MADAO (Madau), Matteo
Nacque a Ozieri, nella Sardegna settentrionale, da Pietro e Martina Sanna il 17 ott. 1733 (non il 9 genn. 1723, secondo una tradizione ottocentesca).
Studiò grammatica e retorica presso i gesuiti del paese natale e, già quasi ventenne (18 apr. 1753), entrò nella Compagnia. Fu novizio a Cagliari nella domus probationis della provincia sarda, vivace comunità di giovani provenienti da ogni parte dell'isola, dove completò gli studi inferiori. A Cagliari, il 29 apr. 1755, prese gli ordini minori e la prima tonsura. Destinato allo studio e all'insegnamento, si trasferì nel 1757 nel collegio di Iglesias, dove insegnò grammatica, e nel 1760 in quello di Alghero, dove intraprese gli studi superiori e insegnò grammatica e retorica.
Nel 1763, alla vigilia delle riforme dei due atenei sardi, giunse a Sassari, nel collegio di S. Giuseppe, dove completò gli studi di filosofia e intraprese il corso quadriennale di teologia: visse qui il momento più delicato delle riforme scolastiche sabaude, quando il ministro G.B. Bogino, varati i nuovi ordinamenti delle scuole inferiori, si accingeva a estromettere dalle università le comunità gesuitiche locali (espressione della vituperata cultura spagnolesca) e a rilanciare gli studi con un corpo docente radicalmente rinnovato. In particolare, mentre il collegio gesuitico sassarese si preparava a reagire alla perdita del controllo sugli insegnamenti, il ministro reclutava dai collegi della penisola, d'intesa col generale della Compagnia e con i gesuiti della provincia lombarda, i professori per le facoltà di arti e teologia.
Il M. apparteneva a una generazione di studenti solo marginalmente toccata dalle riforme; tuttavia finì nell'occhio del ciclone quando il suo nome comparve nella lista dei gesuiti sardi che il provinciale, il p. P. Maltesi, aveva proposto per ricoprire le cattedre vacanti dell'Università riformata (è "un gran genio delle lingue orientali, e ben istruito nella greca", aveva scritto a Bogino, proponendolo per la cattedra di Sacra Scrittura). Nel frattempo veniva nominato il gesuita cipriota S. Verdi, ma il rischio di "veder salire - dichiarò l'arcivescovo di Sassari - alla primaria cattedra" di teologia chi "in questo stesso anno sedeva da studente" aveva disorientato i docenti forestieri (alla notizia delle candidature "nazionali" il gesuita valdostano G. Tesia, per lo sconforto, si era messo a piangere).
Le contrapposizioni di quei mesi incisero profondamente sul M., che rinunciò a iscriversi nell'Università regia e non poté quindi conseguire l'unica laurea ormai riconosciuta. Intanto, nel 1765, era stato ordinato sacerdote. Negli anni successivi l'insegnamento nelle scuole dell'Ordine fu il suo impegno prevalente: dal 1767 peregrinò tra Ozieri, Cagliari e, di nuovo, Sassari (ma nel collegio Gesù Maria), dove nel 1773 seppe della soppressione della Compagnia. Per il M., ormai quarantenne, che aveva pronunziato i voti solenni solo tre anni prima, fu un colpo durissimo. In Sardegna, dove la Compagnia contava più di 300 membri, le disposizioni attuative del breve di Clemente XIV assegnavano ai professi che intendevano vivere in comunità due principali residenze: il collegio di S. Giuseppe a Sassari, dove già erano i docenti universitari, e il collegio di S. Michele a Cagliari, dove il M. si trasferì e dove trascorse il resto della vita, dividendosi tra le attività di devozione, gli studi classici e le predilette ricerche linguistiche.
Nel 1782 pubblicò a Cagliari il suo lavoro più significativo: il Saggio d'un'opera, intitolata Il ripulimento della lingua sarda lavorato sopra la sua analogia colle due matrici lingue la greca e la latina, primo studio sistematico sulla lingua sarda e tentativo già organico di rivalutarne le origini e il ruolo, di ricostruirne la grammatica e le etimologie e di predisporne un dizionario, peraltro incentrato sui vocaboli di derivazione greca e latina.
Nella premessa dell'opera dichiarava apertamente lo spirito patriottico che lo animava: "La lingua della sarda nostra nazione, [(] venerabile per la sua antichità, pregevole per l'ottimo fondo de' suoi dialetti, [(] necessaria alla privata e pubblica società de' nostri compatrioti [(], giacque in somma dimenticanza in fino al dì d'oggi, dagli stessi abbandonata come incolta e dagli stranieri negletta come inutile. L'amore verso la patria [(] mi stimolava a non riguardar [(] con occhio indifferente quella non curanza [(] per conto de' Sardi e quel suo avvilimento [(] dal canto de' forestieri". Il Saggio aveva un impianto essenzialmente antiquario: riallacciandosi alla tradizione purista e classicheggiante, il M. si prefiggeva di "ripulire" e coltivare l'"idioma sardo" a partire dalla variante ritenuta più nobile, il logudorese, per ingentilirlo e renderlo "più prossimo alle sue matrici lingue". Inoltre, nella prefazione, annunciava un più vasto studio che stava elaborando, di cui il Saggio era solo una pur significativa anticipazione. Delle sue "quattro parti" la prima avrebbe trattato del dovere dei Sardi "di coltivar e pulire la patria lingua" e dei "pregi" e "bellezze" che la lingua sarda offriva per l'"origine antica e nobile", per gli apporti "de' più eccellenti linguaggi" di cui si era arricchita e soprattutto per la grande affinità "con le due più maestose e più eleganti, più colte e più universali, e però più pregevoli lingue del mondo", la greca e la latina. La seconda e la terza parte erano costituite da due dizionari, uno "di voci Sarde, spiegate in Italiano, ma prese dall'antica lingua Greca" e l'altro "di vocaboli Sardi, che sono pretti latini, o da quel latino derivati [(], colla loro spiegazione in italiano". La quarta parte era infine una raccolta di poesie sarde "fatte con Sarda sintassi, ma con soli vocaboli, che sono puri Sardi e pretti latini".
L'immenso lavoro era però destinato a restare inedito. Alla morte, il M. lasciò due grossi volumi manoscritti in cui spiccano un dizionario "di sarde voci" tratte dal greco e un ridondante dizionario di "centomila vocaboli sardi" (il Vocabolario della Crusca accoglie solo 44.000 vocaboli italiani). L'opera iniziava con un'emblematica dedica a Vittorio Amedeo III, celebrato per aver promosso in Sardegna "lo studio e l'uso della lingua italiana", offrendo ai Sardi una "favorevolissima occasione" per "dare maggior pulitezza ed eleganza" e maggior "lustro" alla loro lingua.
In realtà negli anni Ottanta, dopo le feroci polemiche antipuriste del Caffè, le teorie del "ripulimento" erano state ampiamente superate da tendenze letterarie che puntavano a valorizzare le lingue e i dialetti parlati; e un riflesso significativo di tale orientamento fu la fioritura della letteratura didascalica bilingue (sardo e italiano), che già caratterizzava l'editoria isolana. Ma il M. (che, a differenza di altri letterati sardi, non aveva mai soggiornato fuori dall'isola) metteva pienamente a frutto il suo considerevole patrimonio di conoscenze erudite fondato sugli studi classici e su una larga conoscenza dei dibattiti settecenteschi sulle origini delle lingue volgari, da Leibniz a Muratori; il suo "patriottismo" linguistico s'ispirava inoltre alle opere del giansenista francese C. Rollin, da cui riprendeva la visione pedagogico-morale dell'antichità romana e l'idea dell'insegnamento della "lingua materna" insieme con le classiche. Tuttavia, come altri nell'Europa del Settecento, il suo era un "patriottismo" cosmopolita, funzionale a un proficuo "traffico delle lingue" e "de' libri scritti in quelle". Si sbaglierebbe dunque a considerarlo un erudito lontano dalle conoscenze e dalla sensibilità del suo tempo. Malgrado i limiti di una cultura relativamente provinciale, il M. fu un interprete precoce delle inquietudini di tipo identitario che serpeggiavano nella società isolana. Non a caso l'orgogliosa e commossa riscoperta delle tradizioni e del ricco patrimonio poetico-musicale delle popolazioni dell'isola divenne il fulcro della sua seconda importante fatica letteraria, Le armonie de' Sardi (Cagliari 1787).
La prima parte dell'opera celebrava la vera indole della "nazione" e la schiettezza dei suoi costumi, descrivendo le feste, le musiche, le tradizioni religiose, le "sarde canzoni accompagnate dal ballo", i "versi ritmici [(] introdotti in Sardegna dai Romani". In particolare, soffermandosi sull'"antico e nuovo modo di poetare in sardo", illustrava l'"arte che i Sardi adoperano nel comporre i loro versi e le canzoni", trattando per la prima volta delle forme metriche isolane. Nella seconda parte - articolata raccolta di cinquanta "poesie sarde" -, erano riportate, accanto a numerose canzoni antiche logudoresi, composizioni dello stesso M. e di altri anonimi poeti "nazionali".
La terza, significativa opera del M., Dissertazioni storiche apologetiche critiche delle sarde antichità (ibid. 1792), fu il coronamento del suo programma "patriottico": intrecciando disinvoltamente Sacre Scritture e autori classici, falsi conclamati e "autori favolosi", l'ex gesuita si spinse verso la più remota preistoria, con una farraginosa narrazione biblico-mitologica delle origini della "sarda nazione".
Il primo volume era articolato in due dissertazioni: una sui primi popolatori dell'isola, le "gigantesche famiglie dei posteri d'Adamo" anteriori al Diluvio; l'altra sul ripopolamento nella "seconda età del mondo", per opera dei "posteri di Noè". Il secondo volume, mai pubblicato, si sarebbe soffermato sulle "altre colonie" introdotte dai nuovi "popolatori o conquistatori" via via insediatisi nella "regale isola". Nell'opera trovava ampia eco l'impennata patriottica che tra gli anni Ottanta e Novanta aveva infervorato le lettere sarde in reazione ai superficiali e ingenerosi giudizi di alcuni osservatori forestieri sulla realtà dell'isola (compresi i "fallacissimi narramenti" di G.M. Galanti).
Peraltro, il M., pur autore di testi che tanto contribuirono a forgiare i sentimenti e la cultura politica dei patrioti sardi, non risulta né tra i protagonisti né tra i testimoni partecipi delle vicende che sconvolsero la vita pubblica del Regno tra il 1793 e il 1796. Nella vasta documentazione sulla "sarda rivoluzione" l'unico riferimento alla figura e all'opera del M. sembra essere un avviso del Giornale di Sardegna, gazzetta del movimento patriottico, che nel marzo del 1796 raccomandò le Dissertazioni storiche avvertendo i lettori che difficilmente avrebbero potuto trovare "in un altro libro certi aneddoti e pezzi di storia patria che qui si contengono".
L'ex gesuita non esitò invece a gettarsi in polemiche religiose: nel 1784 con una focosa Lettera apologetica aveva strapazzato il domenicano G. Hintz, professore di Sacre Scritture a Cagliari, per la sua versione del salmo Exsurgat Deus. Nel 1792 stampò clandestinamente e sotto pseudonimo una requisitoria contro il presunto ispiratore di un anonimo opuscolo che lo accusava di profittare della credulità popolare rinverdendo i fasti dei miracoli eucaristici e della "frequente comunione". Instancabile promotore dell'uso dell'"idioma patrio" nelle cerimonie religiose e nelle pratiche devozionali, il M. aveva pubblicato, l'anno prima, la Versione de su Rythmu eucharisticu [(] cun paraphrasis in octava rima, facta dae su latinu in sos duos principales dialectos, traduzione in sardo logudorese e campidanese di alcune preghiere e del celebre ritmo Adoro te devote attribuito a Tommaso d'Aquino.
Nel 1799, nel corso della permanenza della corte sabauda in Sardegna, Carlo Emanuele IV gli concesse una pensione sulle rendite della mitra cagliaritana. Conquistò la stima di Maria Clotilde di Francia, cui aveva donato un suo profilo biografico di G.B. Vassallo, gesuita piemontese morto a Cagliari venticinque anni prima, in odore di santità. Tra gli inediti, i biografi ottocenteschi segnalano una Relazione dell'invasione della Sardegna tentata dai Francesi nel 1793 e un Catalogo istorico di tutte le più illustri famiglie sarde: ma di esse si era perduta traccia già nel secolo XIX.
Degli ultimi anni di vita del M. s'ignora quasi tutto, inclusa la data di morte: i primi biografi concordano per il 1800 (a settembre, secondo Martini), ma i Quinque libri cagliaritani non ne recano traccia.
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