STANZIONE, Massimo
‒ Nacque probabilmente a Orta di Atella, casale di Napoli, intorno al 1585 (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 82; Giannone, 1771-1773 circa, 1941, p. 108). Ugualmente priva di riscontri documentari è la notizia del discepolato presso la bottega di Fabrizio Santafede, dove si sarebbe specializzato nel genere del ritratto (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, pp. 82 s.).
Tale precoce attitudine trova conferma nelle rare polizze bancali utili a documentare gli esordi del pittore. Il 20 maggio 1615 egli percepì dieci ducati da Fabrizio Acciapaccia «in conto de uno ritratto» (Schütze - Willette, 1992, p. 264, n. D22); sette giorni dopo gli fu anticipata la medesima somma da Fabio Caracciolo, principe di Forino, per «due ritratti, cioè uno della persona sua e l’altro della Principessa di Forino sua moglie» (E. Nappi, Documenti inediti per la storia dell’arte a Napoli per i secoli XVI-XVII..., in Quaderni dell’Archivio storico dell’Istituto Banco di Napoli - Fondazione 2007-2008, Napoli 2009, pp. 361-401 (in partic. p. 392, doc. 655); mentre il 20 gennaio 1616 ricevette un acconto di sei ducati con il quale Claudio Fiorillo gli ordinava «una imagine di San Carlo et di san Francesco d’Assise», «con retrarmi la persona in detto quatro per devotione» (Schütze - Willette, 1992, p. 264, n. D23).
Negli stessi anni si cimentò anche nella pittura di soggetto storico-mitologico, come testimoniano i quadri, ancora da ritrovare, ricordati da Giambattista Basile nella terza parte dei Madrigali et Ode (1617): un Ettore e Achille, una Gigantomachia, un Ero e Leandro e un Ritratto di Venere e Amore (Lazzarini, 2012, pp. 322, 331-336), identificato di recente nel quadro di analogo soggetto documentato nel 1666 nella raccolta del conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona nel castello di Conversano (Farina, 2018, pp. 122 s. nota 34). Il legame con il poeta di Giugliano, che dedicò a Massimo l’ode più lunga della sua raccolta, dovette procurare al pittore contatti influenti nella cerchia dell’Accademia degli Oziosi (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 33, 37, 41, 115-117 note 65-101). Basile fu con ogni probabilità decisivo finanche per la commissione delle prime due opere pubbliche dell’artista, entrambe destinate a Giugliano (Conte, 2012, pp. 146 s., 178-181 note 27-40): un quadro, perduto, già nella Confraternita di S. Vito, eseguito nel 1615 (A. Zezza, in De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 86 nota 10), e la Presentazione della Vergine al Tempio nel soffitto della Ss. Annunziata, alla cui decorazione presero parte anche Giovan Vincenzo Forlì e Giovan Antonio d’Amato (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 190, n. A1, 269, fig. 94).
La tela, documentata al 1618 e oggi ridotta a lacerto, rappresenta l’unica testimonianza superstite dell’attività di Stanzione all’altezza del secondo decennio. La cultura che la impronta appare ancora in parte radicata nella tradizione della pittura meridionale tardocinquecentesca; ciononostante, lo scandaglio delle epidermidi, gli accesi contrasti chiaroscurali e la sodezza della materia pittorica denunciano la conoscenza dei fatti salienti del primo naturalismo napoletano, ovvero l’assimilazione delle ricerche di Giovan Battista Caracciolo, Carlo Sellitto e Filippo Vitale (Causa, 1995).
Dall’ottobre del 1617 all’aprile seguente il pittore è documentato a Roma a servizio dei carmelitani scalzi di S. Maria della Scala. I pagamenti rivelano che Massimo lavorò continuativamente a un dipinto di grandi dimensioni, non rintracciato, raffigurante «undici Sant’Andrea et una Madonna con coro d’angeli» (E. Borsook, Documents concerning the artistic associates of Santa Maria della Scala in Rome, in The Burlington Magazine, XCVI (1954), pp. 270-275, in partic. pp. 271 s. note 20-25). La pala era destinata alla cappella della chiesa intitolata al beato Andrea Corsini (proclamato santo pochi anni dopo), e la Vergine in gloria doveva dunque apparirvi circondata da undici scomparti laterali con episodi della vita del vescovo carmelitano (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 261 s., n. D14).
Durante il soggiorno nell’Urbe, Stanzione poté aggiornarsi sulle imprese di Annibale Carracci e della sua scuola e sugli esiti più recenti del caravaggismo romano, guardando con interesse specialmente alla cerchia dei seguaci nordici del Merisi, all’astro nascente di Jusepe de Ribera e all’esperienza caravaggesca sui generis di Simon Vouet (Schütze, 1992). Tale nodo culturale contrassegna le rare prove del pittore collocabili nella prima metà del terzo decennio, quali la Salomè con la testa del Battista di collezione romana (Lattuada, 1989-1990, pp. 232-234, figg. 1-2, 239 s. note 1-7), il Cristo legato di raccolta leccese (Leone de Castris, 1995), il Martirio di s. Agata del Museo di Capodimonte (Spinosa, 2010, p. 404, n. 426) e, soprattutto, la Pietà di palazzo Barberini, riberesca nell’invenzione, ma indubitabilmente vouettiana nella morbidezza della stesura e nell’interpretazione teatrale della luce (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 192, n. A8, 274, fig. 104).
Le opere scalabili nella seconda metà degli anni Venti si distinguono per una maggiore fluidità del tratto pittorico e per un respiro compositivo più largo, come rivelano l’Adorazione dei pastori nella sala del capitolo della certosa di S. Martino, databile al 1626 (pp. 192, n. A9, 275, fig. 105); l’Adorazione dei magi, siglata, in collezione privata a Filadelfia (pp. 21, tav. III, 193, n. A12, 277, fig. 110); il Martirio di s. Lorenzo del David Owsley Museum of art di Muncie, in Indiana (P. Leone de Castris, in Ritorno al Barocco, 2009, pp. 130 s., n. 1.50); il Martirio di s. Caterina d’Alessandria di collezione napoletana (R. Lattuada, in La libertà del segno. Nuove proposte di pittura antica (catal., Maastricht), a cura di U. Giacometti, Milano 2013, pp. 26-33); il Sacrificio di Mosè al Museo di Capodimonte, debitore della Circoncisione di Cristo dipinta da Vouet nel 1622 per S. Angelo a Segno e ora anch’essa a Capodimonte (Pagano, 2008, pp. 172, 199 s., n. 197); e, infine, la Susanna e gli anziani allo Städelsches Kunstinstitut di Francoforte, dipendente dalla composizione di analogo soggetto eseguita da Guido Reni all’inizio degli anni Venti e ora alla National Gallery di Londra (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 28, tav. VI, 194 s., n. A18, 281, fig. 117).
L’Assunzione della Vergine del North Carolina Museum of art di Raleigh, la cui destinazione originaria è ancora ignota, segna un momento di consolidamento, e insieme di svolta, nella carriera di Stanzione.
La pala, che rivela un’ambizione monumentale prima sconosciuta, costituisce, nondimeno, una summa delle esperienze formative del pittore: la struttura compositiva, di matrice romano-bolognese, è memore dell’Assunta eseguita da Annibale Carracci nel 1592 per la cappella Bonasoni in S. Francesco a Bologna (ora in Pinacoteca nazionale), mentre la condotta pittorica appare ancora ribollente di umori caravaggeschi (pp. 34, tav. VIII, 69, 113 note 1-8; T. Willette, in Schütze - Willette, 1992, pp. 195 s., n. A23, 284, fig. 121).
Sempre agli anni Venti risalì il conferimento dei tre cavalierati che comprovavano l’indiscusso prestigio sociale raggiunto dal maestro, il quale pure non era stato fino ad allora impegnato in alcuna commissione pubblica di rilievo nella capitale vicereale. Il 14 maggio del 1621 Stanzione fu nominato da Gregorio XV cavaliere dello Speron d’oro e conte palatino; nella fede di battesimo di Gregorio Urbano, il quinto dei sette figli avuti da Virginia Vizzola tra il 1615 e il 1639 (pp. 130, 150 note 156-157), è citato come cavaliere di S. Giorgio; e il 2 luglio del 1627 ottenne da Urbano VIII finanche il titolo di cavaliere dell’Ordine di Gesù Cristo (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 45, 49, 52 s., 65-67 note 124-168).
A partire dal quarto decennio Stanzione fu costantemente coinvolto nelle principali imprese decorative di Napoli, che ne sancirono il primato sulla scena locale. Il primo giugno 1630 il certosino ferrarese Carlo Filippo scriveva da Roma per rassicurare un confratello napoletano sulla «illuminata fama» del pittore, autore, nell’Urbe, di «lavori veramente eccellenti», e pertanto meritevole di «affriscare la icclesia de nostro ordine» (Novelli Radice, 1974, pp. 100 s.). La lettera, in base alla quale è stato ipotizzato un secondo soggiorno romano del maestro negli anni Venti, fu verosimilmente richiesta dai monaci di S. Martino come credenziale per l’affidamento a Stanzione della decorazione a olio e a fresco della cappella di S. Bruno, realizzata tra il 1630 e il 1637 (Leone de Castris, 1992, pp. 549-551). L’esito dovette soddisfare a pieno la committenza, dal momento che l’artista continuò a ottenere diversi incarichi di prestigio nella certosa napoletana.
Qui infatti dipinse la Pietà nella controfacciata della chiesa (1638), «a concorrenza» con quella che Ribera aveva realizzato poco prima per i medesimi certosini (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 97); la tela nel coro raffigurante Cristo alla Pasqua degli Ebrei, documentata al 1639 (Pierguidi, 2015); la decorazione a olio e a fresco della cappella del Battista, iniziata nei primi anni Quaranta e lasciata incompiuta (T. Willette, in Schütze - Willette, 1992, pp. 98, tavv. XXXI-XXXV, 102, tavv. XXXVI-XXXVII, 236 s., n. A90, 375-379, figg. 315-325); e, infine, il Cristo che esce dalla casa di Caifa in sagrestia, eseguito in collaborazione con il quadraturista Viviano Codazzi, gli affreschi con Storie dell’Antico Testamento e della vita di Cristo nel passetto della sagrestia e la pala con la Madonna e il Bambino tra i ss. Ugo e Antelmo per la cappella di S. Ugo, lavori saldati al pittore il 30 settembre 1644 (pp. 223 s., n. A69, 228, n. A76, 344-350, figg. 237-257, 358, fig. 272; S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 228 s., n. A77, 359, fig. 273).
Nel corso del quinto decennio Stanzione fu attivo in molti altri importanti cantieri della Napoli sacra. Al 1639-40 risalgono gli affreschi con Storie della Vergine nella volta del presbiterio del Gesù Nuovo (pp. 215-219, n. A62, 329-337, figg. 203-226); tra il 1642 e il 1644 lavorò alle Scene della vita dei ss. Pietro e Paolo nel soffitto della navata centrale in S. Paolo Maggiore, condotte con il largo concorso della bottega e oggi in condizioni frammentarie (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 225-227, n. A73, 353 s., figg. 263-265; E. Nappi, Le chiese e le case teatine a Napoli durante il viceregno spagnolo attraverso i documenti dell’Archivio Storico dell’Istituto Banco di Napoli - Fondazione, in Sant’Andrea Avellino e i teatini nella Napoli del viceregno spagnolo. Arte religione società, a cura di D.A. D’Alessandro, I, Napoli 2011, pp. 387-490, in partic. pp. 390-393, docc. 19, 21-27); dal 1639 al 1647 dipinse le tre grandi tele mariane per il soffitto della navata di S. Maria Regina Coeli (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 219-221, n. A65, 340, figg. 229-231); mentre al 1644-46 si data la decorazione della volta nel cappellone di S. Giacomo della Marca in S. Maria la Nova, dove affrescò anche le Tre storie di s. Diego d’Alcalá nell’intradosso dell’arco della cappella D’Aquino (pp. 234 s., n. A88, 371-373, figg. 305-314; T. Willette, in Schütze - Willette, 1992, pp. 235 s., n. A89, 374, figg. 312-314).
La formula stilistica elaborata da Stanzione negli anni della maturità trovò una traduzione altrettanto felice nelle pale d’altare. Occorre ricordare, tra queste, quanto meno la Madonna delle anime del Purgatorio per l’altare maggiore della chiesa di S. Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, la cui esecuzione è documentata tra il 1638 e il 1642, seppure il saldo risalga solo al 1651 (E. Nappi, La chiesa delle Anime del Purgatorio ad Arco a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 1996-1997, Napoli 1998, pp. 155-176, in partic. pp. 169, doc. 59, 174, docc. 123, 127-129); il coevo S. Patroba che predica al popolo di Pozzuoli del duomo di Pozzuoli (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, p. 210, n. A47, 315, fig. 178); la Morte di s. Giuseppe per la cappella Sabia in S. Diego all’Ospedaletto, saldata il 22 marzo 1640 (P. Leone de Castris, in Ritorno al Barocco, 2009, p. 144, n. 1.58); il S. Pietro Celestino che rinuncia alla tiara papale in S. Pietro a Maiella, databile ai primi anni Quaranta (T. Willette, in Schütze - Willette, 1992, pp. 227, n. A74, 356, fig. 269); il rame con S. Gennaro che guarisce un’ossessa nella sagrestia della cappella del Tesoro di S. Gennaro (1641-46), chiamato a sostituire la pala lasciata incompiuta alla morte del Domenichino (Causa, 2016); la sontuosa Madonna del Rosario e santi sull’altare della cappella Cacace-de Caro in S. Lorenzo Maggiore, realizzata tra il 1642 e il 1651 (F. Lofano, Sincretismo e unità delle arti: la cappella Cacace-De Caro in San Lorenzo Maggiore a Napoli alla luce di nuovi documenti, in Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, 2011-2012, vol. 40, pp. 241-287, in partic. pp. 247, 263, docc. I, 1-I, 3); l’Adorazione dei pastori già nella chiesa del Divino Amore e ora al Museo di Capodimonte, databile alla metà degli anni Quaranta (Pagano, 2008, pp. 169, 196, n. 192); e, infine, la colossale Incoronazione della Vergine già nel transetto sinistro della chiesa di S. Giovanni Battista delle Monache e oggi in deposito al Museo di Capodimonte, la cui esecuzione, tradizionalmente riferita alla fine degli anni Quaranta, è stata di recente anticipata al decennio precedente (P. Leone de Castris, in Ritorno al Barocco, 2009, p. 145, n. 1.59).
In una lettera al collezionista messinese Antonio Ruffo del 14 novembre 1651, discutendo sul compenso di un perduto Giudizio di Paride, Stanzione confessò di dedicarsi malvolentieri a quadri d’«istoria profana e di donne ignude», invenzioni «infidamente di cervello» che recavano «molti fastidii» (Schütze - Willette, 1992, pp. 262 s., n. D15). Nondimeno, le rare opere di argomento classico nel catalogo del pittore, tra le quali il Suicidio di Lucrezia di collezione romana, collocabile alla metà degli anni Trenta (P. Leone de Castris, in Ritorno al Barocco, 2009, p. 143, n. 1.57), e le due Cleopatra all’Ermitage di San Pietroburgo e al Palazzo Durazzo-Pallavicini di Genova, forse eseguite sul finire del medesimo decennio (cfr., rispettivamente, F. Conte, in Conte - Lazzarini, 2012, pp. 193-201, 216-218 note 9-23, e S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 213, n. A56, 322, fig. 192), sono da annoverare tra le creazioni più moderne e insinuanti del Seicento napoletano. Il soggetto profano più importante di Massimo è tuttavia il Baccanale del Prado a Madrid (1636 circa), che Filippo IV gli commissionò per la serie «sui fatti degli antichi romani» da destinare al Buen Retiro (A. Úbeda de los Cobos, in Ritorno al Barocco, 2009, pp. 132 s., n. 1.51), per il quale il pittore aveva già dipinto le quattro Storie del Battista (1633-35) pur esse al Prado (Vannugli, 1994).
Poche sono anche le testimonianze finora riemerse della celebrata attività ritrattistica del maestro: il Ritratto di un suonatore di chitarra già in collezione Della Vecchia a Napoli, forse collocabile ancora nel quarto decennio (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 54, tav. XVIII, 210 s., n. A48, 316, fig. 180); il Ritratto del missionario gesuita Álvaro Semedo della galleria Benucci di Roma, risalente ai primi anni Quaranta (P. Leone de Castris, in Ritorno al Barocco, 2009, pp. 132 s., n. 1.52); il coevo Ritratto di quattro uomini, verosimilmente magistrati napoletani, in collezione privata fiorentina (T. Willette, in Schütze - Willette, 1992, pp. 91, tav. XXVII, 232, n. A85, 364, fig. 284); il Ritratto equestre di Don Iñigo Vélez de Guevara y Tassis, conte di Oñate all’Instituto Valencia de Don Juan di Madrid (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 239 s., n. A97, 384, fig. 333) e quello di Beltrán Vélez de Guevara, marchese di Campo Real al Museo de la Real Maestranza de Caballería di Ronda (Minguito Palomares - Visdomine Lozano, 2017), entrambi siglati, dipinti tra il quinto e il sesto decennio; e finanche il vandyckiano Ritratto di Jerome Bankes della Kingston Lacy House nel Dorset, eseguito in occasione del viaggio in Italia del committente inglese alla metà del secolo (S. Schütze, in Schütze - Willette, 1992, pp. 242, n. A103, 388, fig. 341). La vetta più alta raggiunta da Stanzione nel genere resta però il Ritratto di donna con gallo, siglato, del Fine arts Museum di San Francisco, tradizionalmente riferito al quarto decennio. La giovane modella è stata identificata di recente in una nubenda di Pescocostanzo in abiti e gioielli tradizionali (Conte, 2012, pp. 72-85, 126-135 note 126-173), forse promessa in sposa proprio a quel Lorito Giuseppe Pitassi che nel 1643 commissionò al pittore l’Immacolata Concezione per l’altare di famiglia nella chiesa di Gesù e Maria di Costantinopoli all’ingresso del borgo aquilano (pp. 85-94, 134-138 note 175-194).
Tra gli ultimi lavori licenziati dalla bottega del pittore sono degni di menzione l’Investitura di s. Aspreno da parte di s. Pietro proveniente dalla chiesa di S. Pietro ad Aram e ora al Palazzo Reale di Napoli, databile al 1654 (T. Willette, in Schütze - Willette, 1992, pp. 242 s., n. A105, 390, fig. 344); la monumentale Annunciazione nella chiesa dell’Ave Gratia Plena a Marcianise, siglata e datata 1655 (pp. 243, n. A106, 392 s., figg. 347-348); e, infine, la Visitazione della cappella Merlino al Gesù Nuovo, completata da Santillo Sannino dopo la morte del maestro (pp. 244, n. A108, 394, fig. 349).
Stanzione morì con ogni probabilità nella grande peste del 1656 (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 117), malgrado l’iscrizione «M. E.qs 1658», apocrifa o mal interpretata, un tempo leggibile sulla rovinata Trinità con la Vergine e s. Rocco nella sagrestia della chiesa napoletana di S. Pietro in Vinculis (De Vito, 1982, pp. 64 s., 71 s., figg. 44-46).
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