GALLUZZI, Maria Domitilla (al secolo Servetta)
Figlia di Ottavio e della genovese Fiorenza Vertema (Virtenna?), nacque il 26 maggio 1595 ad Acqui, nel Ducato di Monferrato, dove il padre, di origine milanese, pare si trovasse al servizio dei Gonzaga, duchi di Mantova e Monferrato; tenuta a battesimo il 29 di quello stesso mese le venne dato il nome di Servetta.
La rigida educazione impartitale dai genitori, terziari francescani - definiti dagli stessi parenti "i santini" - e le pratiche di devozione alle quali venne avviata sin da piccola erano finalizzate alla sua futura monacazione. Negli anni della sua adolescenza risulterà determinante l'influenza esercitata dalla zia materna Domitilla, la quale si dedicò alla sua formazione religiosa, in particolare nel lungo periodo che trascorsero insieme a Genova, così come la frequentazione e la guida spirituale dei padri barnabiti.
Gli avvenimenti legati alla sua infanzia sono documentati soprattutto dal racconto che ella stessa fece della sua vita: una sorta di autoagiografia che, secondo un criterio ricorrente, le fu richiesta insieme con altri scritti che dovevano illustrare le sue esperienze mistiche, dal suo confessore ordinario, il padre G.B. Capponi.
Quando aveva circa diciotto anni decise di recarsi a Pavia per entrare in monastero, dove, in segno di gratitudine nei confronti della zia, assunse il nome di Maria Domitilla. Si indirizzò verso la più rigorosa e nuova delle comunità francescane, quella dei cappuccini, scegliendo il monastero di S. Franca, che godeva di un'alta considerazione proprio per il rigore con il quale vi venivano rispettate la vita claustrale e la regola di s. Chiara. Fu là che il 5 nov. 1616 pronunciò i voti.
L'impatto con l'ambiente monastico, durante gli anni di noviziato, non dovette essere dei più facili dovendo superare il difficile ostacolo della legittimazione dei suoi atteggiamenti da parte della comunità cappuccina all'interno della quale si nutriva diffidenza nei suoi confronti non comprendendo nè condividendo il suo affannoso desiderio di raggiungere la perfezione. La situazione era però destinata a mutare, e non solo per gli atti di umiltà, i digiuni e le penitenze della Galluzzi. Nel dicembre del 1619 - come si legge nel suo racconto - ebbe una visione divina che la illuminò sulla regola dell'Ordine secondo gli ideali spirituali dei fondatori s. Francesco e s. Chiara. A questa esperienza, dalla quale scaturì il suo primo scritto, ne seguirono altre: durante le quaresime degli anni dal 1622 al 1625 soffrì e condivise i dolori della Passione di Cristo e sul suo corpo apparvero i segni della crocifissione. Con discontinuità gli stessi avvenimenti si ripeterono fino al 1629, quando cominciarono a manifestarsi episodi di minore intensità.
È stata valutata anche la possibile componente patologica e psicologica che questi atteggiamenti, comuni ad altre mistiche del tempo, potevano nascondere (Romano, 1893), tenuto conto che la stessa G. in più di una occasione avrebbe scritto al suo confessore, negli anni che andavano proprio dal 1619 al 1635, di accusare febbre, debolezza e "dolori di nervi".
Sta di fatto che la vita fino ad allora condotta e il riconoscimento da parte dei fedeli delle sue estasi procurarono alla G. fama di santità garantendole, per molti anni, una certa notorietà. La G. ebbe rapporti epistolari con illustri personalità; sue corrispondenti furono Maria Anna d'Austria e Adelaide di Savoia, ambedue elettrici di Baviera. Molti confidavano nelle grazie ottenute tramite le sue preghiere e i suoi poteri spirituali erano considerati efficaci contro un alto numero di calamità. Non indifferenti dovettero essere i vantaggi ottenuti anche dal suo monastero, soprattutto se si considera che quelle monache - sebbene le costituzioni prevedessero che le elemosine dovessero essere accettate solo per i bisogni più urgenti - vivevano della carità pubblica e privata.
Parallela alle esperienze mistiche si sviluppa, anche se indotta, la produzione narrativa, che risente di una letteratura che circolava in quegli anni all'interno dei monasteri finalizzata a guidare il cammino di perfezione delle monache. I suoi scritti non vennero mai pubblicati, ma le copie che possediamo (risalenti alla fine del Seicento e agli inizi del Settecento) ne attestano una discreta diffusione. Si tratta di lavori che, nonostante non se ne possa disconoscere un certo pregio, proprio perché ispirati a modelli agiografici ben noti, presentano i topoi propri delle opere religiose femminili del XVII secolo.
Oltre al racconto della sua vita, che risale al 1624, il primo scritto della G. fu il Lume sopra la prima regola di s. Chiara datagli dal padre s. Francesco et confirmata da papa Innocenzo IV. Durante tutta l'esposizione la G. ricorda al lettore che il testo non è opera dei suoi pensieri ma che le è stato divinamente ispirato, sottolineando così la passività del suo ruolo. La stesura si prolungò oltre il dovuto perché la monaca fu segnata da una lunga malattia durante la quale ebbe spesso ripensamenti e timori, che il Capponi si adoperò a dissipare. Ne La Passione, il più importante e conosciuto tra i suoi scritti, viene sviluppato il tema centrale della sua mistica perfettamente racchiusa nell'incipit che recita: La Passione di Nostro Sig. Giesù Christo sia sempre nel cuore e corpo mio. Nelle Quarant'hore di meditatione mentale, scritta mentre ricopriva l'incarico di maestra delle novizie, il proposito educativo la porta a fornire esempi e modelli di comportamento: dopo ogni meditazione su un episodio della vita del Signore, viene indicato l'esercizio pratico al quale le monache devono sottoporsi e le virtù che devono essere rafforzate. L'influenza subita da alcuni testi di spiritualità gesuitica è particolarmente evidente nell'ultimo dei suoi scritti, il breve compedio del 1652, Copia d'alcuni ponti di perfettione scritti dalla madre sor M. Domitilla per obedienza, dove vengono affrontati i temi legati alla negazione di sé, all'umiltà e all'ubbidienza.
Non si ha notizia della stesura di altre opere successive a questa e la sua corrispondenza dal 1659 sembra essere stata fatta cessare del tutto anche per l'intervento del vescovo di Pavia G. Melzi, il quale, sebbene egli stesso piuttosto diffidente circa le vicende spirituali della G., eseguì le istruzioni che gli pervennero dalla Curia pontificia.
I primi sospetti sulla monaca pavese si erano manifestati già nel 1652: la badessa di una comunità di cappuccine di Torino scrivendo alle monache di S. Franca diceva che era giunta voce, ma molti oramai ne erano a conoscenza, che la G. avesse stretto un patto col demonio. La maldicenza metteva a repentaglio non solo la persona della G. ma soprattutto l'onore dell'intero convento, tanto che da Pavia la notizia fu subito smentita anche per intercessione delle autorità religiose locali. Ma da allora la vita della G. cambiò in modo radicale. Apertasi un'inchiesta, da Roma si ritenne opportuno adottare degli accorgimenti per ovviare alle troppe voci che circolavano sul suo conto. La simulata santità era diventata una categoria specifica di repressione inquisitoriale e il modello al quale si era adeguata la G. risultava per quegli anni superato: si nutrivano forti dubbi riguardo le visioni e le estasi di molte "sante vive", contro le quali si moltiplicavano i processi.
I dubbi erano riconducibili anche alla preoccupazione instauratasi nella Chiesa per il diffondersi dell'idea quietista, tanto che, nel clima di dura svolta antimistica posta in atto dalla Chiesa, alcuni passi scritti dalla G. riguardo la pratica dell'orazione di quiete, e che richiamavano le parole di s. Teresa, si potevano prestare a essere male interpretati, alimentando la già aperta diffidenza che si nutriva nei suoi confronti.
Gli ultimi anni di vita della G., anche proprio per mancanza di documentazione - da lei prolificamente prodotta nel periodo precedente - risultano i più oscuri. Sappiamo solo che morì a Pavia, nel suo monastero, il 12 febbr. 1671. Da un epistolario conservato presso l'Archivio vescovile di Pavia (cartella Santi e Beati) comprendente lettere che vanno dal 1672 al 1886, si deduce che anche il tentativo di introdurre la causa di beatificazione, incontrando fin dall'inizio molti ostacoli, non andò a buon fine.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., D 77; Mss., B 199; Pavia, Biblioteca universitaria, Mss. Aldini 306; B. Mazzara, Leggendario francescano, ovvero Istorie dei santi e altri uomini illustri che fiorirono nelli tre Ordini di S. Francesco, Venezia 1722, II, pp. 175-202; V. Bonari, I cappuccini della provincia milanese, Crema 1898, pp. 167-175; G. Romano, Suor M.D. d'Acqui cappuccina in Pavia. Contributo allo studio della vita civile e religiosa del secolo XVII, Pavia 1893; M.G. Bianchi, Una "illuminata" del secolo XVII: suor M.D. G., cappuccina a Pavia, in Bollettino della Soc. pavese di storia patria, n.s., XX-XXI (1968-69), pp. 3-69; E.A. Matter, The personal and the paradigm: the book of M.D. G., in The crannied wall. Woman, religion, and the arts in early modern Europe, a cura di C.A. Monson, Ann Arbor, MI, 1992, pp. 87-104; Id., Il matrimonio mistico, in Donne e fede, a cura di L. Scaraffia - G. Zarri, Roma-Bari 1994, pp. 57 s.; Id., The commentary on the rule of Clare of Assisi by M.D. G., in Creative women in medieval and early modern Italy, a cura di E.A. Matter - J. Coakley, Philadelphia 1994, pp. 201-211; O. Pelosi, Tra "eros" e "caritas": le "pene d'amore" di M.D. G., in Annali di italianistica, XIII (1995), pp. 307-332.