DENTE, Marco (Marco da Ravenna)
Si hanno scarse notizie di questo incisore, originario di Ravenna e attivo a Roma nella cerchia di Marcantonio Raimondi, incisore di fiducia di Raffaello, dal 1515 circa. Morì a Roma durante il sacco del 1527 (Carrari, 1581). Godette di gran credito sin da principio, come dimostrano le testimonianze, tra le più precoci a riguardo della storia dell'incisione, di Giovan Francesco Doni (1549) e di Giorgio Vasari (1550 e 1568), per il quale ultimo, nel 1550 il D. figura come l'unico incisore degno di essere menzionato tra gli "infiniti" che operarono nella scia di Marcantonio.
L'unica sua opera firmata per esteso - "Marcus Ravenas" - è la stampa con raffigurazione del gruppo scultoreo ellenistico con Laocoonte e figli (oggi al Vaticano), nelle condizioni in cui il marmo si trovava subito dopo il rinvenimento avvenuto nel 1506 (Bartsch, XIV, 1813, n. 353). Le molte altre stampe che gli si attribuiscono sono raggruppate sulla base della sigla "SR" - che il Vasari disse essere "il segno di Raffaello", adottato dal D. come proprio - o della lettera "R" che le contrassegna, interpretate rispettivamente come "Scultore Ravegnano" o "Ravegnano", non senza discussione tra i cultori di stampe.
Tale discussione si protrasse per due secoli e oltre (a cominciare dal De Marolles, 1666) anche a riguardo della ventilata ipotesi dell'esistenza di un certo Silvestro da Ravenna incisore (e poi di un Simone e anche di un Severo) con questioni poi accantonate definitivamente (Bartsch, 1813; Zani, 1820). Quanto alla notizia data dal Vasari (1568), secondo la quale il D. avrebbe siglato le sue prime "carte" con "M. R.", ossia le iniziali di Marco Ravegnano, essa non trova riscontro in nessuna delle stampe classificate dal Bartsch. Tale sigla per altro non è posta in relazione a questo incisore nei repertori di monogrammisti.
Le stampe del gruppo contrassegnate dalle sigle "SR" o "R", circa una quarantina, sono di vario genere e tema e presentano caratteri stilistici e di ispirazione assai differenti. La maggior parte riflettono invenzioni di Raffaello, dipinti e disegni, alcuni dei quali incisi anche da Marcantonio, poche derivano da disegni di altri maestri, cioè Rosso Fiorentino, Baccio Bandinelli, Giulio Romano, Giovan Francesco Penni; alcune rappresentano sculture famose o ne prendono ispirazione per nuove composizioni. Una sola di queste stampe porta una data, 1519, quella riproducente il cosiddetto Trono d'Amore (Bartsch, XIV, p. 194, n. 242), rilievo marmoreo allora conservato in S. Vitale a Ravenna (oggi al Louvre), che, siglata "SR", sembra confermare il legame esistente tra l'incisore che si cela dietro quella sigla e la città di Ravenna. Tale data tuttavia parrebbe contrassegnare un secondo stato, mentre nel primo stato, non siglato, secondo una testimonianza dello Zani (1820), non controllata poi da alcuno, si leggeva la data 1515. Recentemente si è voluto interpretare come una data, 1510, la sigla "DX" (o "DM"?) che si legge in basso a sinistra in una stampa con pannello ornamentale (Bartsch, XIV, p. 392, n. 557) in cui sulla destra spicca la lettera "R" (Petrucci, 1964).
Rari e fragili agganci con opere databili di Raffaello e scolari, che in ogni caso costituiscono dei post quem, consentono di situare alcune di quelle stampe attorno al 1516, quelle derivate da affreschi nella stufetta del cardinale B. Dovizi da Bibbiena in Vaticano (Bartsch, XIV, pp. 321 ss.), compiuti nel 1516, uno dei quali inciso da Agostino Musi (Agostino Veneziano) appunto nel 1516; altre attorno al 1517, la serie di Cristo con gli apostoli (ibid., pp.79-91), che presenta nessi con disegni di Giulio Romano databili intorno al 1517.
Un altro punto di riferimento è la data 1517, iscritta nel celebre disegno di Rosso Fiorentino con composizione di scheletri e cadaveri (oggi agli Uffizi), da cui è derivata la stampa firmata e datata 1518 di Agostino Veneziano, ed anche, ma per il tramite di un secondo disegno più finito (anch'esso agli Uffizi), la stampa segnata "R" da tutti considerata del Dente (Bartsch, XIV, p. 321, n. 425; Borea, 1980).
Più oltre, la datazione ragionevole sul 1520-25 dei disegni di Baccio Bandinelli per la Strage degli innocenti (L. Marcucci, Disegni del Bandinelli per la "Strage degli Innocenti", in Rivista d'arte, XXX[1954], pp. 97-114, ma per M. G. Ciardi Duprè, Per la cronologia dei disegni di Baccio Bandinelli fino al 1540, in Commentari, XVII [1966], p. 152, essi sono anteriori) costituisce il più tardo riferimento per la cronologia del D., la cui stampa di quel soggetto, siglata "SR", di impianto grandioso sulla linea dell'altra Strage degli innocenti, ideata anni prima da Raffaello per la incisione di Marcantonio, ma di invenzione affatto diversa, si pone tra i capolavori della stampa figurativa italiana del Cinquecento. Per tutte le altre stampe del corpus che il Bartsch nel 1813 ha costituito nel nome di Marco da Ravenna (rimasto pressoché invariato sino ad oggi) non soccorrono argomenti esterni cui agganciarsi nel tentativo di tracciare una linea di percorso nella breve vicenda artistica del Dente. Il Vasari (1568) riferisce ch'egli operò avendo lungamente al fianco Agostino Veneziano, l'altro incisore emergente dal gruppo di seguaci di Marcantonio, la cui sigla "A.V.", di inequivoca interpretazione, contrassegna stampe datate dal 1515 al 1536, ma lo scrittore non precisa in quali termini si svolgesse la collaborazione, se consistesse nell'incidere a due mani, sui modelli raffaelleschi, la stessa lastra, o nell'incidere lo stesso soggetto ciascuno su una diversa lastra.
Di fatto non ci sono pervenute stampe dello stesso soggetto, ma da diverse matrici, che siano rispettivamente siglate "SR" (o "R") e "A.V.", fatta eccezione di quelle già menzionate con la celebre scena macabra (Bartsch, XIV, pp.424 s.), derivate dal disegno di Rosso Fiorentino datato 1517.
A da segnalare tuttavia un'ipotesi di attribuzione al D. per la stampa con Battaglia romana (ibid., p.171, n. 211), il Cui soggetto è stato inciso anche da Agostino Veneziano (ibid., p. 172, n.212). Sono molte invece le stampe attribuite al D., perché siglate, oppure per ragioni stilistiche, che appaiono tratte da modelli raffaelleschi incisi anche da Marcantonio, ponendosi in qualche caso la questione se precedano quelle dell'uno o quelle dell'altro incisore. Recentemente si è ipotizzata la precedenza degli esemplari ron la cifra "SR" rispetto a quelli siglati da Marcantonio per la serie con Cristo e gli apostoli e per l'Ultima Cena (ibid., pp. 79-82 e pp. 33 s. rispettivamente Oberhuber, in Raffaello in Vaticano, p. 339; Harprath, ibid., p. 350). Assai dibattuta da tempo è la questione che riguarda le stampe tratte dalla celeberrima composizione disegnata da Raffaello con Strage degli innocenti.
Sono due stampe (Bartsch, XIV, pp. 19-24, nn. 18 e 20), una caratterizzata dalla presenza di un albero di conifera ("felcetta") nello sfondo a destra, senza sigle né scritte nel primo stato, l'altra dall'assenza di tale albero, con la sigla di Marcantonio.
Dai più ritenuta di Marcantonio quella con felcetta, e del D. - o d'altri - quella senza felcetta, ultimamente è invalsa l'ipotesi, d'altronde anticipata dal Malvasia nel 1678, e poi rilanciata dallo Hind nel 1913, che ambedue le stampe siano autografe di Marcantonio, la seconda lastra incisa dopo l'usura della prima (Shoemaker-Broun, 1981), la quale per altro, deterioratissima, si conserva tuttora a Pavia, nella Biblioteca civica (Bianchi, 1968). Con ciò viene disattesa la testimonianza del Carrari, la fonte ravennate del 1581, per la quale il D. a quella data risulta celebre per una Strage degli innocenti tratta da un modello raffaellesco. Gli studiosi di questo secolo hanno eluso la stessa fonte anche a riguardo dell'attribuzione al D. di un'altra stampa, il Giudizio di Paride.
Sono notoriamente due le stampe di questo soggetto pervenuteci, una considerata universalmente di Marcantonio, e un'altra pressoché identica (Bartsch, XIV, pp. 197-200, im. 245 s.), ritenuta questa dai più una deliberata contraffazione per mano di Marco Dente. Anche in questo caso si pone il problema dell'inattendibilità del Carrari, perché, anche se si potesse dimostrare inoppugnabilmente la paternità del D. per la seconda incisione, trattasi pur sempre di stampa pervenutaci con sigla di Marcantonio, e non si comprende come il Carrari potesse vantarla quale uno dei capolavori del suo concittadino, insieme a quella Strage degli innocenti - con o senza felcetta - che si fregia in ogni caso anch'essa della marca del Raimondi.
Altre stampe siglate "SR" o "R" derivano dall'antico, le più senza apparente mediazione di Raffaello o di altri modelli che non fossero direttamente le statue o i bassorilievi presi di mira. Si è detto dei Laocoonte (Bartsch, XIV, pp. 268 s., n. 353), firmato per esteso, e del Trono d'Amore. Sono da segnalarsi inoltre Marcaurelio (ibid., p. 375, n. 515) dalla statua equestre allora in Laterano che in quegli anni attirava molti altri incisori, tra i quali Marcantonio; il Cavaspino, dalla statua in Campidoglio (ibid., p. 356, n. 480) e il Combattimento di Traiano (ibid., p. 167, n. 206) da un rilievo dell'arco di Traiano ora inserito nell'arco di Costantino. In queste stampe il D. rappresenta gli antichi marmi così come l'occhio li vedeva, realisticamente. Non così in altre, dove l'antico per lui è solo fonte di ispirazione per rappresentare figurativamente e con libera immaginazione episodi dell'Eneide virgiliana, quali sono quello del duello tra Entello e Darete (ibid., p. 159, n. 195) e quello dell'Aggressione dei serpenti a Laocoonte e ai suoi figli (ibid., p. 195, n. 243).
La prima stampa si ispira a un rilievo di età classica, oggi nel Museo Gregoriano profano (Krung, 1975), la seconda inequivocabilmente al Laocoonte oggi nei Musei Vaticani, lo stesso gruppo scultoreo che il D. fedelmente rappresentò in quanto tale nell'altra stampa già ricordata, quella firmata per esteso. Il confronto tra le due stampe col tema del Laocoonte, quella siglata "SR" che raffigura la tragedia nel suo svolgersi secondo la narrazione di Virgilio - una composizione suggestiva per l'ampio scenario paesistico ma curiosamente naïve nei particolari figurativi e architettonici, che non sono da artista di raffinata cultura raffaellesca - e l'altra, quella firmata per esteso, che rappresenta il marmo rodio come reperto archeologico, mutilo e immobile, ma di straordinaria potenza drammatica, pone in evidenza differenze stilistiche, mai osservate sinora, tali da far insorgere il dubbio che le due incisioni non siano dovute alla stessa mano. E poiché come si è detto il corpus del D. è stato costruito sulla base di quella sigla "SR" - tanto discussa in passato, quanto data per indiscutibile oggi, quale contrassegno dello stesso D. - ne consegue che la problematicità della questione investe tutto il gruppo di stampe così segnate, ciò comportando la necessità di una revisione critica e filologica di tutte le fonti, di tutti i materiali, di tutte le opinioni, da farsi ovviamente in appropriata sede.
Va ricordato inoltre che un esimio conoscitore come il Kristeller intraprese nel 1890, non seguito da altri, una iniziativa di verifica della celebre sigla "SR", indicando due casi nei quali essa a suo avviso dovrebbe intendersi come "SK", ed escludendo pertanto per quelle stampe, l'Assemblea dei sapienti (Bartsch, XIV, p. 356, n. 479) e Giove e Semele (ibid., p. 254, n.338), la paternità del Dente. Per l'Assemblea dei sapienti, egli argomentò, a sostegno della propria tesi, - poiché la stessa composizione riappare identica in una xilografia pubblicata a Venezia da F. Marcolini nel 1540, firmata per esteso da Giuseppe Porta (detto poi il Salviati, e questo spiega perché il Bartsch dichiari il rame derivato da un disegno del maestro del Porta, l'assai più celebre Francesco Salviati) -, l'improbabilità che il Porta firmasse impudentemente come propria una composizione altrui, tanto più che lo stile manieristico del rame appare di epoca posteriore a quella in cui operò il D.; con la conseguente conclusione che la xilografia sia l'originale e il rame una copia. Di tale convincente argomentazione è all'oscuro chi ha trattato recentemente dell'opera del Porta (C L. C. Ewart Witcombe, Giuseppe Porta's frontispiece for Francesco Marcolini's "Sorti", in Arte veneta, XXXVII [1983], pp. 170-174), il quale per altro pubblica uno stato della stampa su rame, non conosciuto né dal Bartsch né dal Kristeller, recante anche la sigla "RVP", che sarebbe naturalmente da sciogliersi in "Raphael Urbinas Pinxit". Il caso è esemplare delle manipolazioni cui andavano incontro le lastre incise quando si voleva aumentare il loro pregio.
L'esame dei dati relativi al D., delle scarse e inconsistenti notizie pervenuteci, delle molte opere attribuitegli, della letteratura cresciuta sul Bartsch ma sempre ai margini delle questioni fondamentali, porta in conclusione al tratteggio di una figura non ben definita e poco salda criticamente, che acquista forma per luce riflessa di Raffaello per la maggior parte delle invenzioni, di Marcantonio per il magistero della tecnica incisoria. Come persona e come artista l'incisore, che il Doni nel 1549 lodava per il Laocoonte, resta a tutt'oggi, con certezza assoluta, l'autore di una sola stampa, appunto quel Laocoonte, firmato per esteso, cui mal si accompagna la maggior parte delle incisioni, anche di quelle bellissime, di cui i conoscitori costituirono il suo catalogo.
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