MARINONI, Giovanni Battista (Giambattista), detto Giove. – Nacque a Venezia il 4 ott. 1596, nella parrocchia di S. Giovanni in Oleo o Novo, da Bernardino «peatèr» (conduttore di grosse imbarcazioni a fondo piatto per il trasporto di merci nei canali veneziani) e da Giustina. Il padrino Berto (Alberto) era un fabbricante di botti. Nel 1613 il M. intraprese la carriera ecclesiastica; il 9 giugno 1618 fu ammesso al suddiaconato e il 1° apr. 1623 fu ordinato sacerdote. Rimase in servizio presso la parrocchia veneziana di S. Ternita (Trinità)
fino al 21 ag. 1631, quando Girolamo Marchiori, parroco di S. Fosca, lo volle come «giovine di chiesa»; ciò significa che il M. era stato ordinato sacerdote senza aver costituito il prescritto patrimonio ecclesiastico, per cui s’impegnava a servire quella chiesa che gli avrebbe assicurato il sostentamento.
Non è dato sapere con quali maestri abbia appreso l’arte musicale, che doveva certamente essere di eccellente livello sia nel campo vocale – aveva buona voce di tenore – sia in quello compositivo. La sua attività artistica in seno alla Cappella ducale di S. Marco iniziò con l’assunzione, il 6 luglio 1623, come tenore e con un salario annuo di 70 ducati. Il 14 luglio 1624 ottenne licenza di assentarsi per 18 giorni, con l’impegno però di cantare nel coro la domenica. Il 31 marzo 1626 fu assunto nuovamente e il suo salario fu portato a 80 ducati. Lasciò in seguito ancora il posto di cantore marciano, per essere assunto un’altra volta l’11 genn. 1642.
L’attività artistica dei cantori e strumentisti della Cappella Marciana era regolamentata da norme stabilite dal doge. Per l’attività «extra-moenia» i musici si organizzavano nelle compagnie dei cantori, soprattutto per la divisione dei proventi ricavati dai servizi prestati in altre chiese e monasteri. I cantori dovevano farne espressa richiesta alle autorità preposte e il permesso veniva concesso per iscritto, in un modulo a stampa su cui erano indicati il nome del capo dei musici, il monastero o la chiesa, e quale fosse la festa da celebrarsi con solennità.
Nel 1616, per esempio, i provveditori sopra i Monasteri infliggevano «ducati cento, pregion, bando et galera» a chi fosse andato «ad insegnar a cantar o sonar» nei monasteri senza la loro previa licenza scritta (Vio, 1986-87, p. 356). Il 5 dic. 1639 «Prè Zuanne Giove [è] ammonito a non andar a cantar in chiese di monache senza espressa licenza del presente eccellentissimo magistrato» (ibid., p. 358). Nel 1624 «don Gio. Batta Giove» era uno dei cinque tenori scritturati per la festività della Scuola di S. Rocco, e così nel 1627. Nel 1645 «prè Zuan Battista Marinoni» risulta in un elenco a capo di tutti i cantori e strumentisti scritturati per la festa del monastero di S. Caterina in Venezia alla quale partecipò come organista Francesco Cavalli (Pietro Francesco Caletti).
Il M. è ricordato anche per la venerazione che nutriva nei confronti del suo maestro di cappella C. Monteverdi, del quale promosse le solenni esequie il 15 dic. 1643 nella chiesa veneziana di S. Maria Gloriosa dei Frari. Fu Matteo Caberloti, piovano della chiesa veneziana di S. Tomà, che tenne l’orazione funebre, pubblicata poi con il titolo Laconismo delle alte qualità di Claudio Monteverde nel volume miscellaneo Fiori poetici raccolti nel funerale del molto illustre e molto reverendo signor Claudio Monteverde, curato dal M. ed edito a Venezia nel 1644.
La raccolta comprende 20 poesie in latino e in italiano, fra cui alcune congegnate a rebus composte in onore dell’illustre musicista scomparso. Particolare importanza è stata attribuita dagli storici a questa raccolta promossa dal M., grazie soprattutto al contributo di Caberloti, quale testimonianza della considerazione di cui godeva Monteverdi.
Dopo la morte di Monteverdi la Cappella Marciana visse il travaglio della successione. Vi furono aspettative per probabili avanzamenti di carriera da parte dei musicisti più quotati: giunsero candidature da Padova, Mantova, Milano, Bergamo e anche da Roma, ma la scelta cadde sul vicemaestro di cappella Giovanni Rovetta. Il M., che forse aspirava anch’egli alla prestigiosa carica, si trasferì invece a Padova, dove poteva avere maggiori probabilità di succedere ad Amadio Freddi, maestro di cappella della cattedrale, scomparso il 20 sett. 1643. Nel frattempo Francesco Monteverdi, che aveva assistito il padre a Venezia durante la breve malattia che lo condusse a morte, veniva riassunto nella Cappella Marciana, lasciando libero il suo posto di tenore in quella della cattedrale di Padova. Il M. gli subentrò ottenendo il beneficio della cappellania di S. Paolo. Il 9 genn. 1644 i canonici padovani, riuniti per eleggere il nuovo maestro di cappella «non sapevano ritrovar soggetto più degno e sofficiente del reverendo don Giovanni Battista Marinoni da Venetia» e, considerata «la notoria sufficienza e singolar fama di questo soggetto» (Lovato, p. 197), gli furono proposti un contratto della durata di 6 anni, la casa d’abitazione e un salario di 120 ducati. Metà del salario era pagato dalla sacrestia per la carica di maestro di cappella, l’altra metà dal seminario per insegnare il canto figurato e il contrappunto ai chierici della chiesa e del seminario. Il 21 genn. 1645 il capitolo si riunì per discutere di una supplica nella quale il M. confessava la sua «debolezza» nell’insegnare ai chierici e dove dichiarava che «non aveva né spirito né forze per poter continuare», aggiungendo che se lo avesse fatto sarebbe stato con danno e «giatura» per la sua vita (ibid., pp. 198-200): chiedeva, pertanto, d’essere esonerato dall’insegnamento rinunciando al relativo salario, mantenendo invece quello di maestro di cappella. La richiesta suscitò forti perplessità nei canonici, che si consultarono con il vescovo; questi non accolse la richiesta e perciò al M. non rimase che rassegnare le dimissioni.
Il 20 genn. 1647, infatti, fu riassunto nella Cappella Marciana «con lo stipendio che haveva prima, con condizione però che debba haver il loco solamente come ultimo condotto in questo giorno» (Vio, 2002, pp. 201 s.), cioè senza alcun privilegio d’anzianità di servizio.
Quella «debolezza» confessata ai canonici nell’insegnare canto figurato e contrappunto può far pensare a una acerba preparazione in campo compositivo, ma non esclude un coinvolgimento del M. in questa attività, confermato dalla sua presenza a Treviso per la «sagra delle novizze», una delle tradizioni più caratteristiche per la sfarzosità del culto del monastero benedettino di S. Teonisto.
In una nota spese del 29 apr. 1646 risultano consegnate lire 76 «al sig. Giov. Battista Giove, maestro che a fato la musica» e anche «all’organista, a quel cantante da Marostega con il violin, al padre tenor, alo falsetto, ai tromboni e violini, al putto, al padre basso, ali sigg. cantori di Trivizo, al rev. sig. Galasso per aver insegnà alle revv. Madri» (Liberali, p. 175): un organico decisamente interessante costituito da solisti, coro e strumentisti per i quali il M. aveva composto le musiche.
Il M. morì a Venezia il 10 apr. 1657 nella parrocchia di S. Fosca, del cui capitolo era membro come «primo presbitero» (cfr. Vio, 2002, p. 201).
Il 7 apr. 1657 il notaio Paolo Bracchi raccolse le sue ultime volontà, aggiungendo all’indomani un codicillo. Il M. disponeva tra le altre cose che i quattro quadri collocati nel portico della sua abitazione fossero consegnati al parroco di S. Fosca per essere esposti nell’organo della chiesa nella festa della patrona e in altre solennità; la stessa cosa sarebbe dovuta avvenire nella chiesa del monastero di S. Caterina nel giorno della festa della santa. I quadri raffiguravano quattro musicisti: Monteverdi, G. Gabrieli, A. Grandi e lo stesso Marinoni. Tale disposizione testamentaria fa supporre che i quattro musicisti avessero più volte partecipato alle solenni feste patronali, segno degli intensi rapporti professionali che il M. intratteneva con i più famosi protagonisti della musica in Venezia. Stabiliva inoltre che il suo «armer delle musiche, con tutte le musiche che si trovano dentro» fosse dato all’ospedale della Pietà, chiedendo che ogni anno si cantasse una messa in suo suffragio. Al musico marciano Carlo Ruggeri, uno dei testimoni delle sue ultime volontà, lasciò le sue «bagatelle» che si trovavano in una sua casa a Mestre. Nel testamento ordinò inoltre che l’organaro Francesco «Cremasco» portasse a termine la costruzione d’un «organetto» del quale aveva già pagato i materiali occorrenti; per la mano d’opera, invece, aveva dato in cambio la sua spinetta. L’organaro, citato soltanto con il nome di battesimo, è da identificarsi con Francesco Magini, che proprio in quell’anno iniziò la sua attività a Venezia come «conservatore degli organi» di S. Marco.
Dal testamento del M. si ricaverebbe una ulteriore conferma della sua attività compositiva: la biblioteca del Franjevački Samostan (convento francescano) di Omiš (Croazia) conserva il manoscritto di un Salve Regina per due voci maschili e organo in do maggiore «del Marinoni», datata Venezia 1797 (catal. 1991, n. 319); la parte dell’organo reca l’annotazione: «portata da Venezia». Il catalogatore ha dubitativamente assegnato l’antifona a Girolamo Marinoni; non si tratta comunque di una copia manoscritta dell’antifona contenuta nel suo primo libro di mottetti (Venezia 1614), perché diversa sia nella tonalità sia nelle parti; inoltre, il carattere sobrio del brano non è riconducibile alla scrittura virtuosistica di Girolamo. Questo pezzo rappresenterebbe pertanto l’unica composizione pervenuta del M., quasi certamente appartenuta al disperso fondo musicale da lui lasciato all’ospedale della Pietà.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore, Atti di dogi, b. 196: Acta Primiceriatus Ecclesiae Sancti Marci Venetiarum, ab anno 1609 usque ad annum 1619 (1° sett. 1615); Procuratia de supra, regg. 142, cc. 79, 100, 135; 144, cc. 177, 273; Notarile; Testamenti, b. 178, nn. 571 (testamento, notaio Pietro Bracchi), 697 (codicillo); Provveditori sopra monasteri, b. 312, reg. 99: Amonitioni et intimationi 1626-1762; Padova, Arch. capitolare, Acta Capitularia, 1643-45, cc. 37-38, 42-43, 115, 136-137, 151; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, Padova 1832, II, p. 587; F. Caffi, Storia della musica sacra nella già Cappella ducale di S. Marco in Venezia, Venezia 1885, II, pp. 31, 238 s.; A. Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga in Mantova dal secolo XV al XVIII. Notizie e documenti raccolti negli archivi mantovani, Milano s.d. [ma 1890], p. 65; G.F. Malipiero, C. Monteverdi, Milano 1929, pp. 16, 49; G. Liberali, G.F. Anerio, un suo fugace soggiorno a Treviso e le esecuzioni corali-strumentali al monastero di S. Teonisto dal 1599 al 1667, in Note d’archivio, XVII (1940), pp. 173-175; A. Garbellotto, Piccola Enc. musicale padovana, in Padova e la sua provincia, II (1973), pp. 14-18; P. Fabbri, Monteverdi, Torino 1985, pp. 346, 366, 380 s.; G. Vio, Ultimi ragguagli monteverdiani, in Rass. veneta di studi musicali, II-III (1986-87), pp. 356-360; A. Lovato, T. Merula «musico» di Giorgio Cornaro vescovo di Padova (1642-1663), ibid., V-VI (1989-90), pp. 181-183, 185, 197-200; G. Vio, Nuovi elementi biografici su alcuni musicisti del Seicento veneziano, in Recercare, XIV (2002), pp. 200-203; R. Eitner, Quellen-Lexikon der Musiker, V, p. 335; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, VIII, col. 1657; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 667; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, p. 865.