MORTARA, Marco
MORTARA, Marco (Mordekhai). – Nacque a Viadana, presso Mantova, il 7 maggio 1815, da Giuseppe, possidente mantovano, e da Allegra d’Italia.
Viadana era una piccola comunità ebraica che assieme ad altri piccoli centri come Bozzolo, Sabbioneta, Revere, Sermide, Pomponesco, Ostiano, Rivarolo si era costituita intorno alla comunità maggiore di Mantova.
Frequentò il liceo a Mantova, il cui ducato faceva parte dal 1707 dell’Impero asburgico, ed entrò poi nel convitto del collegio rabbinico di Padova, che era appena stato inaugurato (1829) e dove ebbe come maestri Samuel David Luzzatto e Lelio Della Torre. Conseguito nel 1836 il titolo rabbinico, iniziò il suo ufficio a Mantova, dove era rabbino maggiore Israel Claudio Cases coadiuvato da Salomone Nissim. Morto Cases, nel luglio 1842 venne chiamato a succedergli Mortara. Due mesi prima, nel maggio 1842, una delegazione di ebrei mantovani si era recata presso l’imperatore Ferdinando I per chiedere l’ammissione agli impieghi civili. La richiesta non era stata accolta e al ritorno in città vi era anche stato un assalto al quartiere ebraico, al quale erano seguiti dei tafferugli con un morto e vari feriti. Queste ostilità antiebraiche segnarono la comunità tanto da decidere di non fare pubblicità alla cerimonia di insediamento del nuovo rabbino.
Il 28 novembre 1851 Mortara sposò la diciannovenne modenese Sara Benedetta Castelfranco e nel 1855 nacque il primo figlio, Lodovico, giurista e professore universitario e politico. L’altro figlio Aristo, nato nel 1857, fu procuratore generale presso la Corte d’appello di Firenze. Mortara ebbe anche due figlie, Giovannina Giuseppa ed Eugenia Ester, nate rispettivamente nel 1853 e nel 1859, e fu zio dell’economista, sociologo e senatore del Regno Achille Loria.
Rimase fedele a Mantova fino alla fine dei suoi giorni, conducendovi una vita interamente dedicata allo studio, alla famiglia e alla comunità. Scrisse sermoni, testi per conferenze, lettere e altre opere di varia natura, in parte edite e in parte inedite, collaborando con riviste italiane (Rivista israelitica, L’Educatore israelitico, Vessillo israelitico, Corriere israelitico) e straniere (Israelitische Annalen, Archives israélites, L’Univers israélite), utilizzando talvolta lo pseudonimo Doresh Tov.
Mortara fu uno tra i più illustri e operosi rabbini usciti dal collegio di Padova. Gadi Luzzatto Voghera lo ha definito «ideale continuatore, con i suoi innumerevoli scritti e la sua costante presenza nella stampa ebraica e in generale nella pubblicistica, della tradizione della Wissenschaft [des Judentums] in Italia» (1996-97, p. 1224).
Nato nell’anno della Restaurazione, salutò con entusiasmo l’ingresso nel Regno d’Italia, avvenuto per Mantova in seguito alla terza guerra d’indipendenza e celebrato nel tempio della città con una solenne cerimonia (Italia redenta. Lodato iddio: uffizio di grazie celebrato nel tempio maggiore israelitico, Mantova 1866, pp. 7 s.). Compose per l'occasione una poesia liturgica intitolata Inno a Dio – per Vittorio Emanuele (in Ha-zman we-ha-raion/Il tempo e l’idea, XVII [luglio-dicembre 2009], p. 67).
L’emancipazione degli ebrei comportava la capacità di integrarsi nella vita nazionale italiana. Mortara riteneva che con l’emancipazione fosse avvenuta la transizione dell’ebraismo dalla originaria connotazione nazionale-religiosa a quella esclusivamente religiosa. Ma a ben vedere questa trasformazione era in continuità con quanto era già avvenuto con le due guerre giudaiche e la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. Come affermò in un sermone in occasione del 9 di Av (anniversario della distruzione del primo e del secondo tempio) conservato nel fondo Mortara dell’Archivio della Comunità ebraica di Mantova, cominciò allora «il secondo stadio di vita dell’israelitica famiglia, in cui cessando di formare un corpo politico distinto e tutto sopra un suo paese ristretto, distinto rimanendo pur sempre per l’avita sua religione, divenne cittadino di tutta la terra». Gli israeliti non erano erranti a causa del «terribile crimine del deicidio», ma cittadini di tutta la terra, testimoni del puro monoteismo etico.
Nel 1854 intervenne con una serie di articoli pubblicati ne L’Educatore israelita sulla possibilità di operare una semplificazione del culto conservandosi nei limiti della più rigorosa ortodossia. Come affermò in più occasioni, per esempio nel Compendio della religione israelitica: metodicamente esposto ad uso dell’istruzione domestica e delle scuole (ibid. 1855) e in Pregi e necessità del culto esterno (Mantova 1862), «anche i precetti puramente rituali contribuiscono alla conservazione del dogma e della morale». Occorreva però rendere il culto più scorrevole e comprensibile, meno ripetitivo, attuando una moderata riforma liturgica: «Calamità ed ignoranza arrestarono la nostra Teologia rituale al livello del secolo in cui fu scritta. Solo ritornando alle fonti si può farla, dopo quasi dodici secoli di arenamento, progredire» (Studi ghemarici, in Rivista israelitica,1845-47, n. 3-4, pp. 137-157). A tal fine Mortara riteneva opportuno che venisse convocato un congresso rabbinico (Della convenienza e competenza di un congresso rabbinico, Trieste 1866).
Come osserva Bruno Di Porto «Mortara trovò nell’idea benamozeghiana di rivelazione progressiva una coincidenza e un riscontro ai suoi temi di evoluzione e di riforma del culto, ma il rabbino livornese reagì, con l’ancoraggio della precettistica alla tradizione e per di più alla mistica, di cui è simbologia» (2009, p. 59). Il dissenso maggiore con Elia Benamozegh (1823-1900) riguardava proprio la Qabbalah. Mentre Mortara, in linea con il suo maestro Luzzatto, la considerava estranea alla più pura tradizione ebraica, Benamozegh riteneva invece che essa costituisse il cuore dell’ebraismo, oltre che lo strumento della futura riconciliazione tra Israele e l’umanità.
Nel dibattito tra conservatori e innovatori, gli ebrei italiani seppero evitare le fratture che altrove vennero invece a crearsi. Non v’è da meravigliarsi se, di conseguenza, ad alcuni le posizioni di Mortara sembrino troppo ortodosse e ad altri troppo poco. Si confrontino, per esempio, i giudizi sul rabbino mantovano di The Jewish Encyclopedia: «He was very conservative in his religious views» (1916, pp. 36 s.) e dell’Encyclopaedia Judaica: «He represented the liberal trend in Judaism in Italy» (1971, pp. 353 s.). Insieme all’interazione con le realtà circostanti, l’aver saputo evitare la frattura tra i diversi orientamenti costituisce senz’altro una caratteristica dell’ebraismo italiano, e contribuisce a fare dell’Italia un laboratorio della modernità ebraica.
Ne Il proselitismo giudaico, apparso prima in traduzione francese (Le prosélytisme juif, Paris 1875) e l’anno dopo nella edizione italiana (Mantova 1876), si trovano tesi di sorprendente modernità per quanto riguarda il rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Riferendosi alla nascita del cristianesimo, Mortara scrive: «Il Giudaismo si divise allora in due campi, uno consacrato alla conquista del mondo pagano alla dottrina monoteista, mediante opportune transazioni colle sue idee, l’altro alla difesa della purezza della dottrina dell’Unità e ed Unicità di Dio» (p. 33). Egli parla di due Chiese, una conservatrice (quella di Israele), l’altra militante (quella cristiana): «Se il cristianesimo avesse potuto arrestarsi alla religione professata dal suo fondatore, la divisione del Giudaismo nelle due chiese, l’una conservatrice, e l’altra militante, avrebbe forse potuto non accadere» (pp. 42 s.). Non per avversione al proselitismo gli ebrei se ne astennero, ma per la convinzione che il mondo non fosse ancora pronto ad accettarlo nella sua forma più pura (p. 83). Entrambe le Chiese «sia la chiesa conservatrice che la militante sono strumento provvidenziale del processo dell’umanità» (p. 85). Il saggio si conclude in un orizzonte multireligioso di fraternità universale: «Poiché la libera parola è oggimai concessa a tutti, discutiamo ma non dimentichiamo giammai che ebrei, cristiani, maomettani, buddisti, politeisti o adoratori di feticci, siamo tutti fratelli, tutti fatti ad immagine del Creatore, come insegna l’antico ma sempre nuovo libro del Pentateuco». Come d’altra parte sostiene Bruno Di Porto: «La dialettica interna all’Ebraismo italiano ha in Marco Mortara un esempio di coerenza nel tenere le sue posizioni e di premura nel serbare l’unità dell’insieme. L’attitudine al dialogo con le altre religioni e culture ha in lui un precursore animato da rispetto e da un afflato universalistico» (2009, pp. 54 s.).
Morì a Mantova il 6 febbraio 1894.
Opere: Dell’autenticità del Pentateuco, Padova 1843; Sull’armonia delle più recenti teorie cosmiche colla narrazione della Genesi, Mantova 1853; Della nazionalità e delle aspirazioni messianiche degli Ebrei / a proposito della questione sollevata dall’onor. deputato Pasqualigo / considerazioni, Roma 1873; Catalogo dei manoscritti ebraici della Biblioteca della Comunità israelitica di Mantova, Livorno 1878; In morte di S. M. Vittorio Emanuele, Mantova 1878; Mazkeret Hakhme Italyiah. Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti di cose giudaiche in Italia, Padova 1886; Il pensiero israelitico: studio, Mantova 1892. Per un più completo elenco delle sue pubblicazioni si veda: Elenco degli scritti del Rav M. M., in Vessillo israelitico, 1886, pp. 188-190.
Fonti e Bibl.: i manoscritti di Mortara sono conservati nel fondo Mortara dell’Archivio della Comunità ebraica di Mantova. G. Deutsch, s.v., in The Jewish Encyclopedia, IX, New York 1916, pp. 36 s.; M.E. Artom, s.v., in Encyclopaedia Judaica, XII, Jerusalem 1971, pp. 353 s.; Gli Ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, 2 voll., Torino 1996-97 (in particolare: F. Della Peruta, Gli ebrei nel Risorgimento fra interdizioni ed emancipazione, pp. 1135-1169; G. Luzzatto Voghera, Aspetti della cultura ebraica in Italia nel secolo XIX, pp. 1215-1243; T. Catalan, L’organizzazione delle comunità ebraiche italiane dall’Unità alla Prima guerra mondiale, pp. 1245-1265). L’Associazione italiana per lo studio del giudaismo (AISG) ha dedicato il suo XXIII Convegno di studi all’ebraismo italiano del XIX secolo, incentrandolo sulla figura di Mortara: L’Ottocento ebraico in Italia fra tradizione e innovazione: la figura e l’opera di M. M. (1815-1894), Ravenna, 14-16 settembre 2009; l'intervento di B. Di Porto, M. M. M., il Doresh Tov (1872-1911), si trova pubblicato in Ha-zman we-ha-raion/Il tempo e l’idea, XVII (2009), 13-24, pp. 43-63; M.G. Perani, Nuove scoperte su M. M. M. (Viadana 1815-Mantova 1894). Per uno studio approfondito delle opere e del pensiero del rabbino mantovano, in Vitelliana, V (2010), pp. 131-141.