TERRUZZI, Maria Antonia Regina
– Nacque a Milano il 27 aprile 1862 da Paolo e da Antonia Nava.
Il padre aveva partecipato all’insurrezione milanese delle Cinque giornate e combattuto in difesa di Venezia nei ranghi del battaglione lombardo. Tornato a Milano si era dato al commercio, assumendo da ultimo la gestione del caffè del Politeama. Nel 1855 aveva sposato in seconde nozze Antonia, allora diciottenne.
Sino alla morte del padre la fanciullezza di Regina fu serena. La famiglia conduceva uno stile di vita piccolo-borghese, tra intrattenimenti teatrali, giochi nei prati di piazza Castello, domeniche in chiesa e a passeggio. Regina frequentò la scuola d’infanzia e iniziò le elementari, ma la sua prima formazione avvenne nel rapporto con il padre, che la allevò nel culto del pantheon risorgimentale: Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II. Nel 1873, rimasta vedova con otto figli, Antonia dovette affrontare gravi problemi economici e Regina si vide costretta a lasciare la scuola per imparare il mestiere di cucitrice presso una lavorante a domicilio, una sistemazione giudicata più dignitosa di quella delle operaie dei grandi laboratori o degli stabilimenti industriali. L’idea di una superiorità di ceto non l’avrebbe mai abbandonata, traducendosi semmai in una volontà di riscatto individuale che si riverberava anche sulle classi popolari di cui aveva conosciuto gli stenti.
A quindici anni, dopo aver perso anche la madre, ebbe l’occasione di frequentare la scuola di ostetricia ma presto desistette, incapace di sopportare il dolore fisico e morale delle partorienti, non di rado ragazze madri. Per un paio d’anni tornò quindi a lavorare e riprese anche a studiare. Conseguì la licenza elementare e la patente di maestra inferiore. Tra il 1880 e il 1883, anno in cui ottenne la patente di maestra superiore, insegnò gratuitamente presso il Consolato operaio, ente cooperativo-mutualistico a direzione radicale a breve attratto su posizioni socialiste. Il suo primo incarico di maestra elementare fu a San Giorgio Morgeto, in Calabria, ma già a fine anno fu costretta a congedarsi per il diffondersi del colera. Riparò a Roma, dove riuscì a entrare all’Istituto superiore di magistero femminile, diplomandosi in lettere nel 1888. Cominciò così la sua carriera d’insegnante, intessuta di ideali di riforma dei modelli educativi validi per entrambi i sessi. Nuove faticose esperienze l’avrebbero condotta a impegnarsi attivamente in favore dei diritti delle donne.
Dopo alcuni incarichi a Milano e in altre città settentrionali, nel 1892 accettò di trasferirsi a Napoli, dove conobbe Carlo Gangitano, un giovane chirurgo con cui strinse una relazione e da cui ebbe il figlio Paolo nel 1895. Il padre non volle riconoscerlo e ancora dieci anni dopo il tribunale di Napoli avrebbe respinto la richiesta di Regina di ottenere il mantenimento. Nel 1894 era intanto tornata a insegnare a Milano e due anni dopo cominciò a dirigere la scuola tecnica autonoma Teresa Confalonieri, presso la quale nel 1897 ebbe il permesso ministeriale di istituire una sezione femminile aggregata all’istituto tecnico Cattaneo. Ebbe allora inizio la lunga ‘lotta scolastica’ che la oppose al preside dell’istituto, contrario all’ammissione delle ragazze e ostile a Terruzzi, che riteneva indegna di insegnare a causa della maternità illegittima. Una campagna a stampa diffamatoria orchestrata dagli ambienti moderati milanesi condusse a due inchieste ministeriali cui seguirono il trasferimento a Torino (1900), il distaccamento presso la Biblioteca nazionale di Napoli (1903) e la nuova assegnazione proprio alla sezione femminile del Cattaneo (1906). Nel febbraio del 1907 il ‘caso Terruzzi’ arrivò addirittura in Parlamento, con un’interpellanza tesa a contestarne la nomina e la replica vigorosa di Filippo Turati, che difese il diritto a lavorare delle donne nubili con figli, moderne icone di superiore moralità materna. A sostegno della sua causa uscì anche un opuscolo a firma di due amici e colleghi della Federazione insegnanti medi di Milano, Maria Cleofe Pellegrini e Corrado Barbagallo. Il ministro Luigi Rava chiuse infine la questione confermando la nomina e da allora Terruzzi insegnò stabilmente al Cattaneo.
Era intanto diventata una figura pubblica di un certo rilievo e non solo per gli echi nazionali di questa vicenda. Al suo attivo aveva alcune pubblicazioni e un impegno crescente in favore della cultura popolare e delle donne lavoratrici o disagiate, coniugato con l’attivismo per l’emancipazione femminile. Già nel 1897 aveva aderito alla Lega per la tutela degli interessi femminili fondata a Milano dalle socialiste Linda Malnati e Carlotta Clerici e nel 1905 aveva sostenuto la creazione dei Comitati pro voto alle donne di Napoli e Milano. All’epoca il suffragismo italiano vantava ancora una fisionomia apartitica, benché a livello locale vi prevalessero ora le socialiste ora le radicali, forse più vicine all’orizzonte ideale di Terruzzi. Sebbene solidarizzasse con le classi popolari, non arrivava infatti a concepire la lotta di classe o le forme di conflittualità sociale che andassero a detrimento della coesione nazionale. In almeno due momenti della crisi di fine secolo aveva anzi mostrato un’acritica fiducia nella ‘monarchia democratica’ forgiata dal Risorgimento: nel 1898 aveva ottenuto una medaglia per l’assistenza civile a seguito dei servizi di soccorso all’esercito a cui l’aveva destinata il Comune di Milano durante i tumulti; ancora nel 1900, dalle pagine di una rivista femminile, aveva pianto la morte di Umberto I ritraendolo come un «padre del popolo» e un «amico degli operai» (Falchi, 2008, p. 94).
Il sostegno ricevuto dai socialisti nel corso della vertenza scolastica, e in particolare la solidale amicizia di Malnati e poi anche di Anna Kuliscioff, a breve impegnata a sospingere il partito su posizioni suffragiste, dovettero condurla ad apprezzare i valori e le pratiche in comune nel contesto associativo milanese di età giolittiana. Nel 1909 aderì al Comitato socialista di Milano; tra il 1911 e il 1912 contribuì alla creazione del giornale La difesa delle lavoratrici e dell’Unione nazionale delle donne socialiste, entrando a far parte sia del Comitato nazionale sia del Comitato esecutivo. Non si compì comunque alcuna conversione al marxismo e il linguaggio di Terruzzi, ormai cinquantenne, rimase sostanzialmente interclassista anche quando parlava di «proletariato femminile», espressione che in realtà rinviava a un’umanità dolente ritratta secondo i canoni sentimentali ottocenteschi (La difesa delle lavoratrici, 6 ottobre 1912). Di fronte all’aggressione italiana alla Libia assunse una posizione di condanna, non senza tuttavia un malcelato cedimento al patriottismo di bandiera (Il Secolo, 10 dicembre 1911). Lo scoppio della guerra europea la trovò neutrale, ma nel gennaio del 1915 era ormai schierata sul fronte interventista. L’occasione di uscire allo scoperto gliela fornì l’appello pacifista di Clara Zetkin alle socialiste dei Paesi belligeranti e neutrali, che Terruzzi interpretò addirittura come un tentativo di disarmare i popoli in lotta contro il militarismo tedesco (La difesa delle lavoratrici, 17 gennaio 1915). Il tradimento dell’Internazionale socialista svelava ora l’infondatezza della vantata solidarietà di classe, che in Italia serviva solo a confortare il «sordido programma egoistico» del Partito socialista, come scrisse Barbagallo a premessa dell’opuscolo con cui Terruzzi diede conto della sua scelta interventista (La parola di una donna, Milano 1918). Contarono senz’altro anche lo sdegno per l’invasione del Belgio e l’idea di una guerra democratica per un’Europa delle nazioni. Una progettualità democratica, tuttavia, in cui l’unità e dignità nazionale prevalevano sulle libertà individuali e corrosa da un risentimento verso il socialismo ufficiale difficile da riassorbire nell’immediato dopoguerra. Terruzzi uscì dal Partito socialista nel 1916 e aderì all’Unione socialista italiana, l’eterogenea formazione di Leonida Bissolati.
Al principio del 1919 non intervenne nella violenta polemica suscitata dalle posizioni di politica estera dello stesso Bissolati, ma il 23 marzo partecipò alla riunione fondativa dei Fasci di combattimento convocata da Benito Mussolini, con cui era entrata in confidenza nel corso della guerra, e nell’ottobre del 1922 seguì la marcia su Roma effettuata anche dal figlio Paolo. Nei mesi e anni seguenti scrisse con una certa assiduità a Mussolini, aspettandosi una ‘normalizzazione’ del fascismo. Senz’altro credette alle promesse suffragiste di Mussolini, che la nominò delegata del governo al IX Congresso dell’Alleanza internazionale per il suffragio femminile, svoltosi a Roma nel maggio del 1923. Quello fu il periodo di maggiore visibilità nazionale e internazionale di Terruzzi, a cui seguì l’approvazione della legge sul voto amministrativo a varie categorie di donne del 1925. A premere per la concessione del suffragio era stata anche l’anima autonomista dei Fasci femminili, a quella data ormai sottomessa e costretta ad accontentarsi, al pari di Terruzzi, di una soluzione al ribasso, peraltro presto vanificata dalla riforma podestarile. Proprio il 1925 fu l’anno di una temporanea caduta in disgrazia dei Terruzzi: Paolo fu infatti espulso dal Partito nazionale fascista per indegnità politica, a causa cioè dei suoi tentativi di pacificazione nel corso della crisi dell’Aventino. Terruzzi, che non aveva mai preso la tessera del partito, cercò di far valere i suoi meriti di ‘sansepolcrista’ per aiutare il figlio, che vi fu riammesso nel 1928 soprattutto per l’interessamento di Arnaldo Mussolini.
Alla fine dell’anno seguente andò in pensione e nel 1930 seguì Paolo a Nizza, nominato direttore della sede locale della Banca commerciale. Aveva intanto ricominciato a svolgere alcune attività pubbliche, legate specialmente alle condizioni di vita delle donne contadine, oggetto del suo interesse dal 1919, quando aveva concorso a creare l’Unione delle massaie della campagna. Fu quindi delegata ai Congressi internazionali dell’agricoltura e nel 1932 le venne chiesto di contribuire alla costituzione della Federazione nazionale fascista delle massaie rurali, a cui affiancò la rivista L’azione delle massaie rurali ma da cui si dimise alla fine del 1933, conservando la carica di presidente onoraria. Aveva ormai settant’anni e poteva vantare un’altra medaglia accordatale dal regime per la sua attività patriottica e in favore della cultura popolare. Era il 1931 e la cerimonia si svolse presso l’istituto Cattaneo. Un ex allievo le consegnò anche una tessera ad honorem del fascio, datata 1919, che Terruzzi accettò commossa, rivelando tuttavia la sua diversità dai giovani fascisti dell’epoca, disponibili a una violenza sovversiva che non le apparteneva, e rivendicando il ruolo di «suocera» del regime (Un’opera di bene: le onoranze a Regina Terruzzi, 26 aprile 1931, Milano 1932, p. 66). In quegli anni dispensò infatti a Mussolini molti consigli e commenti su temi a lei consoni, come la restrizione degli spazi lavorativi femminili o la condizione dei figli illegittimi, ma anche su questioni prettamente politiche come l’eventualità di un’amnistia o l’opportunità del Tribunale speciale, accolti con tolleranza ma liquidati come manifestazioni di una «mentalità» confacente all’Italia di vent’anni prima (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, b. 1151, f. 509.509, nota manoscritta). Dal 1935, trasferitasi a Firenze assieme al figlio, dedicò comunque larga parte del suo tempo alla scrittura delle memorie giovanili, non facendo tuttavia mancare il suo sostegno alla causa dell’impero e all’intervento italiano nella seconda guerra mondiale, anche nella nuova veste di segretaria del Gruppo femminile fiorentino dell’Istituto di cultura fascista. Per una donna con la sua storia il 1943 non poté non rappresentare un trauma profondo, da cui discese una cupa disillusione tanto verso Mussolini quanto verso Vittorio Emanuele III (Falchi, 2008, p. 302). Il decesso del figlio nel 1946 la rese afona.
Morì il 15 giugno 1951.
Opere. Traduzione di E. Legouvé, Un’allieva di sedici anni, Milano 1891; Dante e il quinto canto dell’Inferno, Bergamo 1891; Peregrinazioni sentimentali, Milano 1897; Peregrinazioni, Milano 1922; note di D. Alighieri, La Divina Commedia, Milano 1933; Crociera sentimentale: da Trieste a Buenos Aires, Milano 1936; Infanzia dell’Ottocento, Firenze 1938; I tumulti del 1898 a Milano: pagine di diario, Roma 1939; Adolescenza dell’Ottocento, Firenze 1940; La mia giovinezza, Firenze 1943.
Fonti e Bibl.: Le carte di Terruzzi sono conservate presso l’Archivio della famiglia Terruzzi a Saronno, ampiamente utilizzate da Federica Falchi nella sua biografia (L’itinerario politico di R. T. Dal mazzinianesimo al fascismo, Milano 2008). Anche l’Archivio centrale dello Stato conserva molta documentazione di e su Regina e il figlio Paolo, principalmente nel fondo citato della Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario (b. 500 f. 193.374, b. 1151 f. 509.509 e b. 1261 f. 509.817) e Carteggio riservato (b. 95 f. W/R). La si trova occasionalmente citata in vari testi sul movimento femminile e socialista o sulle donne nel regime fascista.
Sulla sua figura si vedano essenzialmente, oltre alle memorie ricordate in precedenza e al testo di Falchi: C. Barbagallo, M.C. Pellegrini, Dolori di donna, di insegnante e di madre. R. T., Milano 1907; D. Detragiache, Du socialisme au fascisme naissant: formation et itinéraire de R. T., in Femmes et fascismes, sous la direction de R. Thalmann, Paris 1986, pp. 41-66; P. Willson, Peasant women and politics in fascist Italy. The massaie rurali, London-New York 2002, pp. 58 ss.