NIZOLIO (Nizolius, latinizz. di Nizoli), Mario
Letterato e filosofo italiano, nato a Brescello (Reggio Emilia) nel 1498, morto a Sabbioneta nel 1576. Fu professore nell'università di Parma e a Sabbioneta.
La sua prima grande opera, apparsa nel 1536 col titolo di Observationes in M. T. Ciceronem e poi piû volte ristampata con quello di Thesaurus Ciceronianus, gli assegna un posto eminente nella schiera dei "ciceroniani" della Rinascenza: il N. si manifesta infatti come uno dei più ferventi conoscitori e difensori di ogni eleganza dello stile ciceroniano. E il libro ebbe grande fortuna, giacché sopravvisse anche alla decadenza del ciceronismo e fu rimesso poi in onore dalla reazione classicistica dell'Arcadia. Ma questo classicismo formale si accompagna, nel N., con un deciso rifiuto di considerare l'antichità classica quale suprema fonte d'autorità e di verità: s'intende quindi com'egli abbia fieramente polemizzato, a tale proposito, contro Marcantonio Majoragio, professore di eloquenza nell'università di Milano, che pure era ciceroniano non meno di lui, ma che non condivideva l'atteggiamento del N. nei riguardi del contenuto dottrinale degli antichi autori, per quanto non mancasse di ammettere la possibilità di un superamento storico degli antichi da parte dei moderni. A questa polemica antitradizionalistica nel campo filosofico s'ispira anzi la più importante delle opere del N., e cioè il De veris principiis et de vera ratione philosophandi contra Pseudophilosophos libri IV, pubblicata a Parma nel 1553 e poi ristampata due volte col titolo di Antibarbarus philosophicus dal Leibniz (Francoforte 1671 e 1674) che la tenne in gran conto e l'accompagnò, nella prima edizione, con una Dissertatio praeliminaris de alienorum operum editione, de philosophica dictione, de lapsibus Nizolii e con note critiche. Questa antitesi tra classicismo della forma e anticlassicismo del contenuto si spiega d'altronde bene, nel N., in funzione delle sue stesse teorie concernenti la natura della forma letteraria e quindi la posizione che la scienza di essa, cioè la retorica, assume nei confronti delle altre scienze. La retorica, fornendo la capacità d'interpretare rettamente le forme espositive e ponendosi così come scienza generale rispetto a tutte le scienze particolari, permette infatti, da un lato, di valutare le concezioni dell'antichità nella loro giusta misura storica, e di evitare, dall'altro, che vengano considerate come oggetti della filosofia (ridotta a scienza delle concrete res del mondo naturale e umano, e cioè a fisica e a politica) entità risultanti solo da indebite ipostatizzazioni di forme del linguaggio. S'intende quindi come tale concezione del N., che da un lato si ricollega alla tradizione nominalistica e dall'altro anticipa, pur nel suo formalismo retorico, l'idea assai più moderna dell'ermeneutica, abbia vivamente interessato il Leibniz, intento alla risoluzione del problema del calculus ratiocinator come universale linguaggio filosofico.
Bibl.: M. Glossner, Nicolaus von Cusa und M. N. als Vorläufer der neueren Philosophie, Münster 1891; G. Pagani, M. N. umanista e filosofo del sec. XVI, in Rendiconti dei Lincei, 1893; R. M. Battistella, N., Treviso 1905; B. Tillmann, Leibniz Verhältnis zur Renaissance im allgemeinen und zu N. im besonderen, Bonn 1912; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1929, p. 81; G. de Ruggiero, Rinascimento, Riforma e Controriforma, II, Bari 1930, pp. 165-66.