ALICATA, Mario
Di famiglia siciliana, nacque l'8 maggio 1918 a Reggio Calabria dove il padre, Antonino, ingegnere capo del Genio civile, aveva l'incarico della ricostruzione della città distrutta dal terremoto del 1908. La madre, Luigina, figlia di un garibaldino, era sorella del filosofo Vito Fazio Allmayer. Nel 1925 la famiglia si trasferì a Palermo, dove egli compì gli studi elementari e ginnasiali inferiori, quindi, nel 1933 a Roma, essendo stato nominato il padre ispettore del ministero dei Lavori Pubblici. A Roma studiò al liceo "T. Tasso": qui con alcuni compagni, tra i quali P. Alatri, B. Zevi, C. Cassola, iniziò la propria attività politica nel gruppo di studenti che si era costituito attorno a R. Zangrandi. Terminato il liceo, nell'autunno 1936 si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia. Con Alatri e Zevi, l'A. decise il distacco dal gruppo di Zangrandi, poiché "l'azione "all'interno" del fascismo... non ci soddisfaceva più, anzi in un certo senso ci ripugnava" (Profilo autobiografico, in Intellettuali e azione politica, p. 328). Con lo spirito e l'esigenza di conoscere altri giovani e la loro posizione politica nei confronti del fascismo, di alimentare il dibattito e le contraddizioni politiche che li animavano, entrò nel Gruppo universitario fascista (GUF) della facoltà di lettere e partecipò ai convegni di critica letteraria dei littoriali della cultura e dell'arte del 1937 a Napoli e del 1938 a Palermo (classificandosi a questi ultimi ottavo). Entrambi - come accadde per quelli di critica artistica - furono occasioni di vivaci polemiche tra giovani conformisti e giovani che non si allineavano sulle posizioni ufficiali del regime fascista. Furono anche per l'A. occasione di nuovi contatti politici: tra gli altri, conobbe A. Trombadori, R. Guttuso, G. Sotgiu e A. Amendola. Con questi e con altri giovani conosciuti all'università, come P. Ingrao, C. Salinari, M. Socrate, C. Muscetta, l'A. diede inizio a quell'attività politica che di lì al 1940 doveva portarlo all'adesione al partito comunista.
Entrò in contatto con il gruppo di studenti antifascisti, alcuni dei quali già comunisti, che si era costituito a Roma tra il 1936 e il 1937 e che era composto, tra gli altri, da P. Amendola, A. Natoli, B. Sanguinetti, L. Lombardo Radice, A. Sanna, P. Solari, P. Alatri, P. Bufalini (questi ultimi tre, insieme con Pietro e Antonio Amendola, organizzarono nell'ottobre del 1937 l'espatrio clandestino di Giorgio Amendola). Dopo le discussioni e le polemiche che nel gruppo si svolsero in seguito al patto di non aggressione tedesco-sovietico, e dopo gli arresti (dicembre 1939-gennaio 1940) e il deferimento al Tribunale speciale di Natoli, Lombardo Radice e P. Amendola, l'A. si impegnò, con Ingrao, Bufalini e A. Amendola in particolare, nell'attività organizzativa, sciogliendo le riserve, mantenute fino ad allora, verso il Partito comunista italiano: partecipò all'organizzazione dei collegamenti con un gruppo di operai comunisti della capitale (tra i quali P. Molinari, R. Forti, G. Valdarchi), che fu troncata da una vasta ondata di arresti nell'estate-autunno 1941 (che coinvolse gli operai e numerosi studenti, come Trombadori, Bufalini, A. Giolitti, ecc.); con il gruppo dei liberalsocialisti che faceva capo a G. Calogero; con il gruppo di antifascisti cattolici (F. Rodano, A. Ossicini, M. Cinciari, don P. Pecoraro, A. Tatò, ecc.) che nel settembre 1943 diede vita al Movimento dei cattolici comunisti; infine con il centro interno del partito comunista. A causa del collegamento con un altro gruppo antifascista romano, "Scintilla", l'A. fu arrestato, insieme con M. Cesarini Sforza, G. e D. Puccini, nel dicembre 1942 e deferito al Tribunale speciale nell'aprile 1943.
Parallelamente all'attività politica, iniziò un'intensa attività critico-letteraria, collaborando a riviste e progetti culturali e divenendo assistente di N. Sapegno, con il quale si era laureato nel 1940 discutendo una tesi su Gravina e l'estetica del primo Settecento. Dal 1937 al 1940 collaborò al quotidiano romano Il Piccolo; nell'aprile 1939 iniziò la collaborazione con il settimanale di lettere e arti Il Meridiano di Roma: oltre ad articoli su De Foe, Steinbeck, Carducci, Tommaseo, ecc., compilò, assieme a Trombadori, Socrate e Sotgiu, una rubrica ("Il burchiello ai linguaioli", firmata "gli amici pedanti") di polemiche contro i prodotti ufficiali del fascismo nel campo delle lettere e contro quel mondo letterario che, caduto nel compromesso, anteponeva ai veri "valori culturali e per ciò etici ed ancora umani" le proprie esigenze di "cricca" e i propri interessi di tipo accademico, se non addirittura politico. La polemica degli "amici pedanti" proseguì sulla rivista La Ruota, diretta da M. A. Meschini, il cui comitato di redazione fu composto dall'aprile 1940 al maggio 1941, dall'A., G. Briganti, C. Muscetta, G. Petroni, G. Sotgiu, A. Trombadori. L'A. vi pubblicò saggi su Montale, Carducci, Pea, e curò le rubriche di recensioni e polemiche "Plausi e botte" e "Il Socrate immaginario".
Alla critica letteraria contemporanea, che si svolgeva "non secondo i valori e le ragioni, ma secondo le città, le piazze e le trattorie", l'A. contrapponeva un vero "rispetto e amore verso la poesia", intesi come "la volontà e la pazienza di perseguire le intenzioni e i modi d'uno scrittore fuori d'ogni pregiudizio di gusto, di setta, di maniera" ("Plausi e botte", in La Ruota, II [1941], n. 1, p. 43). Il principale bersaglio polemico era quindi "il letterato" che indugiava "nelle vacue e compiaciute schermaglie accademiche" (ibid., I [1940], n. 1, p. 35), senza sentire "il pungolo dei propri doveri etici, dei propri interessi concretamente umani" (Appuntoper le riviste letterarie, in Lettere d'oggi, III [1941], n. 5-6, p. 23): il problema non veniva tuttavia impostato dall'A. in termini esclusivamente estetici e letterari, ma ormai in termini di impegno politico, come sottintendeva, ad esempio, quando affermava che "la funzione profondamente politica e sociale dell'arte" consisteva "nell'impegnare tutta la nostra vita morale, tutta la nostra personalità", dal momento che l'arte non si rivolge "alle sparute pattuglie degli iniziati, ma si rivolge alla storia, alla civiltà: alla civiltà degli uomini, alla storia dei popoli" (in La Ruota, I [1940], n.2, pp. 119). Così come un invito all'impegno politico contro il fascismo era sottinteso nella risposta all'inchiesta sul "neoromanticismo" della rivista di G. Bottai e G. Vecchietti, Primato (alla quale l'A. collaborò con recensioni e saggi su D'Annunzio, Cecchi, Pirandello, Beltramelli, Barilli, Jovine, J. Fante): di fronte alla "crisi mortale" e "definitiva" della cultura borghese si trattava solamente "di mettere in serbo il coraggio necessario a scendere fra gli altri, fra gli uomini, per ricercare le condizioni nuove della nostra esistenza" (Delnuovo romanticismo, in Primato, n. 11, 1º giugno 1941).
A mano a mano che l'attività politica si caratterizzava - con la guerra - come l'impegno principale, anche quella culturale si chiariva sia nei suoi messaggi, sia nelle scelte delle collaborazioni ora indirizzate verso iniziative esterne alle istituzioni del regime. Nel 1941, infatti, l'A. divenne redattore della casa editrice Einaudi, della quale organizzò con G. Pintor e C. Muscetta la sede romana; ebbe, inoltre, l'incarico di proporre nuovi autori e scrittori di letteratura contemporanea per la "Biblioteca dello struzzo", curata da C. Pavese, e si occupò di tenere i rapporti con il ministero della Cultura Popolare per ottenere l'approvazione dei titoli della casa editrice.
A partire dal 1941 iniziò la propria collaborazione cinematografica con L. Visconti, insieme con P. Ingrao, G. De Santis, G., D. e M. Puccini, A. Trombadori: anche qui la battaglia era contro il cinema fascista e disimpegnato, per un cinema diverso e realista, che si rifacesse alla letteratura americana o all'opera di Giovanni Verga, i racconti del quale - scriveva l'A. con De Santis su Cinema (VI [1941], n. 127, p. 217) - "ci sembrano indicare le uniche esigenze storicamente valide: quelle di un'arte rivoluzionaria ispirata ad una umanità che soffre e spera". Oltre a sceneggiature di racconti di Verga (L'amante di Gramigna, Jeli il pastore) e alcuni progetti, dal romanzo di J. Cain, Il postino suona sempre due volte, fu tratto il film Ossessione (sceneggiato dall'A., L. Visconti, G. De Santis, G. Puccini, A. Pietrangeli), che uscì nel 1943 tra scandali e polemiche dei fascisti.
Nei nove mesi trascorsi nel carcere romano di Regina Coeli, l'A. sottopose a profondo ripensamento la propria attività letteraria e cinematografica, portando alle estreme conseguenze quella critica al "letterato" che già era stata al centro delle sue recensioni e delle sue polemiche, e individuando nell'impegno politico concreto il vero modo di essere un intellettuale: "nella società borghese - scriveva in una lettera inviata clandestinamente alla moglie Giuliana Spaini, con la quale si era sposato nel dicembre 1941 (Lettere e taccuini di Regina Coeli, p. 192) - non esiste più possibilità di "scienza" o di "cultura" o di "arte". C'è un solo mestiere utile: è quello del rivoluzionario che restaura i valori umani, sociali sui quali poi crescerà la nuova "scienza", ecc.".
Uscito dal carcere nell'agosto 1943, la scelta di "rivoluzionario professionale" era per l'A. definitivamente compiuta: "Il fatto che "trasformare il mondo e non soltanto conoscerlo" fosse l'unica via per essere coerentemente un "filosofo moderno", mi apparve vero anche al livello della moralità individuale" (Profilo autobiografico, p. 325). Dopo i quarantacinque giorni - durante i quali entrò in stretto contatto con G. Amendola ed ebbe l'incarico di dirigere per il partito comunista il giornale dei sindacati Il Lavoro italiano, con il democristiano A. Canaletti Gaudenti e il socialista O. Vernocchi -, si impegnò nella Resistenza romana e curò, con A. Natoli e E. Rocco, la redazione dell'Unità clandestina, diretta da C. Negarville.
All'indomani della liberazione di Roma, fece parte della prima giunta del Comune formata dal Comitato di liberazione nazionale e proseguì nel lavoro alla redazione dell'Unità. Nel gennaio 1945 fu inviato dal partito comunista (che lo eleggerà membro candidato del comitato centrale al V congresso della fine di quell'anno, per divenirne membro effettivo al VI, 1948) a dirigere il quotidiano dei lavoratori del Mezzogiorno, LaVoce, dapprima con N. Gaeta, quindi con L. Porzio: incarico che mantenne - con l'eccezione di alcuni mesi nel 1946, quando tornò a Roma a dirigere l'Unità - fino alla chiusura del giornale, nel luglio 1948, essendone divenuto direttore unico nell'agosto 1946.
A quella giornalistica si accompagnò un'intensa attività politica nel Mezzogiorno: membro della commissione meridionale del partito, del direttivo della federazione comunista di Napoli, eletto nel 1946 nelle liste del Blocco popolare consigliere comunale a Napoli, partecipò attivamente al lavoro di coordinamento delle forze democratiche del Mezzogiorno che, al congresso di Pozzuoli del dicembre 1947, diede vita al Fronte democratico del Mezzogiorno (del quale divenne membro del comitato esecutivo e, nel 1949, della segreteria). Nel 1948 ebbe dal partito l'incarico di seguire e coordinare le edizioni meridionali dell'Unità e di dirigere, con G. Amendola, il settimanale comunista di lotte meridionali La Voce del Mezzogiorno. Dopole elezioni del 1948, fu nominato segretario regionale del partito comunista in Calabria.
Nel corso del 1949 partecipò alla campagna per la convocazione delle Assise della rinascita meridionale (fu relatore a quelle della Calabria, svoltesi a Crotone nel dicembre di quell'anno) che culminarono nel convegno di Roma del gennaio 1950 dove fu decisa la costituzione del Comitato nazionale per la rinascita del Mezzogiorno (della cui segreteria entrò a far parte): nel novembre 1950 il comitato lanciò una "Inchiesta sulla miseria e sulle condizioni di lavoro delle popolazioni meridionali", i cui risultati, pubblicati sulla Voce del Mezzogiorno, avrebberoportato nel 1952 alla costituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta, per la quale l'A. fu relatore di minoranza alla Camera (era stato eletto deputato nel 1948 nella circoscrizione di Napoli-Caserta, e fu confermato nelle successive elezioni del 1953 e del 1958 per la circoscrizione Catanzaro-Cosenza-Reggio Calabria). Continuando sempre a garantire il proprio impegno e la propria presenza alle iniziative organizzate dal partito comunista (presiedette, tra l'altro, le Assise del popolo del Mezzogiorno, nel maggio 1951, e il convegno "Gli intellettuali italiani e il Mezzogiorno", nel febbraio 1952) e nelle battaglie per la riforma fondiaria, fu eletto sindaco di Melissa dopo le elezioni del maggio 1953.
Dal 1954 al 1964 fu direttore di Cronache meridionali, dapprimacon G. Amendola e F. De Martino, quindi solo con G. Amendola, e dal 1961 con G. Amendola, A. Alinovi, G. Chiaromonte, A. De Jaco, I. Delogu, P. Grifone, L. Incoronato, G. Napolitano, P. Ricci, P. Valenza, R. Villari.
Nel 1955 l'A. fu chiamato a dirigere, in sostituzione di C. Salinari, la commissione culturale del PCI (nella cui direzione entrò a far parte all'VIII congresso dell'anno successivo), incarico che mantenne fino al 1963.
Nonostante l'intensa attività politica, non aveva trascurato negli anni precedenti di partecipare al dibattito culturale, con quella convinzione, maturata durante gli anni della lotta antifascista e definitivamente in carcere, che fosse compito degli intellettuali partecipare "in modo attivo e conseguente" "all'opera di ricostruzione del paese" (Gliintellettuali italiani e noi comunisti, in l'Unità, 19 dic. 1945). Ed era da questa convinzione e dalla certezza che non potesse esistere un'"arte "umana", che non abbia come obbiettivo una conquista di verità" e che non vi fosse alcun bisogno di un'arte che "non aiuti gli uomini in una lotta conseguente per la giustizia e la libertà", che aveva dato inizio a quella polemica con La corrente "Politecnico" (Rinascita, III [1946], p. 116), che si sarebbe ampliata in un serrato confronto sui problemi del rapporto politica-cultura, fra P. Togliatti ed E. Vittorini. La necessità dell'impegno politico degli intellettuali anche attraverso i loro prodotti letterari e artistici, era rimarcata dall'A. con ancor più vigore in merito ai problemi del Mezzogiorno e alla cultura meridionale, manifestandosi in particolare nella polemica con quanti esaltavano o consideravano la "civiltà contadina meridionale" in sé: "la lotta per il riscatto del Mezzogiorno - affermava infatti nel 1954, in polemica con C. Levi e R. Scotellaro - non può risolversi che nello sviluppo organizzato, anche sul terreno delle coscienze, di un grande movimento popolare non solo di contadini, ma di intellettuali e in genere di ceto medio urbano, che può estendersi fino a comprendere la stragrande maggioranza delle popolazioni delle regioni meridionali e delle isole, sempre a condizione però che tale movimento comprenda l'esigenza dell'alleanza con la classe operaia e ne accetti la direzione, in quanto solo con questa alleanza e sotto questa direzione può essere condotta fino in fondo, conseguentemente, la lotta contro i nemici storici del Mezzogiorno: il blocco agrario-industriale, l'imperialismo italiano e straniero" (Ilmeridionalismo non si può fermare ad Eboli, in Cronache meridionali, I [1954], p. 602).
Con l'assunzione della responsabilità della commissione culturale del Partito comunista italiano si impegnò in questa direzione partecipando in prima persona al dibattito che animò il mondo intellettuale e culturale attorno al 1956 (fece tra l'altro parte, dal 1957, della redazione di Rinascita mensile e, dal 1960, del comitato direttivo del Contemporaneo mensile; mentre nel 1949 era stato membro del direttivo di Società). L'ideale dell'impegno si concretizzava ora in una precisa richiesta di partecipazione nell'invito - come affermava intervenendo nell'inchiesta promossa dal Contemporaneo, su "Dieci anni di cultura in Italia" (Gli ottimisti e i pessimisti, 25 febbr. 1955) - "a conoscere e a trasformare il mondo reale nel quale ci muoviamo, il nostro paese, l'Italia, e a mettersi seriamente a rifare la storia del nostro paese, o ad indagarne i problemi economici e sociali, o a rileggerne gli scrittori, ecc.".
L'azione culturale del partito doveva, per l'A., articolarsi, in primo luogo - come sosteneva nel dibattito sulla cultura marxista del Contemporaneo (Troppo poco gramsciani, 30 giugno 1956) -, "nella lotta per il rinnovamento delle strutture "statali" della vita culturale italiana"; in secondo luogo, concentrandosi sull'"opera di diffusione del marxismo …approntando e facendo vivere gli strumenti necessari per quest'opera", dovendo quindi diventare il partito soprattutto "un organizzatore del dibattito delle idee". Con queste premesse l'A. si impegnava, da un lato, nella battaglia per la riforma della scuola, dall'altro sostenendo e sollecitando le iniziative e le strutture organizzative del partito comunista nel campo della cultura, a cominciare dall'Istituto Gramsci (intervenendo, tra l'altro, ai convegni "Problemi del realismo in Italia" e "Avanguardia e decadentismo", del gennaio e del luglio 1959), fino alle organizzazioni culturali di massa che facevano capo all'Associazione ricreativa culturale italiana (ARCI).
Il problema della riforma della scuola fu posto dall'A. al comitato centrale del partito del novembre 1955, con il proposito che esso divenisse "la chiave della nostra battaglia delle idee". Ritenendo che il primo "male organico" della scuola italiana fosse consistito nell'incapacità di "adempiere al suo compito primordiale, cioè di garantire a tutti indistintamente i cittadini italiani un minimo di istruzione obbligatoria gratuita, acquistando così di conseguenza una aperta impronta di classe", l'A. individuava al centro della riforma il diritto "dell'istruzione obbligatoria e gratuita fino ai 14 anni" e di un'istruzione che non dividesse la scuola "in una scuola e in una sottoscuola". La scuola dell'obbligo costituiva quindi "il punto chiave" della battaglia per la riforma, all'interno della quale tutti i problemi riguardanti "strutture organizzative e contenuto dell'insegnamento; condizione degli insegnanti e loro formazione professionale; realizzazione del principio della scuola dell'obbligo e sostanza democratica dell'istruzione di base" dovevano essere considerati "un tutto inscindibile".
L'attenzione posta dall'A. ai problemi dell'organizzazione della cultura e alle strutture statali, si accompagnava a una riflessione sugli sviluppi tecnici e tecnologici della società italiana e, in relazione a questi, sul tipo di rapporto che si doveva stabilire tra intellettuali e masse: proprio lo sviluppo dell'"industria culturale" imponeva di concepire la "lotta per il rinnovamento culturale" come "una lotta capace di investire fin da questo momento le grandi masse" e di battersi contro "il modo deformato di concepire la "massificazione" della cultura, per una effettiva rivoluzione culturale di massa" (Rinnovamento culturale e cultura di massa, in Rinascita, XVIII [1961], p. 594).
I mezzi culturali di massa divenivano quindi un altro aspetto dell'attività dell'A., sia alla commissione culturale comunista, che al Parlamento: nel 1954intervenne alla Camera con un discorso "Contro l'attacco americano alla cinematografia italiana"; nel 1955 presentò con altri un "Progetto di legge per la cinematografia"; dopo le elezioni del 1958entrò nella commissione Istruzione e Belle Arti della Camera e nello stesso anno pronunciò un discorso su "Cinema e teatro vittime di 12 anni di monopolio clericale".
Nel marzo 1962 venne nominato direttore delle due edizioni di Roma e di Milano dell'Unità e iniziava un'intensa attività pubblicistica sugli aspetti politici sia interni sia internazionali; intensificava ulteriormente il suo impegno nella direzione del partito comunista (nella quale venne confermato al X congresso del 1962) e quindi, dal 1964, nella segreteria. Dopo le elezioni del 1963 (rieletto nella circoscrizione di Siena) entrò a far parte della commissione Affari Esteri della Camera; portò avanti la battaglia del suo partito contro il centrosinistra con vari interventi; nel 1964 fece parte della commissione d'inchiesta sul disastro del Vajont.
La questione della coesistenza pacifica e dei movimenti comunisti internazionali diveniva centrale nella sua attività ideale e politica: "non c'è contrapposizione - affermava nell'editoriale di apertura del primo numero di Critica marxista del gennaiofebbraio 1963 - fra lotta per la coesistenza pacifica e lotta contro l'imperialismo; non c'è contraddizione fra coesistenza pacifica e avanzata del movimento di liberazione nazionale e per il socialismo" (p. 7). Tema che riporterà all'XI congresso del partito comunista (1966), per il quale era stato tra i coordinatori del lavoro di elaborazione delle tesi. Fu lui, tra l'altro, a far conoscere alle direzione del partito il memoriale di Togliatti, che L. Longo gli consegnò a Yalta nell'agosto 1964.
L'ultimo suo impegno politico fu sul sacco di Agrigento e sull'alluvione di Firenze, per i quali pronunciò nell'agosto e nel dicembre 1966 in Parlamento discorsi che mettevano sotto accusa l'incapacità delle classi dirigenti nel preservare il patrimonio artistico italiano.
Morì a Roma il 6 dic. 1966.
Opere: Una bibliografia completa degli scritti dell'A. dal 1937 al 1966 è in Intellettuali e azione politica, a cura di R. Martinelli e R. Maini, Roma 1976, pp. 463-503. Si rimanda qui solo a quelli di carattere generale e ai volumi pubblicati dopo la morte: Avventure e scoperte. Nuove letture per i ragazzi italiani della scuola media, con C. Muscetta, Firenze 1941; La riforma della scuola, Roma 1956; La lezione di Agrigento, prefaz. di E. Macaluso, ibid. 1966; Scritti letterari, introduz. di N. Sapegno, Milano 1968, La battaglia delle idee, prefaz. di L. Gruppi, Roma 1968; Intellettuali e azione politica, ibid. 1976; Lettere e taccuini di Regina Coeli, prefaz. di G. Amendola, introduz. di A. Vittoria, Torino 1977.
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