FASANELLA (Fascianella, Faxianella, Fagianella, Phasanella, Phasenella), Matteo di
Nobile del Cilento, era figlio di Guglielmo di Fasanella, del quale si hanno varie notizie intorno al 1210 e che morì prima del 1231.
Nei primi mesi del 1246, come i suoi fratelli Pandolfo, Tommaso e Riccardo, il F. partecipò al complotto per deporre l'imperatore Federico II. Dopo la scoperta della congiura riuscì a fuggire, probabilmente perché in quel periodo si trovava presso la corte imperiale a Grosseto al seguito del fratello Pandolfo. Per ricompensarlo di questa defezione papa Innocenzo IV investì il F., insieme con i fratelli Tommaso e Gilberto, dei feudi di Laurino, Balvano e Buccino in Principato. Anche se il F. non riuscì a prenderne possesso, l'aspettativa su baronie nel Regno gli garantì il credito finanziario necessario per mantenersi durante l'esilio.
Secondo Pandolfo Collenuccio, che aveva a disposizione fonti contemporanee oggi perdute, nel 1247 il F. avrebbe combattuto nelle Marche, nelle file dei sostenitori della Chiesa, e nel febbraio 1248 sarebbe caduto nella battaglia di Civitanova. Quest'ultima notizia è di sicuro falsa, dato che il F. (e la sua identificazione non può essere messa in dubbio) è menzionato più volte fino al 1272, indicato come fratello di Pandolfo di Fasanella.
Dopo il crollo della dinastia sveva nel Regno (1254) il F. ritornò in patria. Qui, nel novembre 1258, fece da garante per il vescovo Benvenuto di Capaccio, quando, nell'ambito di una riforma e dello spostamento del convento di S. Nicola in Controne, scambiò dei beni fondiari con il nuovo titolare della baronia di Postiglione, Giovanni da Procida. La baronia era stata precedentemente un feudo del fratello Pandolfo, ma il tribunale di Manfredi aveva dichiarato decaduti i suoi diritti.
Prima del giugno 1268 Carlo d'Angiò nominò il F. giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana, in sostituzione di "Berterannus di Missono", del quale si ignorano però le date di inizio e termine del mandato. Accompagnarono il F. in Calabria alcuni nobili del Cilento, i quali, come Riccardo di Pantuliano, facevano parte del suo seguito già nel 1258.
Nell'estate 1268 le ribellioni provocate dai partigiani di Corradino, guidati da Rainaldo di Cirò e dai ghibellini, che battevano con una flotta pisana le coste della Calabria, sconvolsero Fordine amministrativo della provincia provocando numerose rivolte. Nel corso delle prime settimane il F., che nei disordini smarrì anche una parte dei documenti relativi al suo ufficio, riuscì a difendersi con difficoltà, ma quando giunse la notizia della sconfitta e della cattura di Corradino la ribellione perse vigore e iniziativa, cosicché il F., insieme con l'arcivescovo di Cosenza, Tommaso di Lentini, poté raccogliere cavalieri e cittadini rimasti fedeli a Carlo, per una controffensiva. Alcuni rivoltosi fuggirono in Terra d'Otranto, altri si rinchiusero in Arnantea, che tuttavia fu cinta d'assedio soltanto nella primavera del 1269. Nel marzo dello stesso anno, per ordine del re, il F. rimise il comando dell'esercito assediante a Pietro Ruffo, titolare della contea di Catanzaro; a lui rimase però il compito di procurare i mezzi per il mantenimento dei soldati e dei cavalieri provenienti dalla sua provincia, nonché di assicurare il restauro e la sorveglianza dei castelli riconquistati.
Dopo la caduta di Amantea nel giugnoluglio 1269 al F. spettò il compito di eseguire le condanne emesse già nel dicembre 1268 contro i traditori inizialmente imprigionati ad Aiello; egli fece inoltre accecare il capo della ribellione di Amantea, Matteo di Vallone, che venne giustiziato solo più tardi a Salerno, sua città natale, al fine di intimidire i concittadini. Attingendo alle entrate fiscali della sua provincia, che durante la sua amministrazione aumentarono considerevolemente grazie all'introduzione di un focatico generale e di un'imposta straordinaria per le Comunità ribellatisi, il F. versò in questi mesi non solo grosse somme per l'assedio di Lucera, ma spedì anche 800 once d'oro al genero di Carlo d'Angiò, Roberto di Fiandra, che aveva ottenuto dal re un grosso prestito. Il 2 ott. 1269 Elia di Gesualdo subentrò al F. come giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana.
Nello stesso mese Carlo d'Angiò incaricò il F., insieme con il capitano di Avellino Roberto di Cornay, di punire gli assassini dei familiare del re, Guglielmo di San Lupo, e al contempo di sgominare i vecchi sostenitori di Corradino che ancora si nascondevano nella regione di Avellino. Nel febbraio 1270 Carlo concesse al F. come feudo ereditario il castello di Polla nel Vallo di Diano, restituito alla Corona dal fratello Pandolfo, e gli conferì una propria baronia, di cui era sprovvisto in quanto le investiture feudali conferitegli dal papa non erano state confermate dopo il 1266.
Quando nel 1271 scoppiò una rivolta locale a Rocca Gloriosa, presso Policastro, dovuta forse alla concessione della stessa in feudo ad un nobile francese, mentre gli abitanti avevano offerto denaro al re per continuare ad appartenere al Demanio regio, Carlo affidò al F. e al cavaliere francese Anfusus de Vinay il comando della repressione e sostenne la loro spedizione anche con denaro.
Il rendiconto del giustizierato in Val di Crati e Terra Giordana, richiesto il 1º nov. 1269, non si era ancora chiuso nell'inverno 1271- In questo periodo il F. non poté ubbidire all'invito di presentarsi a corte perché giaceva malato nel castello di Manoppello in Abruzzo. Nel febbraio 1272 ricevette Pordine di partecipare alla progettata spedizione contro la Grecia, dalla quale i baroni si potevano esimere grazie al pagamento del servitium. Nell'aprile 1272 nuovi mandati richiesero al F. - il quale probabilmente sostituiva allora Elia di Gesualdo, gia suo successore nella carica di giustiziere in Val di Crati, tratto in quel periodo in arresto - di sospendere per qualche mese il focatico a Laino e di riconoscere l'esonero dal focatico generale alla Comunità di Mattafollone, distrutta dai partigiani di Corradino.
Non è però certo che questi ordini abbiano raggiunto il F., che si spense il 17 apr. 1272. La sua morte, come già prima quella di suo padre Guglielmo, fu ricordata nel necrologio dei monastero di Montevergine, al quale entrambi furono evidentemente molto legati, sebbene sia tramandata notizia soltanto di una donazione da parte di Guglielmo.
Il F. sposò nel 1269 Margherita, figlia di Aquilina di Genzano, sposa in seconde nozze di suo fratello maggiore Pandolfa. Il giorno della morte di Margherita, 8 febbraio, è registrato nel necrologio della cattedrale di S. Matteo a Salerno. Dato che il F. non lasciò eredi diretti, Carlo d'Angiò rientrò in possesso di Polla e diede la baronia al nobile francese Angerairno di Summeroso. Sull'attivo di 400 once d'oro, risultante dal bilancio del giustizierato in Vai di Crati e Terra Giordana, il fratello Pandolfo rivendicò nel 1276 i diritti ereditari.
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