ROSSI, Maria Vittoria (Irene Brin). – Nacque a Roma il 14 giugno 1911, primogenita di Vincenzo e di Maria Pia Luzzatto. Il padre, alto ufficiale del Regio esercito in quel periodo di stanza nella capitale, era ligure e apparteneva alla famiglia colta, progressista e antifascista dei Rossi di Sasso di Bordighera (Imperia)
Lasciata la capitale in ottemperanza agli ordini militari, la famiglia Rossi si trasferì a Firenze, dove nel 1914 nacque la sorella Franca. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, mentre il generale era al fronte, Maria Pia Luzzatto e le figlie tornarono nella casa avita di Sasso di Bordighera, per trasferirsi successivamente, dai primi anni Venti, a Genova, in corso Firenze 33.
Durante il ginnasio Maria Vittoria Rossi venne ritirata dalla scuola pubblica. In una lettera più tarda, del 9 gennaio 1939 (Sasso di Bordighera, Archivio privato famiglia Rossi), indirizzata alla madre, ricorda come l’abbandono del percorso scolastico fosse coinciso con la sofferenza provocata da un drammatico abbassamento della vista.
La formazione della giovane continuò da autodidatta tra le mura domestiche, dove Mariù – come veniva affettuosamente chiamata dai suoi – assorbì in profondità l’influsso della cultura mitteleuropea trasmessa dalla madre, appartenente alla famiglia ebrea dei Luzzatto di Gorizia. In una prima, incompleta versione dell’inedito autobiografico L’Italia esplode (1968), Rossi descrisse la madre come «un’intellettuale, giovane, vulnerabile, di origine straniera e agiatamente borghese» (dattiloscritto non catalogato, Roma, Archivio Irene Brin, p. 1).
Lo studio delle lingue fu obiettivo primario nel percorso formativo di Maria Vittoria, che apprese il tedesco, l’inglese, il francese e lo spagnolo, coltivando quotidianamente lo studio delle letterature straniere. Addestrata a sentirsi cittadina del mondo, sviluppò precocemente l’attitudine a non perdere mai di vista quanto accadeva culturalmente fuori dai confini nazionali. Questo tratto della sua personalità fu valorizzato, nel 1937, da Leo Longanesi che la invitò a scrivere per Omnibus, settimanale di attualità politica e culturale, da lui stesso diretto fino al 1939.
Leonardo Sciascia ha osservato come il settimanale della Rizzoli, stampato in rotocalco, raccogliesse i contributi di autori che, pur distinguendosi «per estrazione e valenza», avevano in comune l’attitudine a «guardare altrove», ad altri Paesi e ad altre letterature, «sentendo il disagio, l’angustia [...] di quella provincialità endemica [...] che il fascismo potenziava ed esaltava» (Sull’Omnibus di Longanesi, in La Stampa, 27 luglio 1989, f. Cultura e società, n. 168).
Prima del debutto in Omnibus (n. 1, 3 aprile 1937), con l’articolo A Roma con le belle di aprile, firmato Mariù, la giornalista aveva esordito nel 1932 nel Giornale di Genova sotto la guida di Mario Melloni e, nel 1935, nel Lavoro con Giovanni Ansaldo, allora vicedirettore del quotidiano.
In quei primi articoli di costume, si mostrò già abile nel mettere a punto uno sguardo capace di ricostruire le atmosfere e gli ambienti nei quali affiorava la dimensione mondana della soggettività, che lei indagava con sagacia.
Fin dai primissimi articoli adottò una straordinaria schiera di noms de plume. Forse inizialmente funzionali a una voluta strategia di nascondimento, ben presto vennero utilizzati per coprire un variegato spettro di argomenti – dalla cronaca di costume al cinema, dal ritratto biografico al reportage, dall’arte alla moda – e per organizzarne la ricezione presso il pubblico dei lettori, fidelizzati attraverso la mediazione di diverse personalità fittizie. In aggiunta, va sottolineato che l’uso degli pseudonimi divenne sempre più indispensabile al mantenimento delle collaborazioni di lavoro con le numerosissime testate che si contendevano la sua firma e ne reclamavano l’esclusività. Tra i tanti noms de plume si ricordano: Marlene; Oriane, tributo a Proust; Marina Turr; Adelina, con il quale firmava la rubrica La posta dei timidi nel Secolo illustrato; Geraldina Tron, che usò per firmare articoli e novelle, in particolare nella rivista Film e in 7giorni: settimanale di politica, storia, letteratura; e ancora, Morella, Ortensia, Madame d’O., come pure Vida per gli articoli di moda in Grazia; vestì anche i panni della Contessa Clara Ràdjanny von Skéwitch, figura di nobildonna mitteleuropea, testimone immaginaria della ‘grande storia’ che, dalla celebre rubrica di corrispondenza Consigli della Settimana Incom illustrata, dispensava tutta la sua consumata arte del vivere. Tra gli ultimi comparve uno pseudonimo maschile, Cecil-Wyndham Aldighieri, scelto per Video. Rivista mensile di informazione e cultura visiva, una pubblicazione ERI (Edizioni RAI Radiotelevisione Italiana) del 1966. Fece inoltre ricorso a varie edizioni del proprio nome: dall’iniziale Mariù, a Maria Rossi, M.R. e, dal 1937 – anno in cui sposò il tenente Gaspero del Corso, che aveva conosciuto al ballo della cavalleria presso il Grand Hotel di Roma nel 1935 – firmò anche come Maria del Corso o M.d.C.
Fu Longanesi, nel 1938, a cucirle addosso un nome inventato che si sarebbe imposto su tutti gli altri: Irene Brin. «Io non mi chiamo né Irene, né Brin, anche se così figuro in contratti, elenchi telefonici, discorsi familiari. Sono nomi inventati da Leo Longanesi» (I. Brin, Un nome inventato, in Il Borghese, VIII (1957), 41, p. 588). Il primo articolo firmato con questo pseudonimo comparve in Omnibus il 19 febbraio 1938, sotto la rubrica Giallo e Rosso – accanto alle critiche teatrali di Alberto Savinio e a quelle musicali di Bruno Barilli – con il titolo Sera al Florida. Buona parte degli articoli pubblicati sotto la stessa rubrica sono stati raccolti nel volume postumo Cose viste 1938-1939 (Palermo 1994).
Dopo le nozze, celebrate a Sasso di Bordighera, i coniugi del Corso si stabilirono presso il castello di Winkel, a Merano, dove il marito era di guarnigione; nel 1939 soggiornarono brevemente a Civitavecchia, prima di raggiungere l’agognata Roma. Abitarono dapprima in via Margutta, quindi a palazzo Nuñez Torlonia, in via Bocca di Leone 78. La prestigiosa residenza fece da sfondo alla narrativa che accompagnò la vita dei coniugi del Corso, sia negli anni della guerra e nei mesi dell’occupazione, quando un nutrito gruppo di soldati fu nascosto nelle capaci soffitte; sia nel dopoguerra, quando emersero come protagonisti della scena culturale e mondana della capitale. Per vicissitudini esistenziali, mestiere e vocazione cosmopolita, da quella residenza d’elezione Rossi dispiegò una fitta rete di fruttuose relazioni internazionali e inarrestabili spostamenti che la videro anche compiere, e per ben due volte, nel 1955 e nel 1959, il giro del mondo.
Durante la guerra, seguì il marito sui diversi fronti del conflitto. Si ricorda, in particolare, la sua presenza in Iugoslavia dall’aprile del 1941 al marzo del 1943. Sono gli anni in cui scrive articoli, reportage e racconti per Documento, Mediterraneo, 7giorni, Fronte. Alcuni di questi comparvero in Olga a Belgrado (Firenze 1943), tredici racconti che narrano luoghi, personaggi e situazioni segnati dalla cruda logica della guerra sul fronte balcanico. Seguì la pubblicazione di Usi e costumi 1920-1940 (Roma 1944), un curioso repertorio – pungente, ironico e brillante – di stili di vita, annotazioni culturali, icastici profili di protagonisti dell’epoca, mode, miti e debolezze che segnarono la generazione vissuta tra le due guerre. Nel 1945 la casa editrice Partenia di Roma diede alle stampe Le visite, raccolta di novelle che trasformò in forma di delicata narrazione il lato in ombra di ‘cose’ già da lei rappresentate in incandescenti passaggi di scrittura giornalistica. Va anche segnalata la parallela attività di traduttrice che coltivò per passione squisitamente letteraria, ma anche come redditizia fonte di guadagno durante l’occupazione, quando l’editore De Fonseca le assegnava un romanzo a settimana.
Tra le traduzioni più interessanti vanno segnalate: Prime vite immaginarie di Marcel Schwob (Roma 1946); Vita segreta di Salvador Dalí (Milano 1949) – pubblicato in occasione del soggiorno nella capitale dell’artista, impegnato a disegnare i bozzetti dei costumi della commedia As you like it, in scena al teatro Eliseo nel novembre del 1948 con la regia di Luchino Visconti; Riflessi in un occhio d’oro di Carson McCullers, tradotto per la Longanesi nel 1963.
Con la fine della guerra, il suo profilo professionale, sostanzialmente ancorato alla scrittura, si fece più eclettico: la nuova scena sociale e culturale rimodellata dal processo di ricostruzione del Paese la sospinsero verso l’assunzione di nuovi ruoli.
Dopo la propedeutica esperienza di galleristi maturata dal 1943 al 1946 presso La Margherita, galleria d’arte e libreria antiquaria di Federigo Valli – già direttore di Documento – i coniugi del Corso decisero di aprire L’Obelisco, in via Sistina 146, inaugurando la loro galleria con una mostra di Giorgio Morandi nell’autunno del 1946.
L’Obelisco offrì loro la grande opportunità di promuovere e di lanciare all’estero artisti italiani quali Afro e Mirko Basaldella, Alberto Burri, Bruno Caruso, Fabrizio Clerici, Anton Zoran Musič, Renzo Vespignani, ma anche di introdurre nel Paese, dopo l’isolamento culturale negli anni del regime, grandi autori internazionali come Henri de Toulouse-Lautrec, Salvador Dalí, René Magritte, Yves Tanguy, Sebastian Matta, Francis Bacon. Tra le mostre più interessanti e coraggiose figurano: Neri e Muffe di Burri (1952); Scatole e Feticci personali del giovane Robert Rauschenberg (1953); L’America immaginata da venti pittori italiani (1953) – prodotta da Helena Rubinstein ed esposta anche a Capri e New York; I Picasso di Mosca (1954); Alexander Calder (1955).
L’Obelisco mise in moto un inarrestabile flusso di attività culturali che videro Rossi emergere nelle vesti di promotrice e ambasciatrice della creatività italiana nel mondo. Quel suo peculiare sguardo, fin dalla giovinezza proiettato a varcare confini materiali e non, la portò a intrecciare sinergicamente le discipline. Se lo spazio della galleria si prestò più volte a creare un pionieristico gioco di rimandi e di rispecchiamenti tra arte e moda, la sua collaborazione con Harper’s Bazaar finì per chiudere il cerchio. Nel 1952 Carmel Snow, editor in chief della prestigiosa rivista di moda statunitense, consapevole della posizione già solida che Rossi si era guadagnata come interprete brillante dello stile italiano sulle pagine della rivista d’alta moda Bellezza, la invitò a ricoprire l’inedito ruolo di Rome editor. È necessario precisare che Rossi non scrisse articoli per l’edizione statunitense di Harper’s Bazaar, ma mise in gioco tutto il suo patrimonio di conoscenze e relazioni per la curatela di servizi di moda e di articoli confezionati allo scopo di divulgare Oltreoceano personalità, luoghi, artisti, stili di vita necessari ad alimentare la nascente industria culturale. Un avvincente resoconto del suo operato è narrato in L’Italia esplode, sorta di diario del 1952, annus mirabilis, che la ebbe come protagonista di quella stagione di radicali trasformazioni che modernizzarono il Paese. Il testo scritto nel 1968 per la collana Un anno nella vita di, iniziativa editoriale della Immordino di Genova, non venne allora pubblicato per decisione dell’editore e con gran dispiacere dell’autrice. Andò in stampa solo nel 2014, con la cura di Claudia Palma – direttrice dell’Archivio bioiconografico e dei Fondi storici della Galleria nazionale d’arte moderna che ne conserva il dattiloscritto (fondo Irene Brin, Gaspero del Corso e L’Obelisco).
Morì a Sasso di Bordighera il 31 maggio 1969.
Aveva deciso di fare una sosta presso l’amata casa di famiglia di ritorno da un faticoso viaggio a Strasburgo, intrapreso con entusiasmo, malgrado l’aggravarsi della malattia di cui soffriva da tempo, per presenziare assieme al marito all’inaugurazione della mostra Les Ballets Russes de Sergej P. Djagilev. La galleria L’Obelisco aveva contribuito all’allestimento della mostra inviando la ricostruzione elettronica dei Feux d’artifice di Giacomo Balla.
Opere. Oltre a quelle indicate nel testo, si segnalano: La mia vita, Roma 1944 (firmato Bella Otero); Images de Lautrec, Roma 1947 e Femmes de Lautrec, Roma 1952 (rispettivamente II e VIII volume della Collezione dell’Obelisco, diretta da Gaspero del Corso); Il Galateo, Roma 1952 (firmato Contessa Clara); I segreti del successo, Roma 1954 (firmato Contessa Clara); Dizionario del successo dell’insuccesso e dei luoghi comuni, postumo, Palermo 1986. Ha collaborato ai quotidiani: Il Giornale di Genova, Il Lavoro, Il Tempo, Il Telegrafo, Il Veneto, Il Popolo d’Italia, La Stampa, Il Popolo di Roma, Il Messaggero, Il Mattino, Il Giornale d’Italia, Gazzetta del Popolo, Il Corriere d’Informazione, Il Corriere della Sera. Tra i periodici cui ha collaborato si segnalano: Ateneo veneto, Omnibus, Tutto, Almanacco della donna italiana, Tempo, Documento, 7giorni, Mediterraneo, Fronte, Maschere, Il Secolo illustrato, Novellissima, Film, Si Gira, Film Rivista, Cinema, Cineillustrato, Espresso, Mediterranea: Almanacco di Sicilia, Onda, Orchidea, Rivista della Biennale di Venezia, Stile, Domus, Grazia, Bellezza, Harper’s Bazaar, L’Illustrazione italiana, La Settimana Incom illustrata, Domina, Novità, L’Europeo, Epoca, Oggi, Ovest, Il Borghese, Le vie dell’Italia, Esso-rivista, Scena illustrata, Le Vie dell’Italia, Ecco, Amica, Annabella, Successo, Discoteca, Finsider, Radiocorriere, Video. Rivista mensile di informazione e cultura visiva.
Fonti e Bibl.: Parte del materiale documentario d’archivio è conservato a Roma sia presso l’Archivio Irene Brin, di cui sono responsabili Jaja e Natalia Indrimi, sia presso l’Archivio bioiconografico e i Fondi storici della Galleria nazionale d’arte moderna, fondo Irene Brin, Gaspero del Corso e L’Obelisco. Si veda anche Sasso di Bordighera, Archivio privato famiglia Rossi.
I. Montanelli, Irene Brin, in Rapaci in cortile, Milano 1952, pp. 36-45; A. Arbasino, Contessa che bella rubrica, in La Repubblica, 17 giugno 1981; L. Tornabuoni, Nota, in I. Brin, Usi e costumi, 1920-1940, Palermo 1981, pp. 229-237; M. Boscagli, The power of style. Fashion and self-fashioning in Irene Brin’s journalistic writing, in Mothers of invention. Women, Italian fascism, and culture, a cura di R. Pickering-Iazzi, Minneapolis-London 1995, pp. 121-136; F. Merlanti, L’«armonia bianca e perduta». Testimonianza ed esorcismo della scrittura nell’opera di Irene Brin, in La fama e il silenzio. Scrittrici dimenticate del primo Novecento, a cura di F. De Nicola - P.A. Zannoni, Venezia 2002, pp. 65-82; V.C. Caratozzolo, Irene Brin. Lo stile italiano nella moda, Venezia 2006; F. Contorbia, Documenti per “Olga a Belgrado”, in I. Brin, Olga a Belgrado, Roma 2012, pp. 151-172; C. Fusani, Mille Mariù. La vita di Irene Brin, Roma 2012; I. Schiaffini, L’arte sullo sfondo de L’Italia esplode: Irene Brin e i primi anni della galleria L’Obelisco, in I. Brin, L’Italia esplode, a cura di C. Palma, Roma 2014, pp. 159-189; V.C. Caratozzolo, 1952-1968: L’Italia esplode, ibid., pp. 192-208; C. Palma, Irene Brin. Cenni biografici, ibid., pp. 7-13. Si veda inoltre il sito della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, dove, nell’area Pubblicazioni, sono presenti i due volumi dell’inventario del fondo Irene Brin, Gaspero del Corso e L’Obelisco, a cura di C. Palma - S. Pandolfi, Roma 2012: il primo in http://www.ufficignam.beniculturali.it/index.php?it/136/pubblicazioni/7/fondo-irene-brin-gaspero-del-corso-e-lobelisco-vol-i (in partic. S. Pandolfi, Sulle tracce de L’Obelisco: la scoperta dei documenti inediti di Irene Brin e Gaspero del Corso, pp. 7-16), il secondo volume in http://www. ufficignam.beniculturali.it/index. php?it/136/pubblicazioni/8/fondo-irene-brin-gaspero-del-corso-e-lobelisco-vol-ii. Di interesse anche il sito http:// www.giardinoirene.it/.