AGRIPPA, Marco Vipsanio
Fedele amico e valoroso collaboratore di Augusto, figura di primissima importanza nella storia del suo periodo. Era di umili natali; del padre si sa solo che si chiamava Gaio, né consta donde la famiglia Vipsania fosse originaria. Nel 45 Giulio Cesare che preparava la guerra ai Parti, e adunava truppe in Macedonia, inviò colà il giovane nipote Ottavio, il futuro imperatore, che voleva seco nella spedizione, e gli diede a compagni due coetanei di modeste origini; ma nei quali il suo acuto sguardo di conoscitore di uomini aveva ritenuto di vedere due buone promesse di virtù militari: Agrippa e Quinto Salvidieno Rufo. Mentre i tre giovani prendevano parte alle esercitazioni e ai lavori per la preparazione della grande spedizione, giunse la notizia dell'uccisione del dittatore (idi di marzo del 44). Ottavio, adottato nel testamento come figliuolo e divenuto perciò Gaio Giulio Cesare Ottaviano, tornava a Roma quale semplice privato. Non tardò però, quegli che a Cicerone era sembrato un inesperto e ossequioso giovanetto, ad assumere una posizione dominante sulla scena politica, e i due giovani suoi commilitoni furono presto al suo fianco. Non si ha memoria che Agrippa prendesse parte alle due battaglie di Filippi, ma si deve credere di sì, e probabilmente con l'esercito di Ottaviano, che ebbe in quegli scontri la peggio. Ma quando le difficoltà incontrate da Ottaviano per soddisfare con distribuzione di terre italiane alle promesse fatte ai veterani furono sfruttate dal fratello e dalla moglie di Antonio, e si venne con questi alla guerra e all'assedio di Perugia, furono Agrippa e Salvidieno Rufo ad avere il comando delle truppe di Ottaviano e a prendere Perugia, facendo prigioniero Lucio Antonio. Salvidieno mostratosi però più abile che fedele fu colto in fallo e condannato a morte. Agrippa ebbe in premio la pretura (a. 40). E poco appresso ebbe il governo della Gallia, dove, rinnovando le gesta di Cesare, domò le ribellioni degli Aquitani; passò poi il Reno, pacificando e dando stabili sedi agli Ubî, forte popolazione germanica.
Intanto Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, avendo adunato una numerosa flotta alla quale si aggiunse quella di Bruto e Cassio, si era impadronito delle tre grandi isole italiane, e minacciava le comunicazioni e i rifornimenti di Roma.
Non era possibile che Ottaviano tollerasse un simile pericolo, e, dopo vani tentativi di accomodamento, si venne alla guerra (a: 38 a. C.). Ma la flotta di Sesto Pompeo era ben più potente e più esercitata di quella che poteva opporgli Ottaviano, e le cose andarono da principio piuttosto male per il giovane triumviro. Allora si richiamò dalla Gallia Agrippa, che diede mirabili prove di energia e di abilità. Tutto era da fare, a cominciare dalla base navale e dalla flotta. Agrippa concepisce l'ardito disegno di riunire i due laghi Averno e Lucrino e di farne il porto militare; in brevissimo tempo l'immane lavoro è eseguito, e le coste italiane hanno un sicuro porto di più, il Portus Iulius (cfr. De Fazio, Osservazioni sull'architettura del Porto Giulio, Napoli 1834). A. costruisce, poi, una flotta, creando nuovi tipi di navi molto grandi e robuste, con alte torri, e, instaurando l'antico espediente di Duilio, dà alle sue navi delle mani di ferro per aggrapparsi alle navi nemiche e venire al corpo a corpo, forma di combattimento più consona al temperamento del soldato romano. Sforzando poi al massimo, specialmente nei giorni di mare grosso, l'istruzione delle ciurme, in breve riesce a costituire una poderosissima flotta. Sesto Pompeo è vinto una prima volta a Mylae e poi del tutto sbaragliato a Naulochos, non lungi da Messina (36). Il terzo consolato e la corona navale, nuova onorificenza militare istituita in questa occasione, premiarono il magnifico servigio reso da Agrippa. Il quale prende parte alla guerra contro gli Illirî, e poi è tutto occupato nei preparativi della lotta gigantesca che già si delinea contro Antonio. Ottaviano, mediocre comandante di eserciti, era del tutto inesperto di guerra marittima, sicché la cura e il comando della flotta furono lasciati interamente ad Agrippa. E siccome la grandiosa partita fu risoluta tutta nella battaglia navale che le due flotte combatterono presso il promontorio di Azio, senza che gli eserciti si impegnassero affatto, così tutto il merito della insigne vittoria che poneva finalmente termine alle guerre civili, spetta ad Agrippa (v. azio). Questi conservò però sempre inalterata la sua devozione e la sua lealtà verso Ottaviano, sino al punto che dopo tanti e così grandi successi militari non chiese mai gli onori del trionfo. E fu grande fortuna per Roma, che i talenti politici e i militari, riuniti in modo supremo nella rara personalità di Giulio Cesare, rivivessero sì, ma separati, in due uomini che non interruppero mai la loro concordia d'intenti e la loro unità di azione.
Tolto con un serrato inseguimento il pericolo d'una rinnovata resistenza in Egitto, condotti Antonio e Cleopatra all'atto disperato del suicidio, annesso l'Egitto, Ottaviano provvide a Roma a porre sotto forme modeste salde basi al suo potere monarchico e Agrippa dovette compiere l'aspra e sgradevole bisogna di contentare gli appetiti dell'enorme numero di soldati adunati per le guerre civili, e tenuti insieme con larghe promesse di doni di terre. La proprietà terriera di gran parte d'Italia fu dovuta sconvolgere in malo modo, e fu gran prodigio se anche questa grossa tempesta fu potuta superare. Venne poi la pace; Ottaviano, avendo rinunciato ai suoi poteri straordinarî di triumviro, era salutato restauratore dell'antica costituzione romana entro i cui limiti, con le antiche magistrature, riusciva a dar forma all'impero. Il nome datogli dal senato di Augustus lo rendeva sacro e venerando alle genti. Le provincie accettavano volonterose e obbedienti l'ordine di Roma; a sopire le turbolenze delle rozze popolazioni illiriche provvedeva ancora una volta Agrippa.
Sembrò che un momento di malumore e di freddezza giungesse tra il grande statista e il grande soldato, quando Augusto, nel desiderio di assicurare la continuazione dell'assetto da lui finalmente dato alle rovinose condizioni del mondo romano, cominciò a dar chiari segni di voler preferire, al leale e sperimentato compagno dei più rischiosi e gravi momenti, il giovanetto Marcello, figliuolo della sorella Ottavia. Agrippa, incaricato di una missione nelle provincie orientali, si fermò nell'isola di Lesbo a fare un po' l'Achille sotto la tenda. Ma fu breve nube. Il sentimento del dovere e la febbre del lavoro lo ripresero, e chiari indizî rimangono della attività di lui in Oriente non nella povera tradizione storiografica rimastaci, ma nei grandi segni di onore che ad Agrippa sono tributati in tutto l'Oriente, dal solenne monumento erettogli sull'Acropoli d'Atene alla porta trionfale da lui denominata, e che dava accesso nella ricostruzione di Erode al tempio di Gerusalemme, dalle numerose città d'Asia Minore che prendono nome da lui o istituiscono giuochi in suo onore al possesso della intera Chersonesus Thracica, eredità di antichi sovrani spodestati. Il giovanetto Marcello del resto veniva a morire nel 21 a. C., e tutto l'edificio di speranze intorno a lui coltivate crollava. Agrippa tornava in primissimo piano, diveniva anzi stretto parente e collega di Augusto. Marcello lasciava vedova la figlia di Augusto, Giulia; maritarla ad un altro sarebbe forse stato motivo di grave doglianza per Agrippa. Fu così deciso che essa sarebbe andata sposa al rude generale coetaneo di suo padre. Agrippa, i cui tre matrimonî furono tutti conclusi e sciolti per soli motivi politici (aveva sposato nel 37 per volontà di Antonio la figlia di Tito Pomponio Attico, poi nel 28 Marcella figlia di Ottavia), sposò la figlia unica dell'imperatore, ed ebbe da lei tre figli maschi e alquante femmine.
I due primi maschi, Lucio e Gaio, furono adottati da Augusto, il terzo nacque dopo la morte del padre, e dimostrò così scarse doti naturali da non poter aspirare alla successione, alla quale mancarono anche i due maggiori fratelli morti giovanetti.
Oltre alla più stretta parentela con Augusto, Agrippa ebbe per cinque anni un vasto imperium proconsolare e la potestà tribunicia, sicché divenne di fatto collega dell'imperatore. In tale posizione si occupò specialmente delle provincie orientali, sistemò i veterani deducendo colonie a Patre e a Berito, pacificò il Ponto, ebbe in restituzione insegne militari tolte ai Romani da Mitridate, diede un re ai Bosporani, tenne in rispetto i Giudei, appoggiando la politica dell'abile ed energico loro re Erode e riconoscendo con molta larghezza privilegi e benefici alla popolazione ebraica non solo del regno ma anche della diaspora (Gius. Flav., Antiq. Iud., XVI, 6). Dall'Oriente si disponeva a tornare a Roma, quando giunsero notizie di movimenti in Pannonia che richiesero la sua presenza. Fu quello l'ultimo servigio reso a Roma e all'imperatore. Sofferente da qualche tempo di podagra, o più probabilmente di reumatismo articolare, il 20 marzo del 12 a. C. soccombeva, forse per un attacco cardiaco, in età di 51 anni.
Accanto alla sua grande opera di uomo di stato, di soldato e di marinaio non può esser dimenticata un'altra forma della sua attività. Nell'anno 35 a. C. egli, che era già stato console, acconsentì ad assumere le funzioni di edile, che si rivestivano ordinariamente prima della pretura e del consolato. Era una edilità straordinaria la sua, quella che doveva cancellare le tristi tracce esterne delle lotte civili, e che doveva dare a Roma l'aspetto glorioso di metropoli del mondo civile. I suoi piani furono grandiosi e razionali, lasciando intatta l'antica città, egli provvide a dare solenne aspetto monumentale al Campo Marzio. Lasciata una zona libera per i consueti esercizî d'istruzione militare (il Campus Agrippae), risanato completamente il suolo con grandi opere di cloache, creatavi una vasta piscina per bagni con l'Aqua Virgo novellamente condotta (Stagnum Agrippae), vi terminò i Saepta Iulia iniziati da Giulio Cesare lungo il primo tratto della Via Flaminia, fece ad essi seguito col Diribitorium, edifici destinati alle votazioni, aggiunse il portico degli Argonauti o Basilica Neptuni, gli archi dell'Aqua Virgo, il Pons Agrippae (poco a monte di Ponte Sisto), la Porticus Vipsania. vasto edificio terminato dopo la morte di lui dalla sorella, e contenente tra l'altro la prima carta mondiale che si vide in Roma, l'orbis pictus e finalmente il complesso magnifico delle Terme col Pantheon. Anche in Italia e nelle provincie del resto sono piuttosto abbondanti le tracce di questa fervida attività costruttrice di Agrippa (acquedotto famoso in Gallia detto Pont du Gard, templi a Nîmes, teatro a Emerita, Odeion in Atene, ecc.).
Il ritratto di A., conservatoci dalle monete, ci appare alquanto idealizzato nella statua colossale già Grimani, ora nel Museo Civico di Venezia, che si crede abbia con altra statua di Augusto adornato l'ingresso al Pantheon.
Agrippa Scrittore. - Come altri uomini politici del suo tempo, Agrippa appartiene anche alla storia della letteratura. Egli vien ricordato come autore di orazioni e di memorie. Ci resta menzione di un Vipsano, che avrebbe criticata di affettazione l'Eneide di Virgilio; ma è dubbio che la notizia si riferisca a lui. Plinio ci parla di un'orazione di Agrippa, ancora esistente ai suoi tempi, ch'egli loda come magnifica e degna d'un così grande cittadino. In questa orazione, che nel concetto informatore si avvicina tanto ai nostrí tempi, egli sosteneva la tesi che le opere d'arte di pittura e di scultura dovevano essere tenute esposte al pubblico. Il che - commenta Plinio - sarebbe stato meglio che tenerle relegate nelle ville. È l'affermazione di un principio che s'è andato man mano maturando nella legislazione italiana fino ai tempi nostri. Le memorie di Agrippa comprendevano più libri (libri vitae meae) di cui però non ci rimangono che due soli frammenti, nei quali si accenna alle opere che egli fece compiere, trasformando in porto il lago Lucrino, e dotando Roma dell'acqua Vergine, di vasche, fontane, ecc., nonché alle largizioni fatte in occasione della sua edilità. Ma due soli frammenti non bastano a concludere che con le sue memorie Agrippa avesse mirato a fare l'esaltazione della sua opera e a sfoggiare le sue benemerenze.
Se gli scritti ora menzionati sono citati appena dagli antichi, c'è in compenso un'altr'opera per cui il nome di Agrippa viene copiosamente citato: ed è la sua opera geografica. Si sa che Agrippa aveva preparati i materiali per una grande carta dell'orbe, che doveva essere esposta nel portico di cui sua sorella iniziò la costruzione (Porticus Vipsania o Polae). La morte gl'impedì di condurre a termine il lavoro, che fu compiuto da Augusto. Che questi, oltre che ultimare la carta, avesse pubblicati gli appunti che Agrippa aveva dovuto raccogliere, non ci viene esplicitamente testimoniato, ma è necessario supporlo per trovare una spiegazione delle indicazioni che ci son riportate dai geografi sotto il nome di Agrippa e dalle relazioni in cui esse si trovano con opere geografiche posteriori. La carta di Agrippa, avvalorata dal nome di Augusto, dovette, com'è facile immaginare, servire di modello ed aver valore ufficiale nell'Impero. Ne furono estratte delle carte itinerarie che venivano man mano rammodernate e messe al corrente. La così detta Tabula Peutingeriana sembra risalire, nella sua parte fondamentale, alla carta di Agrippa.
Bibl.: Gardthausen, Augustus und seine Zeit, Lipsia 1891-1894; Holmes, The Roman Republic and the Founder of the Empire, Oxford 1923; The architect of the Roman Empire, Oxford 1928. Per l'attività edilizia in Roma: Dione Cassio XLIX, 43; Seneca, De benef., III, 32; Corp. Inscr. Lat., VI, 874; Notizie degli scavi, 1885, p. 343; 1887, p. 323; Annali dell'Istituto, 1883, p. 17; Bull. della Comm. Archeol. Comunale, 1888, p. 92, 1893, p. 117; 1925, p. 67.
Per la carta di A., v. Partsch, Darstellung Europas in d. geogr. Werke des Agrippa, Breslavia 1875; Philippi, Zur Reconstruct. der Weltkarte des Agr., Marburgo 1880. Che siano esistiti, oltre alla carta, degli scritti geografici di Agrippa, pubblicati da Augusto, venne contestato da Detlefsen, Die Weltkarte des M. Agrippa (Untersuch. z. d. geogr. Büchern des Plinius), Glückstadt 1884. Ma l'antica opinione è stata avvalorata da altre ricerche; sul carattere e l'estensione di quest'opera di Agrippa e d'Augusto le opinioni sono discordi. Vedi anche Cuntz, De Augusto Plinii geographicorum auctore, 1888; Agrippa u. Augustus, ecc. (Fleckeis. Jahrb., Suppl. 17, 1890). I frammenti, in Riese, Geogr. Lat. minores, Lipsia 1878.