MATTEO Romano
MATTEO Romano. – Nacque presumibilmente a Roma intorno all’ultimo decennio del XIII secolo. Sotto questo nome era noto un canonista, attivo nella prima metà del secolo XIV, che solo recentemente Bertram e Rehberg hanno identificato in M., figlio di Angelo di Giovanni Cenci: un membro cioè della nota famiglia romana, particolarmente attiva e vivace sul piano economico e istituzionale.
Angelo di Giovanni «Cinthii» compare nel 1305 tra i boni viri del suo quartiere, nonché tra i consules bobacteriorum (imprenditori agricoli), quando – durante il regime popolare di Giovanni da Ignano – furono elaborati i nuovi statuti cittadini, successivamente citati da Matteo. Due suoi fratelli, Pietro e Paolo, furono detentori di benefici ecclesiastici: il primo ricevette, nel 1322, l’aspettativa per un canonicato in S. Cecilia; il secondo rivestì la stessa dignità nella cattedrale di S. Giovanni in Laterano (Bertram - Rehberg, pp. 103 s.).
Inviato a Bologna, secondo una consuetudine piuttosto diffusa tra l’élite romana, M. si formò sotto Guido da Baisio e Giovanni d’Andrea, del cui magistero si dichiarò esplicitamente debitore. Avviato alla carriera ecclesiastica, nel 1311 era attivo come auditor sedens ad bancam pro tribunali ad iura reddenda nella curia del vicarius Urbis in spiritualibus. In tale qualità, nel maggio dello stesso anno, ordinò a Paolo di Giovanni Guitti, canonico dei Ss. Quirico e Giuditta, di immettere il monastero di S. Alessio nel possesso delle vigne aggiudicategli. Nel 1319 risulta canonico di S. Crisogono in Trastevere, quando i rettori della Romana Fraternitas, accolta la petizione di un gruppo di studenti per lo più di Roma e dintorni, anch’essi d’estrazione aristocratica, lo incaricarono della lettura ordinaria delle Decretali nello Studium Urbis per l’anno 1319-20, garantendogli un salario di 100 fiorini d’oro (Renazzi).
Significativo esponente della cultura cittadina, M. non deve la propria celebrità alla cattedra, poiché l’Università di Roma durante il Papato avignonese era di dimensione locale. Ad attrarre l’attenzione del mondo accademico, specialmente bolognese, fu certamente il suo commentario alle Clementinae, ossia un apparatus dedicato alle costituzioni del concilio celebrato nel 1311 da Clemente V a Vienne, ma pubblicate nel novembre del 1317 da Giovanni XXII. Il commentario di M. costituì una delle prime interpretazioni del citato complesso normativo, più o meno contemporanea al contributo di Guglielmo di Montlauzun, ma da questo indipendente e in anticipo rispetto a quello di Giovanni d’Andrea, pubblicato solo nel 1322.
In precedenza vi era stato solo il commentario del teologo Alvaro Pelagio che M., dando prova del proprio aggiornamento scientifico, cita una trentina di volte. L’opera, composta a Roma, contiene numerosi riferimenti alle istituzioni locali. Così, non solo il suo prologo costituisce l’unica prova inequivocabile dell’invio ufficiale ed effettivo delle Clementinae a Roma, ma l’analisi del sostantivo iurisdictio della Ne Romani (Clem., 1.3.2), con la quale il pontefice aveva cercato di precisare le competenze del Collegio cardinalizio, offre a M. il destro per una digressione sulle pretese giurisdizionali delle varie istituzioni ecclesiastiche in città. In una quaestio, inoltre, egli affronta i problemi concernenti la riscossione del tributo annuo dovuto dai Tiburtini ai Romani, cespite con cui era pagato parte del suo compenso di docente. Sempre con una quaestio contesta la validità di una disposizione statutaria escludente le figlie maritate dai diritti ereditari. Altri passi alludono all’autonomia dell’ospedale di S. Spirito, alla prassi degli usurai romani, alle indulgenze di S. Pietro. Indizio di una certa propensione all’indipendenza di pensiero appare la negazione di alcune pretese della Romana Fraternitas, cui M. doveva l’incarico accademico.
La fortuna dell’opera è attestata da un’interessante tradizione manoscritta. Già a Schulte (p. 241) si deve la segnalazione di un manoscritto della Universitäts- und Landesbibliothek di Halle (Yc, 29, cc. 2-63) proveniente dalla Biblioteca capitolare di Halberstadt. Altri testimoni dell’Apparatus si trovano in Spagna (cfr. Bertram - Rehberg, pp. 125-127), dove due esemplari sono all’Escorial (Real Biblioteca de S. Lorenzo, Mss., c.II.5, cc. 1r-100r; e.I.6, cc. 1r-55v). Un terzo si trova a Barcellona (Arxiu capitular de la Catedral, cod. 48, cc. 31ra-65va). L’omogeneità dei quattro testimoni integrali dell’Apparatus denuncia la loro comune provenienza da un testo redatto ed edito in forma definitiva dallo stesso autore, dando ordine a lezioni orali, e successivamente messo in circolazione dalle organizzazioni di produzione e smistamento bolognesi. Nella città emiliana, del resto, egli poteva contare sull’appoggio di Giovanni d’Andrea, il quale, in possesso di una copia dell’opera dell’allievo destinata a confluire nella biblioteca di Giovanni Calderini (cfr. Cochetti), lo incluse in un primo elenco di commentatori delle Clementinae, assicurandone così la celebrità. Largamente tributaria dell’opera di M. fu infine la Lectura super Clementinis di Giovanni da Legnano (Giovanni Oldrendi).
La penuria di notizie biografiche su M., che non sembra aver impresso traccia di sé nei documenti della sua chiesa di S. Crisogono, né in quelli delle vicine e più importanti chiese di S. Maria in Trastevere o di S. Cecilia, lascia in ombra il luogo e la data della sua morte.
La discendenza della famiglia fu assicurata dai due fratelli, Francesco (Cecco) e Nello, che non avevano abbracciato lo stato ecclesiastico. Pertanto, può essere identificato con un nipote di M. lo studente Lorenzo «de Cinciis», inserito nell’elenco degli allievi che avevano caldeggiato il suo incarico accademico.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Pergamene, cass. 2, n. 36 (Ss. Bonifacio e Alessio); Bibl. apost. Vaticana, Arch. S. Pietro, Pergamene, caps. LXI, f. 392; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 18604: G. Costa, Catalogus manuscriptorum Ecclesiae Urgellensis, a. 1660, pp. 226-232; F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli studi di Roma detta comunemente la Sapienza, I, Roma 1803, pp. 261-263 n. XXV; H. Denifle, Die Entstehung der Universitäten des Mittelalters bis 1400, Berlin 1885, p. 311 n. 370; J.F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und der Literatur des canonischen Rechts, II, Stuttgart 1887, pp. 239-241; Th. Schrader, Die Rechnugsbücher der hamburgischen Gesandten in Avignon 1338-1355, Hamburg-Leipzig 1907, p. 62; A. Diestelkamp, Geschichte der Halberstädter Dombibliothek im Mittelalter, in Sachsen und Anhalt, III (1927), p. 200; S. Kuttner, The Apostillae of Johannes Andreae on the Clementines, in Études d’histoire du droit canonique dédiées à Gabriel Le Bras, Paris 1956, pp. 195-201; M. Cochetti, La biblioteca di Giovanni Calderini, in Studi medievali, XIX (1978), p. 1005 n. 246; M. Bertram - A. Rehberg, Matheus Angeli Johannis Cinthii. Un commentatore romano delle Clementine e lo Studium Urbis nel 1320, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXVII (1997), pp. 84-143; M. Bertram, Clementinenkommentare des 14. Jahrhunderts, ibid., pp. 144-175; G. Antolín, Catálogo de los códices latinos de la Real Biblioteca del Escorial, Madrid 1910-11, I, p. 216; II, p. 11; M.H. Jullien de Pommerol - J. Monfrin, La bibliothèque pontificale à Avignon et à Peñiscola pendant le grand schisme d’Occident et sa dispersion. Inventaire et concordances, I, Rome 1991, pp. 188, 571, 590.