MATTEO d’Agrigento (Matteo di Sicilia)
Nacque ad Agrigento nei primi anni Ottanta del XIV secolo. La data di nascita è ricavabile solo dalla sua biografia religiosa: in particolare ricostruendo le prime tappe della sua professione come frate minore e dalle date che attestano la sua attività di predicatore, ufficio al quale era possibile accedere dall’età di 30 anni.
Quanto alla famiglia e al suo cognome, le fonti confermano l’origine agrigentina di M., una possibile, ma non dimostrabile, discendenza da una famiglia proveniente da Valencia, mentre il cognome risulta attestato nelle fonti entro due varianti: Gimena o Gimera, così i documenti pontifici e quelli prodotti nelle Cancellerie della Corona catalano-aragonese. Tuttavia in prevalenza i documenti coevi, siano essi italiani o iberici, denominano M. come «di Agrigento» o «di Sicilia».
Secondo la letteratura erudita l’ingresso di M. nell’Ordine serafico sarebbe avvenuto attorno al 1395 e le prime attività di predicazione nell’Italia settentrionale, come discepolo di Bernardino da Siena, dal 1418.
Solo a partire da questa data i documenti e i riferimenti interni ai suoi sermoni consentono di delineare una storia puntuale di Matteo. La vita di M. fu contrassegnata da una spiccata mobilità in tutta la penisola italiana, dalla Lombardia alla Calabria e in Sicilia, ma anche nei territori iberici della Corona catalano-aragonese dal 1418 sino almeno al 1435. Dopo questa data, e fino alla sua morte, si aprì un secondo periodo caratterizzato da un’attività più localizzata, concentrata in Sicilia, in particolare ad Agrigento.
Fu a fianco di Bernardino circa otto anni, fino al 1425 quando come predicatore si recò in Calabria e poi in Sicilia, dove approdò nell’autunno di quell’anno. A Messina M. predicò probabilmente nel corso di tutto l’Avvento del Venticinque affrontando temi di grande portata etico-economica e di insegnamento civile, tra i quali spiccano le sue riflessioni sulla corretta pratica della mercatura.
Uno degli esiti più significativi di questa sua attività omiletica fu l’adozione dei capitoli suntuari, deliberati a Messina nel 1426 e approvati il 18 gennaio di quell’anno dal viceré Nicolò Speciale, ai quali seguirono quelli di Palermo e di Agrigento, adottati rispettivamente il 5 marzo e il 6 giugno dopo le prediche tenute da M. in quelle città.
In Sicilia l’attività di M. si esplicò anche nella fondazione di conventi, munito del permesso concessogli il 3 apr. 1425 da Martino V, e nell’impegno volto all’affermazione dell’Osservanza francescana nel solco dell’azione di Bernardino da Siena e Giovanni da Capestrano. Nel 1426 M. si spostò a Roma intervenendo direttamente, insieme con Giovanni da Capestrano, a sostegno di Bernardino, accusato davanti al papa di promuovere il culto del nome di Gesù e la devozione al trigramma «IHS», assurti a simboli distintivi del movimento riformatore francescano dell’Osservanza.
Con il 1427 si aprì l’epoca d’oro di M. quale esponente di primo piano dell’Ordine impegnato a sostegno della Corona catalano-aragonese e in special modo del re Alfonso e della regina Maria di Castiglia. L’attività di M. nei territori iberici della Corona si esplicò su un versante politico, riconoscibile sin dall’inizio dall’incontro tra Alfonso il Magnanimo e Bernardino da Siena al quale il sovrano chiese di indicargli i nomi di alcuni frati affidabili da inviare nei territori iberici nei quali il difficile clima politico e le tensioni civili erano in quel momento particolarmente acute. Su designazione di Bernardino, M. fu inviato a Valencia.
La vasta attività di M. è testimoniata dalla lettura incrociata dei suoi sermoni con la notevole quantità di documenti, cancellereschi e privati, che riguardano M. e che sono scritti, tra gli altri, dalla regina Maria, da re Alfonso e da alcuni Consigli cittadini tra il 1427 e il 1443. Si tratta di 130 documenti cui vanno aggiunti gli 88 strumenti di pace notarili redatti su impulso diretto di M.; a questi si affiancano i provvedimenti legislativi adottati dalle città di Valencia e Barcellona a seguito della sua attività omiletica (cfr. Amore, 1956, pp. 283-335; 1959, pp. 23-42; Longpré, 1937, pp. 188-191).
In merito alle relazioni con la Corona va sottolineato il dato – ricavabile dalla documentazione epistolare – dell’assoluta prevalenza del rapporto tra M. e la regina rispetto a quello stabilito con il re, un fatto importante poiché in quegli anni fu Maria, nominata luogotenente generale di Alfonso per la prima volta già nel maggio del 1420, a gestire gli affari politici e la fiscalità regia nei territori iberici.
Dopo Valencia si recò a Barcellona, Vich, Jativa e Gerona dove fu impegnato, su richiesta dei sovrani o delle istituzioni cittadine, in campagne di pacificazione civile, nella fondazione di conventi osservanti, in predicazioni che portarono all’adozione di riforme di statuti cittadini o di normative a più larga valenza aventi a oggetto, così come avvenuto in Sicilia, due questioni fondamentali: la regolamentazione di pratiche economiche e mercantili e lo statuto civile ed economico degli ebrei.
Il presupposto etico-politico che sosteneva tali riforme, proposto da M. anche nei suoi sermoni, era il bene della res publica, la sua preservazione e il consolidamento della sua integrità identitaria, ispirata dalla concezione di una res publica costituita da cives-fideles esclusivamente cristiani chiamati a operare esemplarmente negli ambiti politici e in quelli del mercato. Nel 1428 Alfonso varò un provvedimento, su istanza di M., che obbligava gli ebrei, insieme con i musulmani, ad ascoltare la predicazione di M. affinché, come recita l’ordine del sovrano, «tam iudeos quam saracenos pro posse disponere ut in eorum mentibus verbi divini et celestis doctrine semina germinent … et viciorum tribulis extirpatis, gregi fidelium reducantur et cum eis fructum salutis eterne colligant» (ed. Amore, p. 298). L’ordine reale fu pienamente applicato in tutti i territori della Corona dal 5 febbr. 1429 al 5 genn. 1431.
Un ulteriore elemento che caratterizzò la presenza di M. nei territori iberici alla fine degli anni Venti fu il suo ruolo di mediatore, per quanto non ufficiale, tra il Papato e il sovrano aragonese all’interno di quella complessa partita geopolitica che si sviluppò all’epoca dello scisma d’Occidente. Già nel giugno 1427 il quotidiano contatto, a Barcellona, tra Alfonso e M. – proprio in uno dei momenti cruciali dei rapporti tra Roma e la monarchia aragonese, che si era opposta a Martino V e aveva fatto dichiarare papi prima Pedro Martínez de Luna (Benedetto XIII) nel 1394 e poi Egidio Muñoz (Clemente VIII) nel 1423 – permise il riavvicinamento fra Martino V e Alfonso.
Il ruolo svolto da M., che portò Alfonso all’obbedienza romana, è testimoniato dal noto passaggio di un sermone di Bernardino pronunciato sul Campo di Siena nell’agosto di quell’anno: «Io ho bene de’ compagni che so’ buoni e so’ di tali quali so’ di tanta buona vita, e fanno tanto frutto, che è una meraviglia. Fra’ quali è uno frate Matteo de Cicilia il quale ha ridotto un re alla fede cristiana con tutto quello paese: che se non l’avesse convertito, egli ci sarebbe altro schiamazzo che elli non c’è» (Bernardino da Siena, p. 157).
Il 1428 si aprì per M. a Jativa, dove predicò nel mese di febbraio, quindi si spostò nuovamente a Valencia dove fu impegnato per il ciclo della Quaresima; raggiunse poi la capitale del Regno, accolto con onori e donativi a testimonianza della sua persistente notorietà e del prestigio conseguito anche presso i ceti dirigenti cittadini.
Anche a Valencia fondò un convento osservante – intitolato, come a Barcellona e poi in Sicilia, a S. Maria del Gesù – contando ancora una volta sul sostegno dei sovrani e delle istituzioni cittadine.
Il 5 nov. 1428 M. ottenne dal legato papale, il francescano Pierre de Foix, la facoltà di erigere ulteriori cinque conventi osservanti che si aggiunsero ai tre concessi a M. da Martino V nel 1425. Conseguiti tali risultati M. tornò in Sicilia passando per Maiorca. Le fonti non informano dell’attività svolta nell’isola, mentre è nota l’intensa attività della regina Maria per garantirsi un’ulteriore missione di M. nei territori iberici. Trattando in prima persona con i vertici dell’Ordine la regina riuscì infine a far giungere M. a Tortosa l’8 genn. 1430 volendo avvalersene quale mediatore con il Regno di Castiglia, in forte tensione con la Corona aragonese.
Questa mediazione della regina con la Castiglia era in contrasto con la volontà e le direttive del re, che preferì avvalersi di altri soggetti, in particolare la monarchia portoghese e il cardinale legato Pierre de Foix.
Nell’aprile del 1430 M. predicò a Tortosa prima di fare nuovamente rientro in Italia, dove molto probabilmente partecipò al capitolo «generalissimo» dell’Ordine che si tenne ad Assisi il 15 giugno con l’obiettivo, condiviso dal Papato, di risolvere il cruciale problema dell’unità dell’Ordine da molti anni diviso tra osservanti e conventuali.
Uno degli esiti di quel capitolo fu il varo delle costituzioni, dette martiniane, redatte da Giovanni da Capestrano che, tra l’altro, abolivano il doppio livello di governo istituzionale dell’Ordine, per alcuni anni articolato in un’amministrazione degli osservanti sostanzialmente separata da quella dei conventuali. Ciò comportò che anche la carica di vicario provinciale, ricoperta da M. per la Sicilia, fosse abrogata. Tuttavia, in seguito a un atto unilaterale dei conventuali, che si sottrassero agli obblighi derivanti da tali costituzioni, già l’anno successivo l’Osservanza, riunitasi a Bologna, ripristinò le proprie strutture di governo conferendo nuovamente a M. la carica di vicario provinciale per la Sicilia.
Il 1431 fu per M. un momento cruciale per due diverse e rilevanti questioni: da un lato Alfonso procedette alla revoca dei provvedimenti varati nel 1428 nei confronti degli ebrei residenti nei Regna sottraendo a M. il suo incarico giurisdizionale sugli infideles; dall’altro M. fu accusato di aver organizzato, contro la volontà dell’arcivescovo di Napoli Nicola di Diano, una processione in onore del Nome di Gesù; inoltre contro di lui furono mosse altre sei accuse sempre relative alla promozione di quel culto. Ma il processo che si sarebbe dovuto avviare contro di lui e contro Bernardino da Siena fu bloccato da Eugenio IV.
L’abilità e la forza di M. e dell’intero movimento osservante gli consentirono di superare questo momento di difficoltà al punto che nel 1432 egli fu nominato commissario generale per la Sicilia dal generale dell’Ordine e intorno al 1435 rivestì la carica di vicario provinciale dell’Aragona; inoltre gli fu riconosciuta dal pontefice la facoltà di erigere due ulteriori conventi. In qualità di commissario generale per tutta l’isola con pieni poteri sia sui conventuali sia sugli osservanti siciliani M. operò con notevole incisività. In quello stesso periodo Eugenio IV lo incaricò di un’importante missione di riforma della Chiesa siciliana per combattere la simonia connessa alla designazione delle cariche ecclesiastiche saldamente controllate dal potere regio. M. dunque si trovò a esercitare un mandato che gli veniva direttamente dal pontefice e che comportava il rischio di entrare in conflitto diretto con Alfonso. Ciò non gli impedì comunque di mantenere la fiducia del papa e uno stretto rapporto con il sovrano. Intanto, nel 1440, veniva candidato dagli osservanti di Montpellier per una missione volta alla fondazione di un convento ad Avignone.
Nella primavera del 1442, in seguito alla morte di Lorenzo de Messal, la sede vescovile di Girgenti (Agrigento) divenne vacante. Eugenio IV, nella convinzione di fare cosa gradita al sovrano aragonese, scelse come successore Bernardo da Bosco, uditore della Camera apostolica e già canonico di Lérida. Alfonso tuttavia, avvalendosi delle concessioni ottenute col recente trattato di Terracina, non fece eseguire la bolla di elezione e designò Matteo al vescovato. Eugenio IV, con bolla del 17 sett. 1442, lo nominò così vescovo di Girgenti, ma la sua consacrazione avvenne solo il 30 giugno 1443 nella chiesa madre di Sciacca.
Tra i motivi di questo ritardo si possono senz’altro riconoscere una resistenza di alcuni ambienti ecclesiastici e politici siciliani e una importante malattia patita da M., testimoniata dalle fonti (Barcellona, Archivo de la Corona de Aragón, Real Cancillería, Registros, 2845, c. 22v; 2893, c. 200). Mancano peraltro studi sulle motivazioni che spinsero M. a scegliere Sciacca e non Agrigento come sede per la sua consacrazione vescovile, una scelta che potrebbe essere una conseguenza delle resistenze manifestatesi nella sua città natale ma anche una causa di quelle stesse ostilità. Non vanno infine sottostimate le perplessità degli ambienti dell’Osservanza che poterono considerare l’accettazione di M. come uno scostamento dalla linea generale di rifiuto delle cariche ecclesiastiche tenuta da altri osservanti.
Nonostante l’appoggio del re e del viceré di Sicilia, López Ximenes de Urrea, e la presenza di Giovanni da Capestrano, che era nell’isola nel maggio del 1443 in qualità di visitatore e commissario apostolico dei frati minori, gli anni dell’incarico vescovile furono difficili per M., al punto che si vide costretto alla rinuncia, accolta da Eugenio IV il 23 luglio 1445.
Tra i principali motivi di tale atto vanno ricordate le sue decisioni in ordine a una più parca gestione dei beni della mensa vescovile e le conseguenti accuse mossegli dal clero e da altri esponenti di rilievo della città. In tale sfondo va letto il processo intentato a Roma nel 1444, che si concluse con la piena assoluzione di M., sostenuto, anche in questa difficile fase, sia da re Alfonso sia dalla regina Maria (si vedano, per esempio, le missive reali, ibid., 2893, c. 200; 3179, c. 111v, quest’ultima con una significativa nota manoscritta del sovrano che gli rinnovava la fiducia e il sostegno).
Dal 1445 e sino alla morte di M. mancano documenti sulla base dei quali ricostruirne la vita. La fonte più prossima è il Compendium chronicarum di Mariano da Firenze, dalla quale risulta che M. trovò ospitalità prima presso frati conventuali e poi presso il convento osservante di S. Maria del Gesù di Palermo.
M. morì a Palermo, dove fu sepolto, il 7 genn. 1450.
Tradizioni più tarde spostano la morte sino al 1455, ma altri documenti attestano che avvenne entro l’11 ag. 1453 (Barcellona, Archivo de la Corona de Aragón, Real Cancillería, Registros, 2872, c. 165).
Opere. Una raccolta di sermoni di M. è conservata nei manoscritti: Capestrano, Biblioteca del Convento, Mss., XXXII, cc. 25-74v (codice donato a Giovanni da Capestrano); Napoli, Biblioteca nazionale, Mss., V.H.270, cc. 219r-235v; V.H.57, cc. 268r-274v; ed è stata edita in Matteo d’Agrigento, Sermones varii, a cura di A. Amore, Roma 1960. Vi è inoltre un quadragesimale inedito di quarantaquattro prediche copiato da frate Ulrico Lauffer nel 1448 (Nocera Umbra, Biblioteca vescovile, Mss., 18-II-3, cc. 1r-232v) a eccezione di quattro omelie: il De ligno paradixi e Cum ieunatis, edite nel 1985 (ed. Gozzo), e il De inferno e il De passione Domini, pubblicate nel 1995 (ed. Sensi).
Vi sono diversi aspetti di notevole rilievo di questi sermoni. Oltre a rivestire un particolare valore anche come fonte biografica, le sue omelie si presentano in una forma linguistica mescidata: sul latino di base vi sono notevoli inserzioni in volgare siciliano e toscano, ma anche espressioni catalane, che mettono in evidenza i passaggi di più rilevante valenza comunicativa rispetto all’uditorio dei cives-fideles ai quali M. si rivolgeva. Lo specifico contesto in cui egli ha concepito ed esposto i suoi sermoni è evidenziato anche dalle tracce letterarie che testimoniano il prestigio di cui egli godeva nei territori iberici. Indice di una popolarità non sottostimabile è, per esempio, un passo della versione catalana del Decamerone, tradita in un manoscritto del 1429. Lì il volgarizzatore, nella quarta novella della terza giornata, giunge a sostituire il nome di frate Nastagio con quello di M., ricordando così «lo prehich de fra Matheu» (cfr. Rubió i Balaguer, pp. 44 s.).
I suoi sermoni sono inoltre testi imprescindibili per la comprensione della sua azione politica anche in terra iberica dove egli predicò sia sul tema del nome di Gesù (a Vich), sia sulla corretta gestione dei beni e delle pratiche finanziarie (per esempio a Barcellona), e contribuiscono a chiarire presupposti e finalità della sua attività svolta in piena sintonia con i sovrani negli ambiti cittadini più dinamici sotto il profilo economico e politico. È in questa dimensione che si possono analizzare i sermoni accomunati da una spiccata funzione didattico-politica nei quali M. rifletteva sui profili dell’organizzazione della società cristiana e dell’esercizio del potere, sui valori che li qualificavano e dunque ne definivano la legittimazione: un numero non irrilevante di omelie si concentra sui criteri di validazione dei rapporti civili, comunitari ed economici tra i fideles. Le riflessioni presenti nei sermoni di M. sono quindi un’ulteriore testimonianza di quella presenza francescana che vide i minori del tardo Medioevo muoversi con piena consapevolezza e abilità nel quadro geopolitico del Mediterraneo occidentale.
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