marina
Nel mondo occidentale quelle di Creta ed Egitto furono le prime civiltà a disporre di veri mezzi di navigazione, che furono finalizzati ad attività commerciale, piuttosto che di predominio politico. Il Mediterraneo orientale e il Mar Rosso erano i campi quasi esclusivi di tale attività, che si valeva di naviglio remiero e velico e si svolgeva nei pressi delle coste. L’espansione commerciale dei micenei nel Mediterraneo orientale e occidentale è testimonianza sicura del grado di sviluppo della loro marina. I fenici, grandi vettori marittimi del loro tempo (1500-1000 a.C.), furono navigatori arditi, costruttori abili, colonizzatori fecondi (Marsiglia, Cartagine) e organizzatori geniali: la loro attività si svolse nell’intero Mediterraneo e forse anche sulle coste occidentali d’Europa e d’Africa, con i limiti che definiscono l’attuale grande cabotaggio (Senegal e Mare del Nord); le loro rotte in parte seguivano quelle micenee o s’intrecciavano con esse. I greci dopo il 1000 a.C. raccolsero e svilupparono l’eredità marittima dei micenei e dei fenici, in un campo d’azione forse meno vasto, ma aggiungendo all’attività commerciale quella politica e culturale. Nacque allora un naviglio militare distinto da quello mercantile e la potenza marittima greca fu baluardo d’Europa contro l’Asia di Serse (480 a.C.). La costruzione navale raggiunse la perfezione, conservatasi poi per un millennio, con le classiche biremi da guerra e i velieri tondi da commercio. I traffici marittimi si svilupparono con organizzazioni e con metodi che anticipavano quelli moderni. Roma, dal canto suo, nel 3° sec. a.C. affermò la sua supremazia fuori della penisola quando la sua potenza marittima le permise di domare Cartagine (146 a.C.). Il Mediterraneo fu il grande scenario dell’impero romano, sostanzialmente marittimo, perché il mare fu il suo elemento di unione, di comunicazione, di attività, di politica. La navigazione romana tuttavia non si basò su grandi progressi della scienza nautica. La costruzione di navi militari a remi e di navi mercantili a vela utilizzò come base l’esperienza degli altri popoli marittimi mediterranei e atlantici. Si basò invece su una capillare organizzazione dei sistemi di sicurezza tecnici e normativi che consentirono al commercio marittimo un enorme sviluppo e, agevolato con provvidenze economiche e finanziarie razionali, di rifornire regolarmente metropoli popolose come Roma e Alessandria. Dopo l’invasione dei vandali, non ignari del mare, fu Bisanzio a riprendere e proseguire la tradizione marinara classica, contro la nuova potenza araba (7° sec.), pure marittima e apportatrice di innovazioni interessanti nell’astronomia nautica e nella tecnica marinara, e anche contro le scorrerie normanne, partite dall’Europa settentrionale e spintesi fino nel Mediterraneo (10° sec.). La lotta secolare, in buona parte marittima, fra mondo orientale arabo-islamico e mondo occidentale europeo-cristiano culminò nelle crociate (11°-14° sec.). Le Repubbliche marinare italiane – con una breve partecipazione dei normanni di Sicilia – e i principati iberici, affermatisi dopo la decadenza bizantina e araba, con una rigogliosa fioritura di attività creatrice in ogni campo (navigazione e naviglio, esplorazioni e colonizzazioni, traffici e finanza), spinsero le loro bandiere oltre Gibilterra, e moltiplicarono i loro «fondachi» in tutto l’Oriente; costruirono cocche, caracche e galeoni di migliaia di tonnellate; applicarono la bussola, inventarono la vela latina e la navigazione controvento. Le Fiandre e la Lega anseatica, in campi più ristretti, mari del Nord e Baltico, seguirono a distanza (secc. 13°-14°). I secc. 14° e 15° furono segnati dalle scoperte epocali di B. Diaz, Vasco Da Gama e C. Colombo, che volsero agli oceani e mutarono in prevalentemente marittimo il grande commercio mondiale, rimasto eminentemente terrestre fin dall’antichità. Nel sec. 16° cosmogonia e astronomia nautica, costruzioni e attrezzature navali, galeoni, navi e vascelli, offrirono i mezzi perché Magellano e i suoi emuli potessero circumnavigare la Terra e scoprirne ogni più remota parte. La m. divenne strumento essenziale di potenza economica e politica per ogni Stato europeo e il «potere marittimo» assicurò ai più capaci di essi il predominio degli oceani. Con la sua egemonia marittima l’Europa si impose al mondo per quasi cinque secoli. Se infatti le m. della Penisola Italiana, pur avendo colto a Lepanto (1571) una vittoria decisiva sulla flotta ottomana, restarono chiuse nel Mediterraneo, le m. oceaniche invasero i Sette Mari: il Portogallo si spinse dal Capo di Buona Speranza a Macao e al Giappone e conquistò il Brasile (1486-1557); la Spagna conquistò il Nuovo mondo (1492-1598); la m. inglese, la francese e la olandese entrarono in campo, in una gara che durò per secoli e condizionò lo sviluppo della storia moderna. Mentre l’Inghilterra di Elisabetta I affrontava la Spagna di Filippo II (Invencible armada, 1588), la m. olandese assurgeva a strumento di straordinaria dimensione e potenza, consentendo la creazione dell’impero mondiale olandese, dai «Nuovi Paesi Bassi» d’America al Capo di Buona Speranza, alle Isole della Sonda. La marineria dei Paesi Bassi dominò i traffici mercantili quasi incontrastata per buona parte del sec. 17° prima di essere attaccata dall’Inghilterra e sconfitta (1678). L’Inghilterra gradualmente conquistò una posizione predominante sulle due sponde dell’Atlantico. Conquista faticosa, perché intanto la Francia, tra il Cinquecento e il Seicento, aveva sviluppato, irregolarmente ma con notevoli successi, una fattiva politica marittima e coloniale, in Occidente e in Oriente, e quindi faceva, in America e in India, concorrenza all’espansione britannica. Il «potere marittimo» fu poi un importante fattore dei maggiori eventi bellici del sec. 18°: le guerre di Successione e la guerra dei Sette anni furono combattute anche fuori d’Europa. Con la Pace di Parigi (1763) l’Inghilterra raggiunse praticamente la supremazia marittima superando le m. franco-spagnole, conquistando vasti Paesi bagnati dall’Atlantico (Canada, Florida) e dall’Oceano Indiano, ottenendo grandi basi navali (Gibilterra). Il commercio triangolare atlantico (tratta dei neri dall’Africa alle Americhe, prodotti coloniali dalle Americhe all’Inghilterra e al resto d’Europa, armi e alcool dall’Inghilterra all’Africa) divenne una fonte di immenso arricchimento per i mercanti inglesi. E questa situazione non mutò sostanzialmente con la Rivoluzione e l’indipendenza degli Stati Uniti (1783), che divennero di lì a un secolo e mezzo la massima potenza marittima extraeuropea, né con la quasi ventennale guerra contro Napoleone: la supremazia navale fu tenacemente ribadita dagli inglesi a Trafalgar (1805). Il Congresso di Vienna (1815) riconobbe ancora implicitamente il primato marittimo mondiale dell’Inghilterra, che ottenne la Colonia del Capo, Ceylon ecc., e ridusse i domini francese e olandese. Il sec. 19° vedeva intanto una grande trasformazione delle tecniche cantieristiche e della natura delle imbarcazioni: il naviglio passò dalla propulsione velica a quella a vapore, dalla costruzione in legno a quella in metallo, la sua grandezza unitaria salì da 1500 a 30.000 tonnellate. La celerità e la sicurezza dei sistemi di navigazione aumentarono straordinariamente. Crebbero quindi in misura singolare la potenzialità e l’economia dei trasporti marittimi, che giunsero ad assorbire i 2/3 dei traffici mondiali. Il tonnellaggio delle flotte mondiali da 3,5 milioni di t nel 1820 salì a 29 milioni nel 1900. Nel sec. 19° l’influenza oceanica europea giunse al culmine: la Gran Bretagna estendeva il suo predominio marittimo sull’Atlantico, sull’Oceano Indiano, sul Pacifico meridionale, sul Canale di Suez; la Francia sulle coste dell’Africa, dalla Tunisia al Senegal, e sulle coste dell’Indocina; la Germania e i Paesi Bassi su quelle africane e della Insulindia. Anche gli USA, d’altra parte, si affermavano sull’Atlantico occidentale e sul Pacifico orientale con propaggini alle Hawaii, alle Filippine e sul Canale di Panamá. L’inizio del sec. 20° vide quindi uno sviluppo rapidissimo delle flotte mercantili: il tonnellaggio del naviglio mondiale passò da 29 milioni di t.s.l. del 1900 a 45 milioni del 1914. Prevaleva ancora largamente per tonnellaggio e qualità la flotta britannica, che aveva basi strategiche in ogni mare, ma era comparsa frattanto una seconda potenza marittima extraeuropea, quella giapponese, e la Germania, potenza militare ed economica di prima grandezza dell’Europa continentale, non nascondeva di aspirare anche al primato marittimo: di qui l’urto con la Gran Bretagna, finito nella tragedia della grande guerra, dopo la quale la potenza marittima degli USA arrivò a pareggiare quella britannica, si rafforzò la potenza marittima giapponese mentre diventarono secondarie le m. di tutti gli altri Paesi, dalla Francia all’Italia, alla Russia e ovviamente alla Germania. Con la Prima guerra mondiale si ebbe in definitiva il declino della egemonia marittima mondiale europea. Seguì un periodo di riassetto mondiale su queste nuove basi, cui si aggiunse la lenta rinascita della Russia sovietica. Le m. mercantili rifiorirono, i traffici marittimi ripresero: il tonnellaggio del naviglio mercantile mondiale nel 1930 toccò i 68 milioni di tonnellate. La Seconda guerra mondiale vide il più grandioso scontro marittimo che la storia ricordi, soprattutto nel Pacifico. Alla fine l’egemonia marittima, restata, nonostante le armi subacquee e aeree, a Gran Bretagna e USA, si dimostrò ancora una volta determinante fattore di superiorità. Il periodo seguito alla Seconda guerra mondiale vide quindi la netta prevalenza della bandiera statunitense, nel naviglio militare e mercantile (e nelle flotte aeree), su ogni bandiera europea, compresa quella britannica; essa si avvaleva, per una serie di accordi bilaterali con i diversi Stati europei ed extraeuropei, di un sistema di basi navali e aeree, distribuite in tutti i mari. La Germania, il Giappone e l’Italia, perduto inizialmente ogni potere militare navale, ripresero tuttavia abbastanza presto la loro attività economica, ricostruendo e accrescendo le loro flotte mercantili. Poi, con l’affievolirsi dei vincoli dei trattati di pace, i mutamenti del quadro politico e infine l’entrata nelle grandi alleanze difensive postbelliche, anche il loro potenziale militare si è ricostituito, sia pure su basi modeste. Comunque controllo e preminenza europei sono venuti a cessare su vaste zone degli oceani Indiano e Pacifico, dove sono poi sorti nuovi Stati marittimi, specialmente per la scomparsa delle grandi colonie (per es. Unione Indiana e Indonesia). Nello stesso tempo l’URSS e i Paesi socialisti dell’Est hanno continuato a perseguire la loro politica mercantile marittima esclusivamente di Stato, oltre che a sviluppare poderose flotte militari. Infine, quasi tutti i nuovi Stati emergenti, avendo correttamente individuato nella m. mercantile una fonte di ricchezza che ritengono sia stata sfruttata – in passato – a loro danno, sono venuti costituendo una propria marina, per poter partecipare ai traffici marittimi che li riguardano. In merito, il concetto che essi giudicano equo è di una ripartizione al 50% con le m. che operano nei loro porti: almeno metà delle merci movimentate dovrebbero essere, cioè, trasportate con navi della propria bandiera. Di qui, una serie di accordi bilaterali, peraltro di non facile applicazione, che hanno portato ad altre formule; che restano tuttavia motivo di difficoltà e controversie. Nell’insieme, in campo mercantile l’attività marittima ha superato, a partire dagli anni Cinquanta, il terreno perduto durante le ostilità, benché molti traffici abbiano mutato profondamente carattere per varie ragioni, ma principalmente per la drastica riduzione dei movimenti migratori, l’attenuazione del commercio del carbone e lo sviluppo straordinario di quello dei petroli, l’adozione di nuove tecniche di trasporto. Nel quindicennio 1960-74 si è verificato uno sviluppo dei traffici marittimi e della flotta mondiale di proporzioni enormi. Tuttavia, nel 1974, in seguito alla crisi petrolifera, si è avuta una vera e propria svolta qualitativa e quantitativa nella domanda dei trasporti, con una riduzione di circa il 5% intervenuta nel 1975; mentre, sull’abbrivio della crescente domanda degli anni precedenti, la flotta ha continuato ad aumentare a ritmo molto elevato, creando le premesse di un grave squilibrio. La flotta mondiale è quindi cresciuta, nel 1960-75, del 75% nel numero e del 164% nel tonnellaggio; in cifre assolute di 27.413 unità e di 212.392.000 t.s.l. La grande espansione dei traffici e l’evoluzione di alcuni mezzi concorrenti, quale l’aereo per la nave passeggeri, e l’applicazione di nuove tecniche, hanno portato a una sempre più accentuata diversificazione e articolazione del naviglio impiegato. Quanto alla distribuzione del naviglio mercantile tra i vari Paesi, esso è notevolmente mutato, a seguito della graduale liquidazione degli imperi coloniali occidentali. Peraltro l’enorme sviluppo di alcune flotte è dovuto al fenomeno delle «bandiere ombra», altrimenti dette «di comodo» o «di necessità». D’altro canto, l’impiego delle grandi unità petroliere e mineraliere ha permesso il trasporto di carichi di massa per distanze oceaniche a noli molto bassi, mentre la chiusura del Canale di Suez ha imposto per una certa fase l’allungamento di molte rotte fondamentali. Intanto, al nuovo ruolo del Giappone e al permanente peso degli USA e dell’Europa, Gran Bretagna in primis, si sono affiancati i Paesi in via di sviluppo, che hanno acquisito nel decennio nel corso degli anni Settanta una posizione rilevante. In questo quadro hanno assunto un ruolo essenziale i Paesi produttori del petrolio, in particolare quelli del Medio Oriente, i quali dopo il 1973 sono riusciti a imporre prezzi crescenti del greggio ai paesi industrializzati, dando origine a nuove, importanti correnti di traffico verso i loro Paesi, tanto da creare, specialmente nel Golfo Persico, uno degli epicentri delle attività marittime più vivaci del mondo. Sempre più, dunque, i fenomeni specifici della m., e in particolare della m. mercantile, sono andati legandosi con l’evoluzione generale del mercato mondiale e col mutamento dei suoi equilibri interni. Frattanto, in campo internazionale, tra i problemi politici di maggior peso si è andato ponendo il regime giuridico del mare, con le zone in cui uno Stato rivierasco è autorizzato a esercitare determinati diritti. Negli ultimi decenni del 20° sec. la flotta mercantile mondiale ha continuato a essere in costante espansione, sia pure con ritmo variabile: la sua consistenza ha raggiunto il livello dei 558 milioni di t.s.l. alla fine del 1996. Tra le principali flotte per bandiera nazionale non figurano più Paesi come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, che pure fino alla prima metà del sec. 20º occupavano posizioni di tutto rilievo. Ciò è dovuto al perdurante fenomeno delle cdd. bandiere ombra, che continua ad assicurare flessibilità e competitività nel serrato mercato mondiale dei trasporti marittimi. Il conseguente impoverimento delle flotte iscritte nei propri registri nazionali ha spinto quasi tutti i grandi Paesi marittimi a istituire nuovi registri liberi (i registri bis) nel tentativo di arginare il fenomeno. I Paesi leader in questo campo sono stati la Norvegia e la Danimarca, che agli inizi del Duemila avevano oltre il 95% delle proprie flotte iscritte nel rispettivo registro nazionale bis. Per quanto riguarda la costruzione di nuove navi, i Paesi dell’Estremo Oriente (Giappone, Repubblica di Corea, Cina) mantengono ormai saldamente una posizione di leadership: alla fine del 20° sec. detenevano oltre il 70% degli ordini complessivi.