CIVITALI, Masseo
Fu figlio di Bartolomeo, fratello dello scultore Matteo - e viene tradizionalmente designato come Masseo per distinguerlo dallo zio. Risulta attivo a Lucca a partire dal penultimo decennio del Quattrocento; morì poco dopo il 1511, anno di nascita del figlio Giuseppe, il quale nelle Storie di Lucca scrive di essere rimasto "nell'acerba età privo del genitore" (Trenta).
Da Giuseppe si apprende che suo padre era stato allievo di Cristoforo Canozi (Genesini) da Lendinara. Tale apprendistato è databile al 1484-88, quando il Lendinara eseguì gli armadi intarsiati per la sagrestia del duomo di Lucca, per i quali è stata suggerita (Il Museo..., 1968) la partecipazione del C. oltre a quella di Iacope da Villa. Gli armadi furono smontati già nel Cinquecento ed i cinque pannelli superstiti, oggi nel Museo nazionale di villa Guinigi, non consentono di stabilire quale parte i due ebbero nell'esecuzione del complesso. Risale al Trenta l'attribuzione al C. della cassa dell'organo fatto dal maestro Domenico di Lorenzo nel 1481 per il lato dell'epistola del duomo lucchese (rifatta nel 1792, incorporando pochi pezzi della cantoria quattrocentesca). L'attribuzione è stata rifiutata (Baracchini-Caleca, 1973) in base al fatto che il C. non diventò artista autonomo se non dopo il 1488. Tuttavia l'apprendistato presso il Lendinara vale per quanto riguarda l'arte dell'intarsio ed è perciò possibile che il C. abbia avuto parte nella realizzazione della cantoria, visto che nel 1488 egli fu di nuovo associato a maestro Domenico nell'esecuzione dell'organo per la chiesa di S. Michele in Foro, oggi scomparso. Un anno più tardi, il 23 febbr. 1489, il C. firmò un contratto (Trenta, 1822) per l'esecuzione di un tabernacolo ligneo alto otto braccia contenente un'immagine sacra per la Compagnia del Crocifisso del Bianchi, opera che non ci è pervenuta.
L'allogazione al C. e a Iacopo da Villa del coro da farsi nella tribuna del duomo di Lucca reca la data 13 febbr. 1494 (Ridolfi, 1892, pp. 274-76).
Fu l'operaio del duomo D. Bertini a commissionare l'opera e nel contratto, dove i due artisti vengono chiamati "maestri di legname e di lavori sottili", è stipulato che il coro doveva comprendere un primo ordine di ventisei sedie a bracciuoli, con sedia vescovile munita di banchetto e inginocchiatoio, e un secondo ordine di diciotto sedie senza bracciuoli, il tutto in noce "e altri" come il coro grande (quindi con intarsi) e conforme al modello presentato dai due artefici. Di questo complesso rimane solo un pannello intar iato raffigurante il busto di S. Martino, oggi nel Museo nazionale di villa Guinigi. Esso deriva dall'immagine a figura intera dello stesso santo di Cristoforo da Lendinara, che proviene dal citato arredo della sagrestia, ma l'esecuzione ne differisce per l'uso di tessere di legno più piccole e per la moltiplicazione dei dettagli, specie nel ricco piviale del santo, ciò che attenua la nitida visione geometrica e prospettica tipica delle opere del lendinarese. Il pannello di villa Guinigi resta l'unico saggio di intarsio attribuibile con sicurezza al C. in quanto gli stalli del coro di S. Romano, assegnatigli da un'antica memoria manoscritta (Ridolfi, 1882, pp. 269 s. n. 1), appartengono al pieno Cinquecento, cioè all'epoca dei lavori per quella chiesa di fra' Antonio da Lunigiana.
Nel 1498 il C. eseguì il baldacchino ligneo per il pergamo scolpito da suo zio Matteo nel duomo di Lucca: scomparso, è documentato da fotografie (Firenze, Kunsthist. Institut). L'anno prima aveva avviato, con Iacopo da Villa, l'esecuzione della porta maggiore del duomo, commessa dal Bertini. A due battenti (come le due porte laterali pure attribuite agli stessi maestri), essa è composta di otto formelle riccamente intagliate e contenenti rosoni scolpiti a fogliame, che derivano dal prototipo delle porte di Giuliano da Maiano nella cappella Pazzi a Firenze.
L'attività del C. come scultore, di figure, a rilievo e a tutto tondo, è stata da sempre offuscata da quella dello zio, dal quale egli dovette dipendere, e ciò è forse anche dovuto al fatto che sembra non adoperasse mai il marmo. Che egli fosse affiliato alla bottega di Matteo è documentato non solo dal baldacchino che eseguì per il pulpito di questo nel duomo, ma anche dal pagamento che ricevette nel 1501 per il "resto dell'ornamento del tabernacolo del Corpo di Cristo", ossia il tabernacolo del Sacramento, nella chiesa di Lammari presso Lucca, l'ultima scultura di Matteo. Che egli fosse pure addetto a siffatti lavori è un ulteriore el emento a suffragio per l'identificazione di lui con quel Masseo di Bertone Civitali, che lavorò assieme a Stagio Stagi nella cattedrale di Pietrasanta all'inizio del Cinquecento (Ridolfi, 1882, p. 263). Il figlio Giuseppe cita vari lavori del padre per la chiesa di S. Frediano a Lucca (cfr. Trenta).
Eseguì le figure scolpite dell'altare nella cappella del Priore, affrescata da Amico Aspertini; l'altare scolpito dell'Assunta "ad istanza di Buonaventura Michele, cittadino nobile, honorato e ricco mercante di Lucca"; l'altare del Buonvisi, cui aveva dato principio e "che dippoi d'Ambrogio Pucci per la sua morte fu finito"; infine la cassa dell'organo "et altre cose... al tempo del R. Priore D. Pasquino Cenami". Il contratto per la cassa e cantoria dell'organo fatto dal solito maestro Domenico di Lorenzo fu firmato dal C. il 12 nov. 1498su commissione di ser Iacopo Carli (Ridolfi, 1882, p. 271). I restauri secenteschi sostituirono la cantoria ma incorporarono il perimetro della cassa originale, i cui stipiti e architrave finemente intagliati sono attribuibili al Civitali. Le immagini di S. Frediano in abiti pontificali, S. Cassio,S. Riccardo,S. Fausta e S. Zita, che dovevano ornare la cantoria, sono scomparse, a meno che non si voglia identificare in due di esse le figure, oggi imbiancate, di S. Frediano e di S. Agostino poste nelle nicchie laterali della cappella di S. Biagio, solitamente considerate provenienti dall'altare, pure scomparso, citato da Giuseppe nella cappella del Priore. Delle due pale scolpite a cui si riferisce Giuseppe, la prima è ancora collocata nella cappella Micheli: si tratta di una grande ancona lignea centinata, a rilievo policromo, che rappresenta in basso la Dormitio Virginis con gli Apostoli e in alto l'Assunta in mandorla fra gli angeli. La seconda pala, che fu compiuta dal suo allievo Ambrogio Pucci, è scomparsa. La si identificava nel rilievo frammentario rappresentante la Dormitio Virginis e l'Assunta nel Museo nazionale di villa Guinigi, finché il Ragghianti (1954) restituì quella al Vecchietta, attribuendo nella stessa occasione erroneamente l'ancona della cappella Micheli a Matteo Civitali. Quest'ultima tuttavia resta una libera versione del C. della pala del Vecchietta che fu portata a Lucca nel 1481da Neroccio de' Landi, il quale l'aveva compiuta dopo la morte del maestro. Infine delle "altre cose in detta chiesa", a cui si riferisce Giuseppe, rimane in sacrestia una figura di S. Frediano defunto, ad altorilievo in terracotta policromata.
Il corpus delle opere del C. è ancora da definire attorno al nucleo delle opere sopra citate e delle seguenti attribuzioni tradizionali: Lucca, S. Giovanni: piatto ligneo con la testa in rilievo di S. Giovanni Decollato, appeso al pilastro a destra dell'altar maggiore; Ibid., S. Paolino: figura di S. Pellegrino disteso su un sarcofago in legno policromato, già facente parte di una cassa processionale a cui appartengono i due angeli in sacrestia trasformati in reggicandelabri nell'Ottocento (l'ipotesi del Ragghianti che siano vicini all'opera di Giovanni di Turino non è stata accolta dalla recente critica); Ibid., Museo nazionale di villa Guinigi: Cristo risorto a figura intera, proveniente dalla Confraternita di S. Lorenzo ai Servi; Monte San Quirico, oratorio di Vallebuia: statua in legno policromo di S. Bartolomeo; Villa Collemandina, parrocchia: statue dell'altare maggiore. A queste opere, si aggiungono alcune terracotte: Lucca, Museo nazionale di villa Guinigi: busto della Madonna; New York, Metropolitan Museum: Angelo dell'Annunciazione policromo, già da tempo collegato con una Madonna di collezione privata ad Amsterdam come facente parte di un gruppo di terracotte attribuite a Matteo da W. R. Valentiner (Bull. of the Metropolitan Museum of Art, VI [1911]) pp. 148-151; Art in America, IX [1921], pp. 202-205).
Bibl.: T. Trenta, Memorie intorno alla famiglia dei Civitali, in Mem. e docc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, VIII, Lucca 1822, pp. 73-75; E. Nerici, Storia della musica in Lucca, Lucca 1880, p. 132; E. Ridolfi, L'arte in Lucca, Lucca 1882, pp. 263, 267-271, 274-276, 297; Id., Idiscendenti di Matteo Civitali, in Arch. stor. ital., s. 5, IV (1889), p. 213; I. Taurisano, I domenicani in Lucca, Lucca 1914, pp. 15, 35; E. Guidi, La "Pietà" di Lammari e la "Pietà" di Segromigno, in Arte cristiana, III (1915), pp. 76-77; C. L. Ragghianti, Vecchietta scultore, in La Critica d'arte, I (1954), pp. 330-335; A. C. Quintavalle, Cristoforo da Lendinara, Parma1957, pp. 88-89; E. Carli, La scultura lignea italiana, Milano 1960, pp. 88, 98; G. Coor, Neroccio de' Landi, 1447-1500, Princeton 1961, pp. 65-66; Il Museo naz. di Villa Guinigi (catal.), Lucca 1968, pp. 103, 210; I. Belli Barsali, Guida di Lucca, Lucca 1970, pp. 60, 64, 66, 83, 113, 163, 168, 180, 195, 199, 225; R. Silva, Lineamenti di una storia dell'arte organaria in Lucca, in La Provincia di Lucca, X (1970), 3, p. 70; C. Baracchini-A. Caleca, Il duomo di Lucca, Lucca 1973, pp. 48, 60, 111; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 28; Encicl. Ital., X, p. 516.