardinale diacono del titolo di S. Maria in Porticu da Urbano IV, il quale gli affidò poi delicate missioni politiche: nell’estate del 1263, insieme al cardinale Simon de Brie, ricevette a Orvieto l’atto di sottomissione di Cavalcante della Scala e, poco dopo, il giuramento dei testimoni del processo contro i ghibellini fiorentini seguaci di Manfredi (Morghen, 1923, p. 280). Il 9 agosto 1264 fu nominato rettore del Patrimonio di S. Pietro e legato pontificio in Tuscia, con mandato esteso anche alle città di Todi, Narni, Rieti e Terni (Les Registres d’Urbain IV, II, n. 875, 877). L’incarico era delicato, perché si trattava di contrastare, in una regione di importanza strategica per la Chiesa, l’aperta ribellione di Pietro di Vico e le rivendicazioni imperiali di Manfredi. Pietro di Vico si sottomise alla Chiesa nel luglio 1265 e poco dopo il nuovo papa, Clemente IV, richiamò Orsini a Roma (Les registres de Clément IV, n. 936).
Matteo Rosso partecipò attivamente alle trattative per il finanziamento della spedizione di Carlo d’Angiò in Sicilia e il 6 gennaio 1266, insieme agli altri quattro cardinali delegati dal papa, procedette alla sua incoronazione a re di Sicilia. Dopo le battaglie di Benevento e di Tagliacozzo, che segnarono il definitivo tramonto della potenza sveva, tuttavia, tanto Matteo Rosso quanto lo zio, il cardinale Giovanni Gaetano Orsini, si opposero in Curia alle ingerenze di Carlo d’Angiò nella politica romana (Morghen, 1923, pp. 294-297).
I delicati problemi politici non distolsero i due cardinali dall’attendere al consolidamento della potenza del proprio casato e nel novembre del 1266 Matteo Rosso, dopo lunghe vertenze giudiziarie magistralmente condotte dallo zio, acquistò per la sua famiglia il prestigioso e strategico castrum di Marino, sborsando la somma di 13.000 libre di provisini (Allegrezza, 1998, pp. 21 s.).
Il 29 novembre 1268 morì a Viterbo Clemente IV e per quasi tre anni i cardinali riuniti in conclave, divisi tra il partito filofrancese e quello italiano, non riuscirono a trovare un accordo, finché il 1° settembre 1271 si decise di nominare una commissione fiduciaria composta da sei cardinali, tra i quali Giovanni Gaetano Orsini, con il compito di scegliere entro tre giorni il nuovo pontefice. La scelta cadde su un prelato estraneo al Sacro Collegio, Tebaldo Visconti, che, tornato in Italia dalla Terrasanta, fu consacrato a Roma il 27 marzo 1272 col nome di Gregorio X. Il nuovo pontefice attuò una politica di contenimento dell’ingerenza angioina in Italia, anche ristabilendo l’autorità imperiale, ma, soprattutto, concentrò i suoi sforzi sulla riunificazione con la Chiesa greca e sulla riconquista della Terrasanta. A tale scopo convocò il Concilio di Lione e bandì una nuova crociata (Herde, 1977, p. 214).
Al Concilio di Lione partecipò anche Matteo Rosso Orsini: «die jovis IV decembris [1274] intravit civitatem Pisanorum dominus Matthaeus Rubeus cardinalis qui ibat ad concilium ad Laonem sur Rhodano. Et die dominica sequenti recessit de civitate» (Fragmenta historiae Pisanae, 1738, col. 682 b).
Il 10 gennaio 1276 morì Gregorio X e, nell’arco di due anni, sul trono di Pietro si succedettero tre pontefici: il 21 gennaio, fu eletto il cardinale francese Pietro di Tarantasia, che assunse il nome di Innocenzo V e che morì nel giugno dello stesso anno; l’11 luglio fu eletto l’italiano Ottobuono Fieschi, Adriano V, che morì il mese successivo; il 18 settembre fu eletto il portoghese Pietro Giuliani, papa col nome di Giovanni XXI, che morì il 20 maggio 1277 a Viterbo. Dal conclave, riunitosi nella città, dopo sei mesi di trattative e di accesi contrasti, riuscì finalmente eletto, il 25 novembre 1277, il cardinale Giovanni Gaetano Orsini, che prese il nome di Niccolò III. Il nuovo pontefice riprese la politica di contenimento della potenza angioina che già era stata di Gregorio X, assunse direttamente il governo della città di Roma, evitò di rinnovare a Carlo d’Angiò le cariche di senatore di Roma e di vicario in Toscana, emanò la disposizione che vietava il conferimento della dignità senatoria a un sovrano straniero.
Con il pontificato di Niccolò III, il ruolo e l’importanza del cardinale Matteo Rosso crebbero a dismisura. Nel 1278 fu creato arciprete del capitolo di S. Pietro in Vaticano, ufficio di grande prestigio e fonte di cospicue prebende, e, successivamente, rettore dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia e protettore dell’Ordine dei minori (Morghen, 1979, pp. 109-111). Attivo collaboratore del papa, al momento della cessione alla Chiesa della Romagna da parte di Rodolfo d’Asburgo, trattò sapientemente con le autorità locali. Nel 1280, per incarico di Niccolò III, condusse, insieme al notaio apostolico Benedetto Caetani, le difficili trattative di pace tra Carlo d’Angiò e Rodolfo d’Asburgo (Herde, 1977, p. 216).
Quando, il 22 agosto 1280, il pontefice morì, Matteo Rosso, che ne era stato il maggiore collaboratore, era all’apice del prestigio e della carriera, ma anche oggetto di fiere inimicizie tanto all’interno quanto all’esterno del Sacro Collegio. Qui, sostanzialmente, si fronteggiarono due fazioni, quella italiana, capeggiata da Matteo Rosso, e quella filofrancese, in una situazione di stallo che rese inutile qualsiasi trattativa, mentre violenti disordini, fomentati da Carlo d’Angiò e da Riccardo degli Annibaldi, nemico degli Orsini, scoppiavano sia a Roma (Carocci, 1993, pp. 145 s.) sia a Viterbo. Il 2 febbraio 1281 i viterbesi in armi assaltarono il palazzo vescovile, ove era riunito il conclave, e fecero prigionieri i cardinali Orsini. Matteo Rosso, che rifiutò di scendere a patti con gli avversari, rimase prigioniero, in isolamento, per 20 giorni e fu liberato soltanto il 22 febbraio, giorno dell’elezione di Simon de Brion, che prese il nome di Martino IV (Morghen, 1979, pp. 113 s.).
Il nuovo pontefice si affrettò a lanciare l’interdetto su Viterbo e la scomunica sui violatori del conclave, ma anche a favorire Carlo d’Angiò: abrogò le disposizioni di Niccolò III, nominò il sovrano senatore di Roma a vita, fece amministrare da francesi i domini della Chiesa (Dupré Theseider, 1952, pp. 221-226).
Durante il pontificato di Martino IV, come anche durante quello dei suoi successori Onorio IV (1285-1287) e Niccolò IV (1288-1292), si hanno pochissime notizie sull’attività di Matteo Rosso, se si escludono il perdono accordato a Riccardo Annibaldi, l’intercessione prestata per la revoca della scomunica comminatagli, la conseguente riconciliazione, avvenuta nel 1284, delle rispettive famiglie già rivali, la legazione in Umbria insieme al cardinale Benedetto Caetani, nel 1288, durante la guerra tra Foligno e Perugia (Morghen, 1923, pp. 313 s.).
Nel mutato clima generale, segnato dal declino della potenza angioina, successivo alla guerra dei Vespri siciliani e alla morte di Carlo d’Angiò, avvenuta il 7 gennaio 1285, nuove strategie e nuove dinamiche politiche maturarono nel Sacro Collegio e nello Stato della Chiesa, ove con crescente intensità andava delineandosi la rivalità tra le casate degli Orsini e dei Colonna (Dupré Theseider, 1952, pp. 259-265). Alla morte di Niccolò IV, il 4 aprile del 1292, si aprì una lunga vacanza papale. Per quasi tre anni i cardinali, riuniti in conclave a Perugia e divisi tra le fazioni degli Orsini e dei Colonna, non riuscirono a trovare un’intesa, finché, sia per le pressioni di Carlo II d’Angiò, che aveva necessità di far ratificare dal pontefice entro il novembre 1294 l’accordo per la Sicilia siglato con Giacomo II d’Aragona (Frugoni, 1954, p. 83), sia per le notizie dei disordini che andavano agitando lo Stato della Chiesa, sia per l’impressione suscitata nei cardinali dall’improvvisa morte di un giovane fratello di Napoleone Orsini e, forse non ultimo, per le diffuse aspettative escatologiche, si giunse, su proposta di Latino Malabranca all’elezione dell’eremita Pietro del Morrone, che assunse il nome di Celestino V (Herde, 2000, p. 464).
Matteo Rosso, che doveva nutrire delle perplessità su quella scelta, fu tra gli ultimi a dare il proprio voto, aderendo all’elezione con la forma canonica dell’accessione (Morghen, 1979, p. 120), ma spettò poi a lui, il 29 agosto, di incoronare all’Aquila il nuovo pontefice. Durante il breve e tormentato pontificato di Celestino V, dovette vigilare attentamente per le sorti della Chiesa. Narra infatti nel suo Opus metricum il cardinale Iacopo Caetani Stefaneschi, testimone degli eventi, che Celestino V, mentre si trovava a Napoli, aveva progettato di ritirarsi in una cella allestita in Castel Nuovo e di affidare il governo della Chiesa a tre cardinali, ma che Orsini l’avrebbe fatto desistere, «ne sponsa credatur nupsisse tribus». Quando poi la decisione del papa di abdicare fu resa palese, fu ancora Matteo Rosso a condizionarne l’accettazione da parte del Sacro Collegio alla formulazione di una costituzione che rendesse legalmente legittima l’abdicazione e, infine, a rifiutare l’autorizzazione all’uso dei vestimenti papali durante le celebrazioni liturgiche (Frugoni, 1954, pp. 94-99; Herde, 2000, p. 465 ). Celestino V abdicò il 13 dicembre 1294 e dieci giorni dopo si riunì il conclave a Napoli. Il 24 dicembre risultò eletto Benedetto Caetani, che assunse il nome di Bonifacio VIII.
Secondo la testimonianza di Sigfrido di Balthausen, non confermata da altra fonte, vi sarebbero stati tre scrutini: nel corso del primo sarebbe stato scelto Matteo Rosso, che avrebbe rifiutato, il secondo non avrebbe dato risultati utili, nel terzo sarebbe stato eletto Caetani. La tesi del rifiuto di Orsini, benché largamente accreditata (Morghen 1923, p. 328), è stata autorevolmente messa in dubbio come improbabile (Herde, 1994, pp. 131-153; Paravicini Bagliani, 2003, p. 71; Id., 2010, p. XXII).
Matteo Rosso fu tra i collaboratori più fedeli e ascoltati di Bonifacio VIII, del quale condivideva l’energica attività di governo, la competenza giuridica, la difesa della «plenitudo potestatis» come connotato della sovranità pontificia sul mondo. Dopo l’attentato di Anagni (settembre 1303), radunati degli armati, corse in aiuto del papa, scortandolo fino a Roma. In città, dopo una sosta in Laterano, il pontefice preferì stabilirsi in Vaticano ove, per la vicinanza delle fortificazioni degli Orsini, si sentiva più sicuro (Dupré Theseider, 1970, p. 163). Di lì a poco, l’11 ottobre, il papa morì e Matteo Rosso si trovò a difendere contemporaneamente l’onore della Chiesa e del pontefice oltraggiato. Nel conclave, tenutosi dieci giorni più tardi, riuscì a fare eleggere il cardinale Niccolò Boccassini, che assunse il nome di Benedetto XI. A lui Matteo Rosso indirizzò consigli politici circa l’atteggiamento da tenere nei confronti di Filippo il Bello e dei Colonna colpevoli dell’affronto alla Chiesa (Morghen, 1923, pp. 354-357). Ma il papa morì a Perugia nel luglio 1304 e per Matteo Rosso si aprì l’ultimo conclave e l’ultima, drammatica battaglia. Nel conclave di Perugia del 1304-05, che si concluse con l’elezione di Clemente V, il suo partito fu sconfitto, anche per l’astuzia messa in atto dal cugino, cardinale Napoleone Orsini, del partito colonnese e filofrancese. Ultimo atto della sua lunga carriera di strenuo difensore del primato assoluto della Chiesa fu il rifiuto di sottoscrivere l’atto di nomina del pontefice francese.
Morì a Roma il 4 settembre 1305 e fu sepolto in S. Pietro.
Del suo testamento, andato perduto, restano solo documenti relativi all’esecuzione testamentaria (Paravicini Bagliani, 1980, pp. 75 s.).
Fonti e Bibl.: Les Registres d’Innocent IV (1242-1254), a cura di E. Berger, Paris 1884, III, n. 6179; Les registres de Clément IV, a cura di E. Jordan, Paris 1893, n. 936; Les Registres d’Alexandre IV (1254-1261), a cura di Bourel de la Roncière et al., I-III, Paris 1895-1958, n. 285, 1357; Les Registres d’Urbain IV (1261-1264), a cura di J. Guiraud - S. Clémancet, I-IV, Paris 1899-1958, II, n. 875, 877; Fragmenta historiae Pisanae auctore anonymo, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., Milano 1738, col. 682 b; M.Thumser, Zwei Testamente aus den Anfängen der stadtrömischer Familie Orsini (1232-1234, 1246), in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, LXVIII (1988), pp. 93-122; A. Haag, M.R. Orsini, Kardinaldiakon von Sancta Maria in Porticu. Blätter zur Geschichte des Kardinalats in ausgehenden dreizehenden und beginnenden vierzehnten Jahrhundert, Phil. Diss, Freiburg, 1912; R. Morghen, Il cardinale M.R. O., in Archivio della Reale Società romana di storia patria, XLVI (1923), pp. 271-372; E. Dupré Theseider, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 221-226; A. Frugoni, Celestiniana, Roma 1954, pp. 83, 94-99; E. Dupré Theseider, Bonifacio VIII, in Dizionario biografico degli Italiani, XII, Roma 1970, pp. 146-170; P. Herde, Carlo I d’Angiò, ibid., XX, Roma 1977, pp. 199-226; Id., Celestino V, ibid., XXIII, Roma 1979, pp. 402-415; R. Morghen, Il cardinale M.R. O. e la crisi del pontificato romano alla fine del XIII secolo, in Tradizione religiosa nella civiltà dell’Occidente cristiano, Roma 1979, pp. 109-142; A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, pp. 75 s.; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento, Roma 1993, pp. 145 s.; P. Herde, Die Whahl Bonifaz VIII (24 Dezember 1294), in Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di Luigi Prosdocimi, I, 1, Roma, Wien 1994, pp. 131-153; F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento al Quattrocento, Roma 1998, pp. 21 s., 41, 44 s., 48, 56 s., 163, tav. 2; P. Herde, Celestino V, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000, pp. 460-472; A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Torino 2003, p. 71; Id., Il papato nel secolo XIII, cent’anni di bibliografia (1875-2009), Firenze 2010, p. XXII.