BELLARMATI, Marco Antonio
Nacque a Siena intorno al 1500, da Ippolito e da Margherita Piccolomini. Poco sappiamo della sua giovinezza: si avviò certamente agli studi giuridici, sotto il magistero di Pietro Bellanti, seguendo i corsi di diritto civile e di diritto canonico nello Studio cittadino, così da addottorarsi poi in utroque iure. La prima sua comparsa nelle cronache della vita cittadina (1524) lo vede nelle file d'una congiura contro Fabio Petrucci, l'ultimo figlio di Pandolfo Petrucci, che allora reggeva il governo della città col favore di Clemente VII. Scoperte le intenzioni dei congiurati, il B. assieme ad altri fu per breve tempo carcerato fino a che non intervenne a liberarlo la clemenza del Petrucci.
Il ruolo del B. nella congiura, come negli avvenimenti a cui in seguito prese parte, non fu certo di primo piano; membro di una antica e nobile famiglia, partecipava alle mene politiche di questa, mosso dallo spirito caratteristico delle lotte interne cittadine. L'azione del B., assieme a quella dei fratelli Girolamo, Lucio e Stefano, sembra infatti per lo più determinata dagli orientamenti del padre Ippolito, personaggio influente nella vita pubblica senese che faceva parte del Monte dei Nove.
Ritroviamo il B. nel 1526 a Roma presso Clemente VII. Gli avvenimenti che seguirono in Siena l'assassinio di Alessandro Bichi avevano visto i Bellarmati, nello scontro tra popolari e noveschi, parteggiare per questi ultimi. Il B. partecipò in seguito ad ambedue i tentativi noveschi per riprendere in mano le redini del governo senese. Nel luglio del 1525 era con altri fuorusciti, assieme alle truppe pontificie e fiorentine messe in rotta a Porta della Camollia: respinto l'attacco le genti della Repubblica senese inseguirono i fuorusciti fuggiaschi e a Castelnuovo di Berardenga fecero prigioniero, con altri, il B. e Francesco Bardi. Fu per quest'ultimo, a cui il governo senese volle salvare la vita, che il B. evitò l'esecuzione d'una condanna a morte, già pronunciata, e potè riprendere la via dell'esilio, bandito dalla città e con la confisca dei beni. Ma nei primi mesi dell'anno seguente lo troviamo nuovamente con i familiari tra quei fuorusciti noveschi che architettavano un altro cambiamento di rotta nella vita pubblica senese. L'impresa, nonostante l'appoggio fiorentino, si infranse nel vano tentativo di forzare le mura della città. I fuorusciti, rifugiatisi nel castello di Montebenichi, vennero sorpresi dalle genti della Repubblica. Il B., sebbene ferito gravemente, riuscì a scampare alla cattura; il padre Ippolito, preso prigioniero, venne condotto a Siena, ed ivi decapitato il 5 dic. 1527.
Il B. poté tornare a Siena nel 1530, sotto la protezione di Ferrante Gonzaga. Si apre così una nuova fase della sua vita, in cui, ad una intensa partecipazione alle vicende della vita pubblica cittadina, succedette un meditato distacco, arricchito dagli studi eruditi e giuridici.
Nacquero così le sue Istorie senesi, di cui ci è rimasto soltanto il primo libro, edito per la prima volta a Padova nel 1839 da Fortunato Federici e poi nuovamente a Siena nel 1844 da G. Porri, nella Miscellanea storica senese (Il primo libro delle Istorie senesi di M.B..., pp. XXVII-LXXV). Le Istorie volevano essere un ripensamento della vita pubblica senese, dalle origini, lungo tutta la storia cittadina. La fonte rimastaci si ferma all'anno 1260; ma quel che importa notare è che il B. non uscì dai limiti d'una povera esposizione erudita; la scarsa fortuna dell'opera sta a testimoniare del resto questo giudizio. Per lo più misconosciuta, essa suscitò una qualche attenzione soltanto nella seconda metà del sec. XVIII, nell'ambito degli interessi di patria erudizione che la videro citata dal Pecci e di riflesso dal Lami, e su questa scia nacquero le edizioni ottocentesche del Federici e del Porri (quest'ultimo riferisce che il manoscritto chigiano delle Istorie da lui studiato porta a margine delle annotazioni del senese Alessandro VII, il che conferma l'interesse puramente locale che aveva quest'opera del Bellarmati).
E tuttavia, nella impossibilità di svolgere un vero e proprio discorso critico sulle Istorie, meritano di essere segnalati gli spunti ove traluce il ripensamento del B. sulla sua personale vicenda e la coscienza di quel mutamento di prospettive che caratterizza la storia dei primi decenni del '500 per la vita delle città italiane, "le quali benché sieno oggi suddite, ancora nei particolari loro governi, nel vivere negli ordini, nei costumi, modo, o per dir meglio ombra di repubbliche mantengono". Questa annotazione del B. sulla sorte delle città toscane segue un giudizio non privo di personale amarezza e di acume sulla Firenze a lui contemporanea, che era stata "già la prima, più libera o Repubblica che domandar non si può, reggendosi per voler di un solo, e avendo gli antichi civili liberi popolari loro ordini perduti senza introdurre nuovi, che segno o imagine di libera o Repubblica servirono; esempio manifesto e documento chiaro per l'avvenire a qualunque Repubblica, quanto danno partoriscono le civili dissensioni, quanto possa la malignità dei cittadini, quanto sia pericoloso a più successori in una medesima famiglia mantenere l'autorità e la riputazione" (p. L).
Non ci è possibile datare le Istorie del B.; certamente egli dovette farne la stesura mentre attendeva nuovamente agli studi giuridici. Nel 1527 usciva a Siena il suo trattato Super II Infortiati, De Legatis, a cui seguirono nel 1552 due edizioni, una padovana ed una veneziana. Nel 1539 veniva chiamato alla cattedra di diritto civile nello Studio senese, cattedra che tenne fino al 1541. In quello stesso anno venne chiamato dall'università di Macerata ove si trattenne fino al 1544. Richiesto da Cosimo I perché insegnasse a Pisa, secondo alcuni autori vi morì il 7 febbraio di quello stesso anno, secondo altri visse ancora numerosi anni.
Nel 1532 aveva sposato Laura di Cristoforo dei Bardi, da cui ebbe numerosa figliolanza. Oltre al trattato già citato, ci sono rimaste altre sue opere giuridiche che, a voler tener ferma la data della sua morte nel 1544, furono pubblicate tutte postume (In Rubricam ad legem primam Digestorum. De legatis primo, Patavii 1552; Super I Digestum Vetus, De officio eius, cui mandata est iurisdictio, ibid. 1571; Super titulum Digest. de acquirenda possessione commentaria, ibid. 1571). Il Panziroli attribuisce al B. anche una commedia, il cui manoscritto sarebbe andato perduto.
Fonti e Bibl.: Macerata, Arch. Priorale: vol. 794, ff. 12, 12v, 13v, 14, 17v, 22v; vol. 795, f. 14; I. Ugurgieri Azzolini, Le Pompe Sanesi..., I, Pistoia 1649, pp. 323, 460, 663 s.; A. Fontana, Amphitheatrum legale…,Parmae 1687, col. 86; G. Panziroli, De claris legum interpretibus…, I, Lipsiae 1721, p. 274; G. A. Pecci, Storia del vescovado della città di Siena…,Lucca 1748, p. VIII; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 641; Novelle letterarie di Firenze, XXIX(1768), col. 620; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, I, Pisis 1791, p. 281; D. Moreni, Bibl. storico-ragionata della Toscana, Firenze 1805, p. 102; G.Tiraboschi, Storia d. letterat. ital., VII, 3, Venezia 1824, p. 969; L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, pp. 77 s.; G.Porri, Il primo libro delle Istorie senesi di M. B…,pp. VII-XV; L. Moriani, Notizie sulla univers. di Siena, Siena 1873, p. 23.