CAMPIANI, Mario Agostino
Nacque a Piperno (od. Priverno) nella Campagna romana il 10 dic. 1694 da Cesare e Margherita Martellucci. Studiò dapprima nel paese natio, al collegio dei padri di S. Nicola. Trasferitosi a Roma, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza divenendo allievo di Gian Vincenzo Gravina. Fece quindi parte precocemente di quel gruppo di giovani che l'insegnante calabrese accoglieva nella sua casa istruendoli non soltanto nel diritto, ma anche nel gusto letterario. Si laureò in utroque il 21 febbraio del 1714.
Nella cerchia del Gravina ebbe modo di conoscere altri rappresentanti del ceto intellettuale romano: dai fratelli Metastasio al giovane Francesco d'Aguirre, anch'egli allievo del giurista calabrese. Dei rapporti di quest'ultimo col giovane C. si fa infatti menzione nel suo carteggio col Muratori.
Quando poi il d'Aguirre ricevette da Vittorio Amedeo II l'incarico di riformare lo Studio torinese, non esitò a rivolgersi al C. di cui intuiva il grande valore. Nella scelta avevano giocato di certo - oltre l'antica amicizia e frequentazione - una certa identità di vedute politico-religiose, la simpatia per il rigorismo e un filogiansenismo attivo più sul piano politico che su quello teologico. L'incarico all'università di Torino strappò il C. alla professione di avvocato, che aveva iniziato a Roma subito dopo la laurea. Giunto nella capitale subalpina nel 1721, si incontrò con tutto il gruppo dei professori chiamati da diverse parti d'Italia dal d'Aguirre, da Costantino Grimaldi a Bernardo Andrea Lama, Francesco Domenico Bencini, Giuseppe Roma e Domenico Regolotti. A Torino, per opera del d'Aguirre, si costituiva così un nucleo di insegnanti che aveva avuto in qualche modo una formazione comune, frequentando Celestino Galiani (Lama, Bencini e Roma) e Gianvincenzo Gravina (Lama, Campiani e Regolotti): "colonia romana", come amavano definirsi scherzosamente nelle lettere, insieme con professori di tradizione gallicana, in modo che la cultura locale fosse completamente rinnovata non solo sul piano scientifico (dove il Lama e il Roma avrebbero potuto riproporre le esperienze newtoniane di Celestino Galiani, apprese nel cenacolo ristretto del convento di S. Eusebio) e giuridico (dove il C. avrebbe diffuso la lezione graviniana), ma anche letterario (e qui si trattava di contrapporre la "ragion poetica" e il "buon gusto" al barocco della tradizione che si ispirava ancora al Tesauro). Il C. fu subito impegnato a dar prova di sé nella prelezione (edita poi in Formularum et orationum liber..., pp. 98-115) recitata il 7 nov. 1721 nella gran sala dell'università, alla presenza non solo di tutti i professori, ma anche del magistrato della Riforma e dei tre collegi.
Il tema, che svolse la necessità di studiare il diritto ecclesiastico, è chiaramente di ispirazione graviniana; scritta in latino elegantissimo, l'orazione mostrava altresì una decisa tendenza regalistica, denunciando gli abusi che possono nascere quando si confondono le due giurisdizioni e la Chiesa intervenga a limitare i diritti dello Stato. Per questo era indispensabile lo studio del diritto canonico ed ecclesiastico.
Negli anni immediatamente successivi il C., il quale stava lavorando alla stesura della sua opera più impegnativa, il De officio... magistratuum Romanorum, fu coinvolto in una polemica letteraria che mostra chiaramente tutte le difficoltà dei professori innovatori in un ambiente sostanzialmente ostile.
Era morta la principessa di Carignano; il Lama, il Campiani e il Regolotti avevano scritto le epigrafi. Poiché queste si ispiravano al gusto decoroso dell'Arcadia e alla semplicità graviniana, provocarono la reazione e la polemica dei letterati locali, ancora legati al gusto barocco. Campione di questi era il gesuita Giacinto Ferreri, che fece circolare una scrittura contro le epigrafi dei tre professori intitolata I difetti dell'artefice maestri dell'arte. In realtà la polemica trascendeva, nelle intenzioni dei gesuiti, il puro fatto delle epigrafi ed era piuttosto uno dei tentativi di screditare l'università e la nuova cultura, che minacciava il monopolio gesuitico sull'educazione piemontese. Rispose per tutti il Lama con due volumetti intitolati Degli elogi funerali (Torino 1723 e 1725), in cui si smontava la cultura barocca e si riaffermava la lezione del buon gusto secondo le indicazioni del Gravina e del Muratori. Circolarono poi, manoscritte e a stampa, altre scritture dell'una e dell'altra parte. Le più vivaci erano certamente quelle del gruppo di cui faceva parte anche il Campiani. Il Muratori, avendo ricevuto i volumetti del Lama, plaudì ai professori piemontesi, considerandoli allineati con la sua stessa battaglia per il rinnovamento.
Nell'anno 1724 il C. pubblicò a Torino la prima parte del suo De officio et potestate magistratuum Romanorum et iurisdictione libri duo. Quest'opera, dedicata al sovrano, mostra come fosse effettivamente piena di entusiasmo la partecipazione degli intellettuali raccolti dal d'Aguirre al programma di rinnovamento culturale.
Nella dedica c'è infatti una breve storia dell'università di Torino e della politica culturale sabauda fino alle riforme di Vittorio Amedeo II, che stavano portando in Piemonte una più solida teologia, una più elegante filosofia, una più sottile matematica e rinnovando completamente la scienza medica e giuridica. A sottolineare il carattere anche didattico di quest'opera nata per l'università c'è una seconda dedica "Studiosis iuris adulescentibus". Secondo la lezione del proprio maestro, vi è una netta acquisizione dei temi della giurisprudenza "culta". Contro la tradizione dell'avvocato che trae tutta la sua scienza more italico, il C. afferma la necessità di una preparazione che, oltre la filosofia e le lingue classiche, sia fondata sulla storia e su tutte le discipline ausiliarie. Il campo di applicazione più tipico per il C. di questa impostazione metodologica è appunto la storia della società romana; anche se le leggi mostrano nel tempo forme di potere diverso, fra di esse non vi è rottura o contraddizione, ma sviluppo. Nei consoli era confluito gran parte del potere regio; la nuova potestas imperiale, come aveva mostrato il Gravina, si era poi formata assorbendo i poteri di tutte le magistrature esistenti (p. 9 dell'edizione ginevrina del 1725). In realtà il C. sembra combinare l'influenza del Gravina con una visione più nettamente regalistica. Il sovrano, che ha diritto di pace e di guerra, diffonde il suo potere attraverso i magistrati. Non è più lo ius sapientioris di graviniana memoria ad essere un elemento fondamentale della società civile, ma piuttosto la forza delegata che passa nei magistrati, ma promana dal principe. L'opera, che non va oltre il primo libro, analizza tutte le cariche e magistrature romane, delineandone le caratteristiche. Piuttosto interessante è il paragrafo XLVII, De iure asyli in principum statuis, sull'asilo ecclesiastico. Il C., come del resto lo stesso d'Aguirre in un'opera dedicata a questo tema e pubblicata nel 1763, mostra come il diritto d'asilo avesse un'origine pagana e risalisse alla lex Iulia maiestatis (pp. 152 ss.).
Quest'opera ebbe un certo successo. Nel 1725 fu ristampata a Ginevra da Marc Michel Bousquet e recensita con molto plauso dagli Acta eruditorum di Lipsia. Il d'Aguirre, che da qualche anno intratteneva corrispondenza col Muratori, gli inviò questo libro. Il Muratori rispose alla missiva del privernate che accompagnava il plico (19 aprile 1725) con una lettera del 7 giugno 1725 (L. A. Muratori, Epistolario, a cura di M. Campori, Modena 1901-1922, VI, p. 2446): "Certo ha gran tempo che l'Italia non ha prodotto libro in materia legale erudita, che sia di sì buon gusto come il suo e in cui si vegga risuscitato l'ottimo genio degli Alciati, Panciroli, Gravini, Cuiaci...". Un anno dopo il C. scriveva ancora al Muratori, preoccupato della notizia che questi stesse poco bene di salute e mostrandosi perfettamente consapevole della grandezza dell'impresa dei Rerum. Il Muratori lo rassicurava il 7 genn. 1727, esortandolo a non lasciare in ozio il suo ingegno. L'anno 1727 fu per il gruppo dei professori trapiantati a Torino piuttosto difficile. Da una parte il concordato con Roma rendeva necessaria una maggiore prudenza e cautela sul piano politico e religioso, dall'altra il conflitto fra il d'Aguirre e i funzionari locali (soprattutto il Caissotti e il Mellarède) avrebbe costretto il primo ad andarsene al servizio di Carlo VI. Questo privava i professori di una guida politica autorevole. Comunque, nonostante le difficoltà il C. riuscì a pubblicare (Torino 1728) un volumetto, Formularum et orationum liber singularis, dedicato all'amico p. Roma. Ne ricordava brevemente, ma affettuosamente, i precedenti romani, come teologo del cardinale Annibale Albani. Si soffermava soprattutto sul ruolo avuto dal beamese nel rinnovamento della cultura piemontese. Il padre Roma era stato duramente attaccato, ma aveva saputo difendersi con vigore.
L'operetta comprendeva formule e leggi universitarie tradotte in latino elegantissimo dal C. (anche qui il richiamo alle leggi dell'Arcadia del Gravina è un po' inevitabile), nonché le orazioni del Campiani. Anche quelle del Lama erano rilegate insieme dallo stesso editore. Le formulae erano recitate dal professore (e in questo caso il C. traeva esempio soprattutto dalle proprie) nelle varie occasioni della vita universitaria. Per noi sono interessanti perché dedicate ad allievi che diventeranno abbastanza famosi, come il conte Malabaila di Canale, Antonio Morello ed altri futuri alti impiegati dell'amministrazione piemontese. Dopo la traduzione latina delle leggi universitarie ci sono le orazioni, di cui la prima è quella già citata del 7nov. 1721, De pontificii iuris addiscendi necessitate (pp. 98-115); la seconda riguarda la cooptazione di Ludovico Genta nel collegio dei leggisti (aprile 1723; pp. 115-130); la terza, del novembre 1726, De pontificii iuris facilitate ad iuris eiusdem studiosos, riprende i temi sviluppati nella prima, cercando di mostrare non solo l'utilità, ma anche la non eccessiva difficoltà del diritto ecclesiastico e canonico; la quarta e la quinta riguardano ancora la cooptazione di G. Francesco Morozzo e del Malabaila di Canale.
Anche questo libro fu apprezzato dal Muratori, come mostra la lettera del C. a questo del 29 giugno 1728: "un germoglio di tanta pianta è quella benevolenza, con cui avvalora i deboli e fa animo ai meno coraggiosi, lodando ciò che appena è degno di compatimento ed ingrandendo le cose picciole, come ha fatto appunto con me, nel gradire, commendare et innalzare il misero pregio di alcune meschinissime formule...". Ma la stima del Muratori doveva essere sincera, se l'anno dopo chiedeva al C. di diventare membro dell'Accademia degli Assorditi di Urbino, che subito accettava (lett. del 17 sett. 1729). Il 1729 fu molto duro per il Campiani. Gli era stato affidato un lavoro impegnativo: raccogliere e ordinare le decisioni dei Senati di Torino, Casale e Nizza. In quest'opera fu aiutato da due allievi, Brea e Niger, destinati a diventare a loro volta presidenti del Senato. Il lavoro non vide mai la luce, ma fu una delle imprese più rilevanti del giurista. Mentre era intento a questo, ebbe a subire un durissimo attacco da parte del partito zelante insieme con due teologi dell'università, l'alsaziano Krust e il savoiardo Mellet. Fu fatto circolare un foglio a stampa che conteneva proposizioni estratte dalle opere e soprattutto dalle lezioni dei tre. Erano proposizioni regalistiche, mescolate con opinioni teologiche condannate dalla Chiesa. Il magistrato della Riforma delegò allora i canonici Boggio e Colombardo ad esaminare l'attività dei professori. L'analisi fu lunga ed accurata e si risolse totalmente a loro favore. Il manifesto che pubblicava le relazioni assolutorie e la presa di posizione favorevole ai professori del magistrato della Riforma è dell'11 ag. 1731. Intanto il C. era passato nel 1729 dalla cattedra di istituzioni canoniche a quella di diritto canonico.
Per questa attività scrisse il trattato, rimasto inedito, De arte critica in canonum prudentia, di cui ci rimane una ampio riassunto del Somis (pp. 73-98) e che appare ispirato al De studiis monasticis del Mabillon. Coglie la differenza fra la "disciplina" della Chiesa attuale e quella primitiva; è un avversario del probabilismo; inizia la scuola di canonistica che vedrà fra i suoi campioni Chionio, Berardi, Bono.
Rimasto in questi anni in corrispondenza con il d'Aguirre, non si adattò facilmente al nuovo clima piemontese. Sperava, come altri, di potersene allontanare, ma non aveva né la capacità di decisione del siciliano, né lo spirito d'avventura del Lama. Un grave lutto lo colpì nel 1732, la morte della moglie, Anna Teresa Radel, con cui si era sposato a Torino l'8 ott. 1725. Rimase solo con due bambini, un maschio ed una femmina. Ne scriveva, ancora inconsolabile, il 13 apr. 1733 al Muratori. Da allora la ripresa fu lenta e difficile. Carlo Emanuele III il 9 ott. 1735, secondo le nuove costituzioni universitarie del 1729, lo creò preside della facoltà di legge.
Nel gennaio del 1735 era stato colpito da una malattia epidemica che aveva fatto molte vittime a Torino e durante la quale era morto Domenico Regolotti. In questa occasione il Muratori, informato dal Tagliazucchi, si era mostrato molto preoccupato per la salute del C.: "ci mancherebbe ancora questa che codesta università, anzi l'Italia, perdesse un letterato di tanto sapere e che fa sopra gli altri onore a Torino" (Epist., VIII, p. 3399)
Un anno dopo la nomina a preside, pur essendo ancora molto giovane, chiese di andare in pensione. Il Somis (p. 108) lascia intendere che egli fosse logorato fisicamente e spiritualmente dalle difficoltà che avevano accompagnato la sua carriera di studioso. Inoltre non solo tutti gli antichi compagni (tranne il padre Roma, Giuseppe Pasini e Domenico Bencini) erano scomparsi o si erano allontanati dal Piemonte, altri, coinvolti insieme con il C. nella polemica del 1729, come il Krust e il Mellet, stavano per essere licenziati. Lo Stato sabaudo si preparava proprio quell'anno ad arrestare il Giannone, rifugiatosi a Ginevra. Alle ragioni personali, di stanchezza e di esaurimento, si aggiungeva quindi il clima esterno. Ritiratosi a Piperno, colpito dolorosamente dalla perdita di un fratello che lo aveva accompagnato fin da ragazzo nei viaggi e nella sua avventura piemontese, ricevuti gli ordini sacri, divenne sacerdote e si dedicò esclusivamente alla vita spirituale nel paese natio, dove morì il 19 marzo 1741, all'età di quarantasette anni.
Fu sepolto nella chiesa parrocchiale dove due lapidi (riportate dal diligentissimo Somis) ne ricordano la fama di giurista e di integro sacerdote al concittadini.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Trivulziana, cod. 196; Archivio di Stato di Torino, Lettere particolari, C, mazzo XI; Modena, Biblioteca Estense, Archivio Muratori, Campiani;oltre all'ampio elogio scritto da G. B. Somis, Elogio del professore C., in Ozi letterari, Torino 1878, I, pp. 3-165, cenni alla sua attività di insegnante in T. Vallauri, Storia delle università degli studi del Piemonte, Torino 1875, passim;F. Venturi, Alberto Radicati di Passerano, Torino 1954, pp. 115-117; G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1957, II, passim; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'università di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958, pp. 10-13; Il giansenismo in Italia. Collezione di documenti, a cura di P. Stella, I, 1, Piemonte, Zürich 1966, pp. 123, 126; 2, ibid. 1970, pp. 64, 73; G. Ricuperati, Bernardo Andrea Lama professore e storiografo nel Piemonte di Vittorio Amedeo II, in Boll. storico-bibliogr. subalpino, LXVI (1968), pp. 11-101. Un importante documento sull'attività del C. in Piemonte è stato ritrovato recentemente da A. Ruata Piazza e M. Roggero nell'Archivio di Stato di Torino, Scuole secondarie ecollegi, mazzo I. Si tratta di una relazione del C. e di Carlo Giacinto Boglione scritta a proposito delle riforme del 1729 sui diritti sovrani sulle scuole e collegi della Savoia e Piemonte. Sarà utilizzata all'interno di una ricerca collettiva sull'istruzione in Piemonte, su cui per ora cfr. G. Ricuperati, L'università di Torino nel Settecento. Ipotesi di ricerca e primi risultati, in Quaderni storici, 23, 1973, pp. 575-598 (il C. citato a p. 577).