Serandrei, Mario
Montatore, nato a Napoli il 23 maggio 1907 e morto a Roma il 17 aprile 1966. Generalmente considerato colui che in Italia diede un'impostazione moderna alla figura del montatore, inteso come collaboratore del regista alla verifica e riscrittura della sceneggiatura in moviola, tra la fine degli anni Venti e i primi anni Quaranta fu uno dei protagonisti della battaglia culturale per la rinascita del cinema italiano, sia come critico sia come tecnico. Dotato di spiccata personalità, ebbe un ruolo di rilievo anche nella stagione del Neorealismo, legando il proprio nome in particolare ai primi capolavori di Luchino Visconti.
Dopo gli studi letterari, si accostò al cinema come critico: fu redattore capo (1930-1931) del periodico "Cinematografo" (1928-1931) fondato da Alessandro Blasetti, e scrisse anche su altre testate ("Il Tevere", "La rivista italiana di cinetecnica"). Non abbandonò la vocazione giornalistica nemmeno dopo il passaggio alla pratica cinematografica e, seppure in maniera più occasionale, continuò a pubblicare articoli su varie riviste ("Cinema", "Bianco e nero", "La critica cinematografica"), poi raccolti con altri scritti nel volume postumo Mario Serandrei: gli scritti (1998, a cura di L. Goiardoni).Il suo passaggio al cinema attivo avvenne nel 1930, quando seguì Blasetti alla Cines-Pittaluga: in Corte d'Assise di Guido Brignone (1930) lavorò come aiuto regista e sceneggiatore, mentre in La stella del cinema di Mario Almirante (1931) come aiuto regista e montatore; fu anche coordinatore tecnico dei diciannove numeri delle Riviste Cines (1930-1932), regista di documentari (Campane d'Italia, 1932), direttore tecnico alla Cines del reparto sincronizzazione e doppiaggio.
Si dedicò a tempo pieno all'attività di montatore dal 1939, con Un'avventura di Salvator Rosa di Blasetti, regista per il quale lavorò anche in La corona di ferro (1941), La cena delle beffe (1942) e Quattro passi fra le nuvole (1942). Il sodalizio artistico con Blasetti gli conferì un prestigio che lo portò a collaborare con alcuni dei maggiori registi italiani di quegli anni: Mario Mattoli (Il pirata sono io!, 1940), Mario Camerini (I promessi sposi, 1941), Renato Castellani (Un colpo di pistola, 1942), Luigi Chiarini (Via delle Cinque Lune, 1942), Ferdinando Maria Poggioli (Gelosia, 1942). In quello stesso periodo partecipò attivamente al dibattito sulla mancanza di autenticità del cinema italiano, e Visconti lo scelse come montatore di Ossessione (1943). Sebbene in quest'opera non sia rintracciabile uno stile di montaggio personale, è indubbio in S. un approccio al lavoro basato sull'esaltazione delle qualità narrative del materiale girato e sull'individuazione degli eventuali punti deboli della sceneggiatura, come risulta anche dal carteggio con Visconti raccolto nel succitato volume.
Subito dopo la fine della guerra prese parte al documentario collettivo sulla Resistenza Giorni di gloria (1945): ne fu, oltre che montatore, coordinatore (insieme a Giuseppe De Santis) e, in un certo senso, coautore, riordinando materiali girati da diversi registi e operatori, tra cui Visconti, Marcello Pagliero, Gianni Di Venanzo e numerosi partigiani. Interpretò il lavoro del montatore come una sorta di supervisione delle sceneggiature; in molti casi partecipò addirittura alla loro riscrittura, talvolta firmandole, come accadde per Eleonora Duse (1948) di Filippo Walter Ratti, Patto col diavolo (1950) di Chiarini, Camicie rosse ‒ Anita Garibaldi (1952) di Goffredo Alessandrini. Ebbe inoltre un ruolo non secondario nell'elaborazione della poetica neorealista, montando Caccia tragica (1947) di De Santis e La terra trema (1948) di Visconti. In seguito fu attivissimo, seguendo ‒ grazie alla collaborazione dei suoi assistenti ‒ il montaggio di sei-sette film all'anno. Fu così uno degli artefici del 'cinema popolare', partecipando prima alla realizzazione dei grandi mélo di Raffaello Matarazzo (da Catene, 1949, a L'intrusa, 1955, ma per il regista montò anche la commedia Cerasella, 1959) e poi a quella dei peplum e degli horror di Mario Bava (da La maschera del demonio, 1960, di cui fu anche sceneggiatore, a Sei donne per l'assassino, 1964), Pietro Francisci, Antonio Margheriti; in alcuni film di genere degli anni Sessanta usò gli pseudonimi Mark Sirandrews, Mark Suran e Wilson Dexter. Ma continuò a dedicarsi a Blasetti (da Fabiola, 1949, ad Amore e chiacchiere ‒ Salviamo il panorama, 1957) e a Visconti (da Bellissima, 1951, a Vaghe stelle dell'Orsa, 1965), ai quali si aggiunsero Dino Risi (da Il segno di Vene-re, 1955, a Poveri milionari, 1959), Francesco Rosi (da La sfida, 1958, a Il momento della verità, 1965), Valerio Zurlini (da Estate violenta, 1959, a Cronaca familiare, 1962). Particolare cura rivolse alla costruzione dei lungometraggi documentari, dei quali giunse a essere considerato il maggior specialista italiano: tra essi L'ultimo paradiso (1957) di Folco Quilici, La muraglia cinese (1958) di Carlo Lizzani, Soledad (1959) di Enrico Gras e Mario Craveri, Europa di notte (1959) di Blasetti, Il mondo di notte (1960) di Luigi Vanzi; firmò inoltre la supervisione del collettivo Giorni di furore (1963), che riprendeva le tematiche di Giorni di gloria. Il suo ultimo film fu La battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo, il cui montaggio venne portato a termine da Mario Morra.
Tra gli altri registi con i quali collaborò, da ricordare Alberto Lattuada, Luigi Comencini, Federico Fellini, Franco Zeffirelli, Mario Soldati, Nanni Loy, Franco Rossi, Henry Koster.